Discussione:Operette morali
Il testo va completamente riscritto e sto raccogliendo materiale fotografico. Vorrei iniziare con un'analisi delle edizioni per arrivare all'approfondimento dei testi sulla base dei diversi progetti editoriali. La lettura incrociata dello Zibaldone, delle lettere e dei Pensieri, ci darà un quadro abbastanza completo della filosofia leopardiana. Per il momento penso di analizzare ogni singola operetta (comprese le prosette satiriche anche se bisogna inserire una nota importante sull'argomento, perché non tutta la critica è d'accordo nel considerarle attinenti al quadro d'insieme) all'interno della voce: se dovesse appesantirsi valuteremo nuove pagine. Xavier121 13:29, 20 set 2007 (CEST)
Voci correlate
Per LucaLuca, non capisco la rimozione dei Luoghi nelle voci correlate: sarebbe più trasparente, in questa discussione, inserire almeno le motivazioni delle proprie scelte. Per quanto mi riguarda i luoghi suddetti, sono importanti per capire la genesi delle operette, ovvero le esperienze del Leopardi maturate fino a quel momento e la storia delle edizioni! Xavier121 10:17, 15 nov 2007 (CET)
Ai collaboratori della voce
Cari appassionati, prima di inserire qualcosa vi prego di leggere bene la voce. Grazie per l'attenzione, Xavier121 (msg) 11:41, 11 mar 2008 (CET)
Stessi contenuti ma espressi in modo differente: valutare bene il recupero (Approfondire la nota sul Petrarca!!!)
La satira: ironia e riso
Le Operette si inseriscono in una fase della riflessione filosofica leopardiana che copre gli anni tra il 1819 e il 1823: in questo periodo, Leopardi si converte al materialismo e ad una concezione puramente atea della vita. Lo stile dunque, come la poetica in generale, risente di questa svolta, tanto da spingere Leopardi ad abbandonare provvisoriamente la poesia per scrivere opere in prosa: le Operette morali. Questa scelta non è dunque casuale, ma legata ad una fase in cui Leopardi si trova da un lato la vecchia concezione pessimistica e dall'altra l'ingresso in una fase di disimpegno e distacco civile. L'ironia, strumento della satira, diviene unico mezzo per mantenere un distacco dalla realtà e allo stesso tempo trovare in questo distacco un nuovo equilibrio, mettendo in luce i fallimenti della società e del progresso.
Riprendendo quindi il genere satirico, Leopardi riproduce anche la varietà stilistica e la contaminazione dei generi: si ha dunque all'interno dei vari dialoghi una varianza di registri, che vanno dal livello alto-lirico, fino al basso-colloquiale di alcuni. Ciò però non porta l'opera ad una disorganicità stilistica, ma bensì ad una ricchezza e una varietà espressiva, il cui precedente fu solo, secondo alcuni studiosi, Petrarca. Questa varietà porta Leopardi a distaccarsi sia dal romanticismo italiano, sia dal classicismo: se da una parte Leopardi utilizza un linguaggio medio e chiaro, dall'altra si distacca da una lingua dell'uso, tipica di Manzoni; al purismo dei classicisti, poi, contrappone la varietà di registri linguistici.
Una funzione predominante nelle Operette è quella dell'ironia e della sua capacità di far sorridere il lettore. La presenza di una volontà di distruggere i costumi del tempo, consegue anche una volontà, anche se implicita, di proporre un nuovo modello di vita: l'ironia diventa quindi un forte strumento per ciò. L'ironia implica infatti un rifiuto dell'oggetto di derisione ma anche una proposta di un modello diverso: ciò permette quindi a Leopardi di ironizzare dei comportamenti umani contemporanei ma allo stesso tempo mantenere una finalità morale nell'opera. L'ironia serve poi anche a far sorridere il lettore davanti alla condizione umana, ai limiti di questa e cercare in qualche modo di alleviare il dolore provocato da una simile realtà. Secondo Leopardi infatti il riso è uno dei pochi mezzi con cui l'uomo può accrescere la propria vitalità. Xavier121 (msg) 19:23, 14 mar 2008 (CET)
Singole Operette
Ho raccolto materiale per ogni operetta. Si possono fare voci singole, ma una presenza minima va mantenuta sempre nella voce principale. Il testo nascosto è da controlare e formattare: buona parte andrà inserito nella voce singola, ma per adesso può aiutarci a completare l'analisi schematica. Xavier121 (msg) 20:09, 14 mar 2008 (CET)
Natura e Islandese
Contributo originale di un utente anonimo, dal contenuto dubbio:
Alla richiesta di chiarirle il motivo della fuga, l'Islandese inizia a spiegarle che prima era insofferente per i cattivi rapporti con gli altri uomini, che andavano cercando piaceri e beni che però non facevano altro che allontanare la felicità; e di come, anche una volta scelti solitudine e povertà, non fosse stato capace di trovare la tranquillità, o perlomeno l'assenza di sofferenza, a causa del clima insostenibile. I disagi che sempre lo accompagnavano venivano infatti principalmente dalle terre e dai climi: caldo, umidità e malattie in un luogo; freddo, neve e tempeste in un altro; terremoti, vulcani e belve in un altro ancora. Il suo viaggiare lo ha portato alla convinzione che l'uomo non potrà mai vivere senza fastidio, e che dunque il patimento è inevitabile quanto il godere di beni e pace è irraggiungibile. L'Islandese conclude il suo lungo discorso accusando la Natura di essere nemica degli uomini, degli animali e delle sue opere; di maltrattare quindi i suoi stessi figli. La Natura, impassibile, risponde sostenendo che l'uomo s'inganna se pensa che il mondo sia stato fatto per la specie umana. Si chiama fuori dalla felicità o dall'infelicità dell'uomo, obiettando che la sua opera è casuale tanto che non si rende conto se quello che fa reca danno o beneficio alle creature terrestri, e che, se le capitasse di estinguere tutta la specie umana, non se ne accorgerebbe neanche. L'Islandese la paragona così a un uomo che costringe colui che ospita a stare in luoghi scomodi e pericolosi, vietandogli ogni comodità e addirittura schernendolo. Le chiede poi se è stato l'uomo stesso a pregarla di essere messo nell'universo o se per caso ci si è messo da solo contro la sua voglia. Ma ritenendo più plausibile che sia stata lei con le sue mani a collocare l'uomo nel mondo, l'Islandese le domanda perché, anche senza allietare l'uomo, non potrebbe almeno impedirgli di soffrire. La Natura dichiara a questo punto di operare seguendo un ciclo perpetuo di produzione e distruzione dell'universo, e che il mondo si dissolverebbe se una delle due cose, collegate tra loro, cessasse. Se infatti la Terra fosse libera dal patimento, ne risulterebbe un danno per se stessa. L'Islandese, infine, fa appena in tempo a chiedere a chi possa mai giovare tale vita fatta di dolore e distruzione, che muore per ragioni sconosciute: chi dice divorato da due magri e affamati leoni, chi dice seppellito da un'improvvisa tempesta di sabbia.»
Appunti per il vaglio
- Collegamenti Zibaldone su Wikisource
- Collegamenti altre opere Wikisource
- Incipit
- Leggerezza apparente
- Due nuove immagini
- Voci autori correlati da inserire su Wikipedia
- Snellimento del testo generale