Raccuja

Raccuja è un comune di 1.389 abitanti della provincia di Messina distante 79 chilometri da Messina e 179 da Palermo.
Storia
Le prime presenze attestabili fanno riferimento ai Bizantini (VI- IX secolo d.C.), i quali fondarono il Monastero di San Nicolò del Fico, dell'Ordine di San Basilio, e un presidio militare sul luogo dell'attuale centro abitato. Nel 1091 vi passa il Conte Ruggero d'Altavilla, che rafforza il presidio ed elargisce fondi per l'ampliamento del Monastero basiliano, vessato da due secoli di dominazione araba. Nel 1271 il centro compare in un atto col nome di Raccudia. Nel 1296, dopo due secoli di dominio Regio, diventa feudo degli Orioles. Nel 1507 la baronia passa prima ai Valdina, poi ai La Rocca, che la reggono sino al 1552. Dal 1552 il feudo, innalzato a contea, è possedimento della famiglia Branciforti, importantissimo casato aristocratico che governa Raccuja sino al 1812, anno della caduta degli stati feudali in Sicilia. I Branciforti incrementarono la produzione della seta, tessuto pregiato che venne esportato in tutta l'isola, e sotto il loro dominio fiorirono le arti figurative, artistiche e culturali: i monasteri si arricchirono di ogni bene, il paese fu dotato di nuove strade e imponenti palazzi. L'egemonia della contea raggiunse l'apice quando, a metà del XVII, il conte di Raccuja fondò il paese di Bagheria, appellandolo col nome di "Raccuja Nuova", come riferisce l'Amico: in quell'occasione molte genti del borgo si trasferirono nella novella città, diffondendo nel palermitano il cognome "Raccuia". In periodo risorgimentale in paese si formò un importante ceto di aristocratici e proprietari terrieri che comprarono le terre dei Branciforti e, dopo il 1866 (anno della chiusura dei conventi e dell'incameramento dei loro beni da parte del nuovo stato italiano), si spartirono gli immensi possedimenti ecclesiastici.
Ambiente
L'abitato si erge alle pendici di monte Castegnerazza, immerso in un agro coltivato in prevalenza a noccioleto e oliveto, ma che ad altitudini maggiori cangia in boschi di conifere e impervie balze rocciose. Il comune abbraccia, infatti, un variegato territorio, che dalla bassa collina (c.a. 450 m s.l.m.), sale sino ai rilievi nebroidei, per toccare quota 1395 m nella Serra di Baratta. Alla vista di chi perviene dagli alti monti, il paese sembra quasi "pendere" verso la fiumara, adagiato com'è secondo un asse longitudinale monte-fiume: per questo ha i connotati di un vero e proprio borgo, che dal castello normanno scende sino ai quartieri nobili e all'imponente chiesa madre.
Il borgo
L'assetto urbano si presenta articolato in strette viuzze, per quanto concerne i quartieri alti e bassi dell'abitato, in quanto di origine medievale, oltre che popolari. La porzione centrale, invece, oltre a costituire un ibrido architettonico, punteggiata com'è da chiese medievali, resti di torrioni normanni, insieme a sontuose dimore cinquecentesche e palazzi in stile neo-rinascimentale (XIX secolo), è attraversato da ampie seppur tortuose vie, e si apre spesso in piazze e slarghi, spesso in corrispondenza di chiese o sull'area degli antichi giardini nobiliari, ormai sostituiti da lastricati e piazze pubbliche. Da notare la spendida piazza XXV Aprile (a chiazza), circondata da imponenti palazzi del Seicento, che si fregia di una raffinata scalinata settecentesca, interamente in arenaria; inoltre, tra l'antico circolo dei nobili e la zona moderna della cittadina, si apre l'imponente slargo dell'antico piano di Sant'Antonio, odierna piazza del popolo (in dialetto Chianu Cafè), ritrovo della popolazione e luogo adibito a spettacoli e manifestazioni all'aperto.
Chiesa Madre
Grande edificio cinquecentesco a pianta basilicale, ha una facciata interamente scolpita in conci di pietra arenaria e scandita da lesene binate sormontate da capitelli corinzi. l'interno, ampio e diviso in tre navate da imponenti colonne corinzie, sormontate dal cosiddetto "dado brunelleschiano", conserva tre statue marmoree di fattura cinquecentesca, due monumenti sepolcrali del Seicento e una preziosa pala lignea, raffigurante la Madonna del Rosario.
Chiesa del Carmine
L'esterno è semplice e lineare. La facciata è abbellita da un austero portale in pietra arenaria, con sovrastante stemma dell'Ordine del Carmelo. All'interno, ad una navata, vi sono altari in marmo policromo del 1500 e due preziose statue lignee del Settecento: una Madonna nera del Tindari e il simulacro ligneo della Madonna del Carmelo, ricoperto di lamine d'oro.
Castello Branciforti
Il castello Branciforti si presenta agli occhi del visitatore come una splendida casa forte affiancata da due torri cilindriche (delle quali una crollata), disposto su due piani e svettante nella parte alta del paese, dove, tra le tante case medievali, è l’unica struttura e emergere dall’assetto urbano. Su antiche strutture romane, bizantine e arabe, difficilmente individuabili nell’impianto architettonico attuale, si istallò ad opera del Conte Ruggero d’Altavilla una possente costruzione di difesa, che aveva il compito, con i castelli di Naso e Ficarra e gli insediamenti di Ucria, Martini e Sinagra, di controllare la valle del Mastropotamo e costituire un solido avamposto armato che si addentrava nelle inaccessibili plaghe boschive dei Mondi Nebrodi. La costruzione normanna inglobò in sè le edificazioni preesistenti, quali il piano terra della torre supersite e le mura dove più tardi si istallò la scala nobile, e si compone delle seguenti parti:
1) un corpo centrale, di forma parallelepipeda, a due elevazioni;
2) il piano terra della torre supersite, che forse in periodo arabo fungeva da terme o da sala riunioni;
3) una piccola corte retrostante, nella zona dell’attuale pozzo, già presente in quell’epoca e forse di fattura romana (II-I secolo a.C.).
Successivamente ai Normanni furono gli Svevi ad ampliare la struttura, prolungando l’ala parallelepipeda e, probabilmente, sopraelevando la torre cilindrica tuttora esistente, in quanto la originaria costruzione a tholos (per come si evince dalla copertura a cupola aggettante che ancor si nota nel piano terra della torre) fu rialzata e innalzata di un piano, per come appare al giorno d’oggi.
Ancora con gli Svevi (XIII secolo), la struttura si presentava come un saldo fortilizio, nel quale era stanziato il governo della cittadina, che dipendeva direttamente dal re in quanto imperava, a quel tempo in Raccuja, il dominio regio.
È con gli Aragonesi, dopo le celebri vicende del Vespro Siciliano, che la struttura, da saldo fortilizio di difesa, viene trasformata in residenza baronale, mutamento che fra l’altro, corrisponde al passaggio della cittadina dal dominio regio alle mani di Berengario Orioles, al quale fu infeudata nel 1296. Essi, dunque, forano le mura perimetrali con finestroni squadrati e solenni, per dar luce alla stanze del piano superiore che avrebbero dovuto ospitare la famiglia baronale, rendono queste ultime più eleganti, con alti soffitti, raffinatissimi quando sobri camini in arenaria e, dunque, trasformano il semplice primo piano in piano nobile (ciò avvenne nel XIV secolo) . Il piano terra restò, però, inalterato, in quanto era destinato ancora alle milizie ed al rifornimento delle stesse, diviso com’era in diversi stanzoni, che non avevano ingressi sulla facciata, bensì erano collegati gli uni gli altri dall’interno: l’esterno della struttura, restava così imprendibile e inespugnabile, con solo un accesso dal lato superiore ( e nascosto) del castello.
Per tutto il secolo XV poche o nulle furono le modifiche subite dalla struttura, tanto al piano terra quanto al piano nobile, se si eccettua l’inserimento, ad un piano intermedio trai due, in una stanza dall’ingresso sul lato destro di chi guarda la facciata, di una cappella sobria e raccolta, che serviva per le preghiere private della famiglia nobile: l’inserimento di questa stanza ad un intermedio livello di costruzione e un espediente ingegneristico quanto artistico che dimostra la grande raffinatezza degli “ingegneri della fortezza” di quel periodo.
Ma gli interventi dei quali oggi rimane traccia più vistosa sono quelli brancifortei del XVI-XVII secolo e quelli del XIX secolo che videro mutata la residenza in carcere giudiziario.
Dal 1552 conti di Raccuja furono i Branciforti, i quali costruirono a valle la loro mirabile dimora per tutto l’arco dei secoli XVII e XVIII, ma che modificarono e adattarono al loro prestigio la struttura castellana che conservava ancora un aspetto vetusto e medievale:
1) abbellirono la cappella del XV secolo, risistemandola e mantenendola però sobria e raccolta;
2) realizzarono o ripresero la grande sala di rappresentanza al piano nobile, che forse fu edificata già dai vecchi baroni, ma che fu ingentilita e resa “colossale” per dare l’idea della propria ricchezza e del proprio prestigio: realizzarono una vasta sala dotata di quattro finestroni, amplissima e sviluppata in senso orizzontale per chi la ammira dall’ingresso; la ricoprirono con un mirabile soffitto a lunette sorretto da peducci in arenaria scolpiti a motivi floreali; istallarono al suo interno due grandi camini che riscaldavano l’ambiente in maniera mirabile.
3) Sbarrarono il vecchio ingresso baronale, istallato su un antichissimo arco a tutto sesto di fattura romano-classica e aprirono una elegantissima entrata al centro della grande sala di rappresentanza, trai due grandi camini: il portone si compone di due grandi piedritti finemente lavorati, di un architrave fregiato a motivi floreali e geometrici e di un grande stemma marmoreo inserito in una ampia scultura quadrangolare a bassorilievo in arenaria: lo stemma romboidale dei Branciforti è fiancheggiato da due lesene corinzie che sorreggono una elegante mensola fregiata di fiori e festoni; sotto lo stemma, a separarlo dall’architrave, sta una elegante quanto semplice trabeazione.
4) Edificarono la grande area di corte, ampliando quella già esistente nell’area del pozzo, e realizzarono l’ingresso al grande cortile, del quale oggi restano pochi ruderi.
L’ultimo, grande intervento, risale alla metà del XIX secolo, quando la struttura, passata allo stato dopo la caduta degli stati feudali e poi all’Italia con l’unità del 1860, venne trasformata in carcere e alterata in molte sue parti:
1) Vennero aperti diversi e sgradevoli ingressi al piano terra, sullo slargo antistante, per rendere il carcere meglio fruibile e rompere dell’isolamento quelle stanze al pian terreno che erano aperte solo verso l’interno per essere meglio difendibili e più al riparo: solo una porta, infatti, dava sul piano antistante ed è la più vicina alla torre, nel mirino della micidiale pietra da balestriere, che falciava chiunque si fosse avvicinato ivi.
2) Le due torri vennero trasformate in alloggi per i carcerati ed alterate in alcune sue strutture interne.
3) Il piano superiore, invece, non subì grandi modifiche, se si eccettua la spregiudicata divisione della grande sala di rappresentanza, che venne separata in due stanzoni da una parete, per ricavarne due locali distinti e utilizzabili in diverso modo.
Dagli anni ’60 del Novecento la struttura cadde, però, in un pessimo stato di abbandono, che la vide spoglia di molti fregi architettonici, privata della torre destra che rovinò insieme alla parte destra del maniero (con parte di quel che restava della sala di rappresentanza, della quale scomparve la volta) e vessata dalle ingiurie del tempo e degli uomini; se si pensa che sembrò meglio abbatterla per creare al suo posto strutture comunali si deduce lo stato di vessazione e abbandono che per lungo tempo interessò l’edificio. L’obliato fasto dei secoli passati tornò, però, alla mente dei raccujesi quando, negli anni Novanta, un restauro a cura della Soprintendenza alle Belle Arti della Sicilia Orientale ne rimise in sesto le precarissime strutture: molti errori sono stati commessi durante i lavori di ripristino, alcuni ammessi, come il mantenimento della parete che separò la sala di rappresentanza nel XIX secolo, altri imperdonabili, come l’occultamento della cappella quattro-cinquecentesca della stanza mediana o gli intonaci che hanno occultato le pareti in pietra ad opus incertum, che testimoniavano le varie fasi di costruzione del maniero. Il restauro, che ha poi interessato nei primi anni 2000 l’area di corte, gli arredi interni e l’attigua chiesa del convento del Carmine, ha però avuto il grande merito di riprendere nelle sue parti essenziali il complesso monumentale e di ridare luce ad un bene storico di così grande valore per la storia di Raccuja, che stava irrimediabilmente tramontando dalle menti dei raccujesi, prima che dalla natura dei luoghi.
Monastero di San Nicolò del Fico
È il più antico edificio della cittadina, risalente al periodo bizantino e ricostruito in epoca normanna grazie ad una munificenza del Conte Ruggero d'Altavilla. La chiesa, ad una navata, è all'interno impreziosita da un arco trionfale in arenaria abbellito con motivi floreali, e conserva una preziosissima tela raffigurante il martirio e l'apoteosi di San Basilio Magno, da qualcuno attribuito a Giuseppe Tomasi ma, probabilmente, di ignoto.
Chiesa di San Pietro
Ha un'origine medievale ed è stata costruita attorno l'antica torre araba, che funge ora da campanile. L'interno, diviso in due navate da un pregiato colonnato, conserva un prezioso altare ligneo del XVII secolo.
== Le Tholos e la Trazzera Regia ==
Nelle propaggini occidentali dei monti Nebrodi, in particolare nell'area dei comuni di Floresta, Ucria e, soprattutto, Raccuja, sono presenti un insieme di strutture architettoniche rurali di modeste dimensioni ed estremamente semplici: le cosiddette Thòlos ("Pagliari" in dialetto locale). Sono strutture circolari in blocchi di pietra arenaria fissati a secco, senza cioè l'uso di malta, che si elevano da terra per circa 2 metri e che terminano con una mirabile copertura a pseudo-cupola, con blocchi aggettanti, che si reggono e sostengono a vicenda. All'interno vi è un unico vano, circolare anch'esso, al quale si accede da un accesso ricavato nella struttura perimetrale, sovrastato da un architrave e, negli edifici più recenti, fiancheggiato da stipiti.
Le origini di tali strutture sono incerte: alcuni asseriscono che siano di derivazione micenea e che risalgano ai primi anni della colonizzazione greca in Sicilia (VIII-VII secolo a.C.). In tal caso le tholos avrebbero dovuto fungere da necropoli funeraria (come le più famose strutture micenee del Peloponneso, luogo di sepoltura dei re e della classe nobiliare). Di sicuro c'è solo che tali edifici, a partire dal secolo XVII-XVIII divennero rifugio per i pastori dei luoghi, pertanto furono restaurati e ricostruiti per sopperire a funzioni di ricovero, anche del bestiame.
Esse sono disseminate in tutto l'agro raccujese, e insieme agli antichi sentieri rurali caratterizzano il paesaggio montano.
Tra le varie trazzere, da segnalare è l'importante ed antichissima Trazzera Regia, la Capo Calavà-Randazzo, della quale rimane il tracciato che va da Fondachello a monte Cucuzza (antico Monte La Fico, dal nome del monastero di San Nicolò, sito ai suoi piedi): essa si inerpica poi verso la dorsale dei monti Nebrodi, toccando le caratteristiche rocce della Pedata Mula e gli ameni boschi della Nocera e della Grilla.
Tradizioni e festività civili e religiose
Le diverse dominazioni che si sono avvicendate nei secoli hanno lasciato nella cultura e nella tradizione dei luoghi segni indelebili, di arte e folklore. Le feste religiose sono il centro delle manifestazioni annuali, ma sono attorniate e assistite da eventi ludici dal carattere culturale o ricreativo.
La festa patronale, che si svolge il 21 settembre di ogni anno, vede la devozione alla Madonna Annunziata manifestarsi ormai da tanti secoli: una settina di preparazione si alterna ora in momenti di mera e devota preghiera, ora, invece, in canti mariani locali. Il 18 settembre il pesante simulacro marmoreo della Madonna Annunziata viene prelevato dall'altare e posto sul suo carro trionfale attraverso una macchina lignea, che permette la discesa stabile e sicura della statua. Ma è il giorno 21 che si concentrano le celebrazioni e gli eventi maggiori: il pontificale delle ore 11 raduna l'intera comunità in chiesa madre, mentre nel pomeriggio si svolge la silenziosa processione, che si snoda per le vie del paese e che vede il simulacro ricoperto del manto d'oro benedire la popolazione. Alle ritualità religiose fanno, però, da contorno anche manifestazioni laiche, che si svolgono la sera in piazza del Popolo.
Altre feste religiose da segnalare sono quella dei SS. Cosma e Damiano, la terza domenica di ottobre, in cui è la "Fiera" al centro delle manifestazioni laiche, la processione dell'Immacolata concezione e la caratteristica processione della Madonna Odigitria. E' quest'ultima un'antichissima usanza, di derivazione bizantina ma con riferimenti al culto del dio Bacco, di ascendenza greco-sicula: il martedì dopo Pasqua il simulcro della Madonna "Guida del Cammino" viene condotto presso un'altura vicino al borgo, il Colle dell'Itria appunto, nel quale una comunità di religiosi abitava sino al XIX secolo, e vi si trovava una chiesetta di origini bizantine. Dopo la benedizione dei campi, viene consumato un pasto a base di prodotti tipici del tempo pasquale, le cosiddette "collure", diffuse in tutta la Sicilia, e le "nuvolette", dolci a base di uova e zucchero, tipica ricetta del paese.
Alle feste religiose fanno da contorno le feste laiche e civili: il I maggio, festa del Lavoratore, nella quale in passato la massa operaia sfilava numerosa per le vie del paese seguendo il percorso inverso a quello delle processioni religiose, e l'Estate Raccujese, che si svolge nei mesi di luglio, agosto e settembre, con rassegne teatrali, raduni bandistici, sagre tipiche (famosa è quella dei Maccheroni, il 13 agosto) e convegni culturali.
Prodotti tipici
Alle feste religiose, alla produzione agricola delle stagioni, a varie usanze intime e familiari è legata la peculiare produzione culinaria dei luoghi, celebre per la genuinità e la qualità dei suoi prodotti. Dalle coltivazioni delle campagne derivano prodotti naturali quali nocciole, la cui raccolta è in settembre, uva, specialmente la qualità "fragola", che serve per la produzione di vino locale, olive, dalle quali stilla pregiato olio extravergine, grano, coltivato sugli altopiani più elevati, funghi, raccolti negli ampi boschi, sui monti più elevati, oltre ai prodotti agricoli, sia fruttiferi che ortolani, i quali adornano tutto l'anno le tavole della gente paesana.
E' tipica, invece, delle festività pasquali, sia la produzione delle "collure", tipica invero di quasi tutti i paesi di Sicilia, sia delle caratteristiche nuvolette, dolci a base d'uovo e farina, dal tipico colore bianco della pasta, che gli ha guadagnano l'appellativo di "nuvola", appunto, insieme alle succulente spume (meringhe), preparate nello stesso periodo. Altri dolci, più comuni, sono a base di nocciole, mandorle, castagne e dei vari prodotti reperibili in loco.
In inverno diffusa è la produzione di salame, derivante dalla carne di maiale, di pancetta, prosciutti e insaccati vari, di produzione familiare.
Tipica tutto l'anno è, invece, la preparazione dei "famosi" maccheroni, pasta all'uovo dalla forma filiforme, condita con il caratteristico sugo di maiale (sutta e supra), che ha, però, la sua acme durante le festività carnevalizie e la festa patronale, nel mese di settembre. Questa pasta è anche celebrata da una importante sagra estiva, che annualmente si tiene nel mese di agosto nel centro cittadino.
Personaggi importanti
- Rinaldo Bonanno(1545 - 1590) - Scultore e architetto raccujese, nacque nel 1545 e morì a Messina nel 1590. Apprezzato artista, fu autore di numerose statue lignee e marmoree, che si ritrovano maggiormente nelle chiese di Sicilia e Calabria meridionale: fu grande rappresentante del gusto rinascimentale, ancora legato all'impostazione tardo gotica, che si esprime nei ricchi panneggi delle figure; riesce a plasmare, però, anche delle figure corpulente, che risentono, nella muscolatura, dei moderni studi di anatomia condotti nel periodo: è il caso del mirabile San Sebastiano, ospitato nella chiesa madre di Raccuja, che esprime nella sua tensione muscolare il dolore e gli spasmi provocati dal martirio;il volto è però come estasiato, partecipe del dolore del corpo ma volto essenzialmente allo spirito, con tutta la fede nel Creatore e la consapevolezza della Salvezza. E', inoltre, un eclettico architetto, autore, tra l'altro, della facciata della chiesa Madre di Alì Superiore (1584), alla cui impostazione scenografica si rifà anche la chiesa Madre di Raccuja.
- Nicolò Serpetro, XVII secolo - Filosofo della natura, nacque nel 1606 e morì a Rocca Florida nel 1664, forse avvelenato. Le cause del presunto assassinio vanno ricercate nella volgare invidia che alcuni intellettuali del tempo nutrivano per Serpetro, in quanto fu nominato "la Fenice degli ingegni": era, infatti, in grado di ricordare parola per parola le opere classiche dei più grandi scrittori latini e italiani; riusciva a dettare quattro lettere diverse ad altrettanti amanuenzi contemporaneamente, senza perdere il filo logico degli argomenti dettati. Ma il filosofo divenne famoso nel mondo della cultura con l'opera "Il Mercato delle Maraviglie", in cui espone numerosissimi segreti della Natura, verso la quale lo sospingeva un afflato di passione, in un coinvolgimento dal sapore dionisiaco. A causa di quest'opera il Serpetro fu accusato di eresia e pratiche di magia occulta dal Tribunale della Santa Inquisizione di Palermo, dal quale fu condannato al carcere. Scrisse, inoltre, altri lavori, tra i quali figurano le "Osservazioni Politiche e Morali sulla vita di Marco Bruto", traduzione di un'omonima opera spagnola. Come agli afferma nel suo "Mercato", fu discepolo del grande Tommaso Campanella: pertanto si può a buon diritto inserire in quella parentesi Naturalistica che, da Telesio a Campanella, passando per il famoso Giordano Bruno, coinvolse gli intellettuali del Meridione d'Italia nell'ultima fase della filosofia Rinascimentale.
Amministrazione comunale
Evoluzione demografica
Abitanti censiti[1]

Bibliografia
- Amico V., Lexicon Topographicum Siculum, 1859
- Argeri G., Brevissima sintesi della storia di Raccuja, Cassa Rurale ed Artigiana, 1981
- Astone N., Raccuja, documenti e immagini, 1983
- Celona G., Storia dei Nebrodi 1986
- Dollo C., Modelli scientifici e filosofici nella Sicilia Spagnola
- De Maria G., Le origini del Valdemone nella Sicilia bizantina, 2006
- Fasolo M., Alla ricerca di Focerò, 2008
- Fazello T., Storia di Sicilia, riveduta e corretta da Remigio Fiorentino, 1830
- Pitrè G., Feste Patronali in Sicilia1900
- Pirri R., Sicilia Sacra, 1644
- Spadaro M., I Nebrodi nel mito e nella storia, 1992
- ^ Dati tratti da:
- Popolazione residente dei comuni. Censimenti dal 1861 al 1991 (PDF), su ebiblio.istat.it, ISTAT.
- Popolazione residente per territorio – serie storica, su esploradati.censimentopopolazione.istat.it.
Nota bene: il dato del 2021 si riferisce al dato del censimento permanente al 31 dicembre di quell'anno.