Biblioteca Malatestiana
La Biblioteca Malatestiana di Cesena è una biblioteca monastica di enorme importanza storica. Caratterizzata dalle forme tardogotiche dell'epoca medievale, la sua architettura e le attività culturali ad essa legate preludono al Rinascimento italiano; inoltre, la Malatestiana è l’unico esempio di biblioteca umanistica perfettamente conservata nell’edificio, negli arredi e nella dotazione libraria, come ha riconosciuto l’Unesco, inserendola, prima in Italia, nel “Registro della Memoria del Mondo”. Ricca di quasi 250.000 volumi, di cui 287 incunaboli, circa 4.000 cinquecentine, 1.753 manoscritti che spaziano fra il XVI secolo e il XIX secolo e oltre 17.000 lettere e autografi.

Storia
L’idea della biblioteca va attribuita ai frati di San Francesco, che avevano in animo di costruirne una ad uso dello ‘’stadium’’, annesso al loro convento fino al 1300. A questo scopo nel 1445 essi ottennero da Papa Eugenio IV il permesso di utilizzare un lascito testamentario e diedero inizio ai lavori dell’edificio probabilmente nel 1447. Nel 1450 è documentato il primo intervento di Malatesta Novello, signore di Cesena, che fece proprio il progetto dei farti. Al modello inaugurato nella biblioteca del convento domenicano di San Marco a Firenze da Michelozzo (1444), si ispira la Malatestiana di Cesena, cui Matteo Nuti, esaltato come ‘’Dedalus alter’’ nell’epigrafe che si legge accanto nella porta d’ingresso, pose il sigillo del suo nome: “MVVVVLII Matheus Nutius Fanensi ex urbe creatus Dedalus alter puos tantum deduxit ad unguem” (“1452. Matteo Nuti, nato a Fano, secondo Dedalo, condusse a compimento una tale opera”). Sul timpano del portale campeggia l’elefante, emblema dei Malatesta, con il motto “Elephas Indus culices non timet (“L’elefante indiano non teme le zanzare”), mentre ai lati dell’erchitrave e sui capitelli delle lasene, sono raffigurati i simboli araldici della grata, delle tre teste e della scacchiera. La porta in legno scuro è opera di Cristoforo da San Giovanni in Persiceto e reca la data 15 agosto 1454, giorno solenne e festoso per la città che celebrava intorno a quei giorni un’importante “fiera d’agosto”. Gli intagli, di gusto gotico, ripetono motivi a rosette e simboli elicoidali, disposti in modo da evocare la scacchiera malatestiana. L’araldica dei Malatesta è riprodotta anche all’interno, sui capitelli delle colonne della sala e sui 58 plutei (29 per parte), imponenti banchi di legno di pino in cui si conservano i codici. Varcato il maestoso portale, l’impressione è quella di trovarsi in una vera e propria “chiesa in miniatura”, un tempio laico di serene e pacata bellezza, consono all’indole raffinata e colta del signore cesenate ed eccezionale per la perfetta conservazione.
All’ideazione di questo spazio armonioso e luminoso non sembra estraneo l’artefice del Tempio Malatestiano di Rimini, Leon Battista Alberti, per tutta una serie di rapporti geometrici e proporzionali riscontrabili nella pianta e nell’alzato dell’edificio, che fanno riferimento alla nuova cultura prospettica rinascimentale codificata nel De re edificatoria, celebre trattato dello stesso Alberti. Del tutto innovativa è infatti la pianta a tre navate, tutte e tre con copertura a volte: a botte quella centrale a crociera quella laterali, un poco più larghe e basse. La luce, distribuendosi dalle finestrelle archiacute, due per campata, si ripartisce nelle navate laterali,mentre la navata centrale, scandita da venti eleganti colonne con capitelli a scudi e a foglie pendule, è illuminate dal grande occhio di fondo. Da qui un suggestivo fascio di luci cade sell’epigrafi del pavimento, che rinnovano la mamoria del donatore: “Mal(atesta) Nov(ellus) Pan(dulphi) fil(ius) Mal(atestae) nep(os) dedit” (“Malatesta Novello figlio di Pandolfo nipote di Malatesta diede”). Anche il colore riveste un ruolo preciso: il bianco delle colonne mediane, il rosso del pavimento in cotto e delle semicolonne e il verde dell’intonaco, riportato alla luce dai restauri del 1920, rimandano ai colori degli stemmi malatestiani
Per dotare la sua libraria di un corredo di volumi adeguati e consoni al progeto di biblioteca che si prefiggeva, il signore di Cesena promise uno scrittorio che, con attività organizzata e pianificata, produsse nell’arco di circa un ventennio oltre centoventi codici, La collezione è ispirata al modello umanistico sia nella scrittura in ‘’littera antiqua’’, anche se sono presenti codici in gotica o semi gotica, sia nei testi, che comprendono autori classici, Padri della Chiesa e opere greche in traduzione, con particolare predilezione per gli storici e per le scoperte degli umanistici contemporanei.
