Battaglia di Eraclea
La battaglia di Heraclea si svolse nell'anno 280 a.C. tra le truppe della Repubblica romana guidate dal console Publio Valerio Levino e le truppe della coalizione greca d'Epiro, di Taranto, di Thurii, di Metaponto e di Heraclea, sotto il comando del re Pirro.
Battaglia di Heraclea | |
---|---|
Voci di guerre presenti su Wikipedia | |
La battaglia si svolse nel territorio dominato dalla città di Heraclea, (l'odierna Policoro)[1]. Plutarco descrive Pirro come accampato nella pianura tra Pandosia ed Heraclea, con il fiume Siris, attuale Sinni, di fronte a lui[2]. Le celebri tavole di Heraclea fanno riferimento all'esistenza di una città di nome Pandosia nelle immediate vicinanze di Heraclea[3]. Da tali comunicazioni si deduce che Pirro fosse situato a una distanza molto breve dalla città di Heraclea, ma apparentemente fuori da tale territorio; il suo sito è stato fissato con una certa probabilità nell'attuale Anglona (frazione di Tursi), a circa 11 km dal mare, e 6,5 km da Heraclea, sotto le mura dell'antica città di Pandosia[4] [5].
In quegli anni Roma stava espandendo la sua influenza su tutta la penisola e mirava a conquistare le autonome poleis della Magna Grecia. Questa battaglia fu il primo scontro tra il mondo greco e quello romano, fu anche il primo in cui vennero utilizzati gli elefanti da guerra, all'epoca, animali sconosciuti alle truppe romane. La battaglia fu vinta dalla coalizione epirota proprio grazie all'uso degli elefanti, arma potente e micidiale.
Contesto storico
Alla fine del III secolo a.C., Taranto era una tra le numerose colonie greche della Magna Grecia. I reppresentanti della città erano i democratici Philocharis e Ainesias, i quali, per non perdere la propria indipendenza, si opponevano alla Repubblica romana, che premeva per una loro annessione. Questa inquietudine si accentuò dopo i successi militari ottenuti da Roma: l'alleanza tra i romani e i lucani nel 298 a.C.[6], la sottomissione dei sanniti nel 291 a.C. e dei sabini nel 290 a.C.[7], le vittorie sulle città etrusche e sui mercenari galli.
Lo storico Pierre Grimal[8] ricorda le buone relazioni tra Roma e le città greche createsi per le guerre sannite e per lo sviluppo delle relazioni commerciali verso l’Oriente[9]. Quando, nel 282 a.C. i romani passarono, via nave, da Taranto, i tarantini consideravano ancora vigente un vecchio trattato[10], che i romani consideravano, con lo sviluppo degli eventi[8] [9], decaduto: secondo il quale era inibita ai romani la navigazione con navi da guerra a nord del Capo Lacinio. Era inoltre inibito l'intervento romano nelle città greche della costa ionica. Spesso questo patto viene attribuito all'anno 303 a.C.[11]. Le guerre che mobilitarono Roma in Italia centrale portarono in secondo piano questo blocco marittimo.
Secondo lo storico Marcel Le Glay[12], una parte politica romana e delle grandi famiglie, tra cui la gens Fabia, premevano per l’espansione di Roma verso il sud Italia.
Il blocco alla navigazione poteva essere un motivo del conflitto tra i romani e i tarantini, per questo i romani estesero il loro controllo verso sud, fondando numerose colonie in Puglia e in Lucania, tra le più importante ci fu Venosa (antica Venusia). Verso il 285 a.C., le truppe romane intervennero nelle colonie greche d’Italia: Crotone (antica Kroton), Locri (antica Locres) e Reggio Calabria (antica Rhegium) per proteggerle dagli attacchi dei lucani e dei bruzi.
I democratici di Taranto intuirono il piano di guerra romano, che mirava alla conquista della Magna Grecia, inoltre i tarantini erano inquieti per l'ascesa al potere degli aristocratici romani a Thurii, i quali decisero nel 282 a.C. di far stanziare una guarnigione romana dentro la città, per proteggerla dai lucani[13]. Un’altra guarnigione di soldati romani, si stanziò a Reggio Calabria, mettendo lo stretto di Messina sotto la protezione romana. Tutto questo metteva in pericolo l’indipendenza delle colonie della Magna Grecia.
