Federico Guglielmo II di Prussia
Federico Guglielmo II di Prussia (Berlino, 25 settembre 1744 – Berlino, 16 novembre 1797) fu re di Prussia. In qualità di principe elettore e margravio di Brandeburgo è numerato come Federico Guglielmo III.
Per il suo stile di vita è ricordato come un re dongiovanni[1] e, a causa della sua mole, fu soprannominato dai prussiani der dicke Lüderjahn (= il grassone buono a nulla).
Biografia
Anni giovanili
Federico Guglielmo era figlio primogenito del principe di Prussia Augusto Guglielmo, fratello minore di Federico il Grande. Poiché quest'ultimo non aveva figli, Augusto era erede al trono, e dopo la sua morte lo divenne Federico Guglielmo. Ma, stante l'antipatia di Federico II verso il fratello, per la sua condotta indegna agli occhi del re, l'appellativo dell'erede al trono della casa di Prussia era stato cambiato: soltanto il figlio maggiore di un sovrano regnante avrebbe potuto fregiarsi del titolo di Principe ereditario, mentre l'erede al trono non discendente in linea retta del re doveva accontentarsi di quello di Principe di Prussia. La norma rimase in vigore fino all'abolizione della monarchia nel 1918.
In un primo momento, i cattivi rapporti del re con suo fratello non si ripercossero sul nipote. Federico Guglielmo infatti non aveva intenzione di ripetere gli errori del padre, che pure l'avrebbe voluto a sua immagine (un'immagine notoriamente trasformatasi in un disastro). Per l'educazione del nipote, il re dettò nel 1760 precise istruzioni, che nei loro principî ancora oggi potrebbero apparire esemplari. Federico Guglielmo ebbe anche un ruolo nelle operazioni militari dell'ultima fase della guerra dei sette anni (per l'esattezza nell'assedio di Schweidnitz) e in tale occasione fu elogiato dal sovrano per il suo coraggio.
Nel corso degli anni però il rapporto fra il re e l'erede al trono cambiò radicalmente. Le ragioni di tale mutamento risiedono nelle divergenze caratteriali dei due uomini. Per stile di vita e visione politica, Federico il Grande era molto diverso dal nipote. Fedele al suo ideale del re come "primo servitore dello stato", aveva a malapena una vita privata ed evitava il più possibile le apparizioni mondane. Al contrario, soprattutto dal 1763, si dedicò sempre più alla politica e alle funzioni di governo. Immerso nei minimi dettagli, tenne in mano tutte le trame della politica prussiana: escluse così l'ambiente di corte, e in particolare l'erede al trono, dalle questioni politiche.
Da parte sua, Federico Guglielmo non era che un giovane principe, e non aveva voglia di occuparsi solo d'affari di stato. Egli voleva piuttosto godersi la vita: una propensione comune a molti dei suoi nobili contemporanei nell'Europa del XVIII secolo. Negli anni giovanili il principe coltivò diversi amori: di ciò le forze tradizionaliste della corte prussiana, con il re in testa, presero atto senza troppo entusiasmo. Ormai Federico Guglielmo somigliava molto al defunto padre, che guarda caso era caduto in disgrazia presso il fratello per le stesse ragioni (ma c'era un altro motivo: una battaglia perduta nella guerra dei sette anni).
Matrimoni e relazioni
Nel 1765 il re impose al nipote ed erede il matrimonio con la cugina principessa Elisabetta Cristina Ulrica di Brunswick-Wolfenbüttel. La coppia ebbe una figlia:[2]
- Federica Carlotta Ulrica Caterina (Charlottenburg, 7 maggio 1767 – Oatlands Park, 6 agosto 1820), che avrebbe sposato (1791) il principe Federico Augusto, duca di York.
L'unione, però, fu molto infelice. Federico Guglielmo aveva infatti un'intensa vita extraconiugale. Già nel 1764 egli aveva conosciuto la figlia di un musicista, Wilhelmine Enke (o Encke, 1753-1820), e aveva con lei una relazione destinata a segnare la sua vita e il suo regno. Tra moglie e marito si intromise lo stesso re, ansioso di un erede maschio che, nella freddezza del nipote verso la consorte, costei avrebbe dovuto procurarsi anche spurio. Seppure Elisabetta rifiutò sdegnata, ella decise poi ugualmente di rendere la pariglia al marito: lo fece però in modo plateale, rischiando di mettere in discussione davanti a tutti la legittimità di un eventuale successore.[1]
A questo punto, ciò che era perdonabile all'erede al trono non lo era più alla sua sposa. Così Elisabetta ebbe l'intimazione di cambiar vita, ma la lasciò cadere nel vuoto. Intercettata l'ennesima lettera indirizzata dalla principessa al suo amante, per chiedergli di portarla via, venne per lei il tempo di levare le tende dalla corte prussiana. Dopo il divorzio fu confinata a Küstrin.[1]
Il fallimento matrimoniale di Federico Guglielmo impose alla corte di Potsdam la necessità di attivarsi ancora per procurare nuove nozze al principe della casa reale: la dinastia aveva ancora bisogno, infatti, di un erede maschio. Fu scelta la principessa Federica Luisa, figlia di Luigi IX d'Assia-Darmstadt. La seconda moglie appagò i desideri della sua nuova famiglia, procurando il successore sperato alla casa reale prussiana. Federico Guglielmo ebbe da lei in tutto sette figli:[2]
- Federico Guglielmo (Potsdam, 3 agosto 1770 – Berlino, 7 giugno 1840), futuro re di Prussia;
- Federica Cristina Amalia Guglielmina (Potsdam, 31 agosto 1772 – Potsdam, 14 giugno 1773);
- Federico Ludovico Carlo (Potsdam, 5 novembre 1773 – Berlino, 28 dicembre 1796);
- Federica Luisa Guglielmina, detta Mimi (Potsdam, 18 novembre 1774 – L'Aia, 12 ottobre 1837), che avrebbe sposato Guglielmo I d'Olanda;
- Augusta Cristina Federica (Potsdam, 1º maggio 1780 – Kassel, 19 febbraio 1841), che avrebbe sposato Guglielmo II d'Assia;
- Federico Enrico Carlo (Berlino, 30 dicembre 1781 – Roma, 12 luglio 1846);
- Federico Guglielmo Carlo (Potsdam, 3 luglio 1783 – Berlino, 28 settembre 1851).
Il secondo matrimonio non cambiò però le abitudini extraconiugali di Federico Guglielmo. Wilhelmine ottenne perfino (1769) l'approvazione del re come favorita ufficiale dell'erede al trono e beneficiò di una rendita annuale di 30.000 talleri. Per ragioni di facciata la donna sposò un cameriere particolare, un certo Riez, ma queste nozze nulla mutarono nel rapporto col principe. Con il futuro re Wilhelmine ebbe anzi cinque figli. La sua influenza politica è discussa: di fatto non fu così eclatante, ma Wilhelmine si guadagnò ugualmente la fama di Madame de Pompadour prussiana, oltre a una moltitudine di privilegi fra cui la concessione (1796) del titolo di contessa di Lichtenau. Alla morte di Federico Guglielmo nel 1797, ella cadde però in disgrazia e fu arrestata, anche se in seguito ottenne la riabilitazione.
Oltre a Wilhelmine il futuro re ebbe anche altre favorite, come le contesse Julie von Voss di Ingenheim (1766-1789) e Sophie von Dönhoff (1768-1834). Tali relazioni non ebbero in genere rilievo politico, ancorché fossero approvate dalla stessa Federica Luisa nel tentativo di neutralizzare l'influsso di Wilhelmine Enke. Invano, Federica si sarebbe spinta ad accettare che il re sposasse le due donne, con nozze morganatiche[1] e in condizione di bigamia.[3]
Massoneria e spiritismo
Le nuove nozze del re non nascevano dal nulla, ma erano combinate da qualcuno che ebbe invece di sicuro la massima influenza sul regno di Federico Guglielmo.[1] Appassionato di occultismo, egli si era avvicinato all'ordine massonico della Rosa Croce d'oro e alla sua complessa dottrina mista di sacra scrittura, teosofia, misticismo, alchimia e cabala. L'ordine si sentiva investito da Dio della missione di salvare milioni di anime dal male: naturalmente, l'anima più importante era proprio quella del principe Federico Guglielmo di Prussia. Due dei principali esponenti dell'ordine, Johann Christoph von Wöllner e Johann Rudolf von Bischoffwerder, riuscirono nell'intento di convertirlo: combinarono perfino di inscenare sedute spiritiche, nel corso delle quali gli veniva fatto credere di entrare in contatto con i defunti (da Marco Aurelio, all'antenato Federico Guglielmo di Brandeburgo, a Leibniz)[1] e di ottenere il loro consiglio. Alla simulazione di questi contatti medianici prendeva parte a volte la stessa Wilhelmine Enke, per rafforzare la sua posizione. Il presunto consiglio degli spiriti, inscenati da giochi di luce con l'aiuto di un ventriloquo,[1] risultava naturalmente sempre conforme alle intenzioni dell'ordine. Ma Federico Guglielmo preferiva inebriarsi dell'esperienza e non coltivava il minimo sospetto.[1] Presto, dopo l'ascesa al trono dell'illustre allievo, Wöllner e Bischoffwerder ottennero importanti cariche pubbliche.
Regno
Quando nel 1786 lo zio Federico il Grande morì, il principe di Prussia salì al trono con il nome di Federico Guglielmo II. Appena assunta la carica, il nuovo re si fece molto amare dal popolo, che si aspettava un generale miglioramento della situazione. Negli ultimi tempi del regno, infatti, il defunto sovrano aveva perso molto consenso, e la sua morte non aveva poi suscitato troppa emozione in Prussia. Federico Guglielmo II trasferì la residenza reale da Sanssouci di nuovo a Berlino, incontrando così l'entusiasmo dei berlinesi. Abolì quindi un'odiosa tassa ed elargì riconoscimenti e onorificenze. Fra le promozioni concesse vi furono quelle di Wöllner e Bischoffwerder.
Nell'ottobre 1786 Johann Eustach von Görtz fu inviato in Olanda con Friedrich Wilhelm von Thulemeier per comporre il conflitto tra gli Orange (cioè lo Statolder Guglielmo V, cognato di Federico Guglielmo) e i patrioti, onde scongiurare la guerra civile. La missione non ebbe però il successo sperato, e la Prussia spedì allora Carlo Guglielmo Ferdinando di Brunswick-Wolfenbüttel a occupare militarmente la disperata Repubblica delle Province Unite. Federico Guglielmo, che investiva molto nell'arte e nell'edilizia, fece erigere la Porta di Brandeburgo in memoria di questa impresa.
Ben presto, tuttavia, nell'azione politica del nuovo re emerse il rovescio della medaglia. Condizionato dal manchevole addestramento agli affari di stato da parte di suo zio, Federico Guglielmo non era affatto capace, a differenza del predecessore, di governare dalla sua scrivania. In luogo dell'accentramento operato da Federico il Grande comparve un governo di gabinetto dominato dall'influenza di Wöllner. Rinunciando a dare nuovo impulso alla vita politico-spirituale, inoltre, furono emanati il famigerato editto religioso del 9 luglio e l'editto censorio del 19 dicembre 1788, che avrebbero privato il popolo della libertà anche nell'unico campo (religioso e letterario) ancora non intaccato dopo il regno di Federico il Grande.
Altro fattore (ed errore) fondamentale in politica interna fu il mantenimento della vecchia struttura amministrativa e degli impiegati e ufficiali di Federico il Grande. La maggioranza di essi era in carica dal 1763; Federico Guglielmo, per gratitudine, li aveva tenuti in servizio. In gioventù essi avevano certamente dato molto alla Prussia e al vecchio sovrano; peccato però che ormai molti avessero oltre 65 anni, alcuni anche oltre settanta, e non fossero più abbastanza elastici da adattarsi alle nuove esigenze. Ciò si ripercosse senz'altro negativamente sulla pubblica amministrazione. Ancora più grave fu però il danno prodotto nel campo militare. I veterani della guerra dei sette anni non erano certo in grado di affrontare efficacemente l'esercito volontario francese dopo il 1789, anche perché non potevano ormai comprendere le nuove concezioni militari dei francesi.
