Amici miei

film del 1975 diretto da Mario Monicelli
Disambiguazione – Se stai cercando altri significati del termine, vedi Amici miei (disambigua).

Amici miei è un film italiano del 1975 diretto da Mario Monicelli.

{{{titolo}}}
[[File:|frameless|center|260x300px]]I 5 amici del gruppo: (da sinistra) 'Il Necchi' (Duilio Del Prete), 'il Melandri' (Gastone Moschin), 'il Perozzi' (Philippe Noiret), 'il Sassaroli' (Adolfo Celi) ed 'il Mascetti' (Ugo Tognazzi).
Durata140'
Regia{{{regista}}}
Logo ufficiale del film

Unitamente ad altre famose pellicole dello stesso periodo, segna l'inizio di un ciclo nuovo e conclusivo di quel genere comico-cinematografico meglio conosciuto come commedia all'italiana.

L'amarezza, il disincanto, la fine delle illusioni di benessere e le tensioni sociali che caratterizzano l'Italia degli inizi degli anni '70 fanno la loro comparsa anche in questo genere comico e di costume. La risata piena si vela di tratti malinconici e tristi, i personaggi rimangono comici ma diventano amari e patetici. Scompaiono definitivamente il lieto fine e il finale leggero o comunque umoristico e lasciano il posto alla precarietà di una condizione umana spesso senza prospettiva.

Monicelli riprende in questa pellicola il tema della amicizia virile che aveva già trattato in alcuni film precedenti (I soliti ignoti, La grande guerra, L'armata Brancaleone) e che tornerà a trattare in lavori successivi. Il vincolo, la vitalità e la complicità del gruppo vengono proposti come risposta alle minacce esistenziali provenienti dall'ambiente, dal lavoro, dalla famiglia stessa. I membri del piccolo gruppo di amici vivono la contraddizione di una vita normale verso la quale sono assolutamente attratti (il Melandri cerca insistentemente una donna, il Mascetti si abbandona costantemente ai sogni di nobiltà, il Perozzi vive pericolose avventure extra-coniugali) ma è fondamentalmente l'appartenenza alla banda che supplisce, con le sue dinamiche goliardiche, alla carenza delle quali sono vittime, fornendo così una soluzione, una via di fuga. Il gruppo reagisce nei confronti di ogni singolo membro che tenta di intraprendere una via solitaria e mette in atto tutta una serie di iniziative, compreso il dileggio, per ricondurlo a sé. Anche la morte, estremo atto solitario del Perozzi, viene vissuta in questa ottica e su questa originalità si accende il finale del film.

Trama

Il film ruota intorno al racconto inesauribile delle trovate goliardiche con le quali 5 amici cinquantenni, nella Firenze a cavallo degli anni '60 e '70, cercano di prolungare lo stato felice della propria infanzia, fuggendo le responsabilità ed i tormenti della vita adulta.

Il conte Raffaello Mascetti è il celebre personaggio interpretato da Ugo Tognazzi nella famosa trilogia “Amici miei” ideata dal genio di Pietro Germi. Lello, come viene chiamato affettuosamente dalla moglie, è un nobile decaduto che, dopo aver scialacquato due eredità (la sua e quella della moglie), è costretto a vivere in uno scantinato. Ciononostante non ha perso l'inimitabile umorismo che caratterizza la sua persona. È l’inventore della cosiddetta “supercazzola” uno scioglilingua che ha lo scopo di confondere l’interlocutore mettendolo in difficoltà. Alcuni esempi tratti dal film “Amici miei”: “Tarapia tapioca come se fosse Antani con la supercazzola prematurata con scappellamento paraplegico a sinistra” “..sempre se a posterdati non si interpone uno scappellamento prematurato che potrebbe antropomorfizzare il tutto e rendere la cosa incomprensibile...GIUSTO?!?!?” Guidato dagli istinti si fa trascinare nel ramo della lussuria tradendo molteplici volte la povera moglie con varie amanti. Alla fine di "Amici miei atto II", colpito da un ictus, è costretto a vivere fino alla fine dei suoi giorni su una sedia a rotelle. Ma neanche la paralisi riesce a fermare le sue "zingarate". Il Perozzi (voce narrante del film, interpretato da Philippe Noiret) è un redattore capo di cronaca che cerca di sfuggire la disapprovazione che gli riversano contro quotidianamente il figlio e la moglie, tradendo quest'ultima con la moglie del fornaio. Il Melandri (Gastone Moschin) è un anonimo architetto alla perenne ricerca di una donna, per la quale sarebbe anche disposto ad abbandonare i suoi tre amici, salvo ravvedersi all'ultimo momento. Il Necchi (Duilio Del Prete) è invece un barista ed è proprio nel suo locale con annessa sala biliardo che prendono vita le zingarate alle quali lui stesso partecipa puntualmente. Ai quattro amici di sempre si aggiunge, nel corso della narrazione, il professor Sassaroli (Adolfo Celi) un brillante primario ospedaliero annoiato dalla professione il quale diventerà in breve uno dei pilastri del gruppo e sotto la cui spinta le bravate prenderanno nuova vitalità.

