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La nascita di Maometto. Il tendenziale aniconismo islamico porta a velare assai spesso il volto del Profeta dell'Islam. In questo caso lo zelo del miniaturista ha coinvolto però tutti i raffigurati, salvo (abbastanza curiosamente) gli angeli.

Maometto (in arabo محمد بن عبد الله بن عبد ﺍﻟﻤﻄﻠﺐ ﺍﻟﻬﺎﺷﻤﻲ?, Abū l-Qasīm Muḥammad ibn `Abd Allāh ibn `Abd al-Muţţalīb al-Hāshimī; Mecca, 20 aprile 570Medina, 8 giugno 632) è stato il profeta dell'Islam, considerato dai musulmani l'ultimo fra essi e il più rilevante[1] "messaggero" di Dio (Allah) (sigillo della profezia), incaricato da Dio stesso - attraverso l'arcangelo Gabriele - di divulgare il suo verbo [2].

Vita

Prima della Rivelazione

Maometto (che nella sua forma originale araba significa "il grandemente lodato")[3] nacque, secondo alcune fonti tradizionali, il 20 aprile 570 a Mecca, nella regione peninsulare araba del Hijaz, e morì il lunedì 13 rabīʿ I dell'anno 11 dell'Egira (equivalente all'8 giugno del 632) a Medina e ivi fu sepolto, all'interno della casa in cui viveva.

La sua nascita sarebbe stata segnata da eventi straordinari (teofanici), come una immensa luce che avrebbe brillato da Oriente ad Occidente.

 
In questa miniatura dell'XI secolo, tratta dall'Athār al-baqiya (Tracce dei secoli passati) di al-Bīrūnī (manoscritto della Bibliothèque nationale de France, Arabe 1489 fol. 5v), Maometto è invece, senza alcun problema, raffigurato senza velo sul volto

Appartenente a un importante clan di mercanti, quello dei Banu Hashim, componente della più vasta tribù dei Banu Quraysh di Mecca, Maometto era l'unico figlio di ‘Abd Allāh b. ‘Abd al-Muṭṭalib ibn Hāshim e di Āmina bint Wahb, figlia del sayyid del clan dei Banu Zuhra, anch'esso appartenente ai B. Quraysh.

Orfano fin dalla nascita del padre (morto a Yathrib al termine d'un viaggio di commercio che l'aveva portato nella palestinese Gaza), Maometto rimase precocemente orfano anche di sua madre che, nei suoi primissimi anni, l'aveva dato a balia a Ḥalīma bint ʿAbd Allāh, della tribù dei Banu Saʿd, che effettuava piccolo nomadismo intorno a Yathrib.

A Mecca - dove, alla morte della madre, fu portato dal suo primo tutore, il nonno paterno ‘Abd al-Muttalib ibn Hāshim, e dove poi rimase anche col secondo suo tutore, lo zio paterno Abu Tàlib - Maometto ebbe occasione di entrare in contatto sin dalla più tenera età con i ḥanīf, monoteisti che non si riferivano ad alcuna religione rivelata. Nei suoi viaggi fatti in Siria e Yemen con suo zio, Maometto conobbe poi le comunità ebraiche e quelle cristiane, e dell'incontro col monaco cristiano siriano Bahira, che avrebbe riconosciuto in un neo fra le sue scapole il segno del futuro carisma profetico, si parla già nella prima biografia (Sira) di Maometto, curata vario tempo dopo la morte da Ibn Ishāq e poi ripresa in forma più "pia" da Ibn Hishām.

Oltre alla madre e alla nutrice, due altre donne si presero cura di lui da bambino: Umm Ayman e Fatima bint ‘Abd al-Muttalib, sua zia paterna. La prima era la schiava nera della madre e che lo aveva allevato dopo il periodo in cui era stato con Halima, rimanendo con lui fino a che Maometto ne propiziò il matrimonio con il figlio adottivo del Profeta, Zayd ibn Haritha. Nella tradizione islamica Umm Ayman, che generò Usama ibn Zayd, fa parte della Gente della Casa (Ahl al-Bayt) e il Profeta nutrì sempre per lei un vivo affetto, anche per essere stata una delle prime donne a credere al messaggio coranico da lui rivelato. Altrettanto pronta a credergli fu la sua affettuosa e presente zia Fatima bint ‘Abd al-Mùttalib, che Maometto amava per il suo carattere dolce, tanto da mettere il suo nome a una delle proprie figlie e per la quale il futuro profeta pregò spesso dopo la sua morte.

