La prigione, o carcere, o penitenziario, è il luogo dove vengono trattenuti individui privati della libertà personale in quanto riconosciuti colpevoli (o anche solo accusati - si parla in questo caso di "carcerazione preventiva") di reati per i quali è prevista la pena della detenzione. Per estensione indica anche la pena inflitta ai prigionieri.[1]

Isola di Alcatraz e relativa prigione (in disuso)

Etimologia

Il termine indica, nell'uso corrente, sia una pena, che il luogo dove essa viene eseguita, sia una particolare tipologia edilizia destinata all'esecuzione della pena stessa.

Il termine “prigione” deriva dal latino “prehensio”, l'azione di catturare, mentre la parola “carcere”, bandita dal nuovo ordinamento penitenziario, deriverebbe dal latino “carcer”, che ha radice dal verbo “coercio” da cui il significato di luogo ove si restringe, si rinchiude ed anche si castiga e si punisce.

Il termine deriva dal latino 'carcer', il cui primo significato fu quello di 'recinto' e, più propriamente al plurale, delle sbarre del circo, dalle quali erompevano i carri partecipanti alle corse; solo in un secondo tempo, assunse quello di 'prigione', intesa come costrizione o comunque luogo in cui rinchiudere soggetti privati della libertà personale.

V’è, però, qualche voce discorde che vuole l’espressione “carcere” derivante dall’ebraico “carcar” (tumulare, sotterrare).

Storia

Le prigioni nacquero, verosimilmente, col sorgere della civile convivenza umana e svolsero, inizialmente, la funzione di allontanare dalla vita attiva e separare dalla comunità quei soggetti che il potere dominante considerava minacciosi per sé e/o nocivi alla comunità stessa.[senza fonte]

Le esigenze di costrizione finirono con l’imporre, immediatamente, sistemi durissimi, peraltro inaspriti nei luoghi ove l’esercizio del potere divino era affidato ai responsabili della cosa pubblica, poiché si riteneva che l’offesa arrecata dal reo si estendesse alla divinità. Le testimonianze più lontane che ci sono pervenute ci descrivono prigioni orrende, cieche, ricavate nelle profondità della terra.[senza fonte]

Le prigioni vere e proprie, quali strutture apposite per la custodia di persone indesiderabili, entrarono, però, in uso probabilmente dopo l’origine della “città”. Per quanto delle prigioni si trovi già menzione nella Bibbia, le prime notizie abbastanza precise, relative ad esse, risalgono alla Grecia ed a Roma antiche.
Presso quei due popoli le prigioni erano composte da ambienti in cui i prigionieri erano protetti da un semplice vestibolo, nel quale, in taluni casi, avevano la libertà di incontrare parenti ed amici. Il carcere, comunque, non veniva mai preso in considerazione come misura punitiva, in quanto esso serviva in linea di principio “ad continendos homines, non ad puniendos”.
[senza fonte]

Alcuni studiosi ritengono che il principio finalistico del carcere, quale istituto di espiazione di pena, risalga alla Chiesa dei primi tempi della religione cristiana.
Il principio secondo il quale la pena deve essere espiata nelle carceri andrebbe fatto risalire, inoltre, all’ordinamento di diritto canonico, che prevedeva il ricorso all’afflizione del corpo per i chierici e per i laici che avessero peccato e commesso reati sulla base del principio che la Chiesa non ammetteva le cosiddette pene di sangue.
[senza fonte]

La prigione in Italia

Tipi

Le carceri, in Italia sono suddivise in quattro categorie: le case di reclusione, con detenuti condannati in via definitiva o a più di cinque anni, le case circondariali, per i detenuti in attesa di giudizio, gli istituti per le misure di sicurezza e le case mandamentali, con detenuti a bassa pericolosità.[2]

Le norme

Le condizioni di vita delle carceri italiane sono regolamentate da una legge del 1975[3], nota come Ordinamento Penitenziario. Quanto ai "principi direttivi" della norma, l'articolo 1 recita:

«Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.
Il trattamento é improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.
Negli istituti devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili ai fini giudiziari.
I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome.
Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva.
Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento é attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti.
»

La pratica

L'attuazione pratica della legge quanto a "trattamento rieducativo" e "reinserimento sociale" è, stando alle cronache e alle testimonianze, generalmente assai carente. In particolare, il lavoro carcerario [4] è regolamentato da norme obsolete, che lo rendono una concessione - rara, e spesso arbitraria - anziché l'esercizio di un diritto e di una possibilità di effettivo reinserimento.

Popolazione carceraria e sovraffollamento

[5] L'aumento della popolazione carceraria, anche in rapporto ai recenti ingressi immigratori[6], ha generato nell'ultimo decennio un forte sovraffollamento degli istituti di pena[7], che deteriora ulteriormente la qualità della vita dei detenuti, già provati per le condizioni di limitata libertà. Periodicamente lo Stato cerca di ridurre le tensioni indotte dal sovraffollamento carcerario attraverso indulti o amnistie che però, in assenza di interventi strategici sulla durata dei processi e sulle misure alternative alla detenzione, creano grandi dibattiti, ansia (spesso fomentata) nella pubblica opinione, e nessun miglioramento strutturale nella situazione carceraria complessiva [8].

La situazione nel 2009

Nel settembre 2009 il numero dei detenuti italiani ha raggiunto i massimi livelli dal dopoguerra, con un totale attorno ai 64.000 (99,6% della capienza massima tollerabile, in media - ma già ben oltre in molte regioni e per la popolazione maschile[9]), nonostante il calo dei numero dei reati negli ultimi due anni. Ciò ha prodotto la riduzione degli spazi disponibili, e la scomparsa degli spazi comunitari, oltre ad un raddoppio dei numero di suicidi (45 nei primi sette mesi del 2009, rispetto al 2008); il numero delle misure alternative sono scese al minimo storico (10.000).[10]

L'Italia è stata per la prima volta condannata dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo per "trattamenti inumani e degradanti", con risarcimento danni a carico[10].

Il ministro della giustizia Angelino Alfano ha annunciato un "piano carceri" con la costruzione di 17.000 posti in più entro il 2012. Lo stesso ministro, nel gennaio 2009, aveva parlato di carceri fuorilegge. A tal fine Alfano prevede di recuperare fondi dalla Cassa delle ammende, ente preposto al finanziamento dei programmi di reinserimento, per l'edilizia carceraria[10].

I suicidi

Il tasso di suicidi in carcere è altissimo: nel periodo che va dal 1980 al 2007 è stato di circa 20 volte quello registrato nella popolazione libera. La ricerca più completa sul suicidio in carcere, con dati sempre aggiornati, è curata dall'Agenzia "Ristretti Orizzonti" [11]. I suicidi avvengono prevalentemente nelle carceri più affollate e nei periodi iniziali della pena - cioè quando l'individuo deve confrontarsi con la prospettiva del tempo vuoto da trascorrere rinchiuso - e in quelli finali, quando per l'individuo ormai ridotto a dipendere anche mentalmente dall'istituzione totale in cui ha vissuto per anni e anni, privato nel tempo di relazioni, famiglia, risorse economiche proprie, la porta del carcere si apre solo verso il nulla.

Donne in carcere

Le donne sono una percentuale assai bassa della popolazione carceraria italiana: nel 2006 erano 1.670, contro 37.335 uomini (il 4,3% in media della popolazione detenuta, a fronte di una media europea del 5%)[12]. L'ordinamento penitenziario italiano prevede che in casi in cui la madre non sia nella condizione di affidare la propria prole, inferiore a tre anni, ad altre persone o non vi siano le condizioni per utilizzare i servizi sociali territoriali, i figli possano risiedere nell'istituto penitenziario e alloggiare, insieme alla madre, in particolari reparti. I bambini presenti nelle carceri italiano sono molto pochi e la loro presenza è in decremento, per applicazione di particolari misure alternative alla carcerazione al genitore detenuto.

Note

  1. ^ sito italiano realizzato dai detenuti: http://www.ristretti.it
  2. ^ http://www.segretariatosociale.rai.it/atelier/forum/carcere.html
  3. ^ Legge 26 luglio 1975 n. 354. Per il testo vedi nel sito del Ministero della Giustizia
  4. ^ Vedi anche http://www.ristretti.it/areestudio/lavoro/index.htm
  5. ^ I dati aggiornati sono sempre disponibili alla pagina http://www.ristretti.it/areestudio/statistiche/index.htm
  6. ^ I detenuti extracomunitari, a giugno 2005, erano il 32,26% dell’intera popolazione carceraria (Fonte: Fondazione ISMU [1])
  7. ^ Gli istituti penitenziari italiani sono divisi in Case Mandamentali, Case Circondariali, case di Reclusione, Centri d'Osservazione, Istituti per le Misure di Sicurezza. Ad ogni tipo d'istituto, corrisponde una particolare categoria di detenuti, determinata dalla condizione giuridica in cui si trovano i ristretti.
  8. ^ Per l'analisi statistica del sovraffollamento carcerario si vedano i dati 2006 del Ministero della Giustizia [2]
  9. ^ Andrea Maria Candidi, "Gli istituti scoppiano anche in Lombardia", Il Sole 24 Ore, 7 settembre 2009
  10. ^ a b c Donatella Stasio, "Misure alternative all'attesa infinita del piano carceri", Il Sole 24 Ore, 7 settembre 2009
  11. ^ http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/index.htm
  12. ^ fonte: ISTAT

Voci correlate

Bibliografia

Altri progetti

Collegamenti esterni

  Portale Diritto: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di diritto