Paolina Leopardi

nobildonna, scrittrice e traduttrice italiana, sorella di Giacomo Leopardi
Versione del 4 ott 2009 alle 17:57 di BotSimo82 (discussione | contributi) (Bot: fix parametro "DimImmagine" del Template:Bio)

Paolina Leopardi (Recanati, 5 ottobre 1800Pisa, 13 marzo 1869) fu la sorella di Giacomo Leopardi.

Paolina Leopardi

Biografia

Paolina Leopardi fu la terzogenita - dopo Giacomo e Carlo - e unica figlia femmina dei dieci figli di Monaldo e Adelaide Antici. Fu battezzata nella chiesa recanatese di Santa Maria Morello con i nomi di Paolina, Francesca Saveria, Placida, Bilancina e Adelaide. Nacque settimina, secondo quanto ella stessa scrisse,[1] perché la madre, «gravida di sette mesi, cadde dalle scale, ed io mi affrettai tosto di uscire fuori per godere di questo bel mondo, di cui ora mi affretterei di uscire, se potessi».

Era «piccola e gracile, aveva capelli bruni e corti, occhi di un azzurro incerto, viso olivastro e rotondetto: era brutta, ma di una gentilezza, di una bontà, che potean farla parere graziosa a chi la conoscesse intimamente».[2] In presenza di estranei, parlava pochissimo, dando loro un'impressione di scarsa cordialità, ma era in realtà molto timida e «aveva vissuto troppo lontano dalla società per sapervi stare con disinvoltura: ma nelle circostanze in cui vide sé oggetto di delicate ed amorevoli attenzioni, la sua gratitudine fu profonda e durevole. Non era prodiga della sua amicizia; quando però l'aveva concessa, era fida e sicura».[3]

Compagna di giochi dei fratelli maggiori, fu da loro soprannominata Don Paolo perché, essendo sempre vestita di nero e portando i capelli corti, le veniva affidato il personaggio del parroco. Adulta, collaborò col padre nella redazione delle riviste La Voce della Ragione e La Voce della Verità: stava a lei l'incarico di recensire e tradurre articoli dei giornali francesi.[4]

Come era allora d'abitudine, i genitori si posero presto il problema di accasare la figlia, valutando anche le spese necessarie al suo matrimonio. Ne era ben informato anche Giacomo, che il 5 gennaio 1819 scriveva all'amico Pietro Giordani che i genitori avrebbero a lei riservata una dote non superiore alle 40.000 lire - cifra per altro rispettabile - e non avrebbero sollevato obiezioni contro un marito di casato non nobile, purché di «civiltà competente».[5] La notizia del primo fidanzamento e del previsto matrimonio fu però data da Giacomo al Giordani solo due anni dopo, il 13 luglio 1821: «La mia Paolina questo gennaio sarà sposa in una città dell'Urbinate, non grande, non bella, ma con persona comoda, liberissima ed umana».[6]

In vista del matrimonio con tale Andrea Peroli, di Sant'Angelo in Vado, già vedovo con un figlio di un anno, Giacomo compose la canzone Nelle nozze della sorella Paolina che è in realtà, come costume retorico del tempo, un pretesto per celebrare le presunte virtù di un passato vivo solo nei libri di storia. Lo ammette indirettamente lo stesso poeta, dando al Giordani il 1º febbraio 1823 la notizia del fallimento del progetto matrimoniale: «Paolina non fu più sposa. Voleva, e ciò (lo confesso) per consiglio mio e di Carlo, fare un matrimonio alla moda, cioè d'interesse, pigliando quel signore ch'era bruttissimo e di niuno spirito, ma di natura pieghevolissimo e stimato ricco. S'è poi veduto che quest'ultima qualità gli era male attribuita, e il trattato, ch'era già conchiuso, è stato rotto».[7]

Paolina cercava nel matrimonio principalmente il mezzo per allontanarsi da casa Leopardi, come testimoniano le sue lettere: «[...] il paese dove vivo io è casa Leopardi; e voi sapete meglio di me come vi si vive. In somma io sono disperata [...]».[8]

La possibilità di un nuovo accordo matrimoniale capitò dopo poche settimane: il fratello Carlo conobbe un tal Ranieri (o Raniero) Roccetti, bel giovane elegante, colto e di buone maniere, e lo propose come possibile fidanzato a Paolina, alla quale piaceva molto, anche se ne temeva la fama di libertino e forse si sentiva anche, al suo cospetto, priva di lusinghe: e infatti il Roccetti scelse già il mese dopo un altro partito, una vedova benestante, «giovane però, e bella».[9] Quel giovane restò a lungo nel cuore di Paolina: «Io ho amato un giovane signore marchigiano» - scriverà quasi dieci anni dopo[10] - «di nome Ranieri [...] l'ho amato tu non puoi immaginare con quale ardore; io era sua sposa, perché tutto era combinato [...] ed egli era quale lo avevo desiderato nei miei sogni».

Sfumato subito un altro pretendente, tale Osvaldo Carradori, sembra per l'opposizione dei genitori di Paolina, ancora in quel 1823 fu la volta del cavalier Luigi Marini, direttore generale del catasto di Roma, circa cinquantenne, vedovo con figli già adulti di una moglie «zoppa e brutta», da lui amata «svisceratamente».[11] Accertate le qualità morali ed economiche del Marini, come al solito non si chiese nemmeno a Paolina di conoscerlo, ma la ragazza era prontissima al matrimonio, «incantata» all'idea di andare a vivere a Roma e non vedendo l'ora di allontanarsi da Recanati: «Giacomuccio mio, fino a che vi è in me una ombra di speranza di poter conchiudere con questo, non voglio sentir parlare di altri [...] aspetto le vostre lettere con un palpito terribile. Se sapeste quanto piango!».[12]

In luglio fu tutto finito, perché il Marini concluse un contratto di matrimonio con una vedova, certa marchesa Barbara Clarelli, e per Paolina si riprospettò la possibilità del matrimonio con quell'Andrea Peroli, che sembrava essere svanita all'inizio dell'anno, ma le trattative si trascinarono invano per tre anni, anche perché i Leopardi avevano difficoltà a racimolare una dote che potesse convincere il Peroli.

 
Paolina Leopardi

Così passarono, insieme con i pretendenti, anche gli anni e Paolina continuò la sua vita di clausura domestica:[13] non a caso tradusse dal francese un libro come la Expédition nocturne autour de ma chambre di Xavier de Maistre e la sua traduzione le fu pubblicata nel 1832 da un editore di Pesaro. Unico sfogo, mentre si diradava la corrispondenza con Giacomo, erano le lettere che scambiava, dal 1829, con le sorelle Marianna e Anna Brighenti: «Fra gli altri motivi che hanno renduto così triste la mia vita e che hanno disseccato in me le sorgenti dell'allegrezza e della vivacità, uno è il vivere in Recanati, soggiorno abominevole ed odiosissimo; un altro poi è l'avere in Mamà una persona ultrarigorista[14] [...] Io voglio ridere e piangere insieme: amare e disperarmi, ma amare sempre, ed essere amata egualmente, salire al terzo cielo, poi precipitare[15] [...] Mi pare di esser divenuta un cadavere, e che mi rimanga solo l'anima, anch'essa mezza morta, perché priva di sensazioni di qualunque sorta[16]».

Sempre a Recanati la raggiunse la notizia della morte di Giacomo; dieci anni dopo, nel 1847, morì il padre - sul quale scrisse una memoria, Monaldo Leopardi e i suoi figli - e nel 1857 la madre Adelaide. Fu una rivoluzione per la vita di Paolina: smessi gli abiti neri, partì da Recanati per Ancona, poi a Grottammare: nel 1863 fu a Firenze, l'anno dopo visitò l'Emilia e conobbe finalmente di persona, a Modena, le sorelle Brighenti. Non c'è anno in cui non viaggiasse nelle più diverse città italiane: nel 1867 rese omaggio alla tomba del fratello, a Napoli, e l'anno dopo si stabilì in un albergo di Pisa, la città più amata da Giacomo, dove ne ripercorse i luoghi e vi conobbe un'amica di lui, Teresa Lucignani.

Da Pisa si spostava ogni tanto nella vicina Firenze. Nel febbraio del 1869 tornò a Pisa con la febbre: si parlò di bronchite e fu forse una pleurite dalla quale non si riprese. Morì alle due di notte del 13 marzo, assistita dalla cognata Teresa: i suoi resti, riportati a Recanati, sono nella chiesa di Santa Maria di Varano.

Note

  1. ^ All'amica Marianna Brighenti nel settembre 1831
  2. ^ E. Boghen-Conigliani, La donna nella vita e nelle opere di Giacomo Leopardi, Firenze 1898, p. 62-63
  3. ^ T. Teja Leopardi, Note biografiche sopra Leopardi e la sua famiglia, in A. Panajia, Teresa Teja Leopardi. Storia di una 'scomoda' presenza nella famiglia del poeta, Pisa, 2002
  4. ^ M. Leopardi, Memorie della «Voce della Ragione», Roma, 1886
  5. ^ G. Leopardi, Epistolario, Torino 1998, p. 230
  6. ^ G. Leopardi, cit., p. 514
  7. ^ G. Leopardi, cit., p. 644
  8. ^ Lettera di Paolina a Giacomo, 13 gennaio 1823
  9. ^ Lettera di Carlo a Giacomo, 19 marzo 1823
  10. ^ Lettera di Paolina ad Anna Brighenti, 14 aprile 1832
  11. ^ Le espressioni sono di Giacomo Leopardi, nella lettera a Carlo del 2 aprile 1823
  12. ^ Lettera di Paolina a Giacomo, 14 aprile 1823
  13. ^ «Essa visse fino a pochi anni addietro chiusa in una stanza schiava delle antiche abitudini e di sua madre che la trattava come una ragazzina»: lettera di Giovanni Dalla Vecchia, cappellano di Paolina, del 31 marzo 1869, in E. Teja Leopardi, Note biografiche sopra Leopardi e la sua famiglia, p. 17
  14. ^ Lettera del 26 maggio 1830
  15. ^ Lettera del 13 luglio 1831
  16. ^ Lettera del 22 luglio 1831

Bibliografia

  • Monaldo Leopardi, Memorie della «Voce della Ragione», Roma, Pallotta, 1886
  • Paolina Leopardi, Lettere a Marianna ed Anna Brighenti, Parma, Barrei, 1887
  • Emma Boghen-Conigliani, La donna nella vita e nelle opere di Giacomo Leopardi, Firenze, Barbera, 1898
  • Giacomo Leopardi, Epistolario, Torino, Bollati Boringhieri, 1998
  • Alessandro Panajia, Teresa Teja Leopardi. Storia di una 'scomoda' presenza nella famiglia del poeta, Pisa, ETS, 2002
  • Paolina Leopardi, Io voglio il biancospino. Lettere 1829-1869, Milano, Rosellina Archinto, 2003
  Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie