Angioplastica

metodica utilizzata in ambito medico per dilatare un restringimento del lume (stenosi) di un vaso sanguigno, causato nella maggior parte dei casi dalla presenza di una placca ateromasica

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L'angioplastica (nota con l'acronimo PTCA - percutaneous transluminal coronary angioplasty in inglese) è una metodica mini-invasiva di cardiologia o radiologia interventistica che fa parte del Cateterismo cardiaco e consente di dilatare un restringimento del lume di un vaso sanguigno (stenosi) per mezzo di uno speciale catetere a palloncino che viene introdotto mediante puntura di un'arteria, generalmente l'arteria femorale comune, portato fino al vaso stenotico e successivamente gonfiato in corrispondenza della stenosi, in modo da ripristinare il normale diametro del vaso e permettere un incremento del flusso sanguigno.

Fattori

Modi e tempi (pressione del palloncino, tempo di gonfiaggio, etc.) dipendono dall'entità della stenosi e dal tipo di vaso interessato.

I risultati dell'angioplastica (successo tecnico e durata dello stesso) dipendono da numerosi fattori: sede ed entità della stenosi sono quelli più rilevanti; deve inoltre essere considerata la composizione della placca che determina la stenosi (infatti placche con maggiore componente di calcio sono più "resistenti" alla dilatazione). In alcuni casi tuttavia il risultato è poco durevole nel tempo e deve essere ripetuto o integrato da altra metodica.

L'angioplastica coronarica (alle coronarie) o periferica (eseguita su altri vasi non coronarici, come ad esempio l'arteria carotidea), determina uno schiacciamento della placca ateromasica o calcica che causa la stenosi sulla parete arteriosa al fine di ampliare il lume del vaso.

Procedimento

La procedura di angioplastica si esegue in anestesia locale: il paziente è quindi sveglio e cosciente. L'intervento dura mediamente intorno ai 45 minuti - 1 ora, a seconda della complessità della lesione da trattare. La procedura, nella maggior parte dei casi, si completa con l'applicazione di una reticella metallica, ricoperta o meno da farmaco, dello stent. La procedura di angioplastica può comportare alcune complicanze (dissezione del vaso, embolia periferica) che possono essere risolte per via endovascolare o possono necessitare di trattamento chirurgico. Al termine della procedura viene poi effettuata una fase di compressione del sito d'accesso arterioso per 30-40 minuti (in genere l'arteria femorale della gamba) ove personale medico od infermieristico schiaccia in modo molto forte il sito d'accesso per iniziare un processo di emostasi ed evitare che il paziente abbia un'emorragia attraverso il foro di ingresso dei cateteri, a causa dell'elevata pressione arteriosa.

Oggigiorno, per evitare stress al paziente e fornirgli maggior confort, si ovvia alla procedura di compressione con sistemi di emostasi a collagene riassorbibile che evitano la dolorosa compressione e permettono al paziente di deambulare in meno di 1 ora in completa sicurezza.

Praticamente qualsiasi vaso stenotico può essere sottoposto ad angioplastica: le applicazioni più comuni sono nel campo della cardiologia interventistica (angioplastica coronarica, quindi delle arterie coronarie) e nel trattamento delle lesioni stenotiche delle arterie degli arti inferiori (claudicatio); il trattamento delle stenosi carotidee, molto utilizzato in passato, è stato progressivamente abbandonato in favore di trattamenti più stabili e meno gravati da complicanze (la lesione controllata della placca carotidea secondaria ad angioplastica può causare la migrazione distale di frammenti di trombo e quindi essere responsabile dell'insorgenza di TIA o ictus).

Angioplastica coronarica e infarto miocardico acuto

Secondo le linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) pubblicate a novembre 2008, l’angioplastica coronarica, se disponibile presso il centro, è la tecnica d’eccellenza in caso di infarto miocardico in cui il tracciato elettrocardiografico mostri un sopraslivellamento del tratto ST.

Si parla di PCI primaria (primary PCI) quando l’angioplastica viene scelta come terapia preferenziale senza fibrinolisi concomitante o precedente. Questo tipo di opzione terapeutica può essere scelta solo nei centri dove esiste già un team di esperti cardiologi interventisti e relativo supporto. Fondamentale è la minimizzazione dei tempi tra la comparsa dei primi sintomi e l’inizio della procedura di rivascolarizzazione. Si chiama invece PCI facilitata (facilitated PCI) l’angioplastica programmata eseguita a seguito del trattamento di fibrinolisi, così da minimizzare l’impatto dell’eventuale ritardo tra i sintomi e l’inizio della procedura. La PCI facilitata non viene attualmente raccomandata dall’ESC in quanto negli studi clinici randomizzati non è stato dimostrato, almeno fino ad ora, nessun particolare beneficio rispetto all’agioplastica primaria. La PCI di salvataggio (rescue PCI), infine, è l’angioplastica effettuata, sempre in caso di infarto miocardico acuto, per sopperire al fallimento della fibrinolisi, che non è stata sufficiente a disostruire l’arteria. Oltre ai diversi trattamenti antipiastrinici e antitrombotici a sostegno delle procedure effettuate, esistono dei dispositivi collaterali che hanno lo scopo di migliorare la riperfusione (riapertura dei vasi e conseguente passaggio di sangue in tutti i vasi) del muscolo cardiaco in caso di infarto acuto. Tra questi sempre più importanza ricoprono i dispositivi di tromboaspirazione. Questi sistemi consistono in un piccolo tubicino (catetere), che viene inserito nelle coronarie per via percutanea, ossia utilizzando la stessa via di accesso dell’angioplastica. Tramite il catetere, prima di dilatare l’arteria, si tenta di aspirare il trombo, ossia il materiale solitamente molle che aveva ostruito la coronaria. Diversi studi dimostrano che questo trattamento migliora la condizione clinica dei pazienti nel breve, medio e lungo periodo.

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