Casus belli
A Taranto, nell’autunno del 282 a.C., durante le celebrazioni in onore di Dioniso, svolte nel teatro in riva al mare, i tarantini videro dieci navi d’osservazione romane, comandate da Publio Cornelio Dolabella, entrare nel golfo[14]. Irritati dalla violazione dei romani, inviarono la loro flotta contro le navi romane. Durante lo scontro, quattro navi romane furono affondate ed una fu catturata[15].
Lo storico romano Cassio Dione Cocceiano propone tutt’altra versione dell’incidente: Lucio Valerio Flacco, partito da Roma verso Taranto, attraccò nella citta. I tarantini, irritati per l’ingresso dell’imbarcazione e credendo intenzioni aggressive, lo attaccarono e lo affondarono[16]. L’esercito e la flotta tarantina partirono all’attacco della città di Thurii, ristabilendo i democratici al potere, cacciando gli aristocratici e la guarnigione romana che difendeva la città[15].
I romani organizzarono, allora, una missione diplomatica guidata da Postumio. Secondo Cassio Dione Cocceiano, gli ambasciatori romani furono derisi e oltraggiati dalla popolazione tarantina, urinarono sulla toga di Postunio[16] [17], il quale subito dopo esclamò “ridete, ridete, il vostro sangue laverà i miei abiti”[18].
Appiano di Alessandria propone una visione più neutra del racconto: i romani chiesero la liberazione dei prigionieri, il ritorno dei cittadini espulsi da Thurii, il risarcimento dei danni che avevano causato e l’arresto degli autori dei crimini. Le rivendicazioni romane non vennero capite, gli ambasciatori romani non parlavano bene il greco[15], furono reputate eccessive e quindi respinte. Fallita la missione diplomatica, Roma si sentì in diritto di dichiarare guerra a Taranto. Malgrado le loro iniziali vittorie, i tarantini erano consapevoli della forza di Roma e per questo chiesero aiuto a Pirro re dell’Epiro.
Primo intervento armato
Pirro non poteva rifiutare la richiesta di aiuto fatta dai tarantini, poichè quest'ultimi avevano dato un contributo importante per la conquista di Corfù e per la riconquista della Macedonia, persa nel 285 a.C. Inoltre, si dice che, i tarantini e gli altri alleati avessero affermato di poter disporre di 350 000 uomini e 20 000 cavalieri[19] reclutati tra sanniti, lucani e bruzi. Nel 281 a.C., sotto il comando di Lucio Emilio Barbula, le legioni romane entrarono in Taranto e la conquistarono, malgrado i rinforzi dei sanniti e dei messapi. All’indomani della battaglia, i greci chiesero una breve tregua e la possibilità di intavolare delle trattative con i romani.
I negoziati vennero bruscamente interrotti con l'arrivo a Taranto di 3 000 soldati dall’Epiro, avanguardia di Pirro, sotto il comando del generale Milone di Taranto[20]. Il console romano Barbula, che si era spinto nel metapontino, venne a contatto con le macchine appostate sulle navi nemiche tratte lungo la costa[21], nella battaglia che ne scaturì, Barbula, grazie alla sua astuzia, riuscuì a subire perdite minori del previsto, poichè dispose sul lato destro della colonna, esposti ai colpi, i prigionieri di guerra[22]. Il progetto di Pirro era quello di aiutare Taranto per poi giungere in Sicilia e quindi attaccare Cartagine. Sperava nel successo contro questi ultimi per conquistare l'egemonia sul mediterraneo.
I preparativi
Dopo aver lasciato l’Epiro, Pirro fece numerose richieste: ad Antioco I (re della Siria), ad Antigono II Gonata (figlio di Demetrio I Poliorcete) e al re di Macedonia, Tolomeo Cerauno a cui chiese un aiuto finanziario e marittimo. Il re dell’Egitto Tolomeo II promise l'invio di 4 000 soldati, 5 000 cavalieri e 50 elefanti da guerra[23] [24]. Questa forza doveva servire a difendere l’Epiro durante la campagna d’Italia.
Pirro reclutò altri mercenari, come i cavalieri di Tessaglia e i frombolieri di Rodi, per affrontare la campagna d'Italia[25]. Nel 280 a.C., Pirro si imbarcò verso le coste italiane, sorpreso da una tempesta durante la traversata, che apportò danni alle navi, preferì sbarcare le truppe probabilmente nei pressi di Brindisi[26], per poi raggiungere Taranto via terra, favorito dall'aiuto dei messapi[27] [20] [22].
Dopo l'attesa delle restanti navi, lasciò a Taranto un presidio di 3 000 uomini con il suo fidato ambasciatore Cinea e si accampò nei pressi di Heraclea con un'armata di circa 25 500 uomini, composta da 20 000 opliti, 3 000 cavalieri, 20 elefanti da guerra, 2 000 arcieri e 500 frombolieri[20]. I romani, che avevano previsto l’arrivo imminente di Pirro, decisero di mobilitare 8 legioni. Queste legioni comprendevano circa 80 000 soldati[28] divisi in quattro armate di due legioni:
- La prima armata, comandata da Barbula, si stanziò a Venosa con il compito di bloccare i sanniti e i lucani per non farli congiungere con le truppe di Pirro.
- La seconda armata aveva come compito la protezione di Roma nel caso in cui Pirro tentasse di attaccarla.
- La terza armata, comandata dal console Tiberio Coruncanio, aveva il compito di attaccare gli etruschi, al fine di evitare un’alleanza con Pirro.
- La quarta armata, comandata da Publio Valerio Levino, aveva il compito di attaccare la città di Taranto ed invadere la Lucania.
Valerio Levino decise, quindi, di recarsi ad Heraclea, città alleata dei tarantini, con l’intenzione di bloccare la rotta di Pirro verso le colonie greche della Calabria. Questa manovra servì ad evitare che le colonie greche di Calabria si sollevassero contro Roma.
Forze in campo
I numeri dell'esercito romano sono approssimativi, poichè le fonti presentano lacune in quel periodo storico[29]. I numeri dell'esercito greco, invece, risultano essere molto più precisi[30].
Repubblica romana
La possibile disposizione delle truppe della Repubblica romana[31] [32]:
Comandante: Publio Valerio Levino
- ~16 800 legionari romani suddivisi in quattro legioni
- ~20 000 truppe alleate suddivisi in quattro legioni
- ~1 200 cavalieri romani
- molte migliaia di cavalieri alleati, questi soldati avevano come compito la difesa del campo e non presero parte alle ostilità.
Epiro e Taranto
La possibile disposizione delle truppe d'Epiro e di Taranto[20] [32]:
Comandante: Pirro
- 20 000 opliti disposti a falange
- 3 000 cavalieri, incluse le truppe di Tessaglia
- 3 000 hypaspistai sotto il comando di Milone di Taranto
- 2 000 arcieri greci
- 500 frombolieri rodensi
- opliti e cavalieri di Taranto
- 20 elefanti da guerra
Fasi del conflitto
Pirro non decise immediatamente di marciare verso Roma come suo obbiettivo, probabilmente, per attendere i rinforzi dei suoi alleati. Nel frattempo, il console Levino invase la Lucania per evitare che i lucani e i bruzi raggiungessero le armate di Pirro[2].
Non potendo più contare sui rinforzi dei lucani e dei bruzi, Pirro decise di accamparsi e attendere i romani nella piana, situata tra le città di Heraclea e di Pandosia[2], non lontano dal fiume Sinni. Poco prima l'inizio della battaglia, Pirro inviò dei diplomatici al cospetto del console romano Levino, per proporgli la sua mediazione nel conflitto tra Roma e le popolazioni del sud Italia[2].
I romani rigettarono la proposta fatta da Pirro, e si accamparono nella piana sulla riva destra del fiume Sinni. Non potendo ritardare l'azione per la scrasità di rifornimenti, Levino decise di passare il fiume[33].
Prima fase
Valerio Levino disponeva di circa 30 mila uomini e di numerosi cavalieri. Il numero delle truppe di Pirro si stimano in 25-30 mila unità, avendo meno uomini, Pirro, prende posizione sulla riva sinistra del Sinni, sperando che i romani arretrino per la difficoltà della traversata[34].
Dionigi di Alicarnasso[35] e Plutarco[36] ci fanno pervenire più dettagli sullo svolgimento della battaglia:
All’alba, del 1 luglio 280 a.C. i romani attraversarono il fiume Sinni. Pirro non giunse in tempo, con la cavalleria, sulle sponde del fiume per sorprendere le truppe romane durante il guado[33], così i cavalieri romani poterono tranquillamente attaccare il fianco delle truppe greche e della fanteria leggera lasciata in copertura. Le truppe greche accerchiate dalla cavalleria romana furono costrette alla ritirata.
Seconda fase
Dopo l'attacco romano, Pirro ordinò alla cavalleria macedone e tessaglia di attaccare la cavalleria romana. Il resto della sua fanteria, composta da mercenari, arcieri e una fanteria leggera, si mise in marcia. La cavalleria greca sfondò le linee nemiche e fece battere in ritirata le truppe romane.
Dopo l’affronto, Oblaco Volsinio[37] capo di un distaccamento ausiliario della cavalleria romana, fermò Pirro e con un attacco a sorpresa, lo ferì facendolo cadere da cavallo. Nell'invano tentativo di assalire il re epirota venne bloccato e ucciso dai soldati greci. Pirro decise allora di ritirarsi dalla battaglia e di affidare il comando delle truppe a Megacle, uno dei suoi fidati ufficiali[38].
Gli opliti, in formazione a falange, debuttarono nella battaglia svolgendo ben sette cariche per tentare di sopraffare i legionari romani[33], riuscirono a passare solo le prime linee nemiche ma non poterono continuare a meno di non rompere la loro formazione[39].
I romani, intuirono le indecisioni di Megacle e non vedendo più Pirro al comando delle unità, esultarono pensandolo morto e galvanizzati dalla presunta notizia, cominciarono una contro-offensiva[40]. Megacle, per riprendere in mano le sorti della battaglia, mandò in campo gli elefanti da guerra che crearono subito panico tra le fila romane[41].
La cavalleria epirota, concluse il lavoro, sbaragliando la fanteria romana, ormai in ritirata, e permettendo ai greci di impadronirsi del campo romano. Nelle battaglie dell’antichità, la presa del campo nemico rappresentava una grande disfatta; si suppone che i romani abbandonarono nel campo materiali da guerra e armi. I legionari superstiti, forse seguendo la via Nerulo-Potentia-Grumento[42] si ritirarono a Venosa probabilmente senza tutto il loro equipaggiamento[41].
Le perdite
Plutarco riporta le perdite della battaglia citando due fonti molto divergenti[40]:
- Secondo lo storico greco Geronimo di Cardia, l’esercito romano perse circa 7 000 soldati mentre Pirro ne perse 4 000.
- Secondo Dionigi di Alicarnasso, le perdite furono molto elevate, 15 mila morti romani e 13 mila per Pirro.
Inoltre secondo Eutropio 1 800 romani furono fatti prigionieri. Lo storico Paolo Orosio fornisce un bilancio delle perdite romane sorprendente: 14 880 morti e 1 310 prigionieri per la fanteria, 246 cavalieri uccisi 502 prigionieri, inoltre 22 insegne perse[43]. I numeri di Paolo Orosio riprendono quelle di Dionigi ed Eutropio che le riportano in più racconti.
Pirro cercò di reclutare i prigionieri romani, come aveva fatto in Oriente con i contingenti mercenari, ma questi ultimi rifiutarono, rimanendo fedeli a Roma[44].
Conseguenze
Reazioni immediate
Dopo la battaglia, dei rinforzi provenienti dalla Lucania e dal Sannio raggiunsero l’esercito di Pirro. Le città greche d'italia si allearono con Pirro e a Locri fu cacciata la guarnigione romana[41]. A Reggio Calabria, ultima posizione della costa del sud italia controllata da Roma, il pretore campano, Decio Vibullio che comandava la guarnigione, massacrò una parte degli abitanti, cacciò i restanti e si proclamò amministratore di Reggio Calabria, ribellandosi all’autorità di Roma[45] [46].
