Pulo di Molfetta
Il Pulo di Molfetta è una caratteristica dolina da crollo di origine carsica che si trova a circa 1,5 km dal centro della città di Molfetta, in direzione sud-ovest, creatasi per il cedimento della volta di una o più grotte sprofondate in tempi geologici lontani.
Tale processo è tuttora "in fieri" ed è per questo da quando il sito è stato riaperto al pubblico é espressamente vietato non solo entrare nelle grotte, ma anche accostarsi alle pareti (dalle quali il rischio di caduta pietre è sempre presente, anche per la semplice azione meccanica dei rami mossi dal vento o per l'accidentale passaggio di piccoli animali, anche semplicemente di una lucertola!). Solo la grotta n.1 (delle 18 accatastate nel vecchio catasto) è stata messa in sicurezza ed é visitabile con la sua tomba recentemente arricchita del calco dei ritrovamenti ossei in essa reperiti durante i più recenti scavi archeologici.
Cenni sulla storia e sulle dinamiche di formazione
Questa grande voragine si apre, improvvisamente, tra i campi coltivati, nel suolo calcareo con le pareti (praticamente verticali sulla quasi totalità del perimetro) che mostrano con grande evidenza le ordinate giaciture delle stratificazioni geologiche sovrappostesi durante il lunghissimo processo di deposizione e successiva diagenizzazione dei sedimenti che originarono la formazione del basamento calcareo, risalente al Cretaceo inferiore, che costituisce l'ossatura strutturale della Puglia. Tale processo di formazione viene concordemente datato dai geologi tra i 250 milioni ed i 60 milioni di anni fa.
Nelle pareti a strapiombo si aprono gli spechi di innumerevoli grotte, molte delle quali disposte su diversi livelli, cioè intercomunicanti anche in senso verticale, tutte censite e catalogate con rigore scientifico nel corso degli studi che, a varie riprese, hanno interessato questo sito sin dal XVIII secolo[1].
Una di queste è la cosiddetta "grotta del Pilastro", che si sviluppa su tre livelli e presenta in quello superiore un pilastro calcareo, ultimo residuo di un setto che in passato divideva in due la cavità, che presenta un restringimento di sezione in basso, lì dove le acque che si incanalano al di sotto del piano campagna in occasione degli eventi meteorici più importanti operano la loro azione di erosione e di scalzamento al piede delle sponde dell'alveo. Quando la sezione minore del pilastro non sarà più in grado di sostenere il peso delle rocce sovrastanti, esso collasserà e si verificherà un crollo che coinvolgerà gran parte di quella parete ed avrà come risultato un ampliamento del perimetro superiore della dolina.
Quello appena descritto è il processo di formazione che ha portato alla conformazione attuale e non si arresterà mai finchè la Terra esisterà.
Nel Neolitico medio ed inferiore (VI - VIII sec. a.C.) il Pulo di Molfetta era frequentato dalle comunità che vivevano nei pressi della dolina, in villaggi all'aperto ed in piano (non in grotta, come erroneamente taluni credono), come si evince dai numerosi resti rinvenuti nei dintorni, soprattutto nel fondo Azzollini e nel non lontano fondo Spadavecchia (dai cognomi dei proprietari all'epoca dei primi scavi) dove nel 1900 avvennero le prime interessanti scoperte archeologiche. Poichè qui la si è trovata per la prima volta in Puglia, tale tipologia di reperti ceramici fu denominata ceramica "Tipo Molfetta", anche se rinvenuti in siti diversi, ma omologhi lungo le coste e nell'immediato entroterra pugliesi.
Ancora degna di nota è la circostanza che verso il termine del XVIII secolo sul fondo del Pulo fu autorizzata dal governo borbonico una nitriera, cioè una vera e propria fabbrica - i cui resti sono stati oggetto di un restauro terminato nel 2003 - in cui veniva prodotta polvere da sparo a partire dal salnitro, sale (nitrato di Potassio) contenente azoto (N) e potassio (K), riconosciuto tra i sedimenti del sito dall'abate Fortis, studioso padovano che trovavasi in Puglia perché diretto a Brindisi e che fu chiamato a dare il suo parere dal fratello del noto canonico Giuseppe Maria Giovene, grande studioso naturalista, molto attivo in quei tempi di grande influenza del Positivismo.
In seguito al disastroso terremoto del 23 novembre 1980, noto come il terremoto dell'Irpinia, i cui effetti si fecero sentire in maniera pesante anche a tanti chilometri di distanza, nelle grotte che si protendono dalle pareti del Pulo si verificarono numerosi crolli e cedimenti strutturali che ne minarono l'assetto statico tanto da determinarne la chiusura al pubblico. Inoltre una frana ostruì l'ingresso di alcune cavità che in precedenza erano accessibili. In seguito a tali fatti si ebbe l'intervento da parte degli Enti competenti al fine della messa in sicurezza del sito e del suo recupero funzionale alla fruizione da parte del pubblico, finalmente ripartita in data 30 novembre 2008.
Caratteristiche geo-morfologiche
La sua forma è subcircolare, con diametro variabile da un massimo di circa 180 m a un minimo intorno ai 170 m). La profondità massima è di circa 30 m. La relativa vicinanza alla costa (poco meno di un chilometro, in linea d'aria) fa sì che il livello della falda acquifera sottostante si attesti non oltre 10 m al di sotto del piano di sedime attuale, come verificato da recenti studi effettuati nel corso del restauro e recupero funzionale ad opera dell'Amministrazione Provinciale e raccolti nel testo pubblicato nel 2007 a cura della dott.ssa Francesca Radina, a documentazione del lavoro svolto, riportato nelle note a seguire.
Esso è il più piccolo dei tre "puli" [2] più noti della provincia di Bari, ma non per questo meno interessante. Inoltre è la dolina di questo tipo più prossima alla costa, per cui la si può considerare la più giovane, in termini geologici.
Le pareti sono costituite da calcari organogeni del cretaceo inferiore, mentre sul fondo della dolina i detriti rocciosi residuali dei crolli sono ricoperti da spessi strati di materiale detritico di pezzatura minore e alluvionale (che ne occultano la naturale via di allontanamento delle acque meteoriche, generalmente costituita da un inghiottitoio) accumulatosi non solo nel corso delle ere geologiche, ma anche ad opera della intensa opera estrattiva della "nitriera" soprattutto negli ultimi anni del XVIII secolo ed il primo decennio del XIX, anche se si puo' dire che dopo soli sette anni, dal 1784 (gennaio) al 1791, l'attività estrattiva non sia risultata più economicamente remunerativa.
Non si può escludere che l'attività di cava sia stata estesa anche ad un versante della dolina, precisamente quello che si presenta con una pendenza più addolcita, rispetto a quella delle pareti contigue, quasi tutte strapiombanti. Tale ipotesi deriva da una immagine dei luoghi giuntaci attraverso uno degli "schizzi" dell'illustratore inglese Hawkins durante la visita svolta nel 1788 insieme ad un suo connazionale ed allo studioso naturalista tedesco Zimmermann, sotto la guida dell'instancabile canonico Giovene.
Note
- ^ Natura, Archeologia e Storia del Pulo di Molfetta - a cura di Francesca Radina, Mario ADDA editore, 2007.
- ^ Oltre al Pulo di Molfetta sono piuttosto conosciuti anche il Pulo di Altamura ed il Pulicchio di Gravina. Questi ultimi, d'altra parte, si trovano in prossimità dello spartiacque murgiano, su due terrazzi marini tra i più elevati della Murgia. Il Pulicchio si trova lungo la strada provinciale Corato-Altamura, nei pressi dell'intersezione con la "bretella" che la collega alla Ruvo-Altamura , e dà il nome alla foresta demaniale Pulicchje, un impianto di conifere facente parte del programma di rimboschimento che il Corpo forestale dello Stato ha portato avanti nell'area murgiana a partire dagli anni cinquanta. Nella perimetrazione che delimita il Parco Nazionale dell'Alta Murgia esistono diversi altri inghiottitoi che prendono il nome di "pulo", quale quello cosiddetto della cavallerizza, nel territorio di Ruvo di Puglia, il Pulo di Toritto e quello cosiddetto di Lamalunga, località nei pressi di Altamura, in una grotta del quale complesso è avvenuto il ritrovamento dei resti fossilizzati del famoso Uomo di Altamura, detto "amichevolmente" Ciccillo. Potrebbe aggiungersi all'elenco il Gurgo di Andria che, malgrado il diverso nome, è una forma della stessa origine.