Lucio Giunio Bruto
Template:Console romano Lucio Giunio Bruto (latino: Lucius Iunius Brutus; 545 a.C. circa – 509 a.C.) è stato il fondatore della Repubblica romana e secondo la tradizione uno dei primi consoli nel 509 a.C. Fu citato da Dante nel limbo, nel IV canto dell'Inferno.
Biografia
Fino ad allora Roma era stata una monarchia. Bruto guidò la sommossa che scacciò l'ultimo re, Tarquinio il Superbo, poiché il figlio di Tarquinio (Sesto Tarquinio) aveva violentato una parente di Bruto, Lucrezia. Il racconto proviene dall'ab Urbe Condita di Livio e tratta di un punto della storia di Roma che precede le annotazioni storicamente affidabili (virtualmente tutte le annotazioni precedenti furono distrutte dai Galli quando saccheggiarono Roma nel 390 a.C.)
Secondo Livio, Bruto aveva molti motivi di ostilità contro il re: fra loro era il fatto che Tarquinio aveva disposto l'omicidio del fratello, un potente senatore, che si era opposto all'assunzione del trono da parte di Tarquinio.
Bruto allora si infiltrò nella famiglia di Tarquinio impersonando la parte dello sciocco (in Latino brutus significa sciocco). Lui accompagnò i figli di Tarquinio in un viaggio all'oracolo di Delfi. I figli chiesero all'oracolo chi sarebbe stato il successivo sovrano a Roma. L'oracolo rispose che la prossima persona che avrebbe baciato sua madre sarebbe diventato re. Bruto interpretò la madre nel significato di terra, così finse di inciampare e baciò la terra. Al ritorno a Roma, Bruto dovette combattere in una delle guerre senza fine di Roma contro le tribù vicine. Bruto tornò alla città quando venne a sapere che Lucrezia aveva subito violenza. Lucrezia, credendo di essere stata disonorata si uccise. Questo evento risultò essere la goccia che fece traboccare il vaso: Bruto allora istigò una rivolta popolare contro la monarchia, obbligando Tarquinio a rientrare a Roma. Quando Tarquinio arrivò a Roma, lui e la sua famiglia furono cacciati in esilio e Bruto dichiarò che il potere era nelle mani del Senato.
Secondo la tradizione ebbe il suo consolato assieme a Lucio Tarquinio Collatino, il vedovo di Lucrezia.
C'è una certa confusione sui particolari della vita di Bruto. Il suo consolato, per esempio, può essere un abbellimento successivo per dare alle istituzioni repubblicane maggior legittimità associandole alla cacciata dei re. Suo figlio Tullio complottò con Tarquinio il Superbo per far tornare costui a Roma come re, ma fu scoperto grazie ad uno schiavo[1]. Incatenato, chiese pietà e la gente, impietosita, chiedeva la sua liberazione. Ma Bruto fu irremovibile, e lo fece uccidere senza versare una lacrima per la morte del suo caro figlio[2]. Il suo consolato termina durante una battaglia con gli Etruschi, che si erano alleati con i Tarquini per restaurare il loro potere a Roma, combattendo contro Arrunte Tarquinio, il figlio di Tarquinio il Superbo. I due, spronati i loro cavalli al galoppo, si trafiggono vicendevolmente con le loro lance perdendo la vita nello scontro[3].
Marco Giunio Bruto, il cesaricida, si vantava di essere un suo discendente. Nel 54 a.C., dieci anni prima delle Idi di marzo, emise un denario con al diritto la testa di Lucio Giunio Bruto, il fondatore della repubblica e la scritta BRVTVS ed al rovescio la testa di Gaio Servilio Strutto Ahala e la scritta AHALA (Iunia 30 e Servilia 17; Sydenham. 932; Crawford 433/2). Secondo Michael Crawford (Roman Repubblican Coinage - p.455-6) il denario fu emesso quando a Roma corse la voce che Pompeo volesse diventare dittatore.
Note
- ^ Tito Livio, Ab urbe condita libri, Libro II, 4, 5-6.
- ^ Tito Livio, Ab urbe condita libri, Libro II, 5, 5-8.
- ^ Tito Livio, Ab urbe condita libri, Libro II, 6, 6-9.
Bibliografia
Fonti primarie
Fonti secondarie
- P.Matyszak, Chronicle of the roman Republic, New York 2003.
Voci correlate