Se questo è un uomo

memoriale di Primo Levi
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Se questo è un uomo è un romanzo autobiografico di Primo Levi scritto tra il dicembre 1945 ed il gennaio 1947. Rappresenta la coinvolgente ma riflettuta testimonianza di quanto fu vissuto in prima persona dall'autore nel campo di concentramento di Auschwitz. Levi ebbe infatti la fortuna di sopravvivere alla deportazione nel campo di Monowitz - lager satellite del complesso di Auschwitz e sede dell'impianto Buna-Werke proprietà della I.G. Farben.

Se questo è un uomo
AutorePrimo Levi
1ª ed. originale1947
GenereAutobiografia
SottogenereRomanzo
AmbientazioneAuschwitz, 1943 - 1945
ProtagonistiPrimo Levi
«Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.[1]»

Scrittura e pubblicazione

Il testo venne scritto non per vendetta, ma come testimonianza di un avvenimento storico e tragico. Lo stesso Levi diceva testualmente che il libro era nato fin dai giorni di lager per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi ed è scritto per soddisfare questo bisogno. Il romanzo, durante la sua genesi, fu comunque oggetto di rielaborazione. Al primo impulso da parte di Levi, quello di testimoniare l'accaduto, seguì un secondo, mirato ad elaborare l'esperienza vissuta, il che avvenne grazie ai tentativi, da parte dell'autore, di spiegare in qualche modo l'incredibile verità dei lager nazisti.

Il manoscritto fu inizialmente rifiutato da Einaudi e venne pubblicato dall'editore De Silva, che ne stampò però solo duemilacinquecento copie. Il successo e la notorietà del libro si fecero attendere fino al 1958, anno in cui il romanzo venne pubblicato da Einaudi.

Anche dopo la pubblicazione, comunque, la scrittura dell'esperienza personale vissuta alla fine della guerra rimase perennemente un lavoro in corso. Successivamente a Se questo è un uomo venne infatti pubblicato il romanzo La tregua, che descriveva l'interminabile viaggio nei paesi dell'est in cui era stato coinvolto Levi dopo la liberazione del campo. Quest'opera doveva il suo titolo al fatto di rappresentare una fase in cui la mente del protagonista restava in parte libera dal pensiero assillante della prigionia. Un pensiero che comunque lo avrebbe riassalito al momento di ritornare a casa e anche negli anni successivi. Nel 1986, ad esempio, venne alla luce il saggio I sommersi e i salvati, che tornava a trattare la tematica del lager.

La narrazione della vita del lager

 
Ad Auschwitz

È molto importante, da parte dell'autore, lo scopo di alternare la testimonianza del vissuto ad altri scorci in cui egli assume la prospettiva dello scienziato (si ricorda che Primo Levi era un chimico e che svolse queste mansioni anche nel campo di concentramento):[2] la società dei detenuti funziona secondo regole complesse ed incomprensibili per chi vi è appena arrivato.

Ricoprono tra l'altro un ruolo di primo piano le descrizioni dei rapporti sociali: Levi si concentra spesso sulla psicologia e sulle dinamiche di gruppo dei detenuti, indicando come alcune regole di fratellanza o di civile convivenza vengano, per cause di forza maggiore, messe a tacere.[3] Hanno del resto un ruolo di primo piano le doti di carattere, gli stratagemmi ed i sotterfugi necessari per appartenere al gruppo dei privilegiati che sopravviveranno, se non all'intera durata della detenzione, almeno al prossimo periodo di crisi e terrore.[4] La morte è sempre presente, viene però vissuta come un evento ineluttabile della quotidianità. Tra le righe, e forse anche oltre, troviamo anche momenti di speranza, eventi che capitano e che ricordano ai protagonisti che forse non tutto è perduto e che comunque, come dice l'autore, sia la felicità che l'infelicità non sono perfette e nelle imperfezioni di queste sono nascosti dramma e speranza.

Dopo i versi introduttivi, la prefazione spiega quanto importante sia stato, per l'interessato, il fatto di essere stato internato solo nel 1944, periodo in cui le condizioni dei prigionieri erano ormai migliorate. L'autore dichiara di non aver inventato nessuno degli avvenimenti narrati. Come spiegato, l'enunciazione di eventi e situazioni segue tendenzialmente l'ordine cronologico, nonostante vi siano numerose eccezioni.

  • Il primo capitolo (Il viaggio) spiega la situazione degli ebrei italiani deportati a Fossoli nel campo di transito. Il trasferimento in Germania è comunque imminente e la maggior parte dei prigionieri sa di andare incontro alla morte quasi sicura. Il treno fa tappa al Brennero, a Salisburgo, a Vienna e ancora in Polonia. Nella carrozza ferroviaria i deportati vengono trasportati in condizioni disumane, sicché parecchi di loro muoiono.
  • Nel secondo e nel terzo capitolo (Sul fondo ed Iniziazione) vengono descritte le prime scene nel campo di concentramento. A ciascuno dei prigionieri, chiamati in tedesco Häftling,[5] viene assegnato un numero che costituisce a partire da subito il suo nuovo nome. Si tratta di un nome carico peraltro di significati fin dall'inizio. Al suo arrivo, il protagonista ignora ancora che grazie a quelle cifre è possibile stabilire provenienza e grado di anzianità dei vari prigionieri. Fin troppo in fretta si apprendono le prime leggi del campo, come quella di non fare domande, di fingere di capire tutto, di saper apprezzare il valore di oggetti essenziali alla sopravvivenza come le scarpe ed il cucchiaio. Primo Levi tiene molto a spiegare il variegato panorama linguistico delle varie comunità etniche, compreso l'uso di termini specifici tedeschi in tutte le lingue. Vengono inoltre illustrate le funzioni delle varie baracche, i cosiddetti Block che formano il lager.
  • Ka-Be è il nome abbreviato dell'infermeria (baracca detta Krankenbau) che dà il titolo al quarto capitolo. In seguito ad un problema al piede, Levi viene assegnato a questo blocco, fatto che gli concede di una sorta di tregua, ma non di vera e propria speranza. Come dovrà capire, il numero che il protagonista porta tatuato sul braccio si trova di poco al di sotto di duecentomila: dato che il campo ospita poche decine di migliaia di persone, è logico che centinaia di migliaia di persone sono state uccise o sono morte di stenti. Del resto, nel campo regna qualcosa come la certezza matematica che la maggior parte delle persone ancora vive è destinata a morire a medio termine. È questo quanto un gruppo di prigioneri ebrei fa capire a Levi, non senza fargli sentire un certo disprezzo. Questo atteggiamento ostile è in parte dovuto al fatto che il protagonista è italiano e quindi non parla la loro lingua, l'yiddish.
  • Il quinto capitolo Le nostre notti contiene tra l'altro una celebre pagina in cui il protagonista illustra il suo dormiveglia, una situazione nella quale i confini tra realtà e sogno si dissolvono. Si tratta dunque di un sonno che non regalerà mai il necessario riposo.
  • Il lavoro, sesto capitolo, illustra tra l'altro la scarsa predisposizione di Levi ai lavori pesanti: dovendo trasportare carichi di grosse dimensioni, il protagonista rischia di morire estenuato. Ciononostante, Levi approfitta della solidarietà del compagno Resnyk, il quale lo aiuta generosamente nei compiti più gravosi.
  • Il settimo capitolo, Una buona giornata, presenta una nuova fase di tregua nella vita del lager. Il fatto di poter mangiare a sazietà costituisce un evento eccezionale per i prigionieri, dato che le dosi stabilite legalmente non coprono il fabbisogno energetico giornaliero. La parvenza di un minimo di normalità, d'altro canto, favorisce il riemergere della tristezza, altrimenti rimossa durante le giornate dominate dalle percosse, dalla fame e dalla spossatezza.
  • Il titolo dell' ottavo capitolo, Al di qua del bene e del male, allude all'opera Al di là del bene e del male di Nietzsche. Al contrario dell'eroe niciano, il prigioniero del lager viene presentato nella sua nullità. Questo capitolo illustra soprattutto il significato e le ripercussioni di un fatto apparentemente banale come il cambio della biancheria (il cosiddetto Wäschetauschen). Infatti, il lager dispone di una vera e propria borsa soggetta a regole descrivibili con una certa precisione, e sul mercato del lager le camicie dei prigionieri vengono utilizzate come merce di scambio. Si tratta di oggetti il cui prezzo è soggetto a sbalzi e ad improvvise cadute, in funzione dei capricci del mercato: oltre ai meccanismi di domanda e offerta, giocano un ruolo molto importante le manovre di speculazione messe in atto dai prigionieri.
  • Uno dei capitoli di maggiore importanza è senza dubbio il nono, dedicato a i Sommersi ed i salvati: Levi spiega come questa distinzione (tra candidati alla sopravvivenza o alla morte) sia per lui di importanza assai maggiore rispetto a quelle di bene e di male (praticamente impossibili da definire in maniera obiettiva). Passa quindi ad illustrare il curriculum di alcuni detenuti a mo' di exempla. Il miglior modo per sopravvivere è senza dubbio quello di conquistarsi un posto al sole facendosi incaricare di mansioni speciali, diventando ad esempio un cosiddetto Kapò. La maniera ideale per far parte dei votati alla morte sicura è invece quello di adattarsi alle regole ufficiali del campo, per poi indebolirsi lentamente a causa dell'esaurimento, della denutrizione e delle malattie.
  • Esame di chimica: in seguito a questa prova sostenuta presso il dottor Pannwitz, Levi viene ammesso alle mansioni di laboratorio. È questo uno dei principali fattori a garantirne la sopravvivenza nel lager, sottraendolo al destino dei cosiddetti Muselmänner, cioè dei votati alla morte certa.
  • L'undicesimo capitolo, Il canto di Ulisse, è ispirato al ventiseiesimo canto dell'inferno, in cui viene narrata la vicenda umana di Ulisse, guidato - come Dante e come Levi - dalla sete di sapere: il protagonista cerca di ricordarsi i versi danteschi e di tradurli ad un suo compagno di prigionia.
  • I fatti dell'estate: questo capitolo si riferisce al tracollo militare dei tedeschi, fatto peraltro noto ai prigionieri. Neanche alla fine della guerra, dopo lo sbarco in Normandia e la gigantesca controffensiva sovietica in Russia si sviluppa tra gli Häftling una speranza duratura: i fronti alleati sono infatti lontanissimi, mentre la necessità di risolvere gli impellenti problemi della sopravvivenza quotidiana continua ad essere onnipresente.
  • Ottobre 1944 (tredicesimo capitolo) illustra la sopravvivenza di Levi ad una retata di selezione da parte dei nazisti, mentre il capitolo Kraus (quattordicesimo) propone il ritratto di un prigioniero del lager.
  • Die drei Leute vom Labor (le tre persone del laboratorio) descrive alcune impressioni sulla nuova vita da chimico del protagonista, senza tuttavia approfondire le funzioni specifiche del laboratorio. La presenza di tre donne crea un effetto estraniante.
  • Ne L'ultimo viene rappresentata la figura amica di Alberto, già nota dai capitoli precedenti. Costituisce di una specie di alter ego per il protagonista. Si tratta di un personaggio sempre solidale ed estremamente ricco di inventiva e diplomazia, nonché di una figura assai amata nel campo.
  • Scritto sotto forma di diario, Storia di dieci giorni costituisce l'epilogo della vicenda. Siccome l'arrivo dell'Armata Rossa è oramai imminente, i tedeschi decidono di evacuare il campo facendo partire da Auschwitz almeno i prigionieri sani. Dato che si è ammalato di scarlattina e che al momento è in preda alla febbre, Levi è ricoverato e viene escluso dal trasferimento, senza sapere che però questa spedizione finirà per portare i prigionieri verso la morte. È con tutta probabilità questa la sorte riservata ad Alberto. Sopravviveranno invece gli Häftling che, come Primo, sono malati e rimangono nel campo per assistere, il 27 gennaio 1945, all'arrivo dei sovietici.

Lettura

Le riflessioni dell'autore permettono al lettore di immedesimarsi con il protagonista ed affiancarlo idealmente nella sua esperienza. Per questo, la lettura del libro è un'esperienza intensa per il lettore, il quale rivive insieme all'autore tutta la sofferenza di quei giorni. Si tratta inoltre di una esperienza che porta alla riflessione e che non di rado fa sorgere delle domande. Per esempio, il lettore sarà spesso stupito dal fatto che nel libro si stenta a trovare un giudizio morale negativo nei confronti di chicchessia. Si cercherà quindi invano una qualche espressione di rancore nei confronti del nazismo. La mancanza di sentimenti del genere fece parlare di un modo di scrivere classico, che poneva Levi tra i grandi della letteratura. Primo Levi spiegò in seguito ai lettori che era sua intenzione quella di mantenere un approccio razionale, assumendo il ruolo del testimone e lasciando al lettore il compito di formarsi un'idea dell'accaduto.[6] Nondimeno, come riportato nell'appendice al romanzo, a Levi venne chiesta una spiegazione sull'origine dell'antisemitismo nazista. Questa, secondo l'autore, andava inquadrata in un fenomeno più ampio, quello dell'ostilità sviluppata nei confronti dei diversi.

Il lettore intuisce che l'esperienza del lager può simboleggiare, in qualche modo, un qualcosa di più ampio che può arrivare ad abbracciare l'intero mondo della condizione umana, tematica del resto indicata dal titolo del romanzo.

La metafora dell'Inferno dantesco

 
Cancello del lager: Arbeit macht frei

Come accennato a proposito del capitolo dedicato ad Ulisse, si incontrano ripetutamente nel libro riferimenti alla Divina Commedia: la detenzione in un lager viene in qualche modo visto come viaggio nell'oltretomba, in un mondo dal quale si crede di non poter più uscire, similmente a quanto accade nell'Inferno dantesco. Si propongono alcuni dei numerosi riferimenti intertestuali all'opera di Dante:

  • Il viaggio verso il lager può essere visto come il trasporto delle anime da traghettare verso l'inferno attraversando il fiume Acheronte, laddove gli un soldato del campo copre un ruolo simile a quello del tremendo nocchiero Caronte all'arrivo ad Auschwitz. A differenza di Caronte, il soldato nazista si esprime con un tono grottescamente cortese per farsi consegnare gli oggetti di valore dei prigionieri.
  • La tristemente nota scritta sulla portone di accesso (Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi) viene proposta come una riscrittura dell'incipit del terzo canto dell'Inferno: nella cantica dantesca, la frase formulata in prima persona indica che attraverso la porta, si accede al mondo dei dannati: (Per me si va nella città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente).
  • Il lazzaretto, detto Ka-Be, viene paragonato al limbo, un mondo escluso dalle categorie del bene e del male, privo di punizioni vere e proprie e, in un certo senso, un momento di tregua durante l'avventura del lager nazista.
  • Al momento di sostenere l'esame di chimica per essere trasferito in laboratorio, il protagonista si imbatte nel dottor Pannwitz, che rassomiglia in qualche modo ad un giudice infernale. Come il Minosse dantesco (che assegna a ciascuna delle anime dannate un determinato cerchio dell'inferno e quindi una punzione), il dottore ha la facoltà di decidere delle mansioni e del destino altrui. Secondo la narrazione di Levi, il Pannwitz siede formidabilmente: si tratta di un riferimento nascosto al quinto Canto dell'Inferno (Stavvi Minòs orribilmente e ringhia, v. 4).

La riscrittura manzoniana

Levi riporta anche una metafora dai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni nella parte in cui viene trovata una ragazza di sedici anni straordinariamente sopravvissuta alla camera a gas. L'autore in questo passo vuol far intendere che pur un generale tedesco, all'apparenza duro e spietato, può essere una persona "normale" dato che prova della pietà nel veder la ragazza e non riesce ad ucciderla, ordinando a un addetto di farlo. La metafora è, come lo stesso Levi dice,[senza fonte] riferita alla scena dei Promessi Sposi in cui Renzo assiste alla scena in cui un madre porta la sua bambina morta ai monatti ordinandogli di non derubarla e di trattarla con cura. Anche i monatti, uomini senza scrupoli e crudeli, si commuovono trattando la bimba con una certa cura.

Edizioni

Note

  1. ^ Sono questi i versi introduttivi del romanzo; ispirati allo Shema, ne spiegano il titolo.
  2. ^ Primo Levi, Se questo è un uomo, ed. a c. di Giovanni Tesio, Einaudi scuola, pp. 91-92.
  3. ^ Primo Levi, Se questo è un uomo, ed. a c. di Giovanni Tesio, Einaudi scuola, p. 92.
  4. ^ Primo Levi, Se questo è un uomo, ed. a c. di Giovanni Tesio, cap. I sommersi e i salvati, passim.
  5. ^ In tedesco, ä viene pronunciato come e aperta.
  6. ^ Primo Levi, Se questo è un uomo, Tascabili Einaudi, Appendice (domande 1 e 5)

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