Campagna italiana di Grecia
La Campagna italiana di Grecia si riferisce agli scontri tra l'Italia fascista e la Grecia, iniziati il 28 ottobre 1940 con l'invasione della Grecia, con partenza dalle basi italiane in Albania, e terminati il 6 aprile 1941, con il decisivo supporto dell'intervento tedesco con l'Operazione Marita.
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Cause
La Grecia, pur se governata da un regime nazionalista guidato dal Primo Ministro Metaxas, ideologicamente molto vicino al nazionalsocialismo, era un paese tradizionalmente e storicamente amico della Gran Bretagna.
La decisione di attaccare la Grecia, fu presa a livello politico da Mussolini, sia per controbilanciare il peso sempre maggiore assunto dalla Germania nazista di Hitler nel Patto d'Acciaio, e quindi ridare un certo prestigio al regime fascista, dopo l'ininfluente contributo dato dall'esercito italiano nella sconfitta della Francia (si veda Battaglia delle Alpi Occidentali), sia perché, secondo i comandi militari, conquistare una base come la Grecia e le sue isole, avrebbe contribuito a rafforzare notevolmente la presenza italiana nel mare Egeo nonché sul mediterraneo orientale; inoltre la costruzione di aeroporti e il possesso del porto di Salonicco nel nord della Grecia avrebbero aumentato notevolmente la potenza offensiva dell'Italia in Egitto.
E già da tempo il regime, in vista di una prossima guerra contro la Grecia, organizzava provocazioni: il 15 agosto 1940, mentre nel porto di Tinos, piccola isola dell'Egeo, iniziava una tradizionale e popolarissima celebrazione della Madonna, il sommergibile italiano Delfino lanciò tre siluri, affondando il vecchio incrociatore posamine greco Helli (che partecipava in rappresentanza del Governo greco alla festività) e facendo morti e feriti. Tutto ciò avvenne su ordine preciso e documentato di Mussolini trasmesso con lettera autografa dall'ammiraglio Cavagnari, Sottosegretario alla Marina Militare. Tuttavia l'Italia respinse l'accusa di aver aggredito proditoriamente un paese neutrale[1].
Il 15 ottobre 1940, a Palazzo Venezia, a Roma, si svolge una riunione segreta, in cui sono presenti Mussolini, Ciano, Badoglio, Soddu, Iacomoni, Roatta, Visconti Prasca, in cui viene deciso l'attacco alla Grecia: viene quindi preparato un ultimatum per la Grecia, che l'ambasciatore italiano ad Atene, Emanuele Grazzi dovrà consegnare alle ore 3,00 del 28 ottobre, tre ore prima dell'inizio dell'offensiva. Nel documento riferendosi alla neutralità della Grecia nei confronti dell'Italia, si intima al governo greco di consentire alle forze italiane di occupare, a garanzia di questa neutralità e per la durata del conflitto con la Gran Bretagna, alcuni punti strategici in territorio greco. Viene però specificato che "se le truppe italiane dovessero incontrare resistenza, tali resistenze saranno piegate con le armi e il governo greco si assumerebbe la responsabilità delle conseguenze".
Estratto da un Verbale riferito alla seduta del 15 ottobre 1940 in cui e' stabilita la modalita' d'attacco alla Grecia da cui si evince piena fiducia dei partecipanti all'incontro per quanto riguarda la riuscita dell'attacco stesso:
Visconti Prasca : Circa 70.000 uomini, oltre ai battaglioni speciali. Rispetto alle truppe che ci sono di fronte - circa 30.000 uomini - abbiamo una superiorità di due ad uno.
Duce : E per quello che riguarda i mezzi : carri armati, difese campali, ecc., del nemico?
Visconti Prasca : L'unica preoccupazione è costituita dall'aiuto che potrebbe essere dato all'avversario dell'aviazione inglese, giacché quella greca, per me, non esiste. Per quanto riguarda il fronte di Salonicco bisogna fare qualche riserva a causa dell'andamento stagionale. Si potrebbe dare corso all'azione nell'Epiro.
Duce : L'azione su Salonicco è importante, perché bisogna impedire che diventi una base inglese.
Visconti Prasca : Per questa azione ci vuole un certo tempo. Il porto di sbarco è Durazzo, che dista da Salonicco circa 300 chilometri. Occorreranno perciò un paio di mesi.
Duce : Tuttavia si può impedire agli inglesi di sbarcare a Salonicco. È importante che anche su questo fronte avviate due divisioni, perché potrebbe determinarsi il concorso bulgaro.
Visconti Prasca : Anche per iniziare la marcia su Atene la base di tutto è l'occupazione dell'Epiro e del porto di Prevesa.
Duce : E l'occupazione delle tre isole : Zante, Cefalonia e Corfù?
Visconti Prasca : Certamente.
Duce : Queste azioni debbono essere svolte contemporaneamente. Conoscete quale sia il morale dei soldati greci?
Visconti Prasca : Non è gente che sia contenta di battersi»
Il 28 ottobre, Hitler si precipitò in Italia per evitare che si aprissero fronti di guerra secondari, ma proprio questa volta non seppe imporre il suo punto di vista a Mussolini, che gli promise invece una rapida vittoria. Come stabilito, quindi, Emanuele Grazzi consegnò a Metaxas l'ultimatum, concedendogli tre ore di tempo per accettare le richieste italiane. Tre ore dopo le truppe di stanza in Albania varcarono il confine con la Grecia.
A questo proposito venne pronunciata la frase:
Forze italiane
Raggruppamento Litorale
Per un totale di 5.000 uomini così ripartiti:
- 3° Reggimento Granatieri di Sardegna
- 7° Reggimento cavalleria Milano
- 6° Reggimento cavalleria Aosta
- un battaglione di Camicie nere
XXV Corpo d'armata della Ciamuria
Al comando del generale Carlo Rossi vi erano:
- Divisione di Fanteria Siena (9000 uomini)
- Divisione di Fanteria Ferrara (16000 uomini, di cui 3500 albanesi)
- 131ª Divisione Corazzata Centauro (4000 uomini, 163 carri)
Divisione Alpina Julia
Per un totale di 10.000 uomini così ripartiti:
- 5 battaglioni
- 2 gruppi di artiglieria
XXVI Corpo d'armata
Al comando del generale Gabriele Nasci vi erano:
Fasi degli scontri
L'attacco italiano
Il piano di invasione della Grecia era stato preparato dallo Stato Maggiore italiano fin dal 1939, e prevedeva, nella prima fase, un'offensiva dall'Albania per la conquista dell'Epiro procedendo lungo le valli del Vjosa e del Thyamis per la presa di Metzovo e Drisko per impedire alla truppe greche in Tessaglia e in Macedonia di congiungersi a quelle dell'Epiro; e una seconda fase destinata alla conquista di Atene per poi procedere all'occupazione di tutto il territorio. Le forze italiane in Albania contavano di 87.000 uomini: 75.000 lungo il confine greco e 12.000 (divisione "Arezzo" agli ordini del generale Feroni) lungo quello jugoslavo.
La controffensiva greca
Nonostante le pessime situazioni ambientali, le forze italiane riuscirono ad avanzare velocemente, ma l'esercito greco già quasi totalmente mobilitato (il governo greco aveva infatti cominciato a portare le divisioni del suo esercito ad organico di guerra da alcuni mesi) aspettava ed era pronto a respingere l'attacco.
Rinforzati con l'appoggio aereo della RAF, tra l'8 e il 10 novembre i greci riuscirono a respingere ed isolare la Divisione "Julia". Compito della divisione alpina Julia era quello di raggiungere l'importante passo di Metzovo, situato sulla catena dei monti del Pindo che divide in due verticalmente la Grecia del centro nord: il passo di Metzovo permetteva la comunicazione dell'armata greca della regione macedone con quella litorale dell'Epiro e distava circa quaranta chilometri dal confine albanese e i reparti della divisione avrebbero dovuto raggiungerlo il più velocemente possibile costeggiando la catena del Pindo. Per raggiungere il più presto possibile l'obbiettivo il generale Girotti - l'allora comandante della divisione - diede disposizione affinché ogni alpino trasportasse un colpo per l'obice da 75/13 nel suo zaino; l'obice doveva essere trasportato a spalla smontato dagli artiglieri a turno per mille metri, il tutto per eliminare le lente colonne dei muli. In seguito le forze greche avanzarono verso Coriza, in Albania, che raggiunsero il 22 novembre.
Il 9 novembre, visto il precipitare della situazione, Visconti Prasca venne sostituito dal Generale Ubaldo Soddu, il quale malgrado le pressioni di Mussolini non riuscì ad intraprendere nessuna operazione offensiva ma solo a riorganizzare la debole linea difensiva italiana. Incalzati dalle forze greche, nonostante una tenace resistenza, in particolare degli Alpini della "Divisione Alpina Julia" nella valle di Vjosa, le truppe italiane continuarono ad indietreggiare, spinte verso l'Adriatico. Nonostante i rinforzi giunti dall'Italia, che portarono il totale delle truppe a 162.000 uomini nel dicembre del 1940, la situazione si fece sempre più disperata, con i greci che puntavano ormai a scacciare le truppe italiane dall'Albania. Alla fine di dicembre, anche a causa delle condizioni climatiche il fronte albanese si stabilizzò: Soddu venne richiamato e il Generale Ugo Cavallero assunse il comando delle truppe italiane in Albania.
Verso la fine del gennaio 1941, Cavallero ordinò un'offensiva con l'obiettivo di riconquistare Klisura, che però non ebbe successo, e che anzi costrinse a indietreggiare, con i greci che ritornarono all'offensiva, puntando su Tepelenë.
Il ruolo albanese
Sulla campagna di Grecia si evita di parlare delle forze albanesi che erano state coinvolte nel conflitto: alcuni battaglioni scaglionati nelle divisioni "Venezia e Giulia". Un battaglione della milizia mercenaria albanese fu sacrificato, dal comando italiano per proteggere la ritirata italiana. Benché non appartenesse all'esercito effettivo albanese, il comando albanese rappresentato dal colonnello Prenk Pervizi protestò vivamente per questo impiego degli albanesi come "carne da cannone".
Il comando italiano decise che un altro battaglione effettivo albanese "Tomorri" avrebbe difeso la loro ritirata, come il primo. Il colonnello Pervizi insieme al maggiore Spiro Moisiu e gli altri ufficiali convennero di ritirarsi dal fronte appena fosse cominciata l'offensiva greca e la ritirata delle truppe italiane, con l'ordine di non metter a repentaglio la vita di un sol soldato, insediandosi in posizioni sicure. Infatti il battaglione si ritirò senza alcuna perdita. L'esercito italiano subì una disfatta memorabile che il maresciallo Badoglio avrebbe addebitato al "tradimento dell'esercito albanese".
In realtà il disastro fu conseguenza di uno scacco politico in quanto pochi giorni prima dell'attacco italiano il primo ministro greco Metaxas scoprì che alcuni alti ufficiali dell'esercito, nonché funzionari del governo, erano stati corrotti dal ministro degli esteri italiano, conte Ciano, affinché l'esercito ellenico non esercitasse una seria resistenza all'avanzata italiana.
Fu così che le personalità corrotte furono sostituite in tempo ed arrestate. Questo fatto spiega anche perché l'attacco fu iniziato con un numero esiguo di unità da parte italiana. Fatto sta comunque che le truppe albanesi furono tolte subito dal fronte. Il comando italiano volle portare davanti al tribunale militare il maggiore Moisiu. Il colonnello Pervizi, che godeva di grande influenza e reputazione sia nell'esercito che nel popolo si oppose: "Quel tribunale doveva coinvolgere tutto il comando albanese compreso lui".
Gli italiani non intrapresero niente, temendo disordini. Il colonnello col suo staff di ufficiali e una parte delle truppe fu isolato nelle montagne di Puka (Nord d'Albania). Il maggiore Moisiu col suo battaglione fu trasferito à Laç (Albania centrale).
L'intervento tedesco
La situazione rimase tale - con l'esercito greco padrone di un terzo dell'Albania rinforzato dalle truppe britanniche del Commonwealth (circa 56.600 uomini) - fino a marzo, quando Hitler decise di intervenire a sostegno di Mussolini. Dopo che i tedeschi imposero alla Bulgaria e alla Jugoslavia l'adesione al Patto Tripartito, il popolo iugoslavo si ribellò al governo rovesciando il principe Paolo. Questo costrinse l'Oberkommando der Wehrmacht (OKW) a rivedere i piani tedeschi di invasione della Grecia ampliandoli in vista di un attacco improvvisato contro Belgrado. Il 6 aprile 1941 la Wehrmacht lanciò l'Operazione 25 (l'invasione della Jugoslavia) e dichiarò guerra alla Grecia (Operazione Marita).
Nei primi giorni di aprile, nonostante un'ulteriore avanzata greca nella zona di Tepelena, le forze italiane continuarono a difendersi strenuamente, e il 14 aprile passarono al contrattacco: venne ripresa Coriza, avanzando poi nella val Deisnizza, per occupare infine, il 18 aprile, Argirocastro. Il 21 aprile, dopo una serie di discussioni tra gli alti comandi militari italiani e tedeschi, venne firmato, a Larissa dal Generale Papagos, l'atto di resa dell'esercito greco.
La spartizione della Grecia
Con la fine delle ostilità il paese ellenico venne suddiviso tra le forze italiane, tedesche e bulgare. Come mostra la cartina qui a fianco:
- la Germania (colore rosso) occupò militarmente la Macedonia centrale e orientale con l'importante porto di Salonicco, la capitale Atene, le isole dell'Egeo Settentrionale e parte dell'isola di Creta.
- la Bulgaria (colore verde) ottenne la Tracia.
- l'Italia, che era già presente nell'Egeo con i possedimenti del Dodecanneso (Isole Italiane dell'Egeo) (colore blu scuro), ottenne il controllo della totalità della Grecia (colore blu chiaro).
Ad Atene venne instaurato un governo militare greco, sottoposto comunque al controllo della Germania nazista e dell'Italia fascista, guidato dal Generale Tsolakoglu.
Note
- ^ Giorgio Rochat, Le guerre italiane 1935-1943. Dall'impero d'Etiopia alla disfatta, Einaudi; pagina 255
- ^ [1]
Bibliografia
- Alberto Bertotto - La campagna di Grecia, 1940.1941.
- Mario Cervi - Storia della guerra di Grecia, 1940-1941
- Longanesi & C - Storia della "Julia" nella campagna di Grecia.
- Julian Amery - The Sons of the Eagle,London, 1948, pag. 304.
- Pjeter Hidri - Generali Prenk Pervizi,Tirana, Toena, 2002, pag. 88-92
- Pjeter Hidri - Le General Pervizi, ou la vraie histoire d'Albanie, Bruxelles, Dorian, 2009, pag. 88-92