Qualità della vita

Anno Qualità della Vita (Sole 24 Ore) Qualità della Vita (Italia Oggi) Rapporto Ecosistema Urbano (Legambiente)
2004 73° (- 17) ° (+ ) ° (+ )
2005 59° (+ 14) ° (- ) ° (- )
2006 42° (+ 17) ° (- ) ° (+ )
2007 48° (- 6) ° (+ ) °
2008 60° (- 12) ° (- ) 61° (+ )Errore nelle note: </ref> di chiusura mancante per il marcatore <ref> A testimonianza di quanto questo settore sia tuttora importantissimo, i dati[1] parlano di 1786 aziende [2] nel territorio della provincia che producono soprattutto mais (47% della superficie agricola utile[2]) e foraggi (24% della SAU[2]).

Per quanto riguarda il territorio comunale, sono attive invece 84 aziende[3] e la superficie agricola utile è costituita da 2130 ettari[3], dei quali il 48% coltivati a mais[3]. Sono presenti inoltre 5495 capi bovini[3] e 23362 capi suini[3].

Anche per questi motivi, Lodi è la sede dell'Istituto Sperimentale per le Colture Foraggere[4][5], retto dal 1948 al 1976 dall'illustre agronomo Giovanni Haussmann[6][7]..

Per garantire e promuovere le eccellenze del settore, oltre che tutelare il benessere degli animali, dell’ambiente e la salute dei consumatori, nel 2004 è stato fondato il comitato del marchio "Lodigiano Terra Buona"[8].

Industria

Le prime industrie nate a Lodi erano legate alla trasformazione dei prodotti del settore primario: il Lanificio Varesi (1868)[9], la Polenghi Lombardo che è stata la prima industria in Italia a trattare a ciclo completo il latte (1870)[9], le Officine Sordi che costruivano macchine per il settore lattiero-caseario (1881)[9], il Linificio e Canapificio (1909)[9]. Tra le altre industrie presenti in città, particolarmente sviluppato era il settore meccanico; c'erano ad esempio le Officine Meccaniche Lodigiane (1908)[9], le Officine Meccaniche Folli-Gay (1922)[9], le Officine Curioni Spa (1925)[9] e le Officine Elettromeccaniche Adda (1926)[9]. Quest'ultime negli anni ottanta sono state acquistate dalla multinazionale ABB[10] che nel 1994 ha le ha trasformate nel suo centro mondiale per la costruzione di trasformatori, di interruttori per l'alta tensione e di sottostazioni elettriche[10]; attualmente sono occupati circa 270 dipendenti[10].

Nel 1945 si cominciò ad estrarre il gas metano dai pozzi della vicina Caviaga e a sperimentarne le applicazioni nel locale centro studi dell'AGIP. Secondo alcuni, il cane a sei zampe, logo della compagnia, sarebbe ispirato al fantastico drago Tarantasio che avrebbe infestato il lago Gerundo: quando fu scoperto il metano in quelle zone, infatti, si immaginò che l'animale, un tempo guardiano delle paludi e poi scomparso sotto terra dopo la loro bonifica, fosse riapparso in forma di gas[11]. Lodi fu la prima città in Italia a servirsi del metano per usi domestici e industriali[12].

Sempre nell'ambito dell'industria petrolchimica, dal 1963[13] ha sede a Lodi la Viscolube che si occupa di riciclo di oli lubrificanti usati, attraverso un processo di ri-raffinazione. Nel 2007 il fatturato è stato di 100 milioni di euro e l'azienda ha impiegato 170 dipendenti.[14]

Al giorno d'oggi le industrie più sviluppate sono quella casearia (si ricorda ad esempio la produzione del grana padano "Bella di Lodi")[15] e quella artigianale, in particolare nei settori della ceramica ("Vecchia Lodi")[16] e della cosmesi ("L'Erbolario")[17].

Servizi

Tra le più importanti imprese che operano nel settore dei servizi c'è Zucchetti, che opera nell'ambito di software e hardware a supporto di aziende; con 1800 addetti e oltre 60000 clienti, è uno dei leader italiani nel settore[18].

Lodi ha inoltre una notevole attività bancaria: la Banca Popolare di Lodi, fondata da Tiziano Zalli nel 1864, è stata la prima banca popolare sorta in Italia[19]. Attualmente fa parte del Gruppo Banco Popolare, terzo gruppo bancario in Italia, e il più grande tra quelli di matrice popolare[20]. Un altro istituto che si distingue nella provincia è il Credito Cooperativo Laudense.

Inoltre Lodi è stata una delle prime città ad essere cablata con la fibra ottica, inizialmente per la trasmissione di TV via cavo, poi per il progetto Socrate di Telecom Italia e infine per la trasmissione di dati[21].

Nell'ultimo secolo la città ha avuto una crescita notevole grazie agli scambi commerciali, alla rivisitazione del sistema di tangenziali, allo sviluppo di tecnologie per l'ambiente (grazie alla discreta quantità di rifiuti riciclati che i lodigiani producono[22] e alla tecnologia del teleriscaldamento[23]).

Turismo

Negli ultimi anni il turismo ha rappresentato un settore in forte espansione sul territorio[24]. Basti pensare che nel 2006 sono stati registrati 137000 arrivi[24], con un aumento del 116% rispetto a tre anni prima[24].

A partire dal 1999 Lodi è entrata a far parte del circuito di "città d'arte del bacino del Po".[25]

Oltre al turismo culturale (il Tempio Civico dell'Incoronata è uno dei capolavori del rinascimento lombardo),[26] particolarmente diffuso è il turismo naturalistico, grazie all'ottima rete ciclabile che dal capoluogo si diparte in tutto il territorio[27]. Il turismo enogastronomico si concentra soprattutto nei mesi di ottobre e novembre, durante i quali, a partire dal 1988, si svolge la Rassegna Gastronomica del Lodigiano[28].

Note

  1. ^ Relativi al quinto censimento generale dell'agricoltura dell'ottobre 2000
  2. ^ a b c Aziende agricole e superfici nella Provincia di Lodi (DOC), su agricoltura.provincia.lodi.it, Provincia di Lodi, agosto 2000. URL consultato il 29-09-2009.
  3. ^ a b c d e Aziende agricole e superfici nella Provincia di Lodi - Dati comune per comune (XLS), su agricoltura.provincia.lodi.it, Provincia di Lodi, agosto 2000. URL consultato il 29-09-2009.
  4. ^ Sito ufficiale, su isnp.it, Istituto Sperimentale per le Colture Foraggere. URL consultato il 29-09-2009.
  5. ^ Istituto Sperimentale per le Colture Foraggere, su politicheagricole.it, Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. URL consultato il 29-09-2009.
  6. ^ Ercole Ongaro, Persone, su altronovecento.quipo.it, Altronovecento. URL consultato il 29-09-2009.
  7. ^ Celebrazioni del centenario della nascita di Giovanni Haussmann, su comune.lodi.it, Comune di Lodi, 27-10-2006. URL consultato il 02-10-2009.
  8. ^ Sito ufficiale, su lodigianoterrabuona.it, Lodigiano Terra Buona. URL consultato il 29-09-2009.
  9. ^ a b c d e f g h Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore risorse provincia
  10. ^ a b c Diego Scotti, Lodi capitale degli interruttori con il nuovo stabilimento Abb, in Corriere della Sera, 25 novembre 2003, p. 52. URL consultato il 01-10-2009.
  11. ^ Diego Scotti, Dal drago Tarantasio al "cane" di Mattei, in Corriere della Sera, 30 giugno 2002. URL consultato il 20-09-2002.
  12. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore storiacomune
  13. ^ Sito ufficiale, su viscolube.it, Viscolube. URL consultato il 02-10-2009.
  14. ^ Christian Benna, Viscolube, l'olio riciclato va alla conquista dell'Europa, in La Repubblica, 10 dicembre 2007, p. 15. URL consultato il 02-10-2009.
  15. ^ Sito ufficiale, su tazzi.it, Angelo Tazzi & C.. URL consultato il 01-10-2009.
  16. ^ Ceramica artistica lodigiana "Vecchia Lodi", su turismo.provincia.lodi.it, Provincia di Lodi. URL consultato il 28-08-2009.
  17. ^ Come eravamo, su erbolario.it, L'Erbolario di Lodi. URL consultato il 28-08-2009.
  18. ^ Profilo del gruppo, su zucchetti.it, Zucchetti. URL consultato il 01-10-2009.
  19. ^ Profilo e cenni storici, su poplodi.it, Banca Popolare di Lodi. URL consultato il 14-04-2009.
  20. ^ Le 10 cose da sapere sulla nascita del Banco Popolarei, su bpv.it, Banca Popolare di Verona. URL consultato il 01-10-2009.
  21. ^ Diego Scotti, Lodi chiede i danni a Telecom: 15 miliardi, in Corriere della Sera, 03 marzo 2000. URL consultato il 20-09-2009.
  22. ^ Aumenta in Città la percentuale della raccolta differenziata, su comune.lodi.it, Comune di Lodi, 29-08-2008. URL consultato il 14-04-2009.
  23. ^ Teleriscaldamento Astem Energy, su astemlodi.it, Astem. URL consultato il 14-04-2009.
  24. ^ a b c La Provincia di Lodi torna alla BIT: dal 2003 al 2006 sono più che raddoppiati gli arrivi, il lodigiano piace sempre di più ai turisti (DOC), su 209.85.129.132, Provincia di Lodi, 20-02-2008. URL consultato il 29-09-2009.
  25. ^ Caterina Belloni, Lodi tra le "città d'arte" del bacino del Po, in Corriere della Sera, 14 febbraio 1999, p. 47. URL consultato il 02-10-2009.
  26. ^ Chiese, su turismo.provincia.lodi.it, Provincia di Lodi. URL consultato il 02-10-2009.
  27. ^ Itinerari in bicicletta, su turismo.provincia.lodi.it, Provincia di Lodi. URL consultato il 02-10-2009.
  28. ^ Rassegna Gastronomica del Lodigiano, su turismo.provincia.lodi.it, Provincia di Lodi. URL consultato il 29-09-2009.

Bibliografia

  • Ernesto Carinelli, Sandro De Palma; Giorgio Granati, Lodi Murata - Sistema difensivo e parti sotterranee, Il Pomerio, 2006, ISBN 887121448X.

Palazzo Pitoletti (Lodi)

PALAZZO MODIGNANI

E’ situato in Via XX Settembre a Lodi ed è stato costruito nel 1600 sul luogo in cui precedentemente sorgeva un altro edificio chiamato “Malcantone”. Il Palazzo Modignani è stato eretto da Michele e Piergiacomo Sartorio, anche se probabilmente fu iniziato dal loro padre Domenico. E’ il palazzo più importante di Lodi per le sue dimensioni. Esso è stato abitato fin da quando è stato costruito ed è ancora oggi abitato. All’ingresso si trova una lapide che reca incisi i nomi di illustri personaggi che vi sono stati ospitati; tra questi ricordiamo: Napoleone Bonaparte, Carlo Alberto di Savoia, Vittorio Emanuele II°, Francesco I° d’Austria. In questo palazzo è presente un cortile ampio ma strutturato semplicemente con alberi secolari. Intorno al cortile ci sono delle colonne tuscaniche binate, cioè colonne a due a due presenti anche in altri palazzi di Lodi, che sono un po’ la firma dei fratelli Sartorio. La splendida cancellata di ferro battuto è di Alessandro Mazzucotelli, lodigiano, uno dei grandi maestri dell’arte Liberty. Le sale del piano nobile sono riccamente affrescate. La facciata, molto austera, è a tre piani suddivisi da coppie di lesene (sottili pilastri decorati) che racchiudono una finestra ciascuna. Le finestre sono state costruite in stile barocco. Nella facciata si notano alcune anomalie: le finestre del terzo piano hanno decorazioni più ricche di quelle del piano nobile. Un’altra stranezza è la mancanza del portale d’onore che, sembra, non sia mai stato costruito, così come il balconcino della finestra che lo sovrasta. Sull’angolo esterno è presente un balcone.


Teatro Alle Vigne

L’antica chiesa di San Giovanni e Ognissanti alle Vigne (la denominazione oscillò parecchio lungo l’arco dei secoli) apparteneva all’ordine religioso degli Umiliati. Questo venne soppresso nel 1571 da Papa Pio V e nel 1604 l’area fu donata ai Barnabiti dietro raccomandazione del Vescovo di Lodi Ludovico Taverna. L’anno dopo Paolo V sanzionava il possesso. La vita della comunità religiosa si discosta dal modello monastico per assumere la fisionomia di un supporto di attività volte all’esterno: culto eucaristico, predicazione, catechesi, insegnamento scolastico. Da qui l’esigenza dei Barnabiti di mutare il monastero in "collegio" e la cappella in grande chiesa adatta ad accogliere numerosi fedeli per la predicazione e per il culto che la Controriforma voleva solenne e trionfale. Barnabiti e Gesuiti tennero viva nei loro collegi la tradizione scenica sotto varie forme, dando al recitare comunque inteso un forte rilievo pedagogico. I nuovi metodi pastorali e le nuove forme liturgiche determinarono dunque la scomparsa dell’antico tempio degli Umiliati. Al suo posto sorse, a partire dal 1618, il nuovo spazio per il culto, ritmato appunto secondo le esigenze della Controriforma: non più cioè diviso in navate, ma costituito essenzialmente da una grande aula e da un vasto presbitero ben visibile da tutti i punti dell'ambiente. Il progetto originale viene comunemente attribuito all’architetto barnabita Carlo Ambrogio Mazenta ( o Magenta, 1565-1635), molto noto soprattutto a Bologna. Dagli atti dell’Archivio Provincializio dei Barnabiti risulta che i conversi Giovanni della Torre e Domenico Pola da Montù vennero di volta in volta a sopraintendere ai lavori. Avevano assai probabilmente funzioni e abilità da capomastro. La costruzione fu dunque ideata e realizzata all’interno della Congregazione che ne avrebbe fatto sede delle proprie attività. Consacrata nel 1627, la chiesa era tutt’altro che completa. I lavori proseguirono fino al 1693, rimanendo incompiuta la facciata. Nel successivo periodo dell’amministrazione austriaca Lodi conosce una rifioritura paragonabile per proporzioni a quella del Rinascimento: la città si arricchisce di palazzi, di chiese e di porte monumentali nel nuovo stile tardo barocco ornato da splendidi ferri battuti. E’ il periodo d’oro della nostra ceramica. Si danno rappresentazioni teatrali, con autori e interpreti famosi, potenziate le scuole, aperta al pubblico la Libreria dei Filippini. In questo contesto riprendono i lavori a SAN Giovanni alle Vigne per rifare le volte, il pavimento, la sacrestia (1731-34). E’ di questo periodo la presenza a Lodi di un barnabita rampollo della grande nobiltà milanese: Salvatore Andreani. Dotto insegnante, oratore entusiasmante, organizzatore efficiente, l’Andreani diventa Preposito di SAN Giovanni alle Vigne. E profonde larghi mezzi per rendere la chiesa più maestosa, per dotarla tra l’altro di un concerto di campane (1752), di ricchi arredi e tappezzerie, per proseguire le opere murarie e di ornato ancora incomplete. Fu lui che non ebbe remore a usare la chiesa come teatro per una solenne Accademia, sia pure a sfondo religioso e con scopi morali. La cosa sollevò scalpore, tanto più che agli spettatori vennero offerti anche i sorbetti. Anche dopo l’Andreani i lavori proseguirono. E’ del 1794 la sistemazione delle nicchie fiancheggianti il portale. Ma siamo ormai in pieno clima di soppressioni giuseppine. I Barnabiti, cui era affidata l’istruzione medio-superiore a Lodi, resistettero alla Cisalpina e al regno d’Italia. Ma nel 1810 venne anche la loro volta. Ritorneranno a Lodi durante la Restaurazione, ma in altra sede. San Giovanni alle Vigne, depauperata dei suoi ornamenti, divenne deposito di granaglie e di altre derrate. Nel 1874 il Municipio l’adibì a palestra addossando alla parete di fondo un grande altorilievo in gesso, opera di Giuseppe Bianchi, raffigurante la Disfida di Barletta. La storia successiva altro non registra che il progressivo degrado dell’ex chiesa e degli edifici adiacenti.L’operazione iniziata dal Comune nel 1976 segna il recupero dell’aula ideata dal Mazenta e di tutto il complesso architettonico che le fa da naturale contorno. Il risultato sta sotto i nostri occhi. La struttura usata per la la liturgia è ancora lì tutta e ben visibile (salvo ciò che la storia ha inevitabilmente modificato). In essa è calata una nuova attrezzatura adatta all’esercizio delle arti sceniche: una scelta, certo, non la conclusione di un sillogismo. Ma proprio per questo l’avvenire dipende dall’uso che si farà di questo bene. La storia del Tempio di San Giovanni alle Vigne si è ormai conclusa da tempo, ora è conclusa anche l’infelice parentesi dei magazzini e della palestra.

Sezione ceramica

La collezione è costituita da reperti di scavo che risalgono al periodo fra il XV e il XVII secolo, provenienti da fabbriche lodigiane, pavesi e di altri centri del nord-Italia, e documenta l'evolversi della tecnica artistica dal XVII secolo al Novecento. Questa sezione nacque nel 1958 e si ampliò di molto nel 1975, grazie ad un cospicuo lascito. Tra le fabbriche di ceramica attive a Lodi già nei tempi più antichi, si ricorda la fabbrica Coppellotti, il cui fondatore fu Giovanni, attivo fino al 1687; a lui successe Antonio Maria, ricordato nel 1712. Nei caratteri della loro maiolica sin dai primi del '700 si ritrova il monocromo turchino, il decoro all'italiana con motivi di rovine e fiori, quello alla francese, il ricorso alla cineseria ed infine la cottura a gran fuoco; verso il 1735-40 fu introdotta nella produzione la policromia. La fabbrica Rossetti è legata al nome di Giorgio Giacinto attivo a Lodi dal 1729; quella Ferretti è diretta prima da Simpliciano, poi da Antonio, alla cui produzione si associa la definizione comune di maiolica "Vecchia Lodi". La produzione ottocentesca è dominata dalla fabbrica dei Dossena, che si caratterizza per gli smalti lucentissimi e indelebili e per un decoro eclettico e vario, spaziando dai piatti alle statuette, dai servizi da tavola alle giardiniere.

L'esposizione si articola lungo tre sale, il criterio espositivo è quello cronologico.

Nel primo ambiente segnaliamo tra i pezzi esposti: un “grande piatto tondo da parata”, splendido esempio della complessità inventiva raggiunta dai ceramisti lodigiani nell'interpretazione del decoro "alla Rouen"; probabilmente dipinto da Giorgio Giacinto Rossetti è databile 1730-'35 (n.9), così come i due grandi piatti a bordo sagomato e cordonato, magnifici esemplari per forma e decoro; dal punto di vista tecnico, notevole è la bellezza dello smalto bianco latteo, uniforme e vellutato (nn.39-40); una “fontana con coperchio e bacile”, che serviva come contenitore d'acqua per un rapido lavaggio delle mani. Su una base asimmetrica a fiamme (corolle di fiori), forata per l'inserimento del rubinetto, si eleva il corpo panciuto in basso e rastremato verso l'alto, percorso da due modanature verticali che continuano sul coperchio a cupoletta centinata, sulla cui sommità è seduta una figura orientale stupendamente modellata. Sul corpo, in monocromia turchina, è dipinto il Trionfo di Galatea, racchiuso in una cornice decorata sia da ornati rococò, lumeggiati in uno smagliante colore giallo dorato, sia da festoni di fiori in vivacissima policromia. Il coperchio è illustrato da due amorini in volo nell'atto di travasare dell'acqua. Il fondo bacile, reca dipinta, fra due ancelle, una figura femminile seminuda appena uscita dal bagno. Le forme nonostante inducano al gusto Rococò, corrispondono ad un impianto pittorico palesemente neoclassico (n.25); un “sontuoso vaso in maiolica”, a smalto bianco e decoro turchino, che muove da una base esigua e piatta per snodarsi, dopo un esile raccordo a rocchetto, in un ardito sviluppo a calice che culmina con larga fascia anulare e incorpora le due anse modellate a foglie d'acanto. Il coperchio, a terminazione cuspidata, arieggia gli slanci delle pagode orientali. L'impianto decorativo, mutuato dalle fabbriche francesi di Rouen e di Moustiers, compendia, associandoli, elementi vegetali e geometrici reinterpretati alla maniera di Lodi. Graticci a losanga mascherati da vasi simbolici, reggono profusi festoni fogliati e floreali, esaltati dal candore dello smalto scintillante. La stesura è giocata sulle gradazioni del blu; dal ceruleo al turchino cupo (n.340); ”otto ambrogette” di forma ovale con scene di significato allegorico ed una mitologica. Sono circondate da un rilievo modanato, che funge da vera e propria cornice, terminante in un fastigio asimmetrico a fiamma. Deliziose ed originali forme di transizione fra il Rococò e lo stile neoclassico, create dal Ferretti a scopo puramente decorativo (nn.20-21); un “grande piatto ottagonale” con la tesa liscia e con bordo delimitato da una cordonatura a rilievo, coperta da una decorazione geometrica floreale di derivazione francese (Rouen). Il cavo è occupato da una vertiginosa decorazione a volute, ad arabesco e conchiglie che fa da cornice ad un paesaggio con lago, castello e colline sullo sfondo. Sia la complessa interpretazione dei motivi d'oltralpe, sia il delicato paesaggio inseritovi, costituiscono un'originale invenzione "rossettiana" (n.243); una “targa rettangolare” a smalto bianco in monocromia turchina. Il decoro a grottesche "alla Rouen", si rifà al gusto delle manifatture francesi di Moustiers. Sorretta da due mostri alati, è raffigurata una scena di supplizio compiuta da Indiani Pellerossa; essa fa da centro ad un'animazione di figure sorrette da mensole precarie e da drappeggi (Lambrequins) calanti dall'alto. Lo scenario armonioso alterna in modo speculare: medaglioni con busti femminili, amorini in atteggiamenti disinibiti, sirene, mascheroni ed armigeri. Il tutto espresso in una sintesi esemplare d'equilibrio dinamico (n.16); una “targa” - firmata Paolo Milani e datata 1773 - con scena pastorale arcadica, probabilmente ispirata alle incisioni di Francesco Londonio. Delineata in monocromia ad oro fino su maiolica a smalto bianco, presenta effetti chiaroscurali ottenuti sfruttando le varie gradazioni dell'oro. A ben osservare, il capolavoro dà più l'impressione di una raffinata incisione, che di un dipinto su smalto. La minuziosità e il rigore descrittivo hanno pochi confronti nell'ambito vascolare (n.17); una “zuppiera con scaldavivande e coperchio”, decorata con fiori in monocromia verde smeraldo profilati in manganese, composta di tre elementi sovrapposti. La base, alquanto panciuta, presenta modanature verticali che partono dai quattro bassi piedi; il corpo mediano, con funzione di scaldavivande, è molto rastremato verso la bocca sulla quale appoggia il coperchio leggermente bombato (n.22); ”otto formelle ovali” con bordo in nero e oro. Create forse per essere inserite in un mobile, sono decorate con composizioni di fiori dipinti "al naturale" senza contorno. Le grandi varietà delle composizioni, testimoniano la straordinaria inventiva e la grande maestria degli illustratori operanti presso la fabbrica di A. Ferretti. La freschezza e la vivacità dei colori stesi in una gamma sorprendentemente ricca sugli smalti candidi e luminosi, conferiscono alle composizioni floreali un risalto prorompente, assolutamente inalterato dal tempo, essendo la maiolica immune da ossidazione o patina (nn.143-148).

Nelle ultime due sale sono esposti i pezzi relativi alla donazione Robiati. Tra questi, esemplare di eccezionale importanza, è un grande “centro tavola”. Su un basamento ovale fortemente sagomato, delineato all'esterno da un tondino dipinto a foglie e da un cordone a rilievo, che si interrompe ai quattro punti cardinali formando volute a riccioli contrapposti, si elevano quattro sostegni, formati da complessi ornati rococò, sui quali doveva appoggiare probabilmente un vassoio. Il decoro testimonia gli stretti rapporti con la cultura fittile d'oltralpe giacché compendia i dettami stilistici di Rouen e di Moustiers. Riporta l'indicazione: "A.M.C.(intrecciate) / Giuseppe Codazzuro modellatore / Luigi Morsenchio pitore feccero / nella fabricha Copelloti / 1743." Questa iscrizione ha permesso di assegnare con certezza il monogramma AMC alla fabbrica di Antonio Maria Coppellotti. Prima del suo ritrovamento, infatti, le maioliche contrassegnate da questa sigla erano attribuite a Milano o ad una fantomatica quanto inesistente fabbrica lodigiana del "Moro" (n.239).



Museo del Tesoro dell'Incoronata

Il Museo del Tesoro dell'Incoronata è stato allestito nel 1988 negli spazi sotterranei sottostanti la sacrestia del Tempio dell'Incoronata, l'atrio e la galleria destra di ingresso alla chiesa. Lo spazio espositivo è composto da tre locali di diverse dimensioni caratterizzati dal reciproco intersecarsi di volte a botte e a vela, archi, nicchie, strombature di finestre.

Durante i lavori di sistemazione degli ambienti sono stati messi in evidenza alcuni dei particolari architettonici esistenti per ricordare e sottolineare il carattere un tempo "domestico" dei locali utilizzati: un pozzo ancora funzionante, scivoli per lo scarico della legna dal piano stradale, nicchie e cunicoli di collegamento con la zona abitata sovrastante. Visibile è anche il muro di fondazione di uno dei lati dell'ottagono del tempio dell'Incoronata e, particolare interessante, è un pilastro in cotto con base e capitello sagomati sorreggente due archi semicircolari d'epoca medioevale. Dovrebbe trattarsi di un elemento delle vecchie case di via degli Humilini (l'attuale via dell'Incoronata), demolite nel 1478, per la costruzione del Tempio, e nel 1512, per l'edificazione del Monte di Pietà.

Le opere presentate hanno un carattere di rarità e di unicità che consiste nel determinare dal punto di vista formale un insieme di pezzi che, oltre a possedere i requisiti di un museo d'arte sacra, testimonia la raccolta di oggetti legati alle funzioni religiose di un importante santuario.

Alcune delle argenterie riportano marchi di bottega, tracce fondamentali per risalire al laboratorio dell'orefice e al luogo di produzione, come il caso di una pisside da viatico, del XVIII secolo, con il motivo della campana, marchio già noto nel Seicento; un calice settecentesco con la punzonatura della Croce di Malta; un ostensorio della fine del secolo XIX, eseguito dal celebre argentiere Luigi Caber, operante all'insegna del Cervo d'Oro; un turibolo seicentesco, con il simbolo del Leone Marciano, eseguito dal milanese Bernardo Longon. Non tutte le argenterie liturgiche soggiacevano alla prescrizione della bollatura, d'obbligo per le elaborazioni d'uso profano, come il prezioso calice milanese del XVII secolo e un raro ostensorio ambrosiano, successivamente trasformato in reliquiario.

Abbastanza vasto è il repertorio di oggetti liturgici d'uso complementare: reliquiari, candelieri, vasi portapalme, secchielli, ampolline, busti portareliquie; alcuni di questi anche se non eseguiti con materiali preziosi ne ricalcano la tecnica e la raffinatezza. Fra i corredi liturgici spiccano i molteplici paramenti con pianete, piviali, stole, manipoli, veli omerali e da calice, borse, tunicelle, e camici bordati da ricchi merletti databili ai secoli XVII e XVIII.

Un accenno particolare va riservato alla preziosa Pace tardocinquecentesca, frutto di una bottega di smaltatori milanesi (realizzata a smalto a pittura opaca su sfondo a traslucido e base di preparazione argentea senza "sinopia" ma a rigature parallele), conservata in un contenitore di cuoio, che reca inciso sul retro l'immagine di Cristo alla colonna e sul verso il pastorale con mitria vescovile, un animale rampante e l'iscrizione "Ama Dio". Degna di nota è inoltre, una sveglia d'appoggio, raffinato oggetto di tecnica orologiaia e di arte applicata, databile alla metà del Settecento, che fu eseguita da Antonio Kurtzweil, attivo a Vienna fra il 1746 e il 1763.

Museo di Scienze Naturali

Zuffe/Sandbox
 
Ubicazione
StatoNon hai inserito il nome/codice della nazione! Leggi il manuale del template che stai usando! (bandiera) Non hai inserito il nome/codice della nazione! Leggi il manuale del template che stai usando!
Indirizzovia San Francesco, 23, Lodi
Caratteristiche
Tiposcienze naturali

Il museo di scienze naturali del Collegio San Francesco di Lodi nacque nel 1850 come museo del Collegio di Santa Maria degli Angeli di Monza, diretto dai Barnabiti. Chiusa la scuola all'inizio nel 1884, gran parte del materiale passò al collegio lodigiano. La collezione si espanse ulteriormente grazie alla donazione del dottor Paolo Lanfossi che nel 1862, lasciò in eredità una raccolta di minerali, conchiglie, uccelli e duecento libri di scienze naturali. Nel 1996 l'apertura, prima riservata ai soli studenti del collegio, venne estesa a tutti.

Il museo è costituito da circa seimila unità, disposte su tre ali di un chiostro cinquecentesco, per una superficie coperta complessiva di circa trecento metri quadrati.

Criteri espositivi

Il museo è strutturato in cinque sezioni relative a mineralogia e petrografia, malacologia, ornitologia, zoologia e paleontologia. Le bacheche espositive e vetrine sono quelle originali ottocentesche.

La sezione di mineralogia e petrografia è costituita da circa duemila minerali, tra cui una grossa drusa di quarzo con geminati, proveniente dal traforo del Sempione, ametiste, quindici agate e una trentina di minerali fluorescenti (autuniti, aragoniti e calciti).

Sezione Malacologica

La sezione malacologica è formata da circa mille conchiglie di varie forme, dimensioni e provenienze, con alcuni importanti esemplari provenienti dal Mar dei Caraibi.

Sezione Ornitologica

La sezione ornitologica consiste in circa settecento uccelli imbalsamati, tra cui pappagalli, colibrì e un uccello lira. Tra quelli di grande dimensione vanno citati un albatro con apertura alare di 2,80 metri ed un'aquila di mare.

Esistono inoltre delle raccolte di nidi e di circa trentauova, tra cui quelle di struzzo e pellicano.

Sezione Zoologica

La sezione zoologica è rappresentata da circa cinquecento esemplari di fauna locale, italiana ed esotica, come un Anaconda del Sud America di cinque metri di lunghezza e un Pitone del Congo (Africa) di due metri e settanta centimetri. Si possono ammirare anche un Delfino del Mediterraneo di m. 1,50, alcuni coccodrilli, squali (tre) di m. 1,60 di lunghezza, un Pesce Luna o Palla lungo cm. 80 e largo 50, una Foca Monaca del Mediterraneo di due metri di lunghezza. Tra la fauna di grossa taglia vi si trovano: un Formichiere di m. 1,80 di lunghezza e di cm. 70 di altezza, un Orso bruno di m. 1,50 per 90 e un Leone lungo m. 1,90 e alto m. 1,20.


La sezione paleontologica è composta da circa ottocento fossili, che vanno dall’era archeozoica alla quaternaria tra cui: un’ Ammonite del periodo giurassico (150 milioni di anni) proveniente dalla Baviera (Germania Meridionale), Stromatoliti (due) e Trilobiti (sei), un pesce pietrificato (Cladocyclus gardneri) dell’era quaternaria di un metro di lunghezza, uno degli ultimi acquisti di Padre Pietro Erba (1922-2004), direttore del Museo per 40 anni e docente di Scienze Naturali nei plessi scolastici del Collegio San Francesco. Fanno parte inoltre di questa sezione: un’Araucaria dell’Arizona (USA, 150 milioni di anni), tracce della presenza dell’uomo primitivo costituite da un Cranio e una Mandibola di Elefante (Helephas primigenius) trovato nel fiume Lambro presso Livraga (Lodi), un Molare superiore di Helephas meridionalis del Pliocene rinvenuto nel piacentino, un altro Molare superiore di Helephas indicus, una Vertebra di Balena (Phiseter) e due Uova di Dinosauro (Saurofolo) provenienti dalla Mongolia (Asia centro orientale, 60 milioni di anni).

Altre raccolte

Il Museo include altresì una piccola sezione archeologica comprendente circa ottanta reperti di età romanica, rinvenuti in territorio lodigiano.

Di notevole valore scientifico sono le ricche raccolte di due erbari: l’Erbario lombardo-veneto risalente alla prima metà dell’Ottocento, che riunisce circa cinque mila esemplari di vegetazione delle due regioni, contenuti in oltre ottanta faldoni; l’Erbario crittogamico (= relativo ai vegetali con organi riproduttivi non palesi, ma supposti) italiano della seconda metà dell’Ottocento, che raccoglie circa mille e cinquecento erbe di tutta Italia, distribuite in circa trenta faldoni.

Ventagli di vivacissimi colori presenta la raccolta di cento cinquanta Farfalle.

Apprezzabile è la collezione in esposizione di circa duecento modelli in cera di Funghi, realizzati artigianalmente conformi agli originali, oggi di difficile reperibilità.

I reperti sono tutti catalogati e dotati di schede illustrative finalizzate a migliorarne la comprensione.

Museo diocesano d'arte sacra

Il museo diocesano è collocato nel centro storico della città, in un'ala del Palazzo Vescovile, edificio di pregio storico artistico, di origine medievale, ricostruito nel XVIII secolo, per volere del Vescovo Mezzabarba, su progetto dell'architetto Veneroni. E' stato istituito dal Vescovo Mons. Oggioni con decreto vescovile del 15 ottobre 1975 e inaugurato il 19 gennaio 1980 dal suo successore, Mons. Magnani. Custodisce preziosi oggetti liturgici, dipinti ed affreschi, tessuti, sculture, provenienti dalla Cattedrale e dal Vescovado ma anche da varie parrocchie del territorio lodigiano, testimonianza dell'Arte e della Fede cristiana.Tra questi, il museo diocesano vanta preziose opere di arte tessile e orafa rinascimentale facenti un tempo parte del tesoro della Cattedrale, detto "di S.Bassiano".

CRITERI ESPOSITIVI - ITINERARIO DI VISITA - museo diocesano

Al museo diocesano si accede salendo uno scalone al termine della navata laterale destra della Cattedrale. Si osservi, lo scalone scenografico e monumentale che conduce negli ambienti museali e che mette in comunicazione diretta la Cattedrale con la residenza vescovile. Alle pareti si possono osservare alcuni dipinti del XVII secolo, tra cui un'Annunciazione di Camillo Procaccini e due interessanti opere, ex ante di organo, di Ercole Procaccini il Giovane.

Nella ex cappella privata del Vescovo, ora adibita a spazio museale, si può ammirare la decorazione pittorica delle volte con motivi floreali e vegetali, stucchi dorati, e finte architetture, di gusto rococò. Tutt'intorno, in vetrine, sono collocati oggetti liturgici, in legno e metallo (tabernacoli, croci astili processionali, legature di messale, carteglorie, ferule, ecc.), che vanno dal XVI al XIX secolo, oltre ad abiti e paramenti liturgici del XVIII e XIX secolo. Inoltre, troviamo vari paliotti in tessuto, con splendidi ricami, dei secc. XVIII, XIX e XX.

Si prosegue poi nella sala I, dove sono esposti alcuni frammenti di epoca romana, un frammento di colonna miliare del IV sec. d.C. e un frammento di lapide commemorativa del I sec. d.C., rinvenuti nelle strutture della Cattedrale il secolo scorso. Interessante è anche un meccanismo di orologio del XVIII secolo e un frammento del pavimento del XII secolo della Cattedrale, realizzato in "cocciopesto".

Nella sala II vi sono testimonianze di scultura lignea della fine del XV secolo (un "Cristo deposto" di anonimo e il polittico dei fratelli Lupi), oltre a dipinti di Alberto Piazza, realizzati per la Cattedrale (parte del "polittico dell'Assunta", di cui sono esposti i due pannelli laterali del registro inferiore con "S.Sebastiano" e "S.Bassiano"), e affreschi attribuiti a Callisto Piazza.

Nella sala III, alle pareti, dipinti di anonimi artisti del XVII e XVIII secolo e, degne di nota, otto miniature provenienti dall'abbazia olivetana di Villanova del Sillaro, attribuite a Francesco Binasco, miniatore attivo alla corte sforzesca a Milano, tra la fine del XV e la prima metà del secolo successivo.

Entrando nella sala IV poi, si possono ammirare i capolavori del museo, della fine del XV secolo: il prezioso tabernacolo o ostensorio Pallavicino, in argento, coralli e smalti, la mantovana Pallavicino con perline bianche di fiume, smalti policromi su lamina d'argento e, guardando col naso all'insù, il baldacchino Pallavicino con ricami con sete, fili d'oro e d'argento e perline bianche di fiume, secondo una moda diffusa nella corte sforzesca, di cui restano però rare testimonianze. Queste preziose opere facevano parte del tesoro della Cattedrale o "di San Bassiano".

Si prosegue nell'atrio, dove troviamo sulle pareti, dipinti tra cui degni di nota sono una "Visitazione", attribuita a Carlo Donelli detto il Vimercati ed un paliotto dipinto con la "Deposizione di Cristo" del XVII secolo.

Dall'atrio si accede ad altre sale, che conservano dipinti e sculture contemporanee realizzate nel XX secolo da artisti lodigiani e non, aventi tutte soggetti sacri, e donate al museo diocesano in seguito a mostre o donazioni degli stessi artisti, e alla sala dedicata al Mons. Quartieri, che è stato il primo Direttore del Museo.

Negli ambienti museali, il visitatore troverà dei grandi occhi in corrispondenza di alcuni oggetti o dipinti, che sono la segnaletica di un itinerario per bambini, che devono cercare gli animali, i frutti e i fiori legati alla simbologia cristiana, presenti sulle opere contraddistinte da questo simbolo.


Immagini di Lisbona
 
Il Caffè storico A Brasileira
 
Ascensore di Santa Giusta
 
Il simbolo di Lisbona
 
La (Cattedrale di Lisbona ()
 
Monastero di Jerònimos
 
Monumento ai Descobrimentos (part.)
 
Piazza dei Restauratori
 
Piazza del Commercio
 
Piazza Pombal
 
Stazione del Rossio