I trilobiti sono artropodi di ambiente marino esclusivi dell'erapaleozoica, che costituiscono la classeTrilobita. Il loro nome significa "a tre lobi", dalla loro caratteristica morfologica più evidente, la partizione longitudinale del corpo in tre lobi: un lobo assiale (centrale) e due lobi pleurali (laterali). Sono forme generalmente di piccole e medie dimensioni: per la maggior parte da pochi millimetri ad una decina di centimetri di lunghezza, eccezionalmente fino ad alcuni decimetri. I trilobiti sono dotati di un esoscheletro con morfologia complessa, di natura in parte organica e più o meno mineralizzato (rinforzato da cristalli di carbonato di calcio sotto forma di calcite). Questi organismi sono dotati di un capo differenziato (cephalon), in posizione anteriore, costituito da diversi segmenti fusi insieme, con occhi composti (che in qualche caso possono regredire fino alla scomparsa); di un torace (thorax) segmentato e articolato, caratterizzato da varie paia di arti, e infine da un elemento posteriore a scudo (pygidium), a sua volta formato da vari segmenti saldati.
I lobi longitudinali: assiale centrale e i due lobi pleurali simmetrici.Le tre sezioni principali del corpo di un tipico trilobite
I trilobiti sono gli artropodi più antichi conosciuti[1]: i loro primi rappresentanti compaiono circa 521 milioni di anni fa, nel Cambriano Inferiore (anche se non all'inizio di questo periodo) e sono già ben differenziati, con ampia diffusione geografica. Nel tardo Cambriano tutto il gruppo è soggetto ad una estinzione di massa, fatale a quasi tutte le forme. Nell'Ordoviciano e nel Siluriano si ha la massima espansione di questi organismi; la loro frequenza e diffusione diminuiscono tuttavia nel Devoniano, soprattutto nelle due grandi crisi biologiche avvenute alla fine di questo periodo[2], nelle quali si estingue la maggior parte degli ordini presenti nel Paleozoico Inferiore (ad eccezione dei Proetida). Il gruppo ricupera vigore nel corso del Carbonifero, ma il declino riprende nel Permiano, al termine del quale si estinguono completamente nella grande crisi biologica che conclude il periodo (circa 250 Ma)[3].
Si tratta di buoni indicatori di facies: per la maggior parte vivevano in un intervallo di profondità che va da pochi metri a circa 200 metri, dalla costa fino al limite esterno della piattaforma continentale, e si adattarono nel corso della loro storia evolutiva alla maggior parte degli ambienti marini e transizionali compresi in questo contesto, dalle piane di marea costiere alle piattaforme carbonatiche, ai fondali marini sia sabbiosi che fangosi, anche di ambiente euxinico (caratterizzato da scarsa ossigenazione). Come provano i loro caratteri fondamentali (corpo appiattito, occhi situati in posizione dorsale, forma e struttura degli arti) e la presenza di tracce fossili sicuramente attribuibili a trilobiti, sono per la maggior parte forme bentonichevagili, che camminavano sul fondale marino e in vari casi ne scavavano il sedimento per la ricerca del cibo o per cercarvi rifugio dai predatori, anche se diversi elementi (particolarità morfologiche e anatomiche, disposizione di alcune tracce fossili, comparazioni con analoghi attuali) fanno ritenere che almeno alcune forme potessero nuotare attivamente nella colonna d'acqua.
Fino ad oggi sono stati determinati circa 1.500 generi e 10.000 specie di trilobiti vissuti nei 270 milioni di anni della vita complessiva di questo gruppo. I trilobiti sono buoni fossili guida, caratterizzati da un'ampia diffusione geografica, da una evoluzione rapida e da una rapida variazione dei caratteri, che fanno di molte specie di questo gruppo degli indicatori biostratigrafici di notevole importanza per la datazione delle rocce sedimentarie paleozoiche. Il loro valore stratigrafico è massimo nel Paleozoico Inferiore, in particolare nel Cambriano e nell'Ordoviciano.
Principali elementi anatomici dell'esoscheletro di un trilobite (lato dorsale): I – Cephalon; II – Thorax; III – Pygidium; 1 – Sutura facciale; 2 – Librigena ("guancia libera"); 3 – Spina genale; 4 – Glabella; 5 – Anello occipitale; 6 – Fixigena ("guancia fissa"); 7 – Occhio; 8 – Lobo assiale; 9 – Pleurae; 10 – Solco dorsale; 11 – Ornamentazione del pygidium; 12 – Spina posteriore.
Come già accennato, i trilobiti sono caratterizzati dalla tripartizione tra un segmento anteriore, il cephalon (capo), un segmento mediano, thorax (torace), e un segmento posteriore, il pygidium. Questo tipo di organizzazione è osservabile tanto nell’esoscheletro quanto nei rari casi in cui si rinvengono fossilizzate tracce significative delle parti molli.
Esoscheletro
Composizione e struttura
L’esoscheletro dei trilobiti è costituito da una cuticola composta da una base organica di natura ancora sconosciuta[4] “rinforzata” da cristalli di carbonato di calcio, sotto forma di calcite a basso tenore di magnesio[5]. Questa cuticola consta di due strati:
strato esterno: più sottile ma composto da cristalli di maggiori dimensioni, prismatici e allungati con l’asse maggiore perpendicolare alla superficie;
strato interno: più spesso e composto da calcite microcristallina[6]; questo strato è a sua volta laminato, con lamine più ravvicinate nella zona interna e in quella esterna, e più spaziate nella zona mediana.