I numerosi viaggi intrapresi per via dell'attività mercantile familiare - dapprima con lo zio e poi come agente della ricca e colta vedova Khadīja bt. Khuwaylid - dettero a Maometto occasione di ampliare in maniera significativa le sue conoscenze in campo religioso e sociale. Sposata nel 595 Khadìja bint Khuwàylid (che restò finché visse la sua unica moglie), egli poté dedicarsi alle sue riflessioni spirituali in modo più assiduo e, anzi, pressoché esclusivo. Khadìja fu il primo essere umano a credere nella Rivelazione di cui Maometto era portatore e lo sostenne con forte convinzione fino alla sua morte avvenuta nel 619. A lui, in una felice vita di coppia, dette quattro figlie, Ruqayya, Umm Khulthūm, Zaynab e Fatima, oltre a due figli maschi (Qàsim e ‘Abd Allah) che morirono tuttavia in tenera età.

Rivelazione

 
L'arcangelo Gabriele porta la Rivelazione di Dio a Maometto, ancora una volta velato (antica miniatura).

Nel 610 Maometto, affermando di operare in base a una Rivelazione ricevuta, cominciò a predicare una religione monoteista basata sul culto esclusivo di Dio, unico e indivisibile. In effetti il concetto di monoteismo era diffuso in Arabia da tempi più antichi e il nome Allah (principale nome di Dio nell'Islam,[4] che in lingua araba deriva dalla radice <ʾ-l-h>) significa semplicemente "Iddio". Gli abitanti dell'Arabia peninsulare e di Mecca - salvo pochi cristiani e zoroastriani e un assai più consistente numero di ebrei - erano per lo più dediti a culti politeistici e adoravano un gran numero di idoli. Questi dèi erano venerati anche in occasione di feste, per lo più abbinate a pellegrinaggi (in arabo: mawsim). Particolarmente rilevante era il pellegrinaggio panarabo, detto hajj, che si svolgeva nel mese lunare di Dhu l-Hijja ("Quello del Pellegrinaggio"). In tale occasione molti devoti arrivavano nei pressi della città, nella zona di Mina, Muzdalifa e di ‘Arafa. Gli abitanti di Mecca avevano anche un loro proprio pellegrinaggio urbano (la cosiddetta umra) che svolgevano nel mese di rajab in onore del dio tribale Hubal e delle altre divinità panarabe, graziosamente ospitate dai Quraysh all'interno del santuario meccano della Ka'ba.

Maometto, per la tradizione islamica, era solito ritirarsi a meditare in una grotta sul monte Hira vicino Mecca. Secondo tale tradizione, una notte, intorno all'anno 610, durante il mese di Ramadan, all'età di circa quarant'anni, gli apparve l'arcangelo Gabriele (in arabo Jibrīl o Jabrā’īl, ossia "potenza di Dio": da "jabr", potenza, e "Allah", Dio) che lo esortò a diventare Messaggero (rasul) di Allah con le seguenti parole:

«Leggi, in nome del tuo Signore che ha creato, che ha creato l'uomo da un grumo di sangue.

Leggi nel nome del tuo Signore il più generoso, che ha insegnato per mezzo del calamo, che ha insegnato all'uomo quello che non sapeva[5]»

Terrorizzato da un'esperienza così anomala, Maometto credette di essere stato soggiogato dai jinn e quindi impazzito (majnūn, "impazzito", significa letteralmente "catturato dai jinn") tanto che, scosso da violenti tremori, cadde preda di un intenso sentimento di terrore.

Secondo la tradizione islamica Maometto poté in quella sua prima esperienza teopatica sentire le rocce e gli alberi che gli parlavano. Preso dal panico fuggì a precipizio dalla caverna in direzione della propria abitazione e nel girarsi vide Gabriele sovrastare con le sue ali immense l'intero orizzonte (per quel "gigantismo" che caratterizza le "realtà angeliche", anche in contesti diversi da quello islamico) e lo sentì rivelargli di essere stato prescelto da Dio come suo messaggero.

Non gli fu facile accettare tale notizia ma a convincerlo della realtà di quanto accadutogli, provvide innanzi tutti la fede della moglie e, in seconda battuta, quella del cugino di lei, Waraqa ibn Nawfal, che alcuni indicano come cristiano ma che, più verosimilmente, era uno di quei monoteisti arabi (ḥanīf) che non si riferivano tuttavia a una specifica struttura religiosa organizzata.

Dopo un lungo e angosciante periodo in cui le sue esperienze non ebbero seguito (fatra), Gabriele tornò di nuovo a parlargli per trasmettergli altri versetti e questo proseguì per 23 anni, fino alla morte nel 632 di Maometto.

Al contrario di una "utile" tradizione che vorrebbe Maometto "analfabeta" (così da rendere del tutto impossibile l'accusa che il Corano fosse una sua personale elaborazione poetica), il profeta dell'Islam era uomo tutt'altro che ignorante, vuoi per la sua professione di commerciante che l'aveva portato in contatto con altre lingue e altre culture, vuoi per alcuni episodi della sua stessa vita (come una sua correzione e la sua firma, secondo una tradizione riportata da Tabari, apposte nel Trattato di Ḥudaybiyya). L'equivoco deriva dall'espressione a lui riferita di al-Nabī al-ummī che può voler dire in effetti "il profeta ignorante" ma anche, e più verosimilmente, "il profeta della comunità (araba)". Peraltro a Istanbul, presso l'antica residenza dei sultani ottomani del Topkapi, è conservato (ed è tuttora oggetto di venerazione) una lettera autografa attribuitagli nella quale intima ai cristiani copti di convertirsi all'Islam.

Maometto cominciò dunque a predicare la Rivelazione che gli trasmetteva Gibrīl, ma i convertiti nella sua città natale furono pochissimi per i numerosi anni che egli ancora trascorse a Mecca. Fra essi il suo amico intimo e coetaneo Abu Bakr (destinato a succedergli come califfo, guida della comunità islamica che si fondò con lenta ma sicura progressione malgrado l'assenza di precise indicazioni scritte e orali in merito) e un gruppetto assai ristretto di persone che sarebbero stati i suoi più validi collaboratori: i cosiddetti "Dieci Benedetti" (al-ʿashara mubashara).

La Rivelazione da lui espressa dunque - raccolta dopo la sua morte nel Corano, il libro sacro dell'Islam - dimostrò la validità del detto evangelico per cui "nessuno è profeta in patria". Maometto ripeté per ben due volte per intero il Corano nei suoi ultimi due anni di vita e molti musulmani lo memorizzarono per intero ma fu solo il terzo califfo ‘Uthmān b. ‘Affān a farlo mettere per iscritto da una commissione coordinata da Zayd b. Thābit, segretario del Profeta. Così il testo accettato del Corano poté diffondersi nel mondo a seguito delle prime conquiste che portarono gli eserciti di Medina in Africa, Asia ed Europa, rimanendo inalterato fino ad oggi, malgrado lo Sciismo vi aggiunga un capitolo (Sura) e alcuni brevi versetti (ayat).

Nel 619, l'"anno del dolore", morirono tanto suo zio Abu Talib, che gli aveva garantito affetto e protezione malgrado non si fosse convertito alla religione del nipote, quanto l'amata Khadìja. Fu solo dopo ripetute insistenze che Maometto contrasse nuove nozze, tra cui quelle con ‘A’isha bint Abi Bakr, figlia del suo più intimo amico e collaboratore, Abu Bakr.

L'ostilità dei suoi concittadini tentò di esprimersi con un prolungato boicottaggio nei confronti di Maometto e del suo clan, con il divieto di intrattenere con costoro rapporti di tipo economico commerciale ma i troppi vincoli parentali creatisi fra i clan della stessa tribù fecero fallire il progetto di ridurre a più miti consigli Maometto.

Nel 622 il crescente malumore dei Quraysh nel veder danneggiati i propri interessi - a causa dell'inevitabile conflitto ideologico e spirituale che si sarebbe radicato con gli altri arabi politeisti (che con loro proficuamente commerciavano e che annualmente partecipavano ai riti della ‘umra del mese di rajab) - lo indusse a rifugiarsi con la sua settantina di correligionari, a Yathrib, duecento miglia più a nord di Mecca, che mutò presto il proprio nome in al-Madinat al-Nabi, "la Città del Profeta" (Medina). Il 622, l'anno dell'Egira (emigrazione), divenne poi sotto il califfo 'Omar ibn al-Khattàb il primo anno del calendario islamico, utile alla tenuta dei registri fiscali e dell'amministrazione in genere.

Nascita della Umma

Inizialmente Maometto si ritenne un profeta inserito nel solco profetico antico-testamentario, ma la comunità ebraica di Medina non lo accettò come tale. Nonostante ciò, Maometto predicò a Medina per otto anni e qui, fin dal suo primo anno di permanenza, formulò un Patto (Rescritto o Statuto o Carta, in arabo Ṣaḥīfa) che fu accettato da tutte le componenti della città-oasi e che vide la nascita della Umma, la prima Comunità politica di credenti.

 
Maometto in marcia alla volta di Khaybar (dal Majma‘ al-tawarikh di Rashid al-Din)

Nello stesso tempo, con i suoi seguaci, condusse attacchi contro i traffici dei Meccani pagani e respinse i loro contrattacchi che tendevano a metter fine una volta per tutte alle azioni ostili che i musulmani portavano contro le loro carovane. Maometto, nel corso di quel confronto armato che portò alla prima vittoria di Badr, alla disfatta di Uhud e alla finale vittoria strategica di Medina (Battaglia del Fossato) contro i pagani di Mecca e i loro alleati, espulse tutti gli ebrei di Medina, che si erano resi colpevoli agli occhi della Umma di violazione del Patto di Medina e di tradimento dei musulmani di quella città.
All'espulsione soggiacquero — in occasione dei due primi fatti d'armi — i Banū Qaynuqāʾ e i Banū Naḍīr, mentre nell'ultimo caso, dopo la vittoria del Fossato (Yawm khandaq), furono uccisi i maschi adulti dei Banū Qurayza, laddove donne e bambini furono resi schiavi e venduti sui mercati d'uomini di Siria, dove vennero quasi tutti riscattati dai loro correligionari di Khaybar, Fadak e di altre oasi arabe higiazene.

Nel 630 Maometto era ormai abbastanza forte per marciare su Mecca e conquistarla. Tornò peraltro a vivere a Medina e da qui ampliò la sua azione politica e religiosa a tutto il resto del Hijaz e, dopo la sua vittoria nel 630 a Hunayn contro l'alleanza che s'imperniava sulla tribù dei Banu Hawazin, con una serie di operazioni militari nel cosiddetto Wadi al-qura, a 150 chilometri a settentrione di Medina, conquistò o semplicemente assoggettò vari centri abitati (spesso oasi), come Khaybar e Fadak, il cui controllo aveva indubbie valenze economiche e strategiche.

Due anni dopo Maometto morì a Medina, dopo aver compiuto il Grande Pellegrinaggio detto anche il "Pellegrinaggio dell'Addio", senza indicare esplicitamente chi dovesse succedergli alla guida politica della Umma. Lasciava nove vedove - tra cui ʿĀʾisha bint Abī Bakr - e una sola figlia vivente, Fatima, andata sposa al cugino del profeta, ʿAlī b. Abī ālib, madre dei suoi nipoti al-Hasan b. ʿAlī e al-Husayn b. ʿAlī. Fatima, piegata dal dolore della perdita del padre e logorata da una vita di sofferenze e fatiche, morì sei mesi più tardi, diventando in breve una delle figure più rappresentative e venerate della religione islamica.

Maometto secondo i non musulmani

Secondo i non musulmani, Maometto non è stato un profeta, né il Corano gli fu divinamente dettato.

Dopo un protratto periodo di indifferenza nei confronti dell'Islam, superficialmente equivocato come una delle tante eresie del Cristianesimo[6], nelle dispute con cristiani, questi ultimi sottolinearono il carattere sincretistico della religione di Maometto, basata allo stesso tempo su tradizioni arabe preislamiche (come il culto della Pietra Nera della Mecca) e su tradizioni cristiane siriache ed ebraiche, ed hanno anche mosso critiche alla personalità di Maometto, alla formazione e trasmissione del testo coranico e alla diffusione dell'islam attraverso la spada.[7]

Nell'Occidente medievale Maometto fu considerato per oltre cinque secoli un cristiano eretico. Dante Alighieri - non consapevole del profondo grado di diversità teologica della fede predicata da Maometto - lo cita nel canto XXVIII dell'Inferno tra i seminatori di discordia nella Divina Commedia assieme ad Ali ibn Abi Tàlib, suo cugino-genero, coerentemente con quanto da lui già scritto ai versetti 70-73 del canto VIII dell'Inferno:

«...«Maestro, già le sue meschite / là entro certe ne la valle cerno, / vermiglie come se di foco uscite / fossero...»

in cui le "meschite" (evidente deformazione della parola del volgare castigliano mezquita, derivante dall'arabo masjid) della città di Dite sono le "vermiglie" abitazioni della città dannata ove dimorano gli eresiarchi cristiani.
È questo (e non altro) il motivo per cui nella basilica di San Petronio a Bologna, in un celebre affresco, Maometto fu raffigurato all'inferno, secondo la descrizione di Dante, con il ventre squarciato, come spaccata era la comunità cristiana a causa dei suoi vari scismi.

