Scandalo della Banca Romana
Lo scandalo della Banca Romana fu un evento politico-finanziario che coinvolse le forze della sinistra storica, accusate di collusioni negli affari illeciti della Banca Romana, ex Banca dello Stato Pontificio, uno dei sei istituti che all'epoca erano qualificati ad emettere moneta circolante in Italia.
Storia
Ancora tre decenni dopo l'unità, in Italia vi erano ben sei banche centrali con facoltà di emettere biglietti di banca intitolati al regno d'Italia: la Banca Romana, la Banca Nazionale di Torino, il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana di Credito. Lo scandalo della Banca Romana venne determinata da alcuni investimenti in campo edilizio che si erano rivelati fallimentari per la stessa Banca Romana. Questa, per coprire le perdite, iniziò ad emettere nuova moneta senza autorizzazione.
Nel giugno 1889 il ministro dell'agricoltura del Governo Crispi I, Luigi Miceli, aveva disposto un'ispezione su tutti gli istituti di emissione. L'inchiesta fu affidata al senatore Giuseppe Alvisi ed al funzionario del Tesoro Gustavo Biagini; l'inchiesta dette risultati contraddittori: fu riscontrato un disavanzo di nove milioni di lire, reintegrato tuttavia il giorno successivo e spiegato con l'"imperizia" degli inquirenti. L'inchiesta che resterà segreta fino al dicembre 1892, venne resa nota dal radicale Napoleone Colajanni: la Banca Romana, a fronte dei 60.000.000 autorizzati, aveva emesso biglietti di banca per 113 milioni di lire, incluse banconote false per 40 milioni emesse in serie doppia[1]. Il denaro fu altresì utilizzato per prestiti a politici come Giovanni Giolitti e Francesco Crispi. Giolitti, in risposta ad interrogazioni ed interpellanze parlamentari, negherà di essere stato a conoscenza della relazione Alvisi-Biagini e di non aver ricevuto denaro dalla Banca.
Il processo del 1894 si concluse con un'assoluzione degli imputati: per evitare che l'inchiesta travolgesse uomini di spicco della politica italiana, i giudici, nella sentenza, denunciarono la sparizione di importanti documenti, necessari a provare la colpevolezza degli imputati. Il procedimento penale venne quindi archiviato senza emettere alcuna condanna.
Conseguenze dello scandalo
Lo scandalo ebbe non soltanto enorme risonanza nell'opinione pubblica, ma anche pesanti ripercussioni sia a livello politico, sia sul sistema economico e bancario italiano.
Nello stesso anno 1892 crollarono il Credito mobiliare e la Banca Generale. A seguito del caos finanziario, il capo del governo Giovanni Giolitti istituì commissioni di inchiesta e pose mano rapidamente al riordino del sistema creditizio, con la istituzione della Banca d'Italia, alla quale fu assegnata la funzione di unico istituto autorizzato ad emettere moneta[2], oltre alle funzioni di controllo e regolazione del sistema bancario nazionale.
Sul piano politico, il procedere del processo penale e dello scandalo derivato dalla vicenda, con il sospetto di coinvolgimento degli uomini politici e di occultamento delle prove, portò nel 1893 ad una crisi politica e alle dimissioni di Giovanni Giolitti da capo del governo, sostituito da Francesco Crispi.
Bibliografia
- Enzo Magri, I ladri di Roma : 1893 scandalo della Banca Romana : politici, giornalisti, eroi del Risorgimento all'assalto del denaro pubblico. Milano : A. Mondadori, 1993
- Sergio Romano, Crispi. Milano : Bompiani, 1986
Note
- ^ AA.VV., Storia d'Italia, DeAgostini, 1991, p. 239
- ^ Fino al 1926 una limitata facoltà in questo senso fu lasciata al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia.