La Rivoluzione francese del 1848 è la seconda rivoluzione francese del XIX secolo, dopo quella del luglio 1830: sotto la spinta di liberali e repubblicani, i parigini si sollevano il 23 febbraio 1848 prendendo il controllo della città. Luigi Filippo rinuncia a soffocare con le armi la rivolta e abdica il 24 febbraio, mentre il governo provvisorio rivoluzionario proclama la Repubblica il 25 febbraio 1848.

Philippoteaux: Il discorso di Lamartine a l'Hôtel de Ville il 25 febbraio 1848

La crisi del regno di Luigi Filippo

Molti scandali che coinvolsero diversi personaggi in vista contribuirono a screditare la Monarchia di Luglio, particolarmente nei suoi ultimi anni:
nel 1830, Henri Gisquet, già socio della banca di Casimir Perier, fu incaricato dal governo di acquistare 300.000 fucili e ne trattò l'acquisto di 566.000 di fabbricazione inglese. La stampa di opposizione gli rivolse gravi accuse: la repubblicana «La Tribune» e poi anche «La Révolution» sostennero che per concludere questo affare, Casimir Perier e il maresciallo Soult ricevettero ciascuno doni per il valore di un milione di franchi. I direttori di questi giornali furono denunciati e l'inchiesta stabilì che Gisquet aveva pagato un alto prezzo per questi fucili difettosi e che per una parte di queste armi, rifiutate dal ministro della Difesa, il maresciallo Gérard, fu dato l'assenso d'acquisto da parte del successore, maresciallo Soult. Il redattore de «La Tribune», Armand Marrast, fu condannato il 29 ottobre 1831 a sei mesi di prigione e a 3.000 franchi d'ammenda.

Nel maggio del 1846, Luigi Bonaparte, incarcerato ad Ham dal 1840 per un suo tentativo di putsch, evase rifugiandosi in Belgio. Il 12 marzo 1847 morì il ministro della Giustizia Nicolas Martin du Nord, ufficialmente per un attacco cardiaco, ma per l'opinione pubblica si sarebbe trattato di suicidio, dopo la scoperta di malversazioni coinvolgenti pari del Regno, deputati e funzionari.

Nel luglio 1847 vi fu l'affaire Teste-Cubières, un affare di corruzione politico-finanziaria nella quale due ministri furono giudicata dal tribunale di Parigi: il generale Despans-Cubières aveva corrotto nel 1843 il ministro dei Lavori Pubblici del tempo, Teste, per ottenere il rinnovo della concessione di una miniera di sale.

Nell'agosto del 1847 vi fu il suicidio con l'arsenico del duca di Choiseul-Praslin, che scosse tutto l'ambiene aristocratico, la magistratura e l'esercito: incarcerato per alcuni giorni perché accusato dell'omicidio della moglie, figlia del maresciallo Horace Sébastiani, che egli tradiva con la governante, il suocero aveva minacciato lo scandalo e la separazione dei beni dei coniugi se avesse continuato la relazione.

Nel dicembre del 1847, un postulante un posto di controllore alle Imposte si era visto imporre l'acquisto di un altro posto alla Corte dei Conti per 20.000 franchi. Lo scandalo coinvolse il guardasigilli Hébert e Guizot, che avrebbe voluto favorire il generale Bertin, fedele al regime e azionista del quotidiano governativo «Journal des débats».

Parigi

 
le boulevard du Temple, photographié par Louis Daguerre en 1838 ou 1839

Se il regime di Luigi-Filippo è logorato e la crisi politica ed economica si è aggravata, il terreno sociale e urbano della capitale è favorevole all'esplodere del latente malcontento.

Con più di un milione di abitanti, la Parigi del 1848 è ancora la stessa capitale dell'Ancien régime, cinta dalle mura della dogana, con le sue 52 «barriere», le vecchie case e le vie strette. Una sorta di frontiera separa la zona occidentale da quella orientale dei quartieri popolari che raggiungono il quartiere latino, l'Hôtel de Ville, il Louvre e le Tuileries. La distinzione tra le classi privilegiate e quelle popolari è molto netta. Queste ultime, che forniscono gran parte dei contingenti della Guardia nazionale, sono escluse dal diritto di voto, che è stabilito attraverso il censo. Le condizioni di vita, a causa del lavoro occasionale o della disoccupazione, della miseria, della mancanza di condizioni igieniche adeguate, della mortalità, della criminalità, sono degradate. Mentre la grande industria si è sviluppata nei borghi periferici de La Villette e delle Batignolles, il popolo parigino attivo è occupato nelle 64.000 botteghe artigiane, metà delle quali sono tenute da un singolo artigiano o insieme con un solo operaio. Le specializzazioni sono molto diversificate nei 325 mestieri classificati e vi domina l'attività tessile con 90.000 operai, quella edile con più di 40.000 operai, e quella degli oggetti di lusso.

Anche dopo la conquista della monarchia costituzionale, gli antagonismi si sono esasperati e si sono verificati gravi disordini: nel 1830 il saccheggio della chiesa di Saint-Germain-l'Auxerrois e dell'arcivescovado, per protesta contro la celebrazione di una messa legittimista, nel 1831 la sommossa per la sentenza contro 19 ufficiali della Guardia nazionale, nel 1832 l'insurrezione in occasione dei funerali del generale Lamarque, con 800 morti, le battaglie di strada, represse nel 1834 da Bugeaud con l'arresto di 150 militanti della Société des Droits de l'Homme a causa della promulgazione della legge sulle associazioni, l'attentato contro il re nel 1835, l'assalto all'Hôtel de Ville e alla prefettura di polizia nel 1839: questi sono gli episodi più violenti e significativi del primo decennio di regno di Luigi Filippo.

L'opposizione al suffragio universale dichiarata nel 1840 alla Camera da Thiers e ribadita nel 1842 da Guizot, che rifiutarono di prendere in considerazione le aspirazioni democratiche manifestate dalle Guardie nazionali e nei «banchetti», con manifestazioni e scioperi al faubourg Saint-Antoine. Gli anni seguenti vedono le conseguenze economiche e finanziarie della crisi degli anni 1846-1847 con una fortissima crescita della disoccupazione.

Luigi Filippo, sotto una parvenza di bonomia, è un uomo autoritario; le sue scelte politiche si indirizzano sul maresciallo Soult e poi su Guizot. La sua monarchia prese misure anti-operaie, come il divieto del diritto di sciopero e di associazione, e si appoggiò essenzialmente sull'alta borghesia finanziaria.

Dal 1840 Guizot è alla testa del governo e, appartente a quello che veniva definito il «partito dell'ordine e della resistenza», si sforza di sottomettere la Camera dei deputati e cerca di stabilire la «pace sociale» in Francia.

In preparazione della sessione parlamentare del 1847-1848, Luigi Filippo vieta le riunioni politiche dell'opposizione liberale e democratica, poiché essi propugnano uno Stato nel quale il Parlamento sia più autorevole e il re più discreto.

Guizot s'impegna a mettere in opera un liberalismo economico nel quale i dibattiti politici siano paralizzati, anche attraverso la corruzione, e il corpo elettorale sia fortemente elitario: di qui, la sua opposizione ad abbassare il censo a 100 franchi. In Francia, su 36 milioni di abitanti, gli elettori sono 240.000. Il periodo 1846-1848 è segnato da una crisi agricola, industriale e finanziaria, con inflazione della moneta dovuta alle speculazioni di borsa. L'opposizione trova così un largo consenso nei «banchetti», per quanto questi siano animati da una minoranza borghese repubblicana e riformista.

I «banchetti»

Data alla Rivoluzione del 1789 l’uso in Francia dei banchetti civici, pranzi pubblici in comune che festeggiano un importante avvenimento o ricordano un anniversario: ne scrisse il 18 luglio 1789 il marchese de la Villette su «La Cronique»: «Vorrei che si istituisse una festa nazionale nel giorno della nostra resurrezione. Per una rivoluzione che non ha esempi, occorre organizzare qualcosa di nuovo. Vorrei che tutti i borghesi della buona città di Parigi apparecchino la tavola in pubblico e prendano il pasto davanti alla loro casa. Il ricco e il povero sarebbero uniti e tutte le classi confuse insieme. Le strade ornate di tappeti, disseminate di fiori [...]». E così fu fatto a Parigi, ma in un luogo prestabilito, il parco della Muette, il 14 luglio 1790, per la festa del Campo di Marte, o il 26 luglio 1792, sulle rovine della Bastiglia.

Con uno spirito diverso, in tono minore e solo su invito personale, furono tenuti banchetti anche sotto la Restaurazione e sotto la monarchia di Luglio: secondo un'usanza inglese, utilizzata dallo stesso Guizot, erano riunioni a carattere clientelare con le quali i notabili mantenevano il contatto con i propri elettori. A partire dal 1847 i banchetti furono utilizzati da parlamentari dell'opposizione i quali in pubblici discorsi presentavano le loro proposte di riforma politica e rendevano manifesta la loro critica al governo. Generalmente, s'iniziava con una sfilata, accompagnata da un'orchestra, per le strade della città, poi ci si sedeva a tavola all'aperto, pagando il pranzo organizzato, alla fine del quale gli oratori tenevano un discorso: così poteva trascorrere un'intera giornata festiva.

Essi furono tenuti un po' ovunque: il primo di queste genere si tenne a Parigi il 9 luglio 1847 con la partecipazione di 86 deputati e 1.200 convenuti, nel quale si richiese la riforma della legge elettorale con un allargamento del diritto di voto. Nei mesi seguenti, in tutta la Francia si terranno circa 70 banchetti, con una partecipazione complessiva di circa 20.000: il 7 novembre a Lilla, il 21 novembre a Digione, il 5 dicembre ad Amiens, il 25 a Rouen, l'opposizione manifestò nei banchetti contro Guizot e il suo governo.

A parlare furono i rappresentanti di una opposizione di diverse origini ma unita contro il governo: vi erano gli orléanisti Odilon Barrot e Armand Marrast, i socialisti utopisti Louis Blanc e Alexandre Martin, i liberali François Arago e Alphonse de Lamartine, i repubblicani Ledru-Rollin e Louis-Antoine Garnier-Pagès. La decisione del governo di opporsi a qualunque riforma finì con il radicalizzare anche l'opposizione, così che anche orléanisti già convinti si convinsero della necessità di abbattere il regime di Luigi Filippo.

La campagna dei banchetti, allargatasi a tutto il paese, venne proibita il 25 dicembre, tre giorni prima dell'apertura del Parlamento: il 28 dicembre Luigi Filippo, nel suo discorso inaugurale, si dichiarò contrario alla riforma elettorale, provocando la ripresa della campagna dei banchetti. Il 14 febbraio il prefetto di polizia proibì un banchetto previsto a Parigi per il 19 e all'appello di Armand Marrast pubblicato ne «Le National», i parigini vennero invitati a partecipare a un nuovo banchetto organizzato per il 22 febbraio a place de la Madeleine. Di fronte alle minacce del governo di usare la forza militare, i capi dell'opposizione annullarono la manifestazione, ma l'iniziativa popolare scavalcò le paure dei politici, rovesciando il governo e la monarchia.

La Rivoluzione

La mattina del 22 febbraio centinaia di studenti parigini, da mesi mobilitati per denunciare la soppressione dei corsi tenuti dal repubblicano Jules Michelet, si riuniscono in place du Panthéon, poi s'indirizzano a place de la Madeleine dove si uniscono agli operai. I tremila manifestanti si dirigono a Palazzo Borbone, in place de la Concorde, sede della Camera dei deputati, chiedendo la riforma elettorale e le dimissioni di Guizot. Qui la maggioranza dei deputati respinge la richiesta di dimissioni del primo ministro presentata da Odilon Barrot. Nelle strade vi sono alcuni incidenti che provocano un morto ma le forze dell'ordine controllano la situazione: alle 16 è stato dichiarato lo stato d'assedio. Il re conta su 30.000 soldati appoggiati dall'artiglieria. Vi sono poi i 40.000 uomini della Guardia nazionale, ma questi sono poco sicuri.

La mattina dopo vengono erette barricate sulle strade e la 2^ legione della Guardia nazionale si unisce alla protesta a Montmartre, mentre in altri quartieri la Guardia si frappone tra i manifestanti e i soldati, impedendo a questi ultimi di intervenire. Finalmente Luigi Filippo si rende conto dell'impopolarità del suo ministro e nel pomeriggio licenzia Guizot, sostituendolo con il conte Molé, favorevole alla riforma elettorale. La notizia impedisce che si creino altri incidenti ma il clima resta teso, le barricate non sono smantellate, i manifestanti restano nelle strade e l'eccitazione è altissima.

La sera, nel boulvard des Capucines, agli insulti di alcuni manifestanti, i soldati del 14° Reggimento di fanteria reagiscono sparando: vi sono 52 morti, che nella notte vengono portati per le strade di Parigi alla luce delle torce, rinfocolando l'indignazione. Nella città le barricate sono ormai 1.500 e l'insurrezione si organizza, guidata dalle società segrete rivoluzionarie, formate da operai e artigiani, che trascinano con sé gli studenti.

Il 24 febbraio nel palazzo reale delle Tuileries regna il panico: il maresciallo Bugeaud, nominato comandante in capo dell'Esercito e della Guardia nazionale, è convinto di poter soffocare la sommossa, ma Luigi Flippo rinuncia alla soluzione di forza. Quando, a mezzogiorno, i rivoluzionari cominciano ad attaccare il palazzo, il re abdica in favore del nipote, il decenne conte di Parigi, affidando la reggenza alla madre, la duchessa d'Orléans, e parte per l'esilio in Inghilterra, dove già si è rifugiato Guizot. La reggente si reca al Parlamento, dove gli orléanisti sono la maggioranza, per far proclamare ufficialmente la reggenza, ma i rivoluzionari forzano la situazione: mentre i deputati rappresentanti dell'alta borghesia sperano di formare un nuovo governo in continuità con il vecchio per mantenere la monarchia a garanzia dei propri interessi, palazzo Borbone è invaso e viene chiesta la Repubblica e un governo provvisorio che ne sia espressione.

La Rivoluzione è costata 350 morti e 500 feriti. Il 25 febbraio viene costituito il nuovo governo: a suo capo è il vecchio avvocato Dupont de l'Eure, ministro degli Esteri e di fatto vero capo del governo è un liberale moderato, il poeta Lamartine. Ne fanno parte sette repubblicani moderati, che hanno il loro riferimento nel giornale «Le National», due repubblicani radicali, Ledru-Rollin e Flocon, e due socialisti utopisti, Louis Blanc e Alexandre Martin. La breve e drammatica stagione della Seconda Repubblica ha inizio.

La situation sociale et politique en mai-juin 1848

La crise économique et sociale qui avait causé le fort mécontentement populaire ayant débouché sur la révolution de février 1848 persiste. L'incertitude quant à l'orientation plus ou moins sociale de la république proclamée solennellement le 4 mai, incite les détenteur de capitaux à retirer leurs fonds des banques qui manquent alors de liquidités pour consentir des prêts et soutenir l'escompte. Le nombre de chômeurs augmente. Il y a près de 115 000 personnes inscrites dans les Ateliers nationaux parisiens le 18 mai. Cela génère une dépense de près de 200 000 francs par jour. Grâce à la propagande et aux manipulation de Falloux (faux rapports de la commission du travail de l'Assemblée Constituante) et des partisans de l'ordre, les rentiers et les bourgeois s'exaspèrent de devoir entretenir un nombre croissant de chômeurs. Les ateliers nationaux sont une infamie morale aux yeux des classes dominantes. Le coût des atelier nationaux ne représente en réalité moins de 1% du budget global du gouvernement. Certains fins esprits les surnomment : les « rateliers nationaux ». Ils consistent en fait en des activités de terrassement. De fait si la République manque de moyens c'est qu'elle s'est engagée à rembourser intégralement les aristocrates lésés par la mise en place de la République, allant même jusqu'à créer un nouvel impôt dans ce but, tout en le justifiant, justement, par le coût soi-disant exorbitant des ateliers nationaux.

Mécontent, les ouvriers des Ateliers nationaux se tournent vers démocrates socialistes ou bien les partisans de Louis-Napoléon Bonaparte. Certains ouvriers s'organisent et fondent le 20 mai la Société des corporations réunies qui regroupent une bonne partie des ouvriers ayant participé aux travaux de la Commission du Luxembourg mise en place par le gouvernement provisoire dès le lendemain de la révolution de février. Le 28 mai parait le journal Le travail et le 4 juin Le Journal des travailleurs qui développent des idées républicaines et sociales. Les ouvriers des Ateliers nationaux et ceux de la Commission du Luxembourg s'entendent pour présenter des listes communes aux élections complémentaires pour l' Assemblée nationale des 4 et 5 juin. Le mouvement républicain progressiste, bien qu'amputé de ses chefs après l'échec de la manifestation du 15 mai 1848, progresse à Paris (Marc Caussidière, Pierre Leroux et Joseph Proudhon sont élus).

Parallèlement, le « parti bonapartiste » prend de l'ampleur. Ses partisans mettent en avant les idées sociales du prétendant au trône Louis-Napoléon Bonaparte, auteur de l’Extinction du paupérisme, et jouent sur le souvenir encore frais du Premier Empire. Les ouvriers de La Villette pétitionnent pour que Louis Napoléon Bonaparte soit nommé Consul. La 7eme légion de la Garde nationale (celle des quartiers populaires du Panthéon, de Saint-Marcel et de Saint-Victor) envisage de le prendre comme colonel en remplacement du républicain Armand Barbès que la Commission exécutive, le gouvernement, vient de jeter en prison. Aux élections Louis Napoléon Bonaparte est triomphalement élu à Paris et dans quatre autres départements. Il renonce provisoirement à quitter son exil londonien pour venir siéger.

De ces élections la majorité très conservatrice de l'Assemblée nationale (les républicains du lendemain, en fait des monarchistes camouflés) sort renforcée. Adolphe Thiers, battu le 23 avril, est confortablement élu à Paris et dans trois départements, accompagné de 5 nouveaux élus conservateurs parisiens (sur les 11 sièges à pourvoir à Paris) il apporte son savoir faire politique et son animosité contre la République.

La fermeture des Ateliers nationaux

Débarrassée des chefs républicains progressistes après l'échec de la manifestation du 15 mai 1848, la majorité conservatrice de l'Assemblée nationale s'emploie à faire disparaître les Ateliers nationaux symbole de la politique sociale mise en place après la révolution de février 1848. Le 16 mai, la Commission du Luxembourg est supprimée, son président Louis Blanc étant par ailleurs sous la menace d'arrestation et d'une enquête de la part de l'Assemblée nationale. Dès le 24 mai, Ulysse Trélat ministre des Travaux publics demande la suppression des Ateliers nationaux. Il est secondé à l'Assemblée par les très conservateurs comte de Falloux et comte de Montalembert. Le 30 mai, l'Assemblée décide que les ouvriers domiciliés depuis moins de trois mois dans le département de la Seine doivent regagner la province, on tente ainsi de dégonfler les effectifs de chômeurs secourus et de réduire une possible résistance des ouvriers parisiens.

Mais le gouvernement - la Commission exécutive - composée de républicains modérés, répugne à mettre en cause un des acquis les plus sociaux de la nouvelle république. Le décret du 24 mai est suspendu. Pour gagner la sympathie populaire, la Commission exécutive projette la création d'un crédit foncier devant aider les paysans très touchés par la crise économique. La réduction du très impopulaire impôt sur le sel est envisagée. Afin de fournir du travail aux ouvriers des Ateliers nationaux la Commission projette de nationaliser les compagnies de chemin de fer dont les chantiers ferroviaires seraient tenus par les chômeurs. Devant cette mise en cause de la propriété privée, la majorité conservatrice de l'Assemblée décide d'intensifier son action. Les 14 et 15 juin, Falloux et Goudchaux sont élus rapporteur et président de la Commission spéciale sur les Ateliers nationaux. Les 19 et 20 juin, l'Assemblée vote la dissolution des Ateliers nationaux. Le 21, la Commission exécutive cède et décrète la fermeture des Ateliers nationaux : les ouvriers âgés de 18 à 25 ans doivent s'enrôler dans l'armée, les autres doivent se rendre en province, et notamment en Sologne pour y creuser le canal de la Sauldre. Le 21 juin Le Moniteur, le Journal Officiel de l'époque, publie le décret. Le 22 juin l'agitation se propage, et le 23 sont dressées les premières barricades.

Chronologie des événements

Les causes de la révolte ouvrière

  • 26 février : création des Ateliers nationaux visant à résorber le chômage des ouvriers dans les grandes villes (la crise économique sévit depuis 1847).
  • 15 mars : tentative de l'extrême gauche, qui sent la conjoncture défavorable, de faire repousser les élections.
  • 23 et 24 avril : élection de l'Assemblée constituante ; unanimisme républicain chez les candidats ; les vainqueurs sont ceux qui figuraient sur plusieurs listes (scrutin de liste départemental jusqu'en 1852), donc modérés, qui se révélèrent au fil du temps républicains du lendemain. Les positions des uns et des autres se décantèrent à l'épreuve des faits.
  • 21 juin : Les Ateliers nationaux sont supprimés en raison de leurs coûts, parce que le travail (essentiellement le repavage des rues) n'existe plus, laissant place à l'agitation politique quotidienne. Le coût des atelier nationaux ne représente en réalité que moins de 1% du budget global du gouvernement.
  • 22 juin : Agitation en divers points de la capitale.

Les journées insurrectionnelles

La répression

Template:À sourcer Les journées de juin 1848 font de nombreuses victimes. Les forces gouvernementales perdent environ 1 600 morts [2], gardes nationaux (boutiquiers et bourgeois de Paris et de province), gardes mobiles (recrutés dans les parties les plus pauvres du prolétariat parisien) et soldats de carrière en grande partie des fils de paysans. La République réprime dans le sang la révolution parisienne. Les insurgés perdent environ 4 000 morts pendant les combats. S'y ajoutent environ 1 500 fusillés sans jugement. Il y a 11 000 arrestations. Les tribunaux condamnent 4000 personnes à la déportation en Algérie

Marx et Engels analysent cette révolution comme l'acte de naissance de l'indépendance du mouvement ouvrier. Les acteurs de la Révolution de février 1848 se sont divisés en deux camps. Le premier, celui de la bourgeoisie, est satisfait de la mise en place de la République telle qu'elle est. Désormais, face à elle, les ouvriers n'ont pas oublié les mots d'ordre de "République sociale" et c'est logiquement qu'on les retrouve en juin pour les défendre encore.

Ces événements renouvellent la méfiance ancienne des classes dirigeantes envers Paris. Rien d'étonnant donc à voir surgir dans les discours politiques bourgeois un certain culte de la province, de la classe moyenne paysanne comme pilier de la République. L'image est réutilisée plus tard, lors de la IIIème République.

Paris, saigné par les combats et la répression, perd la prééminence dans la vie politique. De plus, une grande partie du peuple parisien se détourne de cette République qui a fait tirer sur le peuple. Louis-Napoléon Bonaparte sait en tirer profit lorsqu'il décide de mettre fin à cette seconde expérience républicaine en France.

Une des conséquences des Journées de Juin 1848 est, quelques années plus tard, la destruction symbolique des quartiers centraux parisiens par Haussmann, dont les percées urbaines (le boulevard de Sébastopol en particulier) ont coupé en leur cœur les lieux de l'insurrection, où étaient dressées de nombreuses barricades, mais aussi d'où venaient de nombreux insurgés, ouvriers et artisans de la fabrique parisienne.

Note

  1. ^ Nouvelle biographie générale des temps les plus reculés jusqu'à nos jours, sous la direction du docteur Hoeffer, tome 6, page 948, Paris 1855
  2. ^ Ce chiffre, ainsi que ceux qui suivent dans ce même paragraphe, est extrait de Michel Mourre, Dictionnaire encyclopédique d'histoire, Paris, Bordas, 1978, t. G-J, p. 2479, art. Juin 1848

Bibliografia

  • Georges Duveau, 1848, Paris, Gallimard 1965
  • Philippe Vigier, La Monarchie de Juillet, Paris, PUF 1965
  • Inès Murat, La Deuxième République, Paris, Fayard 1987
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