Prima Repubblica (Italia)

sistema politico della Repubblica Italiana dal 1948 al 1994
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L'espressione Prima Repubblica si riferisce al sistema politico della Repubblica Italiana tra il 1946 e il 1994, e spesso è usata per richiamare i suoi aspetti peggiori.

Secondo i criteri storiografici e politologici, la denominazione di una forma di stato preceduta da aggettivi numerali indica i regimi dello stesso tipo che si sono succeduti discontinuamente in un paese con assetti costituzionali e istituzionali differenti (quali le Repubbliche francesi e i Reich tedeschi). Nel caso italiano, la distinzione tra la Prima e la Seconda Repubblica, introdotta in ambito giornalistico e divenuta poi di uso comune, sarebbe quindi formalmente scorretta, poiché ci si riferisce, come elemento di discontinuità storica, alla trasformazione politica avvenuta durante il biennio 1992-1994, che non si risolse in un cambiamento di regime bensì in una profonda trasformazione del sistema partitico e ricambio di gran parte dei suoi esponenti nazionali.

Difetti

I cardini normativi del sistema politico della Prima Repubblica furono la Costituzione (in vigore dal 1 gennaio 1948) e la legge elettorale del 1946 (modificata col tempo e abrogata nel 1993).

La competizione politica fu costantemente caratterizzata dalla contrapposizione tra i due maggiori partiti, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano, rappresentativi dell'elettorato in misura (media) rispettivamente del 35-40% e del 25-30%, mentre una manciata di soggetti politici minori si spartiva il resto delle preferenze. Fra questi il più importante era il partito Socialista; gli altri principali erano il Movimento Sociale di estrema destra [1], i partiti Liberale, Repubblicano e Socialdemocratico, i Radicali e il cartello di estrema sinistra Psiup-Pdup-Dp.

La Dc, grazie ai risultati elettorali e alla collocazione di centro, ricopriva un ruolo insostituibile per la formazione delle maggioranze parlamentari, formando di volta in volta coalizioni diverse con i partiti minori. Il Pci rimase sempre all'opposizione (salvo tre anni di Solidarietà nazionale) ed escluso dall'esecutivo (nonostante il tentativo di compromesso storico nel 1978) a causa del forte contrasto ideologico con la Dc. Al di sotto della politica, la realtà amministrativa dello Stato e degli altri enti pubblici tradiva un'assenza di capacità gestionali, una negoziazione con gruppi di pressione che non si sostituivano l'uno all'altro ma si aggiungevano (come avvenuto con la sindacalizzazione del pubblico impiego negli anni Settanta): lo scotto di tutto ciò fu scaricare i costi sul bilancio pubblico, che raggiunse livelli di deficit sostenuti soltanto grazie ad un ingente debito pubblico.

La cultura dell'autorità dei pubblici poteri - già gravemente lesionata dalla fuga da Roma l'8 settembre 1943 - non solo non si ristabilì mai, ma fu definitivamente abbandonata dalla visione di una serie di gruppi di interesse che aggredivano la capacità gestionale della dirigenza pubblica attraverso la rappresentanza politica. Questa vide forme nuove di ostruzionismo politico a misure vissute come punitive per la propria "constituency", come avvenne con l'istituto del 'ritiro della delegazione del partito dal Governo' iniziato nel 1974[2] e sublimato poi a partire dalla fine degli anni Settanta. In tale periodo si verificò il graduale indebolimento elettorale dei due partiti maggiori, dovuto sia a una tendenza socio-politica (declino della subcultura cattolica, crisi dell'ideologia comunista, evoluzione del partito di massa) generalizzata nelle liberaldemocrazie occidentali, sia alla percezione nell'opinione pubblica della loro inefficienza o corruzione; ciononostante nel corso degli anni Ottanta la conflittualità interna al sistema partitico - che periodicamente produceva crisi di governo in nome dell'alternanza tra i partiti di governo (in luogo dell'alternativa ai partiti di governo)- offrì una generale impressione di immobilismo, con la coalizione del Pentapartito guidata dal patto informale C.A.F. (Craxi-Andreotti-Forlani) che fungeva da "motore immobile" della politica italiana.

L'elevato numero di enti amministrativi statali e locali e la loro forte ingerenza nell'economia, causata dall'ipertrofico sistema delle partecipazioni pubbliche, dallo scarso sviluppo del capitalismo italiano e dal malcostume del clientelismo, attribuiva ai titolari delle "poltrone" un potere sproporzionato. Questa situazione fu sfruttata da molti per arricchirsi e dai partiti per finanziarsi, attraverso il sistema di corruzione conosciuto successivamente come Tangentopoli. Tale fenomeno si aggravò durante gli anni Ottanta a causa dell'ascesa di una nuova classe politica rampante, a volte appositamente collocata nei centri del potere economico e amministrativo dai partiti (pratica detta lottizzazione, un aspetto della partitocrazia). Nello stesso periodo, la riduzione del voto di appartenenza fu neutralizzata dalla diffusione del voto di scambio, attuato dai partiti di governo mediante un protratto e consistente esborso di risorse pubbliche che portò il debito pubblico italiano oltre il 100% del PIL all'inizio degli anni Novanta.