Le operazioni armate intraprese nel 1790 (mentre Austria e Russia erano impantanate nella guerra contro i turchi), dirette a conquistare a Federico Guglielmo un ruolo di guida e di ago della bilancia fra le potenze mitteleuropee, si risolsero in un fallimento, considerate le spese per l'armamento dello stesso sovrano; egli dimostrò piuttosto al mondo di non essere in grado di conservare una posizione dominante alla Prussia, allorché con miope e intempestiva generosità addivenne alla Convenzione di Reichenbach (27 luglio) liberando l'Austria dalla nefasta guerra all'Impero ottomano. La Fürstenbund (Lega dei Principi) creata da Federico il Grande in funzione antiaustriaca fu conseguentemente sciolta.
Essendo scoppiata la Rivoluzione francese, Federico Gugliemo si mosse anzitutto contro la Francia per liberare Luigi XVI. Emise allora congiuntamente all'Austria la Dichiarazione di Pillnitz (1791), e condusse personalmente l'esercito alla volta della Sciampagna. Malgrado la debolezza militare della Francia postrivoluzionaria, l'avventura sfociò nell'infruttuosa battaglia di Valmy, che anzi equivalse nelle sue conseguenze a una vera e propria vittoria francese. La sconfitta di Valmy, dunque, dimostrò la fragilità dell'esercito prussiano. La gloria di Federico il Grande era ormai trascorsa.
Nel 1793 il re si unì alla prima coalizione e ottenne la conquista di Magonza. Ma poi rivolse la propria attenzione alla Polonia, paese di importanza strategica per gli interessi prussiani. Il 14 maggio 1792 la Russia, grazie alla Confederazione di Targowica, aveva impedito la riorganizzazione politica della Polonia, e preparava l'annessione occupando militarmente l'intero paese. Per evitarlo Federico Guglielmo concluse con l'Impero russo, il 23 gennaio seguente, un secondo trattato di spartizione della Polonia, con il quale ottenne Danzica, Thorn e la Prussia meridionale (57.000 km² per 1.100.000 abitanti), e dunque un significativo rafforzamento del confine orientale.
In questo modo però mise fuori l'Austria fuori dai giochi e determinò l'inasprimento delle reciproche gelosie fra le due potenze tedesche, paralizzando altresì l'azione militare antifrancese. Il risultato fu che la Prussia non poté sfruttare le vittorie del proprio esercito a Pirmasens (14 settembre) e Kaiserslautern (28-30 novembre) in vista di un'invasione della Francia.
Al contempo, Federico Guglielmo non poté neanche decidersi a recedere dalla coalizione (nonostante le finanze prussiane fossero ormai sfinite), e accondiscese a stipulare il Trattato dell'Aia (19 aprile 1794) con le potenze marittime (Inghilterra e Olanda), offrendo loro un esercito di 64.000 uomini delle cui imprese esse si sarebbero anzi appropriate. Questo esercito abbatté due volte i francesi presso Kaiserslautern (23 maggio e 18-20 settembre), ma non riuscì a penetrare in territorio nemico, tanto più che in quel momento Federico Guglielmo, dopo la sollevazione polacca del 1794, era coinvolto in una campagna sul fronte orientale.
L'armata prussiana sotto il comando del re in persona prese Cracovia, ma assediò inutilmente Varsavia. Intanto, essendo i russi riusciti a soffocare la rivolta, toccò a loro decidere l'ultima spartizione della Polonia. In un trattato con l'Austria (3 gennaio 1795), essi la regolarono in modo da assegnare a Federico Guglielmo territori straordinariamente estesi: la Masovia, Varsavia e Białystok, cioè la Nuova Prussia orientale, di 47.000 km² per un milione di abitanti. Il 24 ottobre fu quindi firmato il terzo trattato di spartizione.
Le nuove acquisizioni permisero alla Prussia di comporsi in una vera unità territoriale statale. Poiché nel 1791 anche Ansbach e Bayreuth erano cadute sotto la sovranità prussiana, la superficie complessiva si estese raggiungendo - fino alla morte di Federico Guglielmo - i 300.000 km² per 8.700.000 abitanti. La popolazione prussiana si componeva per meno di un terzo di polacchi (circa 2.600.000).[4] Ma la tarda storiografia nazionale tedesca avrebbe guardato alla costruzione di uno stato germanico-polacco assai criticamente, anzi proprio come a una strada sbagliata.
Già in precedenza Federico Guglielmo, con la Pace di Basilea (5 aprile 1795) si era ritirato dalla guerra contro la Francia, così tracciando una linea di demarcazione che assicurava pace e neutralità non solo alla Prussia, ma all'intera Germania settentrionale. In seguito suo figlio, che ragionava in termini non politici ma morali, si sarebbe giocato questa pace nel peggior momento possibile.
Frattanto la famiglia di Federico Guglielmo non trovava pace al suo interno. La regina si sentiva esclusa dagli affari del re, offesa in particolare dalla relazione con Wilhelmine Enke. Il Principe ereditario stava dalla sua parte, e non vedeva perciò di buon occhio né la favorita né il padre. Malgrado ciò la casa di Prussia celebrò nel 1793 due matrimoni: entrambi i figli maggiori del re sposarono due sorelle della casa di Meclemburgo. Fece così il suo ingresso alla corte prussiana la futura regina Luisa di Meclemburgo-Strelitz.
Federico Gugliemo II morì nel novembre 1797 di idrotorace, all'età di soli 53 anni. Sul letto di morte rimpianse la campagna militare di Francia del 1793.
Giudizio storico
Nel XIX secolo la figura storica di Federico Guglielmo II era intorbidita da un giudizio unilateralmente negativo della sua vita privata. Da questo punto di vista la valutazione era ingiusta, poiché egli in realtà non differiva molto dagli altri monarchi europei del suo tempo. Federico Guglielmo faticava a uscire dall'ombra del suo predecessore, né vi riuscì negli undici anni del suo regno. Non fanno certo bella figura la sua subordinazione ai membri dell'ordine dei Rosa Croce, le mancate riforme interne dopo la morte dello zio (con invecchiamento della classe dirigente amministrativa e militare), la scarsa lungimiranza politica e militare in relazione alla guerra contro la Francia rivoluzionaria. Apprezzabile, dal punto di vista prussiano, furono invece senz'altro l'espansione territoriale ottenuta con la seconda e terza spartizione della Polonia, e l'emanazione nel 1794 dell'Allgemeines Landrecht, il codice certo in gran parte elaborato sotto Federico il Grande, ma completato e varato da Federico Guglielmo per restare in vigore fino al 1900.
Onorificenze
Note
Bibliografia
- David E. Barclay. Friedrich Wilhelm II. (1786–1797). In: Frank-Lothar Kroll (a cura di). Preußens Herrscher. Von den ersten Hohenzollern bis Wilhelm II. Beck, Monaco di Baviera, 2006, pag. 179-196.
- Karin Feuerstein-Prasser. Die preußischen Königinnen. Friedrich Pustet, Ratisbona, 2000.
- Brigitte Meier. Friedrich Wilhelm II. – König von Preußen (1744–1797). Ein Leben zwischen Rokoko und Revolution. Friedrich Pustet, Ratisbona, 2007.
- Wilhelm Moritz Freiherr von Bissing. Friedrich Wilhelm II., König von Preußen. Berlino, 1967.
- Hans-Joachim Neumann. Friedrich Wilhelm II. Preußen unter den Rosenkreuzern. Berlino, 1997.
- Ernst von Salomon. Die schöne Wilhelmine. Ein Roman aus Preußens galanter Zeit. Rowohlt, 1951.