Mentre lo strato esterno prismatico ha una buona resistenza a sforzi compressivi ma una limitata resistenza a sforzi di tipo tensionale, lo strato interno laminato ha al contrario maggiore resistenza agli sforzi tensionali[7]. La combinazione dei due elementi risulta in una struttura che è insieme flessibile e resistente.
La cuticola dei trilobiti è attraversata da canali tubolari di varia forma, i pori-canali, che probabilmente supportavano “peli” (analoghi alle setae di molti artropodi attuali) collegati al sistema nervoso centrale tramite un nervo che decorreva entro il poro stesso. Per analogia con gli artropodi attuali, questi organi avrebbero avuto una funzione sensoriale, permettendo all'animale di percepire vibrazioni o variazioni termiche e chimiche nell’acqua. I pori-canali sono più frequenti nei punti di maggiore convessità dell’esoscheletro, soprattutto nella zona ove l’esoscheletro si inflette passando dal lato dorsale al lato ventrale dell’organismo (la duplicatura), che era anche l’area maggiormente in contatto con il fondale, mentre si diradano nelle aree più appiattite e lontane dai margini. Questo particolare sembra confermare la funzione di organi di senso di queste strutture.
Morfologia dell'esoscheletro di un trilobite. L'esempio è una forma piuttosto primitiva: Elrathia kingi (Cambriano Medio - Ohio, USA). Sono ben visibili sul cephalon le suture facciali, in questo caso tipicamente opistoparie; la glabella è moderatamente sviluppata e preceduta dall'area preglabellare. E' una forma micropigia (pygidium ridotto rispetto al cephalon).
Inoltre, sono presenti spesso tubercoli di varia forma e struttura, caratterizzati da una cavità interna, a sua volta connessa alle superfici interna ed esterna dell'esoscheletro da fasci di pori canali. L'insieme di queste strutture costituiva probabilmente speciali organi di senso, dalle funzioni ancora non chiarite. Talvolta questi elementi tendono a raggrupparsi in settori particolari dell’esoscheletro (soprattutto sul cephalon), e in tal caso sono definiti pseudotubercoli.
L’esoscheletro dei trilobiti è molto variabile dal punto di vista morfologico, anche se gli elementi fondamentali sono presenti con notevole continuità durante tutta la storia del gruppo. Le variazioni sul tema riguardano soprattutto i dettagli morfologici del cephalon e del pygidium, il numero e la conformazione dei segmenti del thorax, la presenza o meno i tutti e tre i segmenti di spine e altri tipi di appendici e l’ornamentazione (essenzialmente coste e tubercoli).
L’esoscheletro è caratterizzato in generale dalla suddivisione in segmenti (tergiti), composti da un elemento assiale (anello assiale) e da due elementi laterali (pleure) articolati all’anello; questo tipo di organizzazione, a segmenti metamerici, avvicina i trilobiti ai vermianellidi, che costituiscono il loro più probabile gruppo di origine dal punto di vista evolutivo. Il cephalon e il pygidium derivano in realtà dalla fusione di diversi tergiti, come si vede in molte forme dalla presenza su questi due elementi di solchi la cui disposizione evidenzia l’originaria ripartizione in anelli assiali e pleure. Nei rari casi in cui sono presenti tracce delle parti molli dell’organismo, inoltre, si riscontra la presenza di arti anche nella parte ventrale della regione cefalica (appendici cefaliche) e pigidiali (appendici pigidiali), evidenziando un'organizzazione tipicamente metamerica in cui gli organi sono replicati in ogni segmento.
Cephalon
Il cephalon costituisce la parte anteriore dell’esoscheletro: è composto da una grande placca, più o meno rilevata, a forma di scudo, con contorno variabile da semicircolare-semiellittico a poligonale.
Il lato dorsale del cephalon è caratterizzato da un rigonfiamento assiale, la glabella, fiancheggiata ai due lati da aree maggiormente depresse definite gene (genae[8]). La glabella è delimitata lateralmente da due solchi assiali, anteriormente dal solco preglabellare e posteriormente da un anello occipitale.
Altro esempio di esoscheletro di un trilobite: in questo caso una forma piuttosto avanzata: Kainops invius (Devoniano Inferiore - Oklahoma, USA). La glabella è estremamente sviluppata e arriva al margine anteriore del cephalon, i solchi assiali hanno decorso divergente; il pygidium è molto ridotto (forma micropigia), ed è nettamente segmentato, con anelli assiali e solchi interpleurali. Gli occhi sono di tipo aggregato (schizocroici). Le suture facciali sono visibili solo nella parte del loro decorso che attraversa la regione oculare (l'esemplare è un modello interno, che manca del tegumento), ma erano in questo caso proparie e molto ridotte, limitate alla regione preoculare.
Spesso si vedono solchi trasversali (solchi glabellari) che costituiscono la traccia della segmentazione originaria. In alcune forme la glabella termina prima del margine frontale del cephalon, e in tal caso si ha un’area frontale depressa; in altre la glabella è espansa fino al margine frontale.
Le gene sono le regioni comprese tra la glabella e i margini lalerali del cephalon, di solito di forma sub-triangolare, che presentano spesso un angolo pronunciato (angolo genale) al passaggio dal margine laterale al margine posteriore del cephalon; in diversi casi, l’angolo genale si prolunga in una spina genale. In alcune forme si sviluppano spine anche in corrispondenza del margine posteriore e di quello laterale e anteriore. Nella maggior parte dei casi, queste due aree sono caratterizzate dalla presenza di suture facciali: strette fessure lineari che attraversano lo spessore dell’esoscheletro. Questi lineamenti corrispondono a zone scarsamente mineralizzate del tegumento, che costituiscono linee di debolezza. Il loro scopo era di facilitare, fendendosi con maggiore facilità, l’uscita dell’organismo dall'exuvia (il vecchio esoscheletro) durante la muta, cui questi organismi erano soggetti durante la crescita come tutti gli artropodi. Le suture facciali dividono le gene in due parti distinte :
fixigene (fixigenae) o guance fisse: la parte interna alle suture facciali, solidale alla glabella;
librigene (librigenae) o guance libere: le aree esterne alle suture facciali, di forma semilunata, che portano gli occhi
L'insieme della glabella e delle fixegene costituisce il cranidio. La sutura facciale decorre a partire dal margine anteriore fino al limite interno dell’occhio, e successivamente possono terminare in tre modi diversi, per i quali si distinguono tre tipi di suture:
sutura opistoparia, che che a partire dall’occhio termina sul margine posteriore del cephalon: è il tipo più frequente, comparso fin dalle forme più primitive; tipica di Redlichiida, Corynexochida, Lichida, Odontopleurida e della maggior parte degli Ptychopariida, .
sutura gonatoparia, che termina in corrispondenza dell’angolo genale, esclusiva di alcune famiglie dell’ordine Phacopida;
sutura proparia, che termina sul margine laterale anteriore del cephalon: è tipica delle forme più avanzate (Phacopida).
Negli ordini riportati sopra, le suture sono comunque presenti nella maggior parte dei casi, ma eccezionalmente possono essere ridotte o assenti. L’eccezione più importante a livello dell’intero gruppo è costituita dall’ordine Agnostida, composto di forme peculiari, prive di occhi e di librigene (e, quindi, di suture facciali).
Le suture facciali rivestono una notevole importanza diagnostica, soprattutto a livello di ordine e di sottordine.
Kainops invius, dalla stessa località dell'esemplare dell'immagine precedente. Questi esemplari sono fossilizzati in modo da mostrare l'esoscheletro lateralmente (esemplare in alto) e sul lato ventrale (esemplare in basso); in quest'ultimo sono visibili alcuni elementi della parte ventrale del cephalon (la duplicatura del tegumento cefalico, la piastra rostrale e l'ipostomo), e del thorax (gli apodemi). Nell'esemplare superiore, in norma laterale, è visibile sul cephalon il decorso della sutura facciale proparia (sotto la regione visuale dell'occhio); l'occhio visibile sullo stesso esemplare è di tipo schizochroale. Sono ben distinguibili anche le faccette articolari delle pleure toraciche, che facilitavano l'arrotolamento dell'animale in posizione difensiva.
L’apparato visivo è costituito da due occhi, di solito separati (anche se eccezionalmente possono confluire in un'unica struttura), spesso costituiti da protuberanze oculari in qualche caso modificate in peduncoli oculari. Gli occhi sono tipicamente di forma semilunata o reniformi, suddivisi longitudinalmente dalla sutura facciale in una zona palpebrale, collegata alla fixigena, e in una zona visuale (costituita dall’effettiva superficie visiva), collegata alla librigena. Possono essere di due tipi:
composti (olocroici): il tipo più comune, composti da un numero variabile di lenti (da un centinaio a diverse migliaia) esagonali, piano-convesse o biconvesse, ricoperte da una membrana traslucida continua (la cornea);
aggregati (schizocroici): composti da un numero minore di lenti rispetto al precedente (da poche unità fino ad alcune centinaia), ognuna ricoperta da una propria cornea e separati da una spessa parete (sclerotica); ristretti all’ordine Phacopida.
Passando alla regione ventrale, il tegumento del cephalon si inflette in un lembo più o meno ampio, detto duplicatura. Sono presenti almeno due elementi (sterniti), variamente sviluppati:
piastra rostrale: situata in posizione anteriore, costituisce la parte frontale della duplicatura;
ipostomo: grande piastra ovoidale che sorreggeva un paio di antenne (raramente conservate); la bocca si apriva posteriormente all’ipostomo.
Un terzo sternite (metastoma), situato dietro la bocca, è presente in pochi generi (almeno in forma mineralizzata).
La posizione dell'ipostomo in rapporto alla glabella e al margine anteriore del cephalon ha significato tassonomico; si distinguono in base a questo criterio tre tipi principali:
ipostomo natante: il margine anteriore dell'ipostomo è allineato con quello della glabella, ma l'ipostomo non è a contatto con la piastra rostrale e con la duplicatura; originariamente, doveva esservi una membrana organica che univa i due elementi;
ipostomo conterminante: il margine anteriore dell'ipostomo è allineato con il margine anteriore glabellare ed in contatto con la piastra rostrale, spesso parzialmente sovrapposto alla duplicatura;
ipostomo impendente: il margine anteriore dell'ipostomo è a contatto con il margine della duplicatura, ma non vi è allineamento rispetto alla glabella.
I tre tipi fondamentali di ipostomo (piastra ventrale cefalica) nei trilobiti. Nello schema è riportata la veduta ventrale del cephalon con il contorno della glabella a tratteggio.
La condizione conterminante è stata a lungo ritenuta quella originaria, ma recentemente[9] è stata riconosciuta la presenza dell'ipostomo natante nelle più antiche forme note di trilobiti (appartenenti agli ordini Redlichiida e Ptychopariida).
