Seconda battaglia dell'Isonzo

battaglia della prima guerra mondiale

Template:Battaglia La Seconda battaglia dell'Isonzo fu combattuta dal 18 luglio al 3 agosto 1915 tra gli eserciti italiano e austriaco.

Dopo il fallimento dell'attacco di due settimane prima, Luigi Cadorna, comandante in capo delle forze italiane, decise una nuova spinta sulle linee nemiche con un più nutrito supporto di armi pesanti e da tiro indiretto.

La tattica del generale era semplice quanto spietata: dopo uno sbarramento di artiglieria, gli italiani dovevano avanzare frontalmente, in massa, verso le ben difese trincee austriache ed espugnare le posizioni, dopo aver superato i reticolati. L'endemica mancanza di materiali, però – dai fucili, alle munizioni per i cannoni, alle cesoie per tagliare il filo spinato austriaco –, rese praticamente nullo il vantaggio del numero, ancora superiore per gli italiani rispetto al nemico, che pur si dimostrava capace di riassorbire le 45.000 perdite della battaglia in corso. Una tattica siffatta mostrava ancora più il proprio lato inumano, viste le notizie che venivano dal Fronte Occidentale dove la sua applicazione non aveva dato altro frutto che inutili massacri.

Se sulle teste di ponte vicino Plezzo e Tolmino le schermaglie furono relativamente di basso livello, ma costanti tanto da superare le date ufficiali della Seconda battaglia, sul Carso – in particolare sul Krn – si sviluppò una estenuante serie di combattimenti corpo-a-corpo che coinvolsero la Seconda e la Terza Armata italiane, con perdite altissime da ambo le parti. La XX Divisione ungherese di fanteria fu messa in rotta, avendo perso due terzi degli effettivi, parte in seguito agli attacchi e parte in seguito alle difficoltà di un terreno che, in quota, non offriva alcuna sicurezza.

Fu in questo periodo che il Carso cominciò a guadagnarsi la sinistra fama che lo avrebbe accompagnato nei decenni a venire, dapprima per le battaglie e in seguito per la tragedia delle foibe (vedi).

Il 25 luglio, gli Italiani occuparono il Monte San Michele, un'altura poco aspra che però dominava un'area vastissima. Gli austriaci, al comando del colonnello Richter, inviarono una selezione di reggimenti scelti in un disperato contrattacco che non sortì alcun effetto, se non uno studiato suicidio.

La battaglia si spense da sola, quando entrambi gli schieramenti rimasero a corto di munizioni sia per le armi leggere che per l'artiglieria. Le perdite totali delle tre settimane di scontri si aggirarono attorno ai 105.000 uomini, di cui 60.000 italiani e 45.000 austro-ungarici.