Discussione:Risorgimento

Versione del 4 mar 2006 alle 17:44 di Paolo Sarpi II (discussione | contributi) (Inesattezze ed inutili esaltazioni nazionalistiche nella voce, da correggere)

Ultimo commento: 19 anni fa, lasciato da Paolo Sarpi II in merito all'argomento Inesattezze ed inutili esaltazioni nazionalistiche nella voce, da correggere

Prima Guerra d'indipendenza

una puntualizzazione.

Ferdinando II, Re delle Due Sicilie, decise di richiamare le truppe perché la rivolta in Sicilia aveva assunto proporzioni preoccupanti: in pratica le Reali Truppe controllavano solo Messina e i riflessi esterni di questa situazione erano ancor più allarmanti. Infatti una delegazione del Governo provvisorio siciliano si era recata a Torino per offrire la corona del Regno di Sicilia a un Savoia.

Carlo Alberto, onorando la tradizione di fiera lealtà per la quale Casa Savoia era ampiamente conosciuta in Europa (nel 700 un arguto diplomatico ebbe a notare: Il Duca di Savoia termina sempre le sue guerre come nemico dell'alleato iniziale..) anzichè rifiutare l'offerta che gli aspiranti sudditi avevano presentato, pur sempre ai danni di un Principe le cui truppe in quel momento combattevano sui campi di Lombardia a fianco delle Sarde, promise loro un Principe di Casa Savoia, ovviamente trascorso un qualche ragionevole termine di decenza. Comprensibilmente, il Borbone, disgustato, non intese continuare una guerra che, ove fosse andata a buon fine avrebbe comportato vantaggi per il solo Regno Sardo.

--Emmeauerre 23:21, Gen 11, 2005 (UTC)


Bibliografia

Sarebbe opportuno aggiungere una bibliografia. Appunto qui qualcosa di interessante.

--Truman Burbank 09:28, Apr 14, 2005 (CEST)


Pienamente d'accordo

Le tue indicazioni sono particolarmente valide in quanto:

  • l'approccio di taglio giornalistico risulta più idoneo a raggiungere il lettore medio;
  • l'autore, autorevole esponente dell'ordine dei giornalisti (credo ne sia tuttora il Presidente) è piemontese, il che taglia l'erba sotto i piedi dei sostenitori della tesi di un complotto dei "neoborbonici" (!);

Decisamente controcorrente all'epoca:

anche in questo caso un autore piemontese, mette in rilievo aspetti in ombra (volutamente ?) nella "vulgata" corrente, come ad esempio, la partecipazione di reparti regolari napoletani (X Rgt. Ftr.linea) agli scontri di Goito, Curtatone e Montanara. Nonostante perdite elevatissime e riconoscimenti da parte, fra gli altri, del Granduca di Toscana (per l'aiuto prestato ai volontari toscani..), sui fatti è stata operata una rimozione tale da risultare oggi quasi una bizzarria la versione reale.


Chi, poi desiderasse approfondire con letture di maggior complessità, potrà scegliere fra:

Spunti interessanti nascono dalla consultazione di testi non specifici, come Campagna e Industria - Itinerari, 1981, T.C.I., con l'avvertenza di considerare, ai nostri fini, il Basso Lazio all'epoca parte integrante del territorio napoletano.

Anche un esame di cartine statistiche desunte dall' Atlante Storico del mondo, 1997, T.C.I. pag. 115, in particolare, "Industria, Percentuale degli addetti" è utile.

Infatti, chi, oggi, voglia affrontare con serietà quest'argomento, scoprirà che, a fronte della "vulgata" corrente, le tessere che dovrebbero comporre un coerente mosaico portano a risultati sorprendentemente diversi da quelli attesi. Ciò vale, in particolare, per i dati di provenienza "sicura" (fonti ufficiali italiane).

Come risulta ben evidente, la bibliografia qui riportata NON è limitata ma abbraccia pressocchè per intero tutto il periodo del quale la Ia Guerra d'Indipendenza costituisce un mero episodio. --Emmeauerre 15:19, Apr 14, 2005 (CEST)


La bibliografia va messa e si può anche mettere per intero, però servirebbe anche qualche riferimento un po' più tradizionale che esponga il punto di vista risorgimentale classico. Resta comunque innegabile il fatto che lo stato unitario italiano si forma in un periodo storico in cui gli stati nazionali venivano visti con favore. Insomma una qualche forma di sostegno intellettuale c'era. --Truman Burbank 17:08, Apr 14, 2005 (CEST)

Ti dirò, è vero, in specie i titoli possono dare un'idea di testi molto sbilanciati ma, credimi, nella maggior parte sono meno radicali di Del Boca.

Però, vedi, da parte tua è stata subito formulata un'obiezione, del tutto ragionevole ed attesa, che non tien conto di un particolare: su un piatto della bilancia noi, oggi, abbiamo la cosiddetta vulgata ufficiale che, sfrondata delle grottesche agiografie d'epoca sabauda (e non solo, io ricordo benissimo i primi flash di storia patria sparatimi nel cervello alle elementari, sarà stato il 1951, 52, e ancora c'erano i commoventi quadretti su Carlo Alberto...mentre re Bomba veniva additato alla nostra riprovazione e noi piccoli napoletani, privi di qualsiasi riferimento alle nostre radici, bevevamo tutto..), presenta pur sempre un quadro nettamente sbilanciato verso un'interpretazione di comodo di quegli avvenimenti.

Certo, era l'epoca dell'affermarsi del principio di nazionalità, ma possiamo esprimere un giudizio sul "come" sia stato realizzato in Italia, tanto più che abbiamo, in parallelo, la nascita del Reich germanico.

Ora, detto che la Prussia stava al Piemonte come un missile sta a un wurstel, noi possiamo ben raffrontare il processo di unificazione germanico con il nostro.

Da un lato, abbiamo la Prussia che, avrà pure avuto (e le aveva) le caratteristiche di uno Stato-caserma, ma ha fatto ricorso all'opzione militare solo contro l'Austria per escluderla da un processo di unificazione basato su principi antitetici a quelli su cui fondava l'Impero Austro-ungarico. Non ha sfondato nessuna porta d'ingresso di nessuno dei principati tedeschi...

Da noi, cosa c'era ? Un Piemonte "militarista all'italiana" , un misto cioè di supponenza e presunzione alquanto cialtronesca, approssimazione, arroganza spacciata per forza.

Abbiamo fatto le migliori "figure" con questa mentalità (per carità, non era prerogativa del solo Piemonte, ma era solo il Piemonte che era militarista...) e ancor oggi, non è che siamo famosi per le nostre virtù militari.

Il processo di unificazione italiano è degenerato nel momento che l'opzione militare è stata rivolta verso un altro Stato, di antica indipendenza, ma, ecco, la vulgata soccorre: "l'intervento fu reso necessario dalla situazione creatasi nelle Due Sicilie", che ricorda sinistramente le motivazioni con cui l'URSS giustificava i propri interventi negli Stati satelliti...

Questa motivazione, più o meno articolata, è comunemente accettata, quasi atto di fede, giusto ? Diamo infatti, per scontato che lo Stato sardo fu in un certo senso "trascinato" dal precipitare degli avvenimenti e quasi "costretto" a scendere al Sud.

Bene, il documentatissimo studio di Martucci, "L'invenzione dell'Italia unita", basato esclusivamente sul carteggio Cavour indagato non per temi ma dando rilievo al suo svilupparsi temporale, non ha lasciato echi se non nel ristretto ambiente degli addetti ai lavori, eppure mostra inequivocabilmente le mire piemontesi sulle Due Sicilie, di volta in volta adattate al contesto internazionale. Si arrivò persino a vagheggiare un utilizzo del corpo di spedizione in Crimea, per uno sbarco a sorpresa (quasi una sorta di ripetizione del saccheggio di Costantinopoli da parte dei Crociati).

