Monaldo Leopardi

conte di San Leopardo, filosofo e politico italiano

Monaldo Leopardi (Recanati, 16 agosto 1776Recanati, 30 aprile 1847) è stato un filosofo e letterato italiano, padre di Giacomo Leopardi.

Monaldo Leopardi

Vita e opere

Figlio primogenito del conte Giacomo e della marchesa Virginia Mosca, rimase a 4 anni orfano del padre e crebbe con la madre, gli zii paterni rimasti celibi e i fratelli. Educato in casa dal precettore Giuseppe Torres (1744-1821), padre gesuita fuggito dalla Spagna a seguito della cacciata dell'ordine dal Regno, ricevette una formazione improntata agli ideali reazionari, cui rimase fedele per il resto della sua vita.

Dopo un primo progetto di nozze andato a monte, sposò nel 1797 la marchesa Adelaide Antici (1778-1857), sua lontana parente. Il matrimonio fu un matrimonio d'amore strenuamente osteggiato dalla famiglia di Monaldo, in base ad antiche dispute tra casati e per questioni economiche (mancanza di una dote adeguata), che per manifestare la propria contrarietà non partecipò al matrimonio, che venne infatti celebrato nella sala detta "galleria" di Palazzo Antici a Recanati. Frutto di questa unione tra opposti caratteri furono numerosi figli: di questi, raggiunsero l'età adulta Giacomo (1798-1837), Carlo (1799-1878), Paolina (1800-1869), Luigi (1804-1828) e Pierfrancesco (1813-1851).[1]

A causa della gestione poco oculata (dovuta alla sua indole solidaristica, agli sperperi dei parenti ed all'invasione giacobina), l'amministrazione dei beni di famiglia passò nelle mani della moglie, donna energica e severa; Monaldo poté così dedicarsi totalmente alla sua passione, gli studi e le lettere (durante tutta la vita si occupò attivamente di politica solo in modo estemporaneo ma con ottimi risultati nella veste di amministratore pubblico di Recanati che ebbe molti vantaggi dalla sua amministrazione). Tra i suoi molti meriti vi è aver grandemente contribuito alla formazione del nucleo fondamentale (circa 20.000 volumi) della biblioteca di famiglia dei Leopardi, nella quale il giovane Giacomo passò i suoi anni di "studio matto e disperatissimo" e che Monaldo mise a disposizione dell'intera cittadinanza recanatese a partire dal 1810, come ricorda la lapide apposta nella così detta "prima stanza".

L'opera più famosa di Monaldo Leopardi sono i Dialoghetti sulle materie correnti nell'anno 1831, usciti nel gennaio 1832 con lo pseudonimo di "1150", MCL in cifre romane, ovvero le iniziali di "Monaldo Conte Leopardi". Ebbero immediatamente un grande successo, ben sei edizioni in cinque mesi, e vennero tradotti in più lingue. Lo stesso Giacomo, da Roma, ne informa il padre in una lettera dell'8 marzo:

«I Dialoghetti, di cui la ringrazio di cuore, continuano qui ad essere ricercatissimi. Io non ne ho più in proprietà se non una copia, la quale però non so quando mi tornerà in mano.»

Per umiltà lasciò i molti guadagni (era un autore molto letto nelle corti europee) allo stampatore, il Nobili. È probabile che con quest'opera Monaldo volesse contrapporsi alle Operette morali del figlio, che giudicava negativamente e contrarie alla fede cristiana. In essi, infatti, esprimeva gli ideali della reazione (o anche controrivoluzione). Tra le tesi sostenute, la necessità della restituzione della città di Avignone al papato e del ducato di Parma ai Borbone, la critica a Luigi XVIII di Francia per la concessione della costituzione (che violerebbe il sacro principio dell'autorità dei re che "non viene dai popoli, ma viene adirittura da Dio"), la proposta della suddivisione del territorio francese fra Inghilterra, Spagna, Austria, Russia, Olanda, Baviera e Piemonte, la difesa dell'oppressione turca sul popolo greco, in quegli anni impegnato nella lotta per l'indipendenza.

Risalgono sempre al 1832 altre opere di satira politica come il Viaggio di Pulcinella e le Prediche recitate al popolo liberale da don Muso Duro, curato nel paese della Verità e nella contrada della Poca Pazienza: Leopardi era infatti ottimo satirico e disseminava le sue opere di scherzi letterari. Inoltre Monaldo fu autore di ricerche erudite, ammonimenti ai sudditi del papa e articoli sulle riviste (da lui fondate e gestite con il Principe di Canos) La Voce della Verità di Modena e La Voce della Ragione di Pesaro, che diresse dal 1832 al 1835, tuttavia quest'ultima testata venne soppressa d'autorità nel 1835.

Rimasero inediti, invece, i suoi Annali recanatesi dalle origini della città all'anno 1800 e la sua Autobiografia, scritta nel 1824 e pubblicata solo postuma nel 1883: in quest'ultima la prosa di Monaldo si arricchisce di leggerezza, ironia ed umorismo.

Negli ultimi anni di vita fino alla sua morte nel 1847, Monaldo visse appartato (non amava allontanarsi da Recanati: la sua più lunga assenza dalla casa paterna consistette in 2 mesi passati a Roma tra il dicembre 1801 e il gennaio 1802), deluso dalle caute aperture liberali del governo pontificio e degli esordi del regno di papa Pio IX.

Prescindendo dalla profonda utilità della sua opera per la comprensione di principi cardine della reazione (per es., magistrale la sua demolizione dell'ugualitarismo nel "Catechismo sulle rivoluzioni") a Monaldo va riconosciuto di aver introdotto in Recanati il siero vaccinico di Edward Jenner, insegnando personalmente la vaccinazione, di aver sostenuto la necessità dell'adozione di tecniche agricole più moderne, di bonifiche, della costruzione di nuove strade; sostenne anche un progetto per l'istituzione di un'università nella sua città natale.

Rapporto con il figlio

Nonostante la vulgata dica il contrario, il rapporto con il figlio illustre appare buono: senz'altro nei primi anni Monaldo dovette essere orgoglioso della precocità del ragazzo, e nelle opere giovanili di Giacomo, ad esempio il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815), si avverte ancora l'influenza delle idee del padre. Ben presto, però, i loro spiriti presero strade diametralmente opposte: la crescente autonomia di pensiero di Giacomo preoccupava Monaldo.

La lettura del carteggio fra i due rivela una relazione affettuosa, soprattutto negli ultimi anni. La lettera più sincera scritta da Giacomo al padre è quella che quest'ultimo non lesse mai: si tratta della missiva datata luglio 1819, quando il poeta progettava la fuga, e che non fu mai spedita, perché egli dovette rinunciare ai suoi piani.

«Mio Signor Padre... Per quanto Ella possa aver cattiva opinione di quei pochi talenti che il cielo mi ha conceduti, Ella non potrà negar fede intieramente a quanti uomini stimabili e famosi mi hanno conosciuto, ed hanno portato di me quel giudizio ch'Ella sa, e ch'io non debbo ripetere. [...] Era cosa mirabile come ognuno che avesse avuto anche momentanea cognizione di me, immancabilmente si maravigliasse ch'io vivessi tuttavia in questa città, e com'Ella sola fra tutti, fosse di contraria opinione, e persistesse in quella irremovibilmente.
[...] Io so che la felicità dell'uomo consiste nell'esser contento, e però più facilmente potrò esser felice mendicando, che in mezzo a quanti agi corporali possa godere in questo luogo. Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d'ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero.»

Nel 1825, finalmente, Giacomo lascia Recanati, per farvi ritorno solo saltuariamente. Da lontano, il padre assiste alla crescita della sua fama nel mondo intellettuale italiano, ma rimane lontano dal comprendere la grandezza del figlio: disapprova la pubblicazione delle Operette morali, scrivendogli in una lettera (perduta) le "cose che non andavano bene", suggerimenti che Giacomo, ipocritamente, promette nella risposta di prendere in considerazione.

Un incidente, nel 1832, legato alla pubblicazione dei Dialoghetti di Monaldo, è causa di attrito fra padre e figlio. Leopardi si trovava, in quel momento, a Firenze: nell'ambiente iniziò a circolare la voce che fosse lui l'autore dell'opera, espressione delle tesi reazionarie, cosa che egli fu costretto a smentire seccamente dal giornale Antologia di Giampiero Viesseux. Si sfogò poi per lettera con l'amico Giuseppe Melchiorri il 15 maggio:

«Non voglio più comparire con questa macchia sul viso. D'aver fatto quell'infame, infamissimo, scelleratissimo libro. Quasi tutti lo credono mio: perché Leopardi n'è l'autore, mio padre è sconosciutissimo, io sono conosciuto, dunque l'autore sono io. Fino il governo m'è divenuto poco amico per causa di quei sozzi, fanatici dialogacci. A Roma io non potevo più nominarmi o essere nominato in nessun luogo, che non sentissi dire: ah, l'autore dei dialoghetti

In toni decisamente molto più miti ne scrive poi a Monaldo stesso il 28:

«Nell'ultimo numero dell'Antologia... nel Diario di Roma, e forse in altri Giornali, Ella vedrà o avrà veduto una mia dichiarazione portante ch'io non sono l'autore dei Dialoghetti. Ella deve sapere che attesa l'identità del nome e della famiglia, e atteso l'esser io conosciuto personalmente da molti, il sapersi che quel libro è di Leopardi l'ha fatto assai generalmente attribuire a me. [...] E dappertutto si parla di questa mia che alcuni chiamano conversione, ed altri apostasia, ec. ec. Io ho esitato 4 mesi, e infine mi son deciso a parlare, per due ragioni. L'una, che mi è parso indegno l'usurpare in certo modo ciò ch'è dovuto ad altri, o massimamente a Lei. Non son io l'uomo che sopporti di farsi bello degli altrui meriti. [...] L'altra, ch'io non voglio né debbo soffrire di passare per convertito, né di essere assomigliato al Monti, ec. ec.
Io non sono stato mai né irreligioso, né rivoluzionario di fatto né di massime. Se i miei principii non sono precisamente quelli che si professano ne' Dialoghetti, e ch'io rispetto in Lei, ed in chiunque li professa in buona fede, non sono stati però mai tali, ch'io dovessi né debba né voglia disapprovarli.»

Monaldo sopravvisse al figlio di 10 anni. L'incompatibilità fra i due rimaneva ancora evidente nel 1845, otto anni dopo la morte di Giacomo; infatti, la sorella di lui, Paolina, così scriveva a Marianna Brighenti:

«Di Giacomo poi, della gloria nostra, abbiam dovuto tacere più che mai tutto quello che di lui veniva fatto di sapere, come di quello che non combinava punto col pensiero di papà e colle sue idee. Pertanto, non abbiamo fatto mai parola con lui delle nuove edizioni delle sue opere, e quando le abbiamo comprate le abbiamo tenute nascoste e le teniamo ancora, acciocché per cagion nostra non si rinnovi più acerbo il dolore.»

Su richiesta dell'ultimo amico di Leopardi, Antonio Ranieri, pochi giorni dopo la morte di Giacomo Monaldo gli spedì un Memoriale con cenni biografici sul figlio, con aneddoti e curiosità, in cui si avverte il dolore per la rottura fra i due e l'incapacità del padre di capire la direzione intrapresa dal figlio; il Memoriale si interrompe all'anno 1832: "Tutto ciò che riguarda il tratto successivo è più noto a Lei che a me", scrive infatti.

Nonostante ciò, Monaldo piangerà con dolore la perdita di Giacomo, al punto che quando redigerà il proprio testamento nel 1839, alla settima volontà scrisse:

«Voglio che ogni anno in perpetuo si facciano celebrare dieci messe nel giorno anniversario della mia morte, altre dieci il giorno 14 giugno in cui morì il mio diletto figlio Giacomo...»

Note

  1. ^ La famiglia Leopardi è protagonista del romanzo fantastico di Michele Mari Io venìa pien d'angoscia a rimirarti, del 1998.

Bibliografia

  • Giacomo Leopardi, Carissimo Signor Padre. Lettere a Monaldo, Osanna ed., 1997, ISBN 8881671875
  • Giacomo Leopardi, Il monarca delle Indie. Corrispondenza tra Giacomo e Monaldo Leopardi a cura di Graziella Pulce, introduzione di Giorgio Manganelli, Adelphi ed., 1988, ISBN 8845902730
  • Monaldo Leopardi. La giustizia nei contratti e l'usura. Modena, Soliani, 1834.
  • Monaldo Leopardi, Autobiografia, con un saggio di Giulio Cattaneo, Dell'Altana ed., 1997, ISBN 8886772041
  • Antonio Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, Mursia ed., 1995, ISBN 8842518107 (l'ultimo amico del poeta narra di un suo incontro con Monaldo mentre era di passaggio a Recanati, nel 1832)
  • Monaldo Leopardi, Catechismo filosofico e Catechismo sulle rivoluzioni, Fede&Cultura, 2006
  • Monaldo Leopardi, Dialoghetti sulle materie correnti nell'anno 1831 e Il viaggio di Pulcinella, in AA.VV., L'Europa giudicata da un reazionario. Un confronto sui Dialoghetti di Monaldo Leopardi, Diabasis, 2004

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