Secondo una tradizione diffusa tra i musulmani, il Negus di Abissinia - che ospitò gli esiliati musulmani quando Maometto era in vita - avrebbe attestato la sua fede in lui come profeta di Dio.

Famiglia

Maometto sposò le seguenti mogli:

  • Sawda bt. Zama‘a b. Qays
  • ʿĀʾisha bt. Abī Bakr al-Siddīq (figlia del futuro primo Califfo Abu Bakr)
  • Hafsa bt. ‘Umar (figlia del secondo futuro Califfo Umar ibn al-Khattab)
  • Umm Habība bt. Abī Sufyān, il cui nome era Ramla
  • Umm Salama bt. Abī Umayya b. al-Mughīra al-Makhzūmiyya, il cui nome era Hind
  • Zaynab bt. Jahsh b. Ri'āb al-Asadiyya
  • Maymūna bt. al-Hārith b. Hazn
  • Juwayriyya bt. al-Hārith b. Abī Dirār
  • Sayfa bt. Huyay b. Akhtab.
  • Zaynab bt. Khuzayma b. al-Hārith, detta poi "Madre dei poveri"

Pur avendole sposate, non ebbe rapporti coniugali con Asmā’ bt. al-Nu‘mān (malata di lebbra) e ‘Amra bt. Yazīd che dimostrò immediatamente tutta la sua ostilità per tale unione, ottenendo così di venir subito ripudiata e di tornare tra la sua gente (i B. Kilāb).

La moglie più importante per Maometto fu comunque Khadīja che aveva sposato prima della "Rivelazione" e che per prima aderì alla religione islamica. Fu anche un forte sostegno economico, e ancor più morale, soprattutto di fronte alle angherie dei notabili pagani della città ostili al marito.

Secondo l'Islam non è possibile avere più di quattro mogli. In virtù della rivelazione divina di un versetto del Corano fu consentito a Maometto di superare questo limite, ed alcuni dei suoi matrimoni furono contratti per sanzionare alleanze o conversioni di gruppi arabi pagani, dal momento che gli usi del tempo prevedevano che si contraesse un vincolo coniugale fra le parti per rafforzare un importante accordo che si intendeva concludere.

Maometto ebbe anche sedici concubine ma solo da una sua schiava, che sposò, la copta Maryam, ebbe un figlio: Ibrāhīm, morto però ancora assai piccolo, con grande dolore dello stesso Maometto che poco tempo dopo, morendo fra le braccia di ʿĀʾisha, lo raggiunse nella tomba.

La questione dell'età di ‘A’isha

Fra le mogli sposate successivamente la più importante (malgrado non gli desse figli) fu ‘Ā’isha, figlia di Abū Bakr, che secondo numerose attestazioni in diversi hadith ebbe 6 (o 7) anni al momento del matrimonio e 9-10 anni al momento della prima consumazione[8] e fu con lui fino alla sua morte nel 632. Il Profeta la sposò dopo un ordine divino ricevuto dall'arcangelo Gabriele.

Il significato di questa visione era troppo evidente per non comprenderlo. Il Profeta aveva bisogno di una compagna per continuare la sua Missione, e questa compagna doveva avere doti straordinarie. La scelta non era facile da compiere. La Volontà Divina la compì per il Profeta. Scelse 'Aisha per riempire il vuoto lasciato dalla morte di Khadija. 'Aisha fu scelta non soltanto per assicurare la serenità di una casa, ma anche per trasmettere alle future generazioni il Messaggio islamico.

L'età di ‘A’isha costituisce un problema particolare per alcuni non-musulmani, che deprecano che Maometto abbia potuto avere relazioni sessuali con una fanciulla d'età così giovane. Il religioso battista statunitense Jerry Vines definì ad esempio Maometto «pedofilo posseduto dal demonio». Esponenti israeliti e importanti gruppi protestanti si unirono ai musulmani statunitensi per denunciare i commenti, a loro dire denigratori, del reverendo battista.[9] Abraham Foxman, leader della Lega Antidiffamatoria degli USA, definì "deplorevoli" i commenti di Vines.

Colin Turner, professore medievista e iranista della britannica Durham University, dichiarò che la "pedofilia" di Maometto nella sua epoca non era una cosa in assoluto straordinaria. Le relazioni sessuali fra un uomo maturo e una ragazza assai giovane erano - e sarebbero tuttora - un costume diffuso fra i beduini, al pari di molte altre culture del mondo. Turner scrisse che, ad ogni modo, in numerosi testi islamici si dice che gli Arabi raggiungevano la pubertà in un'età precoce.[10]

Vi sono comunque studiosi musulmani che sostengono che i dati riguardanti l'età di Maometto e di ‘A’isha siano contradditori e che ‘A’isha poteva essere d'età maggiore.[11] [12]

Note

  1. ^ La sua relativa superiorità è attestata in numerose opere islamiche. Tra tutte ha un certo peso quanto riferito in margine al suo Isra' e Mi'raj, in cui a lui è riservato il posto d'eccellenza fra i numerosi profeti che l'avevano preceduto.
  2. ^ Il Corano fu messo definitivamente per iscritto solamente durante il califfato di ʿUthmān b. ʿAffān
  3. ^ Muḥàmmad - participio passivo di II forma (ovverosia intensiva) della radice <h-m-d>, che significa "lodare" - è reso in italiano col nome Maometto, in base a un'antica volgarizzazione risalente al Medioevo. Una parte del mondo musulmano, in Italia e nel resto del mondo, pretenderebbe in segno di rispetto l'uso dell'originale nome Muhàmmad e considera che 'Maometto', e adattamenti similari, costituiscano distorsioni inaccettabili da rifuggire. Non sembra però tenersi nel debito conto la realtà espressa in vari ambiti islamici non arabofoni - come ad esempio, fin dall'età ottomana, il mondo turcofono - in cui l'onomastica araba è stata comprensibilmente adattata alle specifiche realtà linguistiche locali. Talché il nome Mehmet non ha mai sollevato alcuna perplessità nei dotti musulmani di quella e di altre parti del mondo islamico. Non ha dunque alcun motivo logico di esistere la suscettibilità di quanti non accettano l'uso delle varianti locali del nome del profeta dell'Islam.
  4. ^ L'altro è al-Rahmān (lett. "Il Misericordioso").
  5. ^ Sura 96:1-5. Salvo l'imperativo iniziale, si è seguita la versione de Il Corano, introd., trad. e commento di Alessandro Bausani, Firenze, Sansoni, 1961 e succ. ediz. La traduzione bausaniana riporta "Grida", malgrado iqraʾ significhi più propriamente "recita salmodiando" pur essendo logico che per poter recitare si debba preliminarmente leggere, non essendo noto il contenuto del brano da recitare).
  6. ^ Cfr. Aldobrandino Malvezzi, L'Islamismo e la cultura europea, Firenze, Sansoni, 1956.
  7. ^ Vedi ad esempio l'apologia di Al-Kindi, testo arabo cristiano del IX secolo e tradotta in latino a partire dal XII secolo (Apologia del cristianesimo, a cura di Laura Bottini, Milano, Jaca Book, 1987).
  8. ^ Sahih di Bukhari, Vol. 5, Libro 58, numeri 234 [1] e 236 [2], Volume 7, Libro 62, Numeri 64 [3], 65 [4] e 88 [5]), Sahih di Muslim, Libro 8, Numeri 3309 [6], 3310 [7] e 3311 [8]), Sunan di Abu Dawud al-Sijistani, Vol. 2, n. 2116, Libro 41, n. 4915 [9], 4916 [10] e 4917 [11], Sunan di Nasa'i 1 # 18 p. 108, Sunan di Ibn Maja, 3:1876 p. 133 e 3:1877 p. 134, al-Tabari, Ta'rikh al-rusul wa l-muluk, vol. 9 p.129-131 e vol. 7 p. 7 dell'edizione curata da Ihsan ‘Abbas per la SUNY Press di Albany (NY), Mishkat al-Masabih, Vol. 2, p. 77.
  9. ^ Vines condemns Islam
  10. ^ Colin Turner, Islam: The Basics, Londra, Routledge Press, 2005, pp. 34-35.
  11. ^ ¿Era novia Aisha a los seis años? El viejo mito expuesto por Dr. T.O. Shanavas
  12. ^ http://www.italian.faithfreedom.org/forum/viewtopic.php?t=751]

Bibliografia

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