Il sistema politico della Prima Repubblica fu definito un pluralismo polarizzato[3] dal politologo Giovanni Sartori, in base alle seguenti caratteristiche:

  • Presenza di più di cinque partiti rilevanti.
  • Presenza di partiti antisistema, ossia partiti che vanno dal rifiuto alla protesta con la capacita' di mettere in discussione il regime e minarne le basi di sostegno, ossia ostili alla stessa forma dello stato in cui esistono(il Pci e Msi, nonostante alcuni politologi dissentano da questa interpretazione, possono essere inclusi in questa categoria).
  • Presenza di due opposizioni polari, mutualmente esclusive e con ideologie estremiste (ancora Pci e Msi).
  • Sistema imperniato sul centro, che è occupato (da parte della Dc).
  • Tendenza centrifuga, poiché le opposizioni possono guadagnare consenso estremizzando le loro posizioni, piuttosto che moderandole.
  • Opposizioni irresponsabili, che propongono programmi irrealizzabili sapendo di non avere la possibilità di governare.
  • Centro scarsamente responsabile, che non mantiene le promesse del programma in quanto "obbligato" a governare.

Cambiamenti

Il primo fenomeno di cambiamento nell'offerta partitica si verificò nel 1991, quando il Partito Comunista Italiano si trasformò nel Partito Democratico della Sinistra al termine di una lunga e sofferta fase di transizione dal comunismo al socialismo democratico, accelerata dalla crisi delle repubbliche del Patto di Varsavia e dalla conseguente caduta della Cortina di ferro. Successivamente dal Pds si distaccò il Partito della Rifondazione Comunista. Questi fatti precedettero di poco l'epocale scioglimento dell'Unione Sovietica.

La trasformazione avvenuta nella sinistra fece cadere in molti elettori moderati le ragioni per votare democristiano in funzione anticomunista, sbloccando le scelte elettorali di parte degli elettori moderati. Inoltre emerse una questione settentrionale dovuta principalmente all'oneroso carico fiscale richiesto per finanziare la crescita economica (e spesso le clientele) nel Mezzogiorno. Da questa combinazione trassero beneficio le formazioni regionaliste settentrionali, che dopo i successi alle consultazioni locali del 1991 si federarono nella Lega Nord guidata da Umberto Bossi, partito che divenne un importante attore politico nazionale sin dalle successive elezioni politiche di aprile del 1992.

Il 9 Giugno 1991 gli italiani, tramite un referendum scelgono la preferenza unica sulla scheda elettorale per le elezioni della camera dei deputati, la scelta della preferenza unica dovrebbe condurre ad una più attenta scelta, da parte dei partiti delle persone da candidare ed avvicinarsi al modello elettorale uninominale e maggioritario. Il referendum ebbe una forte partecipazioni di elettori, nonostante venne indetto quasi in periodo estivo (9 giugno) e il conseguente invito a disertare le urne per andare al mare, formulato da alcuni dei principali esponenti politici del periodo, come Bettino Craxi.

Il 17 febbraio 1992 ebbe inizio l'inchiesta giudiziaria Mani pulite sul sistema delle tangenti, che coinvolse molti esponenti di tutti i maggiori partiti. L'enorme perdita di credibilità subita in particolare dalle forze del Pentapartito portò queste a una crisi irreversibile e addirittura al sensazionale scioglimento della Dc e del Psi, rispettivamente il più importante e il più antico dei partiti italiani. L'iniziativa della magistratura prese le mosse dal modesto caso di corruzione del funzionario socialista Mario Chiesa e si estese notevolmente grazie alle rivelazioni degli inquisiti, godendo del diffuso sostegno dell'opinione pubblica alimentato dai mass-media.

Nelle elezioni politiche del 5 Aprile 1992 i partiti tradizionali furono tutti penalizzati: la Democrazia Cristiana, pur mantenendo la maggioranza ebbe il minimo storico dei suffragi, i due partiti nati dalla scomparsa del PCI (Rifondazione Comunista e Partito Democratico della Sinistra) assommati conseguirono una netta perdita elettorale e comparvero nuovi partiti in parlamento con una presenza significativa di eletti: la Lega Nord e la Rete. Il risultato fu un parlamento ricco in partiti (in tutto 16 partiti con eletti alla camera e 18 al Senato), senza un raggruppamento che potesse vantare un indiscusso riconosciuto ruolo di partito guida.

Nel 1993, a seguito di un referendum, svoltosi il 18 Aprile 1993, con oltre 30 milioni di voti favorevoli, le Camere deliberarono il cosiddetto Mattarellum, la legge elettorale che introdusse il sistema maggioritario misto, soppiantando il proporzionale puro che era considerato una delle cause dell'instabilità istituzionale e della partitocrazia [4] . Questa innovazione legislativa, oltre alla gravità della crisi che stava colpendo i partiti, i loro esponenti, il parlamento e il governo, spinse il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro a sciogliere anticipatamente le Camere e indire le elezioni per il marzo 1994.

Tra gennaio e febbraio del 1994 l'imprenditore Silvio Berlusconi decise a sorpresa di scendere in campo fondando un nuovo partito, Forza Italia, formato prevalentemente da tecnici di estrazione aziendale e politici dei secondo piano del Pentapartito, quasi tutti nomi nuovi per raccogliere il consenso dei delusi dalla politica, e rappresentativi del ceto medio moderato in modo da intercettare il voto democristiano. Per la prima volta in Italia il partito di Berlusconi svolse una campagna elettorale fortemente mediatica e personalizzata. Sempre a febbraio, il Msi cambiò denominazione in Alleanza nazionale.

Si formarono allora tre fragili alleanze elettorali: un cartello di centro con Partito Popolare Italiano (erede della maggiore corrente DC) e Patto Segni (promotore del referendum e anch'esso formato da ex democristiani); su posizioni di destra il Polo delle Libertà, composto da Forza Italia, Alleanza Nazionale nei collegi meridionali, Lega Nord nei collegi settentrionali, e Radicali; orientata a sinistra l'Alleanza dei Progressisti, che comprendeva Pds, Prc, Verdi (ambientalisti) e la Rete (movimento per la democrazia); inoltre in ognuno dei tre schieramenti erano presenti effimere liste composte da schegge assortite del vecchio Pentapartito.

Questo periodo non vide la crisi solo della politica, ma anche delle istituzioni e dell'economia, attraverso avvenimenti che resero manifesti problemi presenti da tempo:

  • (1990) Furono svelati alcuni documenti dell'Organizzazione Gladio (ritenuta potenzialmente golpista) che coinvolgevano servizi segreti italiani ed esteri e figure pubbliche di primo piano, tra cui l'allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
  • (1992) Cosa nostra sferrò una violenta offensiva contro le istituzioni, dapprima con l'assassinio del politico Salvo Lima, successivamente con una serie di attentati culminata nelle stragi mirate all'uccisione dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
  • (1993) Lo Stato rischiò seriamente la bancarotta a causa della disinvolta politica di deficit pubblico degli anni precedenti; questo comportò l'esclusione dell'Italia dal Sistema Monetario Europeo, l'emanazione di una legge finanziaria d'emergenza da 90.000 miliardi di lire, e l'introduzione di numerose riforme del sistema economico-finanziario.

Fine

La fine sostanziale della Prima Repubblica coincise con le elezioni politiche del 27-28 marzo 1994, che si svolsero in un clima di speranzoso rinnovamento dopo i travagliati anni precedenti, nei quali erano occorsi i mutamenti politici più significativi di tutta la storia repubblicana. Gran parte delle liste e oltre il 70% dei loro eletti entrarono in Parlamento per la prima volta, circostanza che di solito caratterizza le votazioni successive a un crollo di regime. Da allora si iniziò a parlare comunemente di Seconda Repubblica, nonostante molti studiosi ritengano piuttosto che nel 1994 si sia aperta una fase di transizione non completata, in quanto non è stato attuato l'auspicato rinnovamento delle istituzioni, e oltretutto sono ricomparsi problemi che si credevano scongiurati quali corruzione, partitocrazia, clientelismo, collusioni tra politica e illegalità.

Secondo l'opinione più diffusa, la fine della Prima Repubblica non deve essere vista come un'eccezionale combinazione di eventi, bensì come la prevedibile caduta di un sistema degenerato; infatti, ognuna delle questioni venute allo scoperto tra il 1990 e il 1994 in realtà aveva radici molto profonde.

Note

  1. ^ In cui confluirono progressivamente i monarchici
  2. ^ Camera dei deputati, VI legislatura, Atti parlamentari, resoconto stenografico dell'Assemblea del 22 marzo 1974, intervento del deputato Biasini, p. 13767, in cui si spiegano così le dimissioni da ministro dell'onorevole Ugo La Malfa.
  3. ^ G. Sartori, Partiti e sistemi di partito: i sistemi competitivi in AAVV, 1986)
  4. ^ Nella stessa giornata referendaria venne anche abolito il finanziamento pubblico ai partiti, ripristinato nel 1996,sotto una forma giuricamente differente

Voci correlate

Bibliografia

  • AAVV I sistemi di partito, Angeli, Milano, 1986
  • Giorgio Galli. I partiti politici italiani (1943-2004). Rizzoli, 2004.
  • Carlo Guarnieri. Il sistema politico italiano. Il Mulino, 2006.
  • Franco Cangini. Storia della Prima Repubblica. Newton Compton, 1994.
  • Bogaards, Matthijs. The Italian First Republic: ‘Degenerated Consociationalism’ in a Polarised Party System.in West European Politics, vol 28 (3), 2005