Tra gli amanuensi ricordiamo Jean d’Epinal che copiò almeno trentasei codici, Jacopo della Pergola al quale Malatesta Novello affidò la trascrizione di opere di grande impegno come lo splendito ‘’De civitate Dei’’ di Sant’Agostino (D.IX.1), inoltre Frate Francesco di Bartolomeo da Figline, che fu anche il primo custode della libraria. Tra i copisti malatestiani che per il loro lavoro si servirono generalmente dell’umanistica, ricordiamo Andrea Catriello da Genova, che sottoscrive uno dei codici da lui copiati, il giorno delle morte di Malatesta Novello (20 novembre 1465).
Voluta da un unico mecenate e realizzata in breve tempo, la raccolta ha un carattere fortemente sistematico, enciclopedico, perché destinata non al personale interesse del committente, ma agli studi di una comunità (infatti la biblioteca Malatestiana è stata la prima biblioteca pubblica del mondo occidentale). Malatesta Novello dichiara il suo ruolo di promotore, facendo apporre nella prima pagina di ogni codice il proprio stemma riccamente ornato all’antica e le iniziali “M” e “N” dipinte in oro o in altri colori entro un campo rettangolare a foglia d’oro. I manoscritti commissionati o acquistati da Malatesta Novello (circa 150 esemplari) integrarono così il preesistente fondo conventuale, costituito già nel 1300, ma ricco di codici ancora più antichi, come le ‘’Etymologiae’’ di Sant’Isidoro (S.XXI.5), del IX secolo. Si aggiunsero alla raccolta i testi di medicina e di scienze, ma anche di letteratura e filosofia, donati dal riminese Giovanni di Marco, medico di Malatesta Novello e come lui appassionato collezionista di codici. Quattordici codici greci, acquistati molto probabilmente da Malatesta Novello a Costantinopoli, sette ebraici e altri donati al “Novello”, più qualche codice aggiunto nei secoli successivi completarono la raccolta, che ammonta a 343 manoscritti. I volumi sono tuttora collocati nei loro banchi, che avevano la duplice funzione di leggio, svolta dal piano reclinato, e di deposito dei libri nella scansia sottostante. Qui i codici, di solito cinque per pluteo e suddivisi per materia, sono appogiati orizzontalmente e sono collegati ai banchi con catenelle di ferro battuto. Questa consuetudine probabilmente era nata dalla necessita di proteggere in modo adeguato i libri tanto preziosi. Il signore di Cesena, che intuiva nella Biblioteca il simbolo imperituro della sua fama presso i posteri, volle, con una decisione e un’intuizione assolutamente originali, che la libraria fosse affidata anche alla cure e all’attenzione della comunità cesenate. Infatti, già dal 1461 il consiglio comunale faceva eseguire ogni due mesi un rigoroso controllo dei libri collocati nei plutei. Nel 1466, dopo la morte di Malatesta Novello, il comune ottenne addirittura una bolla di scomunica per chiunque asportasse i codici. Venne così delineandosi il doppio controllo della raccolta, da una parte quella del convento di San Francesco che la ospitava e ne garantiva l’uso e dall’altra quella del Comune, che vegliava sulla sua integrità e il suo rispetto. Anche la nomina del custode-bibliotecario spettava, secondo la volontà di Malatesta Novello, al consiglio comunale.
In questo modo la storia della biblioteca Malatestiana e della sua prodigiosa conservazione, che rappresenta ancora oggi un motivo di orgoglio di Cesena, è anche la storia un simbolo sentito come proprio e amato con eccezionale fedeltà dai cesenati.
