Lobby israeliana
Con il termine lobby israeliana (o sionista) si suole generalmente indicare l'influenza internazionale che attuano gruppi d'interesse proisraeliani tramite organizzazioni, associazioni e individui legati tra loro dal comune interesse di incidere sulle istituzioni legislative, sull'industria mediatica, l'opinione pubblica e le relazioni internazionali in favore di una politica estera favorevole allo Stato di Israele, alle sue specifiche politiche del governo eletto e al sionismo.[1][2]
I gruppi includono storicamente organizzazioni sia laiche che religiose, appartenenti a correnti cristiane ed ebreoamericane. Nel corso degli anni le dimensioni e l'influenza della coalizione proisraeliana sono aumentate notevolmente, tanto da considerare alcune nazioni (come gli Stati Uniti) tradizionalmente dedicate alla causa sionista.
Storia
Nel XIX secolo, alcune neonate correnti cristiane, precedenti alla nascita del sionismo e della considerazione generale di creare uno stato ebraico, promossero il ritorno degli ebrei in Terra Santa. Queste associazioni religiose divennero col tempo un gruppo di pressione coeso nell'interesse generale di influenzare la politica degli Stati Uniti in favore della causa israeliana. Una delle prime opere più importanti sul neonato dibattito politicoreligioso fu il libro The Valley of Vision; or, The Dry Bones of Israel Revived di George Bush, professore ebraico presso la New York University e antenato dell'omonima famiglia di politici. Nel testo si denunciava l'oppressione secolare nei confronti degli ebrei, e l'idea generale sempre più forte di una politica decisa da parte dei governi in favore della costituzione di uno Stato ebraico. Fino al periodo prebellico, l'opera di Bush vendette all'incirca un milione di copie.[3][4]
Il Blackstone Memorial del 1891 fu un altro forte tentativo da parte del ristorazionismo cristiano di persuadere il governo del presidente americano in carica Benjamin Harrison di favorire una politica proisraeliana. Guidati da William Eugene Blackstone, i movimentisti erano convinti che se il presidente Harrison avesse aperto un dialogo di pressione con il sultanato ottomano, sarebbe stato possibile cedere la Palestina agli ebrei.[5][6]
Dopo che il membro della Corte Suprema di Giustizia, Louis Brandeis, aderì nel 1914 al movimento sionista americano, il numero delle persone che accettavano in parte o del tutto l'ideologia sionista aumentò notevolmente, e sotto la sua guida si contarono più di 200.000 adesioni. Brandeis favorì campagne di raccolta fondi per aiutare la vita degli ebrei nell'Europa in pieno conflitto, riuscendo ad ottenere diversi milioni di dollari e facendo diventare da quegli anni il "centro finanziario per il movimento sionista internazionale".[7][8]
L'accettazione comune del sionismo si espanse quindi dagli Stati Uniti al resto del mondo occidentale, ottenendo sempre più consensi. Nel Regno Unito il movimento fu legittimato ufficialmente dal governo con il Balfour Declaration of 1917. Il Congresso degli Stati Uniti passò il primo punto d'intesa per il supporto della creazione di uno Stato ebraico in Palestina il 21 settembre 1922.[9]
Durante il governo di Dwight D. Eisenhower, la politica proisraeliana non fu in prima linea a causa del nascente confronto con l'Unione Sovietica e l'espansione nel Medio Oriente. L'influenza decisionale dei movimenti sionisti americani fu quanto mai drastica e l'interesse del nuovo governo per essi fu abbastanza altalenante e dubbioso, tanto che fu aperta un'indagine governativa per investigare sulle attività dell'American Zionist Council. In relazione a questi fatti, in quell'epoca è stata datata la formazione di una prima lobby indipendente sionista.[10] In una indagine a parte appartenente al Senato, si scoprì invece che l'American Zionist Committee for Public Affairs fondato da Isaiah L. "Si" Kenen nel 1953, fu finanziato dalla sua creazione sino agli anni '60 dal governo israeliano.[11]
Fino agli anni '60, quindi, la pressione delle lobby pro e israeliane riguardo la politica dedicata alla causa sionista da parte degli Stati Uniti fu abbastanza debole e poco considerata. Secondo George Friedman, fino al 1967 gli "Stati Uniti furono attivamente ostili nei confronti di Israele".[12][13]
Nel libro The Israel Lobby and U.S. Foreign Policy di John Mearsheimer e Stephen Walt, vengono riprese le stesse considerazioni di Friedman, secondo cui dopo il 1967 gli Stati Uniti si attivarono fortemente a sostenere Israele attraverso pesanti manovre politiche ed economiche, che al 2004 avrebbero superato la soglia dei 140mld €, come ad esempio il fondo annuale di 3mld diretti in aiuti economici ad Israele, pari a 1/4 dell'intero bilancio americano stanziato per gli aiuti all'estero.[14]
Contesto
Molti studiosi vedono nel tradizionale favoritismo dei gruppi d'interesse ebraici a Israele, uno degli esempi più evidenti della forte influenza che hanno in America i gruppi di pressione di stampo etnico. È anche in larga parte accettato che il successo avuto dalla lobby sionista nella riuscita dei suoi progetti sia dovuto al forte sostegno ricevuto dai più numerosi e forti gruppi cristiani del primo periodo di sviluppo del sionismo.[15][16]
I professori John Mearsheimer e Stephen Walt hanno scritto al London Review of Books il loro personale parere sulla lobby israeliana: "Nelle sue operazioni di base, la lobby israeliana non è molto diversa dai sindacati per i lavoratori o gruppi d'interesse per l'agricoltura o l'acciaio, o altre lobby di origine etnica. Non c'è nulla di improprio nei tentativi d'influenzamento degli ebrei americani e dei loro alleati cristiani sulla politica degli Stati Uniti: le attività della Lobby non sono una cospirazione del tipo rappresentato su I Protocolli dei Savi di Sion. Per una larga parte, i singoli e i gruppi che la compongono fanno le stesse cose che fanno gli altri gruppi d'interesse, solo che lo fanno molto meglio. Per contro, i gruppi d'interesse proarabi, che sono noti a tutti, essendo deboli, rendono il compito ancora più facile alla lobby israeliana."[14]
Struttura
Secondo Mitchell Bard dell'American Israel Public Affairs Committee, la "lobby israeliana (o proisraeliana) è composta sia da membri formali che informali. Questi membri sono così intersecati tra loro in vari punti, che la distinzione uno e l'altro non è sempre chiara".[2] Bard definisce come ala informale della lobby tutti quei comportamenti indiretti attuati dagli ebrei americani sull'opinione pubblica per volgere in proprio favore le politiche mediorientale degli Stati Uniti.[2]
Influenza decisionale negli Stati Uniti
Secondo Mitchell Bard "gli ebrei si dedicano alla politica con un fervore quasi religioso", avendo come conseguenza quindi la loro pesante influenza su candidati politici in quanto elettori forti. Gli ebrei americani si porrebbero, quindi, anche come il gruppo etnico con la più alta affluenza alle urne, Bard sostiene che da soli: "varrebbero abbastanza voti elettorali per eleggere il presidente. Se si aggiunge che è dimostrato il sostegno proIsraele anche dei votanti non ebrei, è chiaro che Israele è uno dei gruppi più sostenuti negli Stati Uniti." Continuando, Bard diche che per il Congresso "non ci sarebbero benefici ai candidati se prendessero posizioni apertamente antisraeliane, altrimenti perderebbero considerevoli contributi alle campagne elettorali e alle votazioni sia da parte degli ebrei che dei non ebrei".[2]
Bibliografia
- George Soros. On Israel, America and AIPAC. New York Review of Books. April 12, 2007.
- Zev Chafets. A Match Made in Heaven: American Jews, Christian Zionists, and One Man's Exploration of the Weird and Wonderful Judeo-Evangelical Alliance. HarperCollins, 2007. ISBN 0060890584.
- Murray Friedman. The Neoconservative Revolution: Jewish Intellectuals and the Shaping of Public Policy. Cambridge University Press, 2006. ISBN 0521545013.
- John Mearsheimer and Stephen Walt. "The Israel Lobby and U.S. Foreign Policy" [3]. London Review of Books, Volume 28 Number 6, March 22, 2006.
- James Petras. The Power of Israel in the United States. Clarity Press, 2006. ISBN 0932863515.
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- D. H. Goldberg. Foreign Policy and Ethnic Interest Groups: American and Canadian Jews Lobby for Israel. Greenwood Press, 1990. ISBN 0313268509.
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- Abraham H. Foxman. The Deadliest Lies: The Israel Lobby and the Myth of Jewish Control. Palgrave MacMillan, 2007.
- David Verbeeten, How Important Is the Israel Lobby?, Middle East Quarterly, Fall 2006, pp. 37-44 [4]
Note
- ^ Mearsheimer, John J. and Walt, Stephen. The Israel Lobby and U.S. Foreign Policy, London Review of Books, Volume 28 Number 6, March 22, 2006. Accessed March 24, 2006.
- ^ a b c d Mitchell Bard The Israeli and Arab Lobbies", Jewish Virtual Library, published 2009, accessed October 5, 2009.
- ^ Michael B. Oren, Power, Faith, and Fantasy Reviewed by Hillel Halkin, Commentary, January 2007.
- ^ Dr. Michael Oren, address before the AIPAC Policy Conference 2007, delivered March 11, 2007; quoted in Foxman, The Deadliest Lies, pp. 17-18.
- ^ http://en.wikisource.org/wiki/Blackstone_Memorial Blackstone Memorial
- ^ Paul Charles Merkley, The Politics of Christian Zionism, 1891–1948, 1998, p. 68 ff.
- ^ Donald Neff, Fallen Pillars U.S. Policy towards Palestine and Israel since 1945Chapter One: Zionism: Jewish Americans and the State Department, 1897-1945
- ^ http://www.ajhs.org/publications/chapters/chapter.cfm?documentID=281 Louis D. Brandeis and American Zionism
- ^ Cheryl Rubenberg, Israel and the American National Interest: A Critical Examination, University of Illinois Press, 1986, p. 27, ISBN 0-252-06074-1.
- ^ Steven Spiegel, The Other Arab-Israeli Conflict: Making America's Middle East Policy, from Truman to Reagan, University Of Chicago Press, October 15, 1986, p. 52, ISBN 0226769623.
- ^ The Israel Lobby Archive [1] Accessed November 14, 2008
- ^ George Friedman, The Israel Lobby in U.S. Strategy, September 4, 2007 [2].
- ^ Abraham Ben-Zvi, Decade of Transition: Eisenhower, Kennedy, and the Origins of the American-Israel Alliance, Columbia University Press, 1998.
- ^ a b http://www.lrb.co.uk/v28/n06/mear01_.html
- ^ Ambrosio, Thomas, Ethnic identity groups and U.S. foreign policy, Praeger Publishers, 2002.
- ^ Gertrude Himmelfarb, American Jewry, Pre=- and Post-9/11, p. 118, in Religion as a public good: Jews and other Americans on religion in the public square, ed. Alan Mittleman, Rowman & Littlefield, 2003