La vita dei cinque goliardi sembra snodarsi quotidianamente nella sola annoiata ricerca dello scherzo e del divertimento quando irrompe sulla scena la morte improvvisa di uno dei membri del gruppo. Il riso e il pianto, l'ironia e l'amarezza vivono una commistione perfetta che raggiunge l'apice nella scena finale, quando i quattro superstiti, pur piangendo il compagno morto, trovano egualmente lo spirito per mettere a segno una nuova zingarata, in una vena dissacratoria che rimane inarrestabile e che arriva a sbeffeggiare e ridicolizzare anche la morte. Il finale, anche se non esattamente "lieto", lascerà comunque un sorriso velato di amarezza sulla bocca degli spettatori.

Si chiude così un capolavoro della commedia all'italiana: con quella risata che squarcia l'anima, e la cui ricerca è il comune denominatore dell'opera di Sordi, De Sica, in parte Totò. Una menzione particolare per la meravigliosa colonna sonora, firmata da Carlo Rustichelli.

Curiosità

  • Nel film ha origine la parola "supercazzola" utilizzata nel gergo comune per indicare un giro di parole privo di alcun senso, fatto allo scòpo di confondere le idee al proprio interlocutore.
  • Nelle supercazzole che fa il Mascetti ci sono termini come "antani" o "tarapia tapioco" che sono tipici della supercazzola, e vengono citati quasi sempre.
  • Il progetto del film apparteneva a Pietro Germi, che non ebbe però la possibilità di realizzarlo a causa della prematura scomparsa[1].
  • Il film, nella concezione di Pietro Germi, era ambientato a Bologna; fu Monicelli a trasferire l'ambientazione a Firenze affidandosi ai ricordi di due fiorentini doc, Leonardo Benvenuti e Piero De Bernardi, sceneggiatori che coinvolsero nella fase di scrittura i loro "compagni di merende", del resto molti dei fatti citati sono realmente successi[2].
  • Il giovane Carlo Vanzina figura come aiuto regista.
  • Tra i vari attori contattati al momento della scelta del cast ricordiamo Carlo Giuffrè, che rifiutò il ruolo di Melandri e Raimondo Vianello che in origine avrebbe dovuto interpretare Perozzi.
  • Philippe Noiret è doppiato da Renzo Montagnani che nei due seguiti del film interpreterà con successo il Necchi, sostituendo Duilio Del Prete[3].
  • I due Bar che appaiono nel film esistevano davvero. Quello in cui si svolge la prima scena del film era un piccolo locale all'angolo di via de' Magliabechi, nel quartiere di Santa Croce, concesso volentieri per le riprese dai proprietari Renzo Sarti e Gastone Barelli. Il piccolo bar buffet era, in quegli anni, un luogo d'incontro di personaggi di tutti i generi e lì certamente fu subito compreso il senso dell'opera cinematografica che si stava compiendo. Le scene furono girate di notte coinvolgendo il giovane barista Sergio, alcune passeggiatrici locali ed il nonno Pesci che invitato dal regista a far finta di sonnecchiare si addormentò per davvero suscitando l'ilarità della troupe. Il Bar del Necchi, con annessa sala biliardo, era collocato in via dei Renai, a Firenze, nello storico quartiere San Niccolò. In seguito al successo del film prese il nome di Bar Amici Miei, nome che conservò sino alla fine degli anni '90.
  • Sebbene giaccia morto sul letto è visibilissimo nel film il movimento respiratorio del torace di Philippe Noiret[4]. Questo particolare indusse molti spettatori a ritenere che quella del Perozzi non fosse altro che l'ennesima zingarata e il funerale nella scena conclusiva uno scherzo escogitato ai danni della perfida moglie.
  • Nel 2002 lo stesso Mario Monicelli ha diretto una riduzione teatrale del film con lo stesso titolo e i Gatti di Vicolo Miracoli protagonisti.
  • Una nota a "discapito" del Perozzi, ma da lì si intuisce da subito che razza di "zingaro" sia, è che subito dopo aver pronunciato la frase « Quando penso alla carne della mia carne, chissà perché, divento subito vegetariano », fa retromarcia ed imbocca tranquillamente una strada contromano!
  • Una palese incongruenza si rivela nel film durante la famosa scena della stazione: al momento di lasciare casa dopo una accesa discussione con la sua convivente, moglie separata del Sassaroli, Melandri è senza soprabito mentre Birillo (il gigantesco cane San Bernardo) viene costretto a restare nell'appartamento da un vigoroso calcione assestato dal Necchi. Alla stazione invece, il Melandri indossa il cappotto e il cane fa compagnia ai cinque del gruppo mentre questi si divertono a schiaffeggiare i passeggeri dei treni in partenza.
  • Il seminterrato dove si trasferisce il Mascetti con la famiglia è un garage situato all'Isolotto, nell'omonima piazza. Nato come quartiere popolare secondo il piano INA-Casa, l'Isolotto è rappresentato nel film come un luogo per persone povere.
  • Un'altra palese incongruenza, che si nota tra questo film ed il seguito, è quella del seminterrato del Mascetti. Nel primo Atto si vede che il Mascetti prende in affitto (per la prima volta e con l'aiuto degli amici) il seminterrato quando la figlia aveva pressapoco 12 anni, nel secondo atto si vede che la famiglia Mascetti vive nello stesso seminterrato (per un brevissimo giorno, insieme al figlio del Perozzi), quando però la figlia ha circa 2 anni, come da dichiarazione della madre.
  • Quando il narratore dice: « Il Mascetti ci convocò a Pescia con drammatica urgenza.....» e si vede contemporaneamente l'arrivo del Perozzi ed il Necchi davanti alla villa del Sassaroli, dove il Mascetti stesso li aspetta, la scena fu girata invece a Firenze all'inizio del viale Niccolò Machiavelli.
  • La famosa scena degli schiaffi ai passeggeri del treno in partenza non fu semplice da girare per la difficoltà degli attori che da basso non riuscivano ad arrivare all'altezza dei volti dei passeggeri, nonostante questi ultimi si sporgessero molto dal finestrino. Il regista Monicelli fu così costretto a far segare una parte dei finestrini del treno in modo che i passeggeri risultassero più bassi rispetto al livello del marciapiede.[senza fonte]
  • Il personaggio che racconta la storia di ogni episodio, è quello al quale alla fine accade sempre qualche cosa. Nell'Atto I il Perozzi è il narratore, alla fine del primo il Perozzi muore; nell'Atto II il Mascetti è il narratore, alla fine del secondo atto il Mascetti viene colto da malore e rimane semiparalizzato (anche se nel terzo atto a volte muove la mano sinistra); nell'Atto III il Necchi, che racconta la storia, lascia il suo bar per entrare nella casa di cura.
  • Nei tre film vengono cantate alcune canzoni come "Bella figlia dell'amore" oppure "Ma vaffanzum" e altre che caratterizzano i tre atti.

Note

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni

  Portale Cinema: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di cinema