La biblioteca Piana
Nel salone che si apre di fronte alla malatestiana si conserva la biblioteca piana, già del Papa Pio VII Chiaramonti (1800-1823). Assegnata in uso ai Benedettini del monastero di Santa Maria del Monte per espressa volontà del papa e di proprietà della famiglia Chiaramonti, nel 1941 è stata venduta dagli eredi Chiaramonti allo Stato Italiano, ed è attualmente in deposito presso la biblioteca Malatestiana. Ricca di oltre cinquemila volumi a stampa dei secoli XV-XIX e di un centinaio di manoscritti, comprende, fra i codici più preziosi, un Evangelario datato 1104, un manoscritto giuridico del XIII secolo contenete il ‘’Decretum Gratiani’’, un Messale romano databile agli inizi del Quattrocento con una splendita Crocefissione miniata. Tra gli incunaboli si può ricordare un esemplare della ‘’Cosmagraphia’’ di Tolomeo, che riporta la data falsa 1462 (in realtà stampato nel 1477 o nel 1482), con tavole colorate i cui disegni sono stati attribuiti a Taddeo Crivelli.
I corali del Cardinale Bessarione
Il Cardinale Bessarione fu uno dei personaggi più importanti e influenti della Chiesa del XV secolo ed il massimo rappresentante di quella tendenza conciliare che voleva riunita la chiesa occidentale latina a quella orientale greca. Tra il 1450 e il 1455 trascorse un periodo a Bologna, come legato papale per quella città e per le Romagne, che coincide con quello della commissione dei corali. Il ciclo comprendeva diciotto volumi, e la sua destinazione doveva essere il covvvento dei Francescani Osservanti di Costantinopoli, ma la caduta della città in mano turca nel 1453 fece cambiare tale sede e fu scelto il Convento dell’Osservanza di Cesena, dove essi rimasero fino ai primi anni dell’Ottocento. In seguito alle vicende all’occupazione napoleonica e alla sospensione degli ordini religiosi (1797-1810), la maggior parte dei corali andò dispersa e soltanto sette furono collocati nella biblioteca comunale di Cesena che allora si andava costituendo. Un recente acquisto sul mercato antiquario internazionale ha consentito di recuperare uno dei corali dispersi: si tratta di uno splendido antifonario, contrassegnato nella carta icipriate dello stemma del Bessarione.
I corali della Cattedrale
I sette, sei Graduali e un Kyriale, vennero commissionati dal Vescovo Giovanni Venturelli da Amelia e dai canonici del Duomo di Cesena e realizzati del copista Enrico di Amsterdam tra il 1480 e il 1495. Tra i miniatori che hanno decorato questi corali, ricordiamo il canonico Savinus Faventinus e Frater Hieronimus. Secondo la testimonianza dell’erudito settecentesco Giovan Battista Braschi, essi venivano esposti alla pubblica devozione e ammirazione nel giorno della festa di San Giovanni Battista, patrono di Cesena, che si celebra il 24 giugno. Non a caso quindi, una delle pagine più note di questi splenditi volumi è la 75v del corale C, che contiene la raffigurazione della nascita del santo.
Il libro più piccolo del mondo
Tra le “curiosità” della biblioteca Malatestiana si può ricordare una serie di volumi a stampa di piccolo formato, tra i quali il “libro più piccolo del mondo leggibile senza lente”. Stampato dai Fratelli Salim di Padova nel 1897, misura 15x9mm e contiene una lettere di Galileo Galilei a Cristina di Lorena, in cui lo scienziato sostiene che la teoria copernicana non è in contrasto con le verità della fede rivelante.
La Malatestiana “Memoria del Mondo”
Il programma memoria del mondo, avviato dall’UNESCO nel 1992, si propone di stabilire, a somiglianza di quanto avviene per il Patrimonio culturale e naturale dell’Umanità, una lista di beni documentari caratterizzati dalla loro unicità e del loro rilievo per la storia dell’umanità. L’UNESCO ha inserito nel registro della Memoria del Mondo, nel giugno del 2005, la Biblioteca Malatestiana di Cesena con la seguente motivazione:
La Biblioteca Malatestiana è il primo bene culturale italiano a conseguire tale riconoscimento.