Pirro, sapendo che il console Levino era a Venosa dove curava i feriti, riorganizzava l'esercito e attendeva i rinforzi[47] [48] ed il console Coruncario era impegnato in Etruria, progettò una manovra su Roma con l'intento di spingere gli alleati romani alla ribellione e di sorreggere gli etruschi contro Coruncario[49]. Durante un tentativo di prendere Napoli, si accorse ben presto che l'organizzazione romana era più salda di quanto credesse. Questo tentativo gli fece perdere tempo e quando raggiunse Capua la trovò gia presidiata da Levino. Proseguì verso Roma devastando la zona del Liri e Fregelle giungendo così ad Anagni e forse a Preneste, dove intui che stava per essere preso in una tenaglia, perchè Coruncario stava scendendo dal nord dell'Etruria contro di lui[50]. Pirro si rese conto di non disporre di abbastanza soldati per battersi con Levino e Barbula, di fronte a tali circostanze, decise di ritirarsi.
In seguito, Gaio Fabricio Luscino venne inviato come ambasciatore presso Pirro per trattare lo scambio dei prigionieri fatti durante la battaglia di Heraclea. Quando incontrò Pirro[51], questo fu attratto dalle sue virtù, affidandogli i prigionieri per portarli con sè a Roma, a condizione che il Senato romano stabilisse un pagamento per il riscatto. Il Senato respinse le richieste di Pirro e Fabricio Luscino rimandò i prigionieri rispettando la sua promessa.
Impatto sulla storia
Questa battaglia incarna, insieme alla battaglia di Ascoli Satriano, le prime resistenze della Magna Grecia contro la neonata Repubblica romana che intendeva estendere l’egemonia all’intera penisola italica. Malgrado le vittorie di Heraclea e più tardi di Ascoli Satriano, Pirro fu battuto a Malevento (da allora ribatezzato Benevento). Quest'ultima battaglia segnò l’inizio del declino militare del mondo greco a vantaggio del mondo romano.
Proverbi, leggende e superstizioni
La vittoria di Heraclea e la successiva di Ascoli Satriano, vinte entrambe di misura e con estrema sofferenza, valsero a Pirro il classico detto: vittoria di Pirro. Questo proverbio è a tutt'oggi usato in molte lingue[52]:
- (EN) Pyrrhic victory,
- (FR) Victoire à la Pyrrhus,
- (ES) Victoria pírrica o Victoria a lo Pirro,
- (PT) Vitória de Pirro,
- (SV) Pyrrhusseger,
- (DE) Sieg des Pyrrhus o Pyrrhus-Sieg.
Note
- ^ Lorenzo Quilici, Forma Italie, vol. I, Siris-Heraclea, Istituto di topografia antica dell'università di Roma, Roma, 1967, pag. 201.
- ^ a b c d Plutarco, Vita di Pirro, 16
- ^ Alessio Simmaco Mazzocchi, Commentario sulle Tavole Eracleensi, pag. 104
- ^ Alessio Simmaco Mazzocchi, Commentario sulle Tavole Eracleensi, lc, pp. 104, 105
- ^ Romanelli, vol. I, pag. 265
- ^ Ettore Pais, Storia di Roma dalle origini all' inizio delle guerre puniche, Optiman, 1926, pag. 68.
- ^ Arnaldo Momigliano, Aldo Schiavone, Guido Clemente, Filippo Coarelli, Storia di Roma, Einaudi, 1990, ISBN 9788806117412, pag. 25.
- ^ a b (FR) Pierre Grimal, La civilisation romaine, pp. 33-34.
- ^ a b Nel 306 a.C., Roma stringe un accordo con Rodi, importante potenza commerciale marittima.
- ^ Appiano di Alessandria, Storia sannitica, 7.
- ^ Luigi Pareti, Angelo Russi, Storia della regione lucano-bruzzia nell'antichità, Ed. di Storia e Letteratura, 1997, ISBN 8887114234, pag. 314.
- ^ Marcel Le Glay, Rome, Grandeur et Déclin de la République, pp. 68-69.
- ^ Periochae dal libro XI della Ab Urbe condita libri di Tito Livio.
- ^ Secondo lo storico polacco Krzysztof Kęciek, l'aristocrazia ordinò ai commandanti romani Publio Cornelio Scipione e Lucio Valerio Flacco di arrestare i democratici tarantini e i loro sostenitori.
- ^ a b c (EN) Appiano di Alessandria, Storia di Roma, le guerre sannite, 15 e 16.
- ^ a b Cassio Dione Cocceiano, Fragmenta CV, del libro IX
- ^ Il Periochae della Ab Urbe condita libri di Tito Livio conferma che gli ambasciatori furono maltrattati ((EN) [1]).
- ^ (FR) Eugène Talbot, Histoire romaine, pag. 67.
- ^ Il numero di cavalieri è troppo sproporzionato (soprattutto per una regione in cui esistevano allenamenti equini) rispetto a quello dei fanti, che andrebbe quindi ridotto a 250 000 ammettendo un errore di trasmissione scritta (KE' e ΛE'). (Luigi Pareti, Angelo Russi, Storia della regione lucano-bruzzia nell'antichità, Ed. di Storia e Letteratura, 1997, ISBN 8887114234, pag. 340).
- ^ a b c d Plutarco, Vita di Pirro, 15.
- ^ Luigi Pareti, Angelo Russi, Storia della regione lucano-bruzzia nell'antichità, Ed. di Storia e Letteratura, 1997, ISBN 8887114234, pag. 340.
- ^ a b Giovanni Zonara, Epitome, VIII, 2.
- ^ Marco Giuniano Giustino, Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi, libro 17,2 ((FR) [2]).
- ^ Pirro aveva trascorso alcuni anni ad Alessandria d'Egitto con il cognato Tolomeo II, che gli promise aiuti militari.
- ^ I democratici di molte città greche non erano favorevoli ad andare in guerra assieme all'Epiro e per questo decisero di non aiutarlo.
- ^ Luigi Pareti, Angelo Russi, Storia della regione lucano-bruzzia nell'antichità, Ed. di Storia e Letteratura, 1997, ISBN 8887114234, pag. 341.
- ^ Appiano di Alessandria, Storia sannitica, 8.
- ^ Sulla una base teorica, una legione completa, conteneva al massimo 4200 fanti più 300 cavalieri. Quindi circa 33 600 legionari e 2 400 cavalieri, a cui si dovevano aggiungere gli uomini forniti dalla città alleate, generalmente un numero equivalente o superiore.
- ^ Dai libri di Tito Livio c'è un vuoto storico che va dal 293 a.C., al 219 a.C. Gli altri riassunti trovati riguardanti questo periodo non sono dettagliati, e quindi incerti.
- ^ Gli scritti di Plutarco, sono meno lacunosi e apprendiamo, con una certa precisione, i numeri dell'esercito greco.
- ^ Sulla base teorica di 4200 legionari e 300 cavalieri romani par legione.
- ^ a b (EN) Jeff Jonas, The Initial Clash: Republican Rome vs. Pyrrhus of Epirus, su ancientbattles.com. URL consultato il 17-02-2009.
- ^ a b c Luigi Pareti, Angelo Russi, Storia della regione lucano-bruzzia nell'antichità, Ed. di Storia e Letteratura, 1997, ISBN 8887114234, pag. 343.
- ^ Strabone scrive che il Sinni era navigabile (Strabone, Geografia, libro VI, 1, 14).
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, libro XIX, 12
- ^ Plutarco, Vita di Pirro, 16 e 17
- ^ Oblaco, è nominato da Plutarco nel suo Oplax.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, libro 18,2.
- ^ Polibio scrive dopo la Battaglia di Cinocefale del 197 a.C. di come sia essenziale, al fine della vittoria, mantenere la formazione a falange ben serrata e con i lati coperti. La falange è pressocchè inbattibile se combattuta frontalmente, ma estremamente debole agli assalti dai fianchi e dalle spalle. (Polibio, Storie, libro XVIII, 26).
- ^ a b Plutarco, Vita di Pirro, 17.
- ^ a b c Marco Giuniano Giustino, Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi, libro XVIII,1.
- ^ Giovanni Zonara, Epitome, VIII, 3, p. 372 C.
- ^ (LA) Paolo Orosio, Historiae adversum paganos, libro 4,1.
- ^ Eutropio, Breviario dalla fondazione di Roma, libro II,11.
- ^ Polibio, Storie, libro I,1 ((FR) [3]).
- ^ Diodoro Siculo, Biblioteca storica, libro XXII, 2.
- ^ Agostino d'Ippona, La città di Dio, III, 17.
- ^ Quinto Ennio, Annales, VI, fr. 183, V.
- ^ Eutropio, Breviario dalla fondazione di Roma, libro II, 12, 1.
- ^ Luigi Pareti, Angelo Russi, Storia della regione lucano-bruzzia nell'antichità, Ed. di Storia e Letteratura, 1997, ISBN 8887114234, pp. 344-345.
- ^ Cinea, ambasciatore di Pirro, offrì a Gaio Fabricio Luscino una grossa somma di monete d'argento, ma quest'ultimo la rifiutò dicendo di amare più coloro a cui questo argento appartiene, che l'argento stesso. (Sesto Giulio Frontino, Stratagemmi, libro IV, III).
- ^ La storia di Pyrrhus, su roth37.it. URL consultato il 06-02-2009.
Bibliografia
Fonti primarie
- Appiano di Alessandria, Storia di Roma, le guerre sannite.
- Floro, Compendio di Tito Livio, libro I.18.
- Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, libro XX.
- Marco Giuniano Giustino, Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi, libro XVIII.
- Plutarco, Vita di Pirro.
- Polibio, Storie, libro I.1.
- Paolo Orosio, Historiae adversum paganos, libro IV.1.
- Eutropio, Breviario dalla fondazione di Roma, libro II.11.
- Periochae della Ab Urbe condita libri di Tito Livio.
- Cassio Dione Cocceiano, Fragmenta, libro IX, CV e successivi.
- Diodoro Siculo, Biblioteca storica, libro XXII.2.
- Sesto Giulio Frontino, Stratagemmi, libro IV.3.
- Giovanni Zonara, Epitome, libro VIII.
- Agostino d'Ippona, La città di Dio, libro III.17.
- Quinto Ennio, Annales, libro VI, fr.183, V.
Fonti secondarie
- (FR) Eugène Talbot, Histoire romaine, 1875
- Antonio Nigro, Memoria tipografica ed istorica sulla città di Tursi e sull'antica Pandosia di Eraclea oggi Anglona, Napoli, Tipografia Miranda, 1851.
- Ettore Pais, Storia di Roma dalle origini all' inizio delle guerre puniche, Optiman, 1926.
- (FR) Jérôme Carcopino, Pyrrhus, conquérant ou aventurier ?, Paris, Flammarion, 1961 ristampato nel 1992, ISBN 2080500899.
- Lorenzo Quilici, Forma Italie, vol. I, Siris-Heraclea, Roma, Istituto di topografia antica dell'università di Roma, 1967.
- (FR) Marcel Le Glay, Rome, Grandeur et Déclin de la République, Ed Perrin, 1990 ristampato nel 2005, ISBN 2262018979.
- Arnaldo Momigliano, Aldo Schiavone, Guido Clemente, Filippo Coarelli, Storia di Roma, Einaudi, 1990, ISBN 9788806117412.
- Maria Teresa Schettino, Tradizione annalistica e tradizione ellenistica su Pirro in Dionigi (A.R. XIX-XX), Latomus, 1991.
- (EN) John Drogo Montagu, Battles of the Greek and Roman worlds, Londres, Greenhill Books, 2000, ISBN 1-85367-389-7.
- Pierre Grimal, La civiltà dell'antica Roma, tradotto da T. M. Blasi, Newton Compton, 2007, ISBN 9788854108509.
- (EN) Petros E. Garoufalias, Pyrrhus, King of Epirus, ISBN 090574313X.
- (EN) Peter Connolly, Greece and Rome at War, Greenhill Books, ISBN 185367303X.
- (PL) Krzysztof Kęciek, Benewent 275 p.n.e, Bellona Warsaw, 2001.
- Luigi Pareti, Angelo Russi, Storia della regione lucano-bruzzia nell'antichità, Ed. di Storia e Letteratura, 1997, ISBN 9788887114232.
- Theodor Mommsen, Storia di Roma, Libro II, capitolo VII, Le guerre tra Roma e il re Pirro
Voci correlate
Collegamenti esterni
- (LA) Florus, Abrégé de l'Histoire Romaine, Libro I, XVIII
- (LA) Marcus Junianus Justinus, Abrégé des Histoires Philippiques de Trogue Pompée - Libro XVIII
- (FR) Polibio, Histoire générale, libro I, I
- (FR) La Guerre de Pyrrhus en Italie
- (ES) La Bataille d'Héraclée
- (EN) The Battle of Heraclea
- Campagna di Pirro in Italia (280 a.C. - 274 a.C.)
- La vittoria di Pirro ad Eraclea
- Storia della regione lucano-bruzzia nell'antichità, di Luigi Pareti, Angelo Russi