Spesso sulla parte posteriore dell'ipostomo sono presenti due piccole protuberanze (macule), che sono state interpretate [10] come un paio di occhi semplici ventrali (analogamente a diversi gruppi di artropodi attuali); tuttavia questa interpretazione non ha trovato finora conferma sicura nel materiale fossile, in quanto la struttura fine di questi elementi è nella maggior parte dei casi indistinguibile.
Eodalmanitina destombesi (Ordoviciano di Valongo, Portogallo), modello interno. Questa forma è caratterizzata dalla presenza, oltre alle spine genali, di una vistosa spina caudale. Notare anche gli occhi molto sviluppati, olocroici, la glabella dotata di solchi glabellari marcati, le pleure appuntite caratterizzate da un solco mediano fino al fulcro e poi lisce, decisamente ricurve all'indietro.
Thorax
Il thorax è formato dall’insieme dei segmenti interposti tra il cephalon e il pygidium; possono essere da due fino ad una sessantina, anche se nella maggior parte delle forme è intorno alla decina-quindicina. I tergiti toracici sono costituiti dall’anello assiale e da due pleure laterali.
Gli anelli assiali (rachida) sono articolati tra loro per mezzo di superfici semicircolari (semianelli articolari) collocate nella parte anteriore di ogni anello. Gli anelli sono separati dalle regioni pleurali per mezzo di solchi assiali.
Le pleure sono a loro volta articolate all’anello e sono tipicamente percorse da uno o più solchi pleurali. Le estremità delle pleure possono avere vari tipi di terminazione (arrotondata, troncata, appuntita) e portare una o più spine pleurali, che possono raggiungere in alcune forme una lunghezza anche cospicua rispetto al corpo. La loro funzione è ancora oggetto di dibattito per gli specialisti, e la risposta potrebbe non essere univoca: l'opinione prevalente è che queste spine avessero una funzione in parte difensiva o dissuasoria nei confronti dei predatori e in parte una funzione stabilizzatrice, soprattutto su fondali fangosi poco consolidati, impedendo al corpo di affondare nel sedimento.
Le pleure, nella loro parte prossimale (più vicina all'anello assiale) hanno margini paralleli cui si accostano, incernierandosi, i margini delle pleure adiacenti; le parti distali (le estremità più lontane all'anello assiale) sono invece libere, e non si toccano. Il punto limite tra la parte incernierata e la parte libera delle pleure si dice fulcro, e spesso in corrispondenza di questo il decorso e la curvatura delle pleure possono variare notevolmente, e talora presentare una torsione marcata; questa conformazione è presente nelle forme più evolute: si tratta di un adattamento che dava all'animale la possibilità di arrotolarsi sul lato ventrale fino a divenire (in alcune forme) una palla quasi perfetta (vedi capitolo:Capacità di appallotolarsi), consentendo alle estremità libere delle pleure di scorrere le une sulle altre senza bloccarsi a vicenda. Talora (come ad esempio nei generi Kainops e Phacops, le estremità delle pleure erano caratterizzate da superfici lisce, variamente ricurve (le faccette articolari) che facilitavano lo scorrimento e la giustapposizione di questi elementi durante l'arrotolamento.
Sul lato ventrale, sono presenti ai lati degli anelli assiali dei processi bulbosi (apodemi) che servivano come supporto ai principali muscoli che controllavano gli arti e ai muscoli flessori che permettevano il ripiegamento sul ventre dell'esoscheletro.
Vari esempi di tipi differenti di tergiti (segmenti toracici) appartenenti a diverse specie di trilobiti.
Pygidium
Piastra posteriore, di forma varia, da semicircolare a semiellittica a poligonale, composta da diversi tergiti saldati tra loro, caratterizzata da una regione assiale e da due regioni pleurali, separate tra loro da solchi assiali. Talora è ancora visibile la segmentazione originaria (evidente soprattutto nella regione assiale), anche se in molte forme è quasi scomparsa. Nelle forme in cui la segmentazione è visibile, spesso questa particolarità può rendere difficoltosa la distinzione tra thorax e pygidium (soprattutto in fossili con preservazione mediocre o scarsa). In molti casi il pygidium è caratterizzato da spine pleurali e talora da una spina mediana impari che conclude posteriormente la regione assiale (spina posteriore o caudale).
A seconda delle dimensioni relative del pygidium rispetto al cephalon, si distinguono:
forme micropigie, in cui il pygidium è più piccolo del cephalon;
forme isopigie, in cui il pygidium è all'incirca delle stesse dimensioni del cephalon;
forme macropigie, in cui il pygidium è di dimensioni superiori rispetto al cephalon.
Le forme più arcaiche (sottordine Olenellina) del Cambriano Inferiore hanno un pygidium estremamente ridotto, costituito da uno solo o pochissimi tergiti saldati, e in generale la maggior parte delle forme cambriane sono micropigie (con la significativa eccezione degli Agnostida, isopigi). Tra le forme post-cambriane è ben rappresentata sia la tendenza micropigia che quella isopigia; meno frequenti (prevalentemente appartenenti all'ordine Lichida) le forme macropigie.
Un trilobite eccezionalmente conservato dalla formazione Burgess Shale, in cui le antenne e le appendici ventrali (le "zampe") sono conservate come pellicole carboniose.Exuvia di trilobite (Elrathia kingi) il cui cephalon è privo delle librigene (staccatesi durante la muta).
Nel Paleozoico post-cambriano la tendenza a moltiplicare i segmenti fusi entro il pygidium prosegue e tra le forme più tarde questo elemento può essere costituito da un numero di tergiti fino a trenta.
Conservazione
Di solito nella maggior parte dei siti fossiliferi a trilobiti sono conservati solamente gli esoscheletri, spesso incompleti o frammentari. In molti casi, gli esoscheletri rinvenuti sono derivati dalla muta periodica che caratterizza in generale lo sviluppo degli artropodi, e non propriamente il risultato della fossilizzazione di trilobiti dopo la morte. In genere, i caratteri della tanatocenosi permettono di distinguere facilmente se si tratta di fossili di exuvie o degli organismi originali. Nel primo caso, poiché l’esoscheletro tendeva a fendersi tra il thorax e il cephalon, spesso gli esemplari fossilizzati mancano dell’uno o dell’altro; le suture facciali si fendevano a loro volta per facilitare il processo della muta, separando in tal modo il cranidio dalle librigene, che si rinvengono come elementi isolati.
L'aspetto più frequente dei depositi fossiliferi a trilobiti, con esoscheletri parziali e spesso frammentari. In questo caso si tratta con ogni probabilità di un deposito a exuvie.
Inoltre, spesso i resti delle exuvie (di peso molto inferiore a quello degli organismi completi) venivano facilmente presi in carico da onde e correnti di fondo e rideposti selettivamente: ad esempio, alcuni depositi possono essere composti prevalentemente da piastre cefaliche, cranidi, librigene, piuttosto che dagli altri elementi (thorax + pygidium).
Nelle associazioni faunistiche dominate da trilobiti, generalmente il numero dei resti di esoscheletri rinvenuti in un certo orizzonte non è considerato direttamente indicativo del numero degli individui, perché (come già accennato), molti di questi elementi (exuvie) sono in realtà il risultato di mute successive dello stesso individuo. Molti ricercatori dividono il numero delle exuvie determinate per sei o per otto allo scopo di ottenere una stima più realistica della popolazione in una tipica comunità[11] .
Talvolta, i trilobiti fossili (dei gruppi più evoluti) si rinvengono arrotolati sul lato ventrale o appallottolati in forma sferoidale (vedi capitolo:Capacità di appallotolarsi): è una postura difensiva, e in questo caso non può evidentemente trattarsi di exuvie. Sono fossili di animali sorpresi in queste condizioni dall'evento che ne ha determinato la morte: spesso una piccola frana sottomarina che li ha seppelliti con sedimento fangoso, soffocandoli, o li ha trascinati più in profondità, su un fondale in condizioni euxiniche dove non potevano vivere; oppure ancora, si tratta di esemplari sorpresi da un evento anossico, che ha determinato un crollo improvviso delle condizioni di ossigenazione degli strati d'acqua prossimi al fondale.
Danni e anomalie
Sovente sono stati evidenziati sugli esoscheletri dei trilobiti caratteri anomali e danni. Queste anomalie possono essere di tre tipi[12]:
danni occorsi durante la muta: la muta è un momento particolarmente difficile per l’organismo presso tutti i gruppi di artropodi attuali conosciuti, in cui possono verificarsi con maggiore frequenza eventi traumatici e deformazioni dell'esoscheletro ancora non mineralizzato[13];
condizioni patologiche dovute a malattie o all’infestazione da parte di parassiti;
effetti di tipo teratologico dovuti a disfunzioni di natura embriologica o genetica: si tratta per la maggior parte di deformità o di sviluppo asimmetrico di parti dell'esoscheletro.
Oltre a questi tipi di anomalie, sono stati riscontrate probabili tracce di predazione: si tratta di cicatrici e danni asimmetrici, che nella maggior parte dei casi sono presenti sul lato destro dell’esoscheletro rispetto al lato sinistro (il rapporto è di circa 3/1). Questa caratteristica è stata interpretata[14] come un comportamento selettivo da parte dei predatori, con preferenza per una direzione di attacco da destra (il che implicherebbe una spiccata “lateralizzazione” del loro sistema nervoso e dei loro organi). È stato però osservato[15] che in realtà noi conosciamo solamente gli organismi sopravvissuti alla predazione (quelli che hanno potuto fossilizzarsi), quindi vediamo in prevalenza i risultati degli attacchi con esito negativo, mentre quelli con esito positivo corrispondono ad esemplari che non hanno potuto fossilizzarsi in quanto sono stati consumati nell’atto della predazione. Questi ultimi potrebbero corrispondere tanto ad attacchi sul lato sinistro quanto ad attacchi sul lato destro (non vi è evidentemente modo di appurarlo): ne consegue che i predatori avrebbero potuto al contrario con la stessa probabilità avere una preferenza per il lato sinistro[16].
Parti molli
Solamente in alcuni casi (i giacimenti fossiliferi tipo Lagerstätten), in cui l’assenza di ossigeno nelle acque a contatto con il fondale ha impedito la decomposizione della materia organica, si rinvengono associate all’esoscheletro anche tracce identificabili delle parti molli (principalmente arti, branchie, muscolatura e apparato digerente), e sono conservati particolari di notevole dettaglio di alcuni organi (ad esempio, gli occhi).
Appendici ventrali
Illustrazione schematica di una tipica appendice ventrale di trilobite. L'organizzazione bifida in preepipodite (che sorregge l'apparato branchiale) e telopodite (l'arto vero e proprio) è unica tra gli artropodi.
Le appendici ventrali sono strutture peculiari dei trilobiti, con un’organizzazione unica tra tutti gli artropodi conosciuti. Sono raramente preservate allo stato fossile, in quanto ricoperte da un tegumento debolmente o non mineralizzato. Sono conosciute da reperti molto frammentari fin dalla fine del secolo diciannovesimo, ma sono state descritte integralmente solo nel secolo ventesimo [17] da esemplari provenienti da giacimenti tipo Lagerstätten. In particolare, hanno grandemente contribuito alla conoscenza di queste strutture le osservazioni fatte sui generi Olenoides e Kootenia[18] da esemplari fossilizzati nella formazione Burgess Shale (Cambriano Medio, British Columbia, USA).
Ogni segmento metamerico porta sul lato ventrale un paio di queste appendici. Le antenne sui due lati dell’ipostomo corrispondono al primo paio: si tratta di appendici semplici, composte da numerosi anelli articolati insieme e dotate di numerosi "peli" (setae), con evidente funzione sensoriale[19]. Seguono le appendici cefaliche, toraciche e pigidiali definite complessivamente protopoditi. Si tratta di strutture biforcate, composte da un segmento basale (precoxa), che si articola su un apodema (ad ogni paio di apodemi corrisponde un paio di appendici). Alla parte distale della precoxa si articolano due elementi:
un ramo locomotorio (telopodite), corrispondente ad un vero e proprio arto; il telopodite consta di un elemento bulboso detto coxa e da sette poditi articolati, caratterizzati dalla presenza di spine in posizione interna. Spesso, la parte interna della coxa sorregge processi spinosi e a lama molto sviluppati (gnatobasi);
un ramo branchifero[20] (preepipodite), più corto e munito di filamenti branchiali, in posizione dorsale rispetto al precedente.
L'estremità posteriore è caratterizzata da un altro paio di appendici non-bifide (cerci), equivalenti delle antenne (strutture presenti anche in altri gruppi di artropodi).
In generale, si tratta di strutture piuttosto conservative, in tutte le forme in cui sono conosciute, e di scarso valore sistematico (anche per la rarità dei ritrovamenti).
Apparato digerente
Veduta laterale in sezione del cephalon di un trilobite phacopide, con la possibile disposizione degli organi dell'apparato digerente, supportati da fasce muscolari attaccate alla superficie interna della cuticola. Nello schema, gli strati più esterni della cuticola sono supposti asportati (quindi le impronte muscolari sono visibili).
La natura e la disposizione degli organi digestivi dei trilobiti sono largamente ipotetiche. Lo schema più citato nell’ambito della ricerca[21] prevede un breve esofago che iniziava in prossimità del margine posteriore dell’iponomo e portava ad un sacco digestivo (“stomaco”) contenuto entro la glabella. Sulla superficie interna di quest’ultima, sono state descritte impronte interpretabili come impronte muscolari[22], probabilmente connesse al sostenimento e al movimento di questi organi. Un tubo intestinale si dipartiva dallo stomaco e percorreva il corpo in posizione assiale per tutta la sua lunghezza fino al pygidium.
Nei trilobiti cambriani, caratterizzati da una cuticola piuttosto sottile e con morfologia relativamente appiattita, è comune la presenza sul cephalon (e talora sul resto del corpo) di una sorta di “ornamentazione” in rilievo, a rughe con una complessa disposizione ramificata (caecae). Queste sono state interpretate come elementi connessi all’apparato digerente, in grado di distribuire i nutrienti digeriti alle parti periferiche del corpo e definite come prosopon alimentare. In alternativa, queste strutture potrebbero avere una funzione respiratoria[23]. Nella maggior parte dei trilobiti post-cambriani, in cui la cuticola è molto più spessa, tali strutture non sono visibili, anche se non è detto che gli organi interni di cui le caecae erano l’impronta esterna non fossero più presenti (avrebbero potuto essere semplicemente interni alla cuticola e non più parzialmente inglobati in essa).
Tutte queste strutture (impronte muscolari e prosopon alimentare) hanno una certa importanza dal punto di vista filogenetico, anche se sono osservabili in dettaglio solo su esemplari ben conservati.
Apparato muscolare
Sono presenti due tipi principali di muscoli, interni all’esoscheletro:
flessori: un paio di fasce muscolari parallele che decorrevano lungo tutto il corpo, collegando gli apodemi; questi muscoli, contraendosi, diminuivano la distanza tra gli apodemi, portando il corpo a ripiegarsi sul lato ventrale.
estensori: in base alle impronte muscolari rinvenute, collegavano la superficie (semianello) articolare anteriore di ogni anello assiale toracico all’anello che lo precede; contraendosi, questi muscoli tendevano a riportare il corpo nella posizione estesa normale (erano quindi i muscoli antagonisti dei flessori).
Questi muscoli presiedevano ai movimenti principali dell’esoscheletro sul piano verticale, e ne determinavano la capacità di “arrotolarsi” per difesa. Altri muscoli di dimensioni più ridotte[24] presiedevano verosimilmente ai movimenti delle appendici, utilizzando gli apodemi come supporto.
Dimensioni
Le forme adulte dei trilobiti hanno dimensioni variabili da 1 mm fino a circa 70 cm, con dimensioni mediamente intorno a 2-10 cm. Il trilobite di dimensioni maggiori conosciuto è Isotelus rex, rinvenuto nel 1998 in Canada, in rocce della regione della Baia di Hudson datate all’Ordoviciano [25].
Ecologia
Stile di vita
Erbenochile erbeni, un trilobite phacopide con occhi di tipo schizocroico (occhi aggregati, dotati di cornea individuale) estremamente sviluppati e rilevati, con zona palpebrale di forma colonnare. Devoniano del Marocco.
L'ecologia di queste forme è per ovvie ragioni in gran parte speculativa, trattandosi di organismi completamente estinti. Tuttavia, molto è possibile dedurre dalla loro stessa morfologia, per comparazione con lo stile di vita di organismi attuali.
Elementi particolarmente significativi sono:
Occhi. Particolare di un occhio di Erbenochile erbeni.La presenza di strutture visive così complesse ed evolute implica che la maggior parte dei trilobiti vivesse entro la zona fotica, che si situa entro i primi 100-200 metri di profondità dei mari e degli oceani, e che la loro origine vada cercata comunque in quest'ambito, dal momento che i primi fossili di trilobiti e la maggior parte dei successivi si rinvengono in sedimenti di piattaforma continentale (shelf). Le forme con occhi regrediti o cieche (l'esempio più evidente sono gli Agnostida) lo sono per adattamento secondario a condizioni di vita che non ne richiedevano l'uso (stile di vita da endobionti[26], oppure da epibionti[27] al di sotto della zona fotica). Il frequente, notevole sviluppo degli occhi implica anche che molte forme (se non la maggior parte) fossero diurne. La posizione sempre dorsale degli occhi (quando presenti), indica uno stile di vita generale di tipo bentonico, in quanto questo tipo di organizzazione consentiva a questi organismi un buon controllo dell'ambiente circostante e soprastante il loro corpo appiattito, da dove potevano venire principalmente gli attacchi dei predatori, mentre altri tipi di organi, come le setae sporgenti dai pori-canali e le macule[28] presiedevano al controllo dell'ambiente sottostante.
Arti. L'organizzazione di tipo metamerico, con un paio di arti per ogni segmento, qualifica i trilobiti come ovvi organismi vagili. In tutti gli artropodi dotati di arti numerosi (ad esempio, i millepiedi) o gli onischi), gli arti su ogni lato del corpo si muovono in avanti secondo in maniera sequenziale, per gruppi, secondo un ritmo metacronale (non-sincronico) che dà al loro movimento l'apparenza di un'onda che si propaga lungo tutto il corpo, dall'estremità posteriore all'estremità anteriore. Le tracce fossili attribuibili a trilobiti sono interpretabili secondo questo schema di movimento (vedi capitolo:Deambulazione e scavo). Non esistono invece nella documentazione fossile evidenze dirette del fatto che i trilobiti potessero nuotare, anche se le strutture membranose delle appendici ventrali (preepipoditi) con morfologia a "pala" in alcuni generi (Ceraurus, Olenoides) sono state interpretate da alcuni [29] come strutture atte al nuoto attivo. Le ricostruzioni di trilobiti natanti presenti diffusamente in letteratura (anche on line), sono frutto di ipotesi fondate soprattutto sulla morfologia dell'esoscheletro, sulla tanatocenosi, sulla faciessedimentaria in cui il taxon in questione è stato rinvenuto e sulla sua diffusione.
Locomozione
Deambulazione e scavo
Diplichnites, traccia fossile di trilobite. Devoniano dell'Ohio, USA.
Vi sono vari tipi di tracce fossili riferite dai ricercatori alle attività di locomozione, escavazione e stazionamento sul fondale dei trilobiti[30]. Il collegamento con i trilobiti è dato il più delle volte dal fatto che le tracce sono state rinvenute in formazioni geologiche contenenti fossili di questi organismi; inoltre queste strutture sono in genere delle dimensioni giuste per essere state prodotte dai trilobiti rinvenibili nelle stesse formazioni. Tuttavia, l’associazione diretta fra tracce e trilobiti è rarissima: il più delle volte le tracce si trovano sull’interfaccia tra strati argillosi e livelli sabbiosi che li hanno ricoperti, ad esempio deposti da correnti torbide (permettendo quindi la preservazione delle impronte, mentre gli organismi veri e propri generalmente non sono conservati in questo contesto); i trilobiti fossili invece, di norma, si rinvengono entro i livelli argillosi, che costituivano il loro substrato di vita normale.
Come la maggior parte delle tracce fossili, queste strutture di origine biologica sono classificate secondo la nomenclatura zoologica in generi e specie a sé stanti, poiché è molto raro che possano essere direttamente relazionate agli organismi d’origine. È opportuno rilevare che queste impronte, anche se attribuite a “specie” diverse, non sono necessariamente da riferire ad organismi diversi, ma potrebbero essere semplicemente il risultato di attività diverse dello stesso organismo, o anche dello stesso organismo in stadi di sviluppo diversi.
Cruziana, traccia fossile probabilmente prodotta da trilobiti che scavavano lo strato superficiale di sedimento per nutrirsi. Ordoviciano superiore, Spagna. L'esemplare è in realtà il calco della traccia vera e propria, conservato sull'interfaccia inferiore di uno strato arenaceo che ricopriva il sedimento argilloso su cui la traccia è stata scavata dall'animale (i due lobi sono convessi verso il basso, quindi le tracce sono rovesciate rispetto alla posizione reale).
Inoltre, anche se in alcuni casi l'associazione tracce-trilobiti è provata e in diversi casi è logica, bisogna considerare che tra i ricercatori l'accordo nel riferire tutte queste tracce a trilobiti non è universale, ma sono stati proposti anche altri gruppi di artropodi che potrebbero esserne all'origine (ad esempio, miriapodi e xifosuri).
Per semplicità, è possibile raggruppare le tracce fossili attribuite a trilobiti in quattro categorie:
tracce caratterizzate da sequenze di impronte singole puntiformi disposte in doppie serie disposte secondo una V aperta in avanti (Protichnites, Trachomatichnites); queste serie di impronte sono probabilmente derivate dal movimento delle appendici ventrali dei trilobiti secondo un ritmo metacronale: le appendici pigidiali erano le prime a toccare il fondale, e il movimento si propagava in successione alle appendici dei vari segmenti toracici fino a raggiungere il cephalon; le V sono aperte in avanti perché generalmente il corpo dei trilobiti tende ad allargarsi dal pygidium al cephalon, e il fatto che non vi siano serie di impronte che tendono a convergere in avanti viene ritenuto indicativo del fatto che le appendici cefaliche non venivano utilizzate per la locomozione. Il moto in questo caso era in avanti e parallelo all'asse del corpo. Rusophycus, traccia fossile di trilobite, probabilmente un "nido" temporaneo, con tracce degli arti dell'occupante. Cambriano Superiore, Polonia.
tracce simili alle precedenti ma in serie oblique meno ben allineate e sovente in interferenza; spesso le singole impronte sono allungate come se gli arti avessero “strisciato” sul fondale (Diplichnites, Dimorphichnites, Petalichnites, Asaphoidichnus): queste tracce sono probabilmente di trilobiti che camminavano trasversalmente (come granchi), o perché questa era la loro progressione abituale, oppure perché sottoposti ad una corrente laterale mentre camminavano. Nel caso di Asaphoidichnus, è stato possibile attribuire queste tracce a trilobiti asaphidi (probabilmente del genere Isotelus), con cui sono state rinvenute in associazione (Ordoviciano di Cincinnati, Ohio, USA).
tracce allungate formate da due lobi paralleli, convessi verso il basso e caratterizzati da fitte striature oblique a “lisca di pesce”, ovvero a V convergenti sulla linea mediana (Cruziana): queste tracce (le più comuni nel Paleozoico inferiore) sono interpretate come tracce di nutrizione di trilobiti che si spostavano in avanti scavando nel contempo il sedimento fine muovendo le appendici ventrali alternativamente verso la linea mediana interna e verso l’esterno; il risultato sono solchi in cui è difficile distinguere le singole impronte degli arti. Le Cruziana presentano spesso variazioni alla struttura di base descritta: hanno talvolta solchi supplementari che potrebbero essere le tracce dei preepipoditi (rami branchiferi delle appendici ventrali) o delle spine pleurali. In qualche caso, quando queste impronte appartengono ad una sola specie e sono associate ad una sola specie di trilobite, è stato possibile stabilire una connessione chiara, ma si tratta di un caso assolutamente infrequente. Rusophycus, una traccia di stazionamento sul fondo prodotta da un trilobite, in questo caso liscia (priva di impronte di arti); Ordoviciano dell'Ohio.
tracce bilobate ovoidali, più profonde nella parte centrale (Rusophycus), talora lisce ma più frequentemente segnate da solchi a “lisca di pesce” simili a Cruziana o da impronte nette di arti come nelle altre forme descritte: queste tracce sono interpretate come impronte di trilobiti che hanno stazionato per qualche tempo sul fondale. Le più profonde potrebbero essere veri e propri “nidi” che i trilobiti hanno occupato per un tempo abbastanza lungo. Il tipo "liscio" potrebbe essere derivato dall'azione di erosione di una corrente unidirezionale sul sedimento intorno ad un trilobite leggermente infossato (posizionatosi intenzionalmente con la fronte alla corrente). Alcune di queste strutture si trovano al termine di piste tipo Cruziana o di altri tipi di tracce; altre invece si rinvengono isolate, e questo potrebbe implicare che si tratta di impronte o nidi temporanei scavati da trilobiti "atterrati" dopo aver nuotato sopra il fondale (e che poi sono nuotati via nello stesso modo).
Tutte queste tracce costituiscono una nota dominante nei sedimenti marini e transizionali del Cambriano e dell'Ordoviciano, e divengono sempre meno frequenti dal Siluriano, riflettendo apparentemente il declino dei trilobiti.
L'analogo vivente più prossimo ai trilobiti è il genere Limulus (Chelicerata, Xiphosura). Questi artropodi nuotano sul dorso, utilizzando le appendici ventrali come propulsori e il prosoma (cefalotorace) a volta e di forma semicircolare, come scafo per sostenere il nuoto. Al venir meno della spinta degli arti, l'animale atterra sul fondale di dorso, e utilizza il telson (ultimo segmento appuntito e allungato dell'esoscheletro, affine alla spina caudale di molti trilobiti) per rivoltarsi sul ventre riprendendo così la posizione normale di deambulazione. Confrontare con i trilobiti Dalmanites, Eodalmanitina e Opipeuterella, raffigurati in questa voce.
Nuoto
L’analogo attuale più citato per la ricostruzione delle modalità di locomozione e lo stile dei vita dei trilobiti è il limulo americano (e i generi affini asiatici)[31]. Questo artropode del della sottoclasse Xiphosura è dotato di un esoscheletro il cui prosoma (la parte anteriore), presenta diverse affinità con il cephalon dei trilobiti (in realtà è un cefalotorace): forma semicircolare con estremità posteriori appuntite (simili a spine genali), un lobo assiale rilevato (lobo cardiaco) delimitato da solchi assiali e apparentemente simile ad una glabella, occhi composti, duplicatura ventrale. L’analogia non si estende alla parte posteriore del corpo (opistosoma), in cui la segmentazione è meno evidente rispetto ai trilobiti[32]. Le appendici prosomali del limulo (cinque paia di appendici post-orali più i cheliceri del segmento pre-orale) non hanno la stessa organizzazione di quelli dei trilobiti (manca il ramo branchifero), pur avendo in comune una coxa spinosa dotