Rina Fort

Caterina Fort- detta Rina - (Budoia, 1915 – Firenze, 1988) è stata una criminale italiana, protagonista di un celebre delitto dell'Italia del secondo dopoguerra. Giudicata colpevole di omicidio per l'uccisione, avvenuta il 29 novembre 1946, della moglie e dei figli del suo amante, il siciliano Giuseppe Ricciardi, nella loro casa di via San Gregorio 40 a Milano, venne condannata all'ergastolo.
Rimase in carcere fino alla grazia del Presidente della Repubblica nel 1975. I giornali dell'epoca la soprannominarono "la Belva di via San Gregorio".
Le sue vittime furono: Franca Pappalardo in Ricciardi di 40 anni, Giovanni Ricciardi detto Giovannino di 7 anni, Giuseppina Ricciardi detta Pinuccia di 5 anni, Antonio Ricciardi detto Antoniuccio di 10 mesi.
La vita della Fort
Donna non bellissima ma intelligente e dotata di un certo fascino, la Rina Fort ebbe una vita difficile, costellata da lutti e tragedie: il padre morì durante un'escursione in montagna per aiutarla a superare un passaggio difficile; il suo fidanzato morì di tubercolosi poco prima del matrimonio, poi la giovane si scoprì affetta da una precoce sterilità. A 22 anni si sposò con un compaesano, Giuseppe Benedet, che già il giorno delle nozze, diede segni di squilibrio destinati a degenerare in pazzia pura, al punto di dover essere ricoverato in manicomio. Ottenuta la separazione (una mossa, per quegli anni, a dir poco coraggiosa) e ripreso il cognome da nubile, la Fort si trasferì a Milano presso la sorella. Nel 1945 conobbe Giuseppe Ricciardi, un siciliano proprietario di un negozio di tessuti in via Tenca, divenendone prima compagna di lavoro, come commessa, poi amante, senza tuttavia essere a conoscenza che fosse già sposato.
Giuseppe aveva la moglie e tre figli a Catania, ma la sua storia con la Fort proseguì tranquillamente fino all'ottobre del 1946, quando la moglie Franca e i suoi tre figli decisero di trasferirsi a vivere insieme al marito a Milano, dopo che la donna aveva sentito voci preoccupanti da amici di famiglia sulla relazione del marito con la commessa.
Rina venne licenziata e andò a fare la commessa nella pasticceria di un amico, continuando a vedere Giuseppe. Ma dopo l'arrivo della moglie e dei bambini di Giuseppe, la loro relazione era ormai compromessa, tanto più che la moglie di Giuseppe aveva fatto chiaramente capire alla Fort che doveva definitivamente rinunciare al suo uomo (pare che la donna le abbia rivelato di essere incinta per la quarta volta, suscitando frustrazione nella rivale).
Il 29 novembre 1946 Rina Fort si vendicò contro la moglie del suo amante e i suoi tre bambini.
Il massacro di via San Gregorio del 29 novembre 1946
Ecco il massacro nelle parole della Fort nella sua unica dettagliata confessione, nella Questura di Milano 24 ore dopo l'omicidio:
Le indagini
Il fatto venne scoperto la mattina dopo, dalla nuova commessa del marito, tal Pina Somaschini, che s'era recata in Via San Gregorio per farsi dare dalla signora Pappalardo le chiavi del negozio. Le vittime giacevano riverse in una pozza di sangue, materia cerebrale e tracce di vomito: la signora Pappalardo ed il figlio maggiore nell'ingresso dell'appartamento, i due bambini più piccoli in cucina. Il portiere dello stabile disse di aver chiuso come tutte le sere il cancello alle 21 in punto, ma mancava la serratura che era in riparazione, quindi chiunque avrebbe potuto entrare senza problemi. Il verbale del primo sopralluogo redatto dalla Polizia parla con queste parole della scena del delitto:
L'omicida di certo era un conoscente della Pappalardo, che infatti gli aveva offerto anche un liquore, anche se gli assassini potevano essere due dato che i bicchierini sporchi - su uno dei quali furono rinvenute tracce di rossetto - erano in totale tre.
Gli inquirenti scartarono quasi subito l'ipotesi della rapina degenerata in omicidio: la famiglia versava in condizioni economiche quantomeno precarie ed il negozio di Ricciardi - soprattutto dopo il licenziamento della Fort che pare avesse una certa capacità negli affari - sempre ad un passo dalla chiusura, con numerose cambiali in protesto. Quello di Via S. Gregorio pareva sicuramente un delitto a sfondo passionale dato che furono uccisi dei bambini che non avrebbero nemmeno potuto testimoniare. La donna aveva lottato prima di essere uccisa e fu trovata tra le sue unghie dei capelli femminili. Inoltre sulla scena del delitto venne trovata una fotografia, stracciata, ritraente i coniugi Ricciardi il giorno delle nozze.
Il Ricciardi si trovava a Prato per ragioni di lavoro; rintracciato e informato dell'accaduto venne interrogato e fece il nome di Rina Fort, sua commessa e amante dal settembre del 1945. La Polizia la cercò a casa sua in via Mauro Macchi 89, poi nella pasticceria dove lavorava in via Settala 43. Rina fu arrestata mentre intratteneva affabilmente i clienti raccontando storielline piccanti, e trasporata su una jeep della Celere in Questura.
L'interrogatorio cominciò il 30 novembre 1946 nel pomeriggio, a meno di 24 ore dal pluriomicidio. La Fort ammise di aver lavorato per il Ricciardi, ma negò di essere la sua amante e non sapeva dove si trovasse. Dell'omicidio inizialmente negò tutto, poi il 2 dicembre venne portata sul luogo dell'accaduto dove si mostrò indifferente. Riaccompagnata in questura, incominciò a raccontare, dopo 17 ore di interrogatorio al commissario dott. Di Serafino. La Fort ammise di esser stata l'amante del Ricciardi, ma quando era tornata la moglie da Catania tutto era finito. Inoltre disse al suo avvocato difensore che durante l'interrogatorio era stata malmenata e presa a manganellate.
Il processo
Il 10 gennaio 1950 nella Corte d'Assise di Milano incominciò il processo contro la Fort, che fu accusata di strage. La donna venne difesa dall'avvocato Antonio Marsico. Al processo non riconobbe neanche lo Zampulla, indiziato come complice. Il Ricciardi non cambiò il suo alibi e continuò a sostenere che era andato a Prato per questioni di lavoro e non era il mandante della Fort. La sua figura non apparve certo limpida alla Corte, posto che, arrivato sulla scena del delitto, il Ricciardi parve più preoccupato di capire quali e quanti preziosi fossero spariti che non di aver perso la famiglia. Inoltre, quando a sua volta fu portato in Questura, Ricciardi si precipitò, singhiozzando, tra le braccia della Fort gridando "Rina mia!" malgrado la polizia l'avesse già avvisato che era proprio lei la principale indiziata. L'uomo inoltre si costitui parte civile contro la sua ex amante, scelta quantomeno discutibile, che gli valse anche una severa reprimenda da parte del difensore del cognato di lui, a sua volta costituitosi parte civile, che oltretutto, durante il processo, lo accusò di essere stato un pessimo marito e padre e di aver maltrattato la moglie. Nel frattempo, la Fort era stata tradotta dal San Vittore al carcere di Perugia.
Quando - come di rito - al termine del dibattimento le fu data l'ultima parola, la Fort se ne uscì con una sorta di amaro, spregiudicato proclama:
Il 9 aprile 1952 fu condannata all'ergastolo, mentre lo Zampulla e il Ricciardi furono prosciolti da ogni accusa. La Fort scontò la pena nel carcere di Perugia, dove rifiutò sempre di considerarsi l'unica colpevole dell'omicidio, come ad esempio in una lettera inviata al suo avvocato:
La pena
Il ricorso alla Corte di Cassazione, preso in esame il 25 novembre 1953 non cambiò nulla nella pena, e l'ergastolo venne riconfermato. Rimase nel carcere di Perugia fino al 1960, quando poi per motivi di salute venne spostata nel carcere di Trani in Puglia, col clima più adatto alle sue condizioni di salute. Venne spostata poi nel Carcere delle Murate a Firenze.
Dopo trent'anni di carcere, avendo chiesto (ed ottenuto) il perdono della famiglia Pappalardo, il 12 settembre 1975 fu beneficiata della Grazia dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone. Nello stesso anno moriva Giuseppe Ricciardi, il suo ex amante, che nel frattempo s'era risposato ed aveva avuto un altro figlio.
Dal 1975 prenderà il cognome Benedet dell'ex marito Giuseppe, e vivrà una vita in disparte a Firenze, presso una famiglia che l'aveva accolta dopo la scarcerazione, facendosi anche chiamare Rina Furlan, fino alla morte a causa di infarto, il 2 marzo 1988, quando venne ritrovata alle nove del mattino.
I dubbi del caso
Il movente era passionale, ma il problema era l'uomo sconosciuto che forse era in casa ad aiutare a uccidere i figli e la moglie del Ricciardi, dove non si investigò mai, rimane un forte dubbio anche sul coinvolgimento del Ricciardi che non è certo se fu il mandante e il Zampulla, che però non venne riconosciuto dalla Fort.
Inoltre nella casa c'erano tre bicchieri dove era stato messo il liquore e non due (la Fort e la Ricciardi), chi era la terza persona? La Fort fu l'unica a scontare la pena mentre altre persone coinvolte non la scontarono mai? Il bicchiere in più fu aggiunto dall Fort per sviare le indagini? Poteva una donna da sola uccidere con quella violenza? La famosa sigaretta "drogata" fu un'invenzione della Fort oppure la donna era in stato di trance durante l'omicidio?
I dubbi rimangono e probabilmente non saranno mai svelati, anche perché i rilievi degli inquirenti sulla scena del delitto presentarono numerose lacune.
L'unica cosa che rimane certa è che il 29 novembre 1946 vennero uccisi barbaramente una donna e i suoi tre bambini.
Collegamenti esterni
Bibliografia
- Max Rizzotto (testi) e Andrea Vivaldo (disegni), Il caso Rina Fort, Becco Giallo, 2006
- Carlo Lucarelli, Massimo Picozzi, La nera, pagg. 14-24, Mondadori, 2006