Ora, se consideri che ognuno di quei testi è solo una tessera di un mosaico che ancora non si riesce a comporre sol perché esiste già il quadro completo che, ahimè, poco concorda con il suddetto mosaico, non vedrei particolari sbilanciamenti ma opportuni riequilibri.--Emmeauerre 19:36, Apr 14, 2005 (CEST)

Aggiunta di 80.182.67.149

La storia di lungo periodo

Né Agazio Loiero né Sergio Abramo né Romano Prodi né Silvio Berlusconi cambieranno la nostra storia, o meglio la nostra posizione di italiani del Sud nella lunga e grande storia. La loro capacità di essere buoni amministratori, o la loro incapacità a esserlo non è ininfluente, ma non esistono le condizioni perché uno o l’altro incidano sulla storia di lungo periodo. Il Sud è incardinato nella vicenda europea sin dal 1200. Lo era stato anche prima, per 700 anni, durante la Repubblica e l’Impero romano. Questo legame, che in verità non ci ha portato mai bene, non è stabile, perché la civiltà europea nasce dalla conquista e quella mediterranea dai traffici. Pertanto potrebbe persino venire sciolto. L’agente di un’ipotetica rottura non sarebbe sicuramente l’Europa, e meno che mai Bossi, ma andrebbe individuato in due forze già operanti sulla scena attuale, sia separatamente, sia sommate: una è la globalizzazione, che appiattisce, disgrega, o annulla del tutto il potere sovrano degli Stati; due, l’insofferenza dei mediterranei verso il modello organizzativo esportato/importato dall’Inghilterra nel corso degli ultimi tre secoli.

La storia è la vicenda secolare di una qualunque formazione sociale che vive sulla Terra. Ma secolare non vuol dire eterna. Intanto le formazioni sociali non coincidono sempre con lo Stato a cui sono giuridicamente appartenenti. Possono essere persino più grandi, ma di solito sono più piccole. Per esempio quella dei Baschi rispetto alla Spagna, quella dei Corsi rispetto alla Francia, quella dei Curdi rispetto alla Turchia e all’Iraq. Inoltre le formazioni sociali sono mobili nel tempo, e da molti punti di vista: il territorio d’insediamento, la lingua, la religione, la morale, la composizione etnica, l’economia, etc. Però la sola modificazione di un aspetto dell’assetto precedente comporta un trauma doloroso, perché di regola c’è chi lo paga e chi se ne avvantaggia. La Calabria, ad esempio, ha pagato il passaggio dal rito greco a quello latino, la sconfitta della dinastia dei Borbone e la vittoria dei Savoia, la fine del mondo contadino e la conseguente emigrazione di massa, mentre i vantaggi sono andati altrove.

Al momento c’è da interrogarsi circa le conseguenze che potrebbe avere l’urto della globalizzazione sulla formazione sociale Sud italiano. La prima cosa da dire è che le armi con cui i monopoli americani, giapponesi ed europei hanno piegato, in molti settori della produzione e del commercio, i vecchi mercati nazionali, nonché gli stessi mercati continentali degli Usa e dell’Unione Europea, hanno avuto l’esito non previsto di fare della Cina, Stato a mercato chiuso, un mattatore della globalizzazione. Sintetizzando, sulla scena economica mondiale ci sono due tipi di globalizzazione, quella liberal-monopolistica, che viene dal precedente assetto industriale, e quella ugualmente liberale –almeno sul mercato internazionale – della grande potenza Cina. Gli effetti delle due globalizzazione si sommano. Il risultato dell’addizione è che l’industria occidentale emigra verso luoghi dove i salari sono bassi, creando disoccupazione nell’Occidente del benessere. Dal canto loro, i manufatti che arrivano dalla Cina disincentivano la produzione manifatturiera occidentale, generando altra disoccupazione.

La globalizzazione rappresenta una rottura nella storia di lungo periodo del mondo occidentale, il quale si era basato sulla modernità industriale per vendere al resto del mondo i suoi prodotti esclusivi e per favorire, con il ricavato, una ininterrotta crescita dei salari e dei servizi sociali. Avvenuta la rottura, tornare indietro non è possibile.

E’ una costante storica che la disoccupazione abbassa i salari. Siccome gli Stati industriali erogano i servizi in forza delle imposte pagate dai lavoratori subalterni, è inevitabile che disoccupazione e salari bassi portino come conseguenza a una riduzione consistentissima dei servizi resi dallo Stato. In ordine cronologico, a essere sacrificati saranno le pensioni, la sanità, la scuola, il pubblico impiego. Alla fine ci sarà il rincrudimento delle leggi penali e di polizia, onde salvaguardare l’ordine pubblico con una spesa minore.

In una situazione del tipo ipotizzato, quanto interesse avrà il sistema capitalistico padano a tenere il Sud nel suo Stato? Poco, molto poco, e quel poco è fatto di droga. Industria pochissima, agricoltura certamente meno. Anche a ipotizzare che l’Italia rimanga una meta turistica, non è difficile immaginare che quel poco di turisti diretti al Sud sarà intercettato più di quanto non avviene oggi, con ogni espediente dai luoghi turistici capitalisticamente più forti.

E quale e quanto interesse avrà la formazione sociale Suditalia a rimanere nello Stato italiano, ove venisse in essere l’ipotetico quadro di cui sopra? In astratto poco, quasi niente. Nella pratica molto di più, perché in tutte evenienze storiche entrano in ballo le tendenze di lungo periodo.

Le popolazioni meridionali non sono così imbelli come la storia unitaria contrabbanda. Ricordiamoci che Carlo III sconfisse gli Austriaci che rivolevano Napoli, che Fabrizio Ruffo batté l’armata francese nel momento delle sua massima gloria e che i contadini resistettero alla successiva calata francese di cinque anni dopo, contrastando i governi di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat così vivacemente che nessuno dei due riuscì mai a governare tutte le province del Regno. Ricordiamoci anche che i nipoti di coloro che avevano combattuto i francesi tennero in scacco per interi anni, nonostante la legge marziale, le armate sabaude forti di 120 mila uomini. Nel primo caso, la forza coagulante della resistenza fu la Chiesa, nel secondo la fedeltà al re legittimo e il bisogno di rimanere se stessi, liberi e indipendenti dal padrone straniero (più che forestiero).

Oggi quale potrebbe essere la morale capace di coagulare una forza indipendentista? Una negazione del presente sta emergendo chiaramente, ed è la sfiducia nello Stato italiano che coinvolge una larga parte della popolazione (salvo i settori della grande distribuzione che godono del Carnevale tremontista e berluschista). Ma non è facile trasformare la sfiducia in azione politica. La sfiducia porta a Caporetto e allo sbandamento dell’esercito nel luglio 1943. Costruire un progetto richiede decenni. Per riportare alla lotta il mondo contadino dopo la batosta della guerra al brigantaggio e l’emigrazione, ci vollero due guerre mondiali e un programma politico, in quel momento, esaltante: la lotta per la terra elaborata dal Partito comunista nei due decenni d’intervallo tra la Rivoluzione russa (1917) e la caduta del fascismo.

Tanto per dirne una, la teoria (tedesca) del pieno impiego della forza lavoro potrebbe soddisfare larghissime aspettative, ma incontrerebbe la fiera opposizione di coloro che ancora immaginano che un salario risparmiato sia un guadagno, ciò in un mondo in cui, se il costo della manodopera esce dalla porta, dalla finestra rientrano sicuramente i sussidi alla disoccupazione.

Frodo Baggins

Inesattezze ed inutili esaltazioni nazionalistiche nella voce, da correggere

Si richiama la vostra attenzione sulla frase, della voce “Risorgimento”, sottoriportata, che secondo me non è per nulla enciclopedica in quanto equivoca ed incompleta, inoltre perché contiene delle non verità..

Prima del periodo napoleonico, l'ideale di unità d'Italia era stato perso dopo la fine dell'Impero Romano ed il frazionamento seguito nel periodo feudale e rinascimentale.

Non è enciclopedica perché l’ideale è qualcosa di soggettivo che non necessariamente è condiviso oggettivamente da tutti, pertanto sarebbe corretto specificare chi lo condividiva e chi no ed eventualmente anche le rispettive ragioni.

È equivoca perché lascia intendere che questo ideale sia stato e sia comune a tutti. Andrebbe specificato anche che nell’attualità molti non condividono per nulla questo ideale.

La non verità è che prima del periodo Napoleonico non è mai esistito un diffuso ideale unitario ne tanto meno è mai esistita in precedenza una unità nazionale italiana.

Confondere la romanità con l’italianità è un abbaglio e presentare l’italianità e la romanità come se coincidessero è un falso storico.

L’impero romano non è mai stato la mitica nazione italiana del passato, lo spirito e l’ideale dell’impero romano era universale e non nazionale, infatti la sua storia incomincia in un punto della penisola italica e si espande in tre continenti, estendendo la sua cittadinanza in quai tutti i territori e a quasi tutte le sue genti senza limitarsi alla penisola italica. La romanità era sovranazionale o multinazionale, proprio l’opposto dì ciò che si intende oggi e si intendeva ieri con italianità e nazione italiana. Lo spirito universalista, alla caduta dell’impero d’occidente è passato a quello d’oriente poi al sacro romano impero e alla Chiesa Cattolica Romana e oggi ripreso in parte dall’europeismo finalizzato all’unità continentale dell’Europa..

Il frazionamento nazionale non c’è mai stato, perché mai vi era stata prima una unità nazionale, semplicemente alla caduta dell’impero romano d’occidente è venuta meno l’organizzazione statale imperiale in tutto l'impero romano d'occidente ch’è altra cosa dalla nazione.

Se fosse esistito un nazionalismo italico in epoca romana, come nella voce ipotizzato, non vi sarebbe stato l’espansionismo romano nei tre continenti.

In proposito così scrisse Eugenio Alberi nel 1860: “La dominazione romana, la quale soltanto dopo sette secoli d'incessanti e spietate guerre giunse a comprendere l'Italia intera, con opera piú lunga e faticosa che non le abbisognasse per soggiogar l'universo, non intese, nè conseguì di costituire la nazione italiana. È anzi degno d'essere notato com'è la prepotenza invadente dei Romani desse luogo alla prima federazione italica, che sulla fine del settimo secolo di Roma mise la città eterna in procinto di perire sotto lo sforzo delle provincie collegate a rivendicazione della propria autonomia, e come in quella gran lotta campeggiasse il nome d'Italica dato a Corfinio città del Sannio eletta a capitale dei federati, e nel nome d'Italia si combattesse quella lunga guerra, dove, se non la potenza, la libertà romana perì per sempre. Roma, per la quale, come altrove abbiamo detto, ogni conquista fu non un fine ma un mezzo per passar oltre, e dominare dai sette colli sull'universo, tratta dalla missione provvidenziale, che S. Agostino, Dante e Bossuet le riconoscono, e fuor della quale tutta l'opera romana sarebbe inesplicabile, di apparecchiar cioè l'antico mondo occidentale a ricevere la dottrina e il seggio del cristianesimo; Roma, dico, domò le italiche provincie, non le fuse tra di loro e con sè, e in tanto le contenne avvinte al carro di sua fortuna quanto durò in sua mano il freno dell'universo. “L'Imperio di Roma (dice pure lo stesso Balbo) non fu mai italico se non contemporaneamente universale”; e l'unità fattizia della Penisola scomparve non si tosto che quella universalità venne meno.” Tratto dal materiale in libera diffusione nel sito Raixevenete, (libri da scargare: L’idea federalista nel Veneto di Ettore Beggiato).

Si ricorda a tutti che per gran parte dei popoli della penisola italica, il Regno Sabaudo era straniero tanto quanto, l’Austria e la Francia.

È piú che necessario e oltremodo doveroso che la voce sia svolta contenendo tutti i dati possibili su questa realtà chiamata Risorgimento onde non si perpetui la retorica dell’inganno ai nostri figli e alle generazioni che verranno.

Vanno elencati per bene tutti i morti (campi di concentramento e sterminio delle genti meridionali comprese), le sofferenze immani e l’immiserimento diffuso che le guerre di quel periodo infausto chiamato tragicomicamente “risorgimento”, hanno provocato ai popoli della penisola italica, causando l’esodo biblico delle sue genti.

Solo così si rende giustizia alla storia e si realizza il punto di vista neutrale di Wikipedia.

Si prega di modificare le inesattezze e le esaltazioni nazionalistiche della voce.--Paolo Sarpi II 17:44, 4 mar 2006 (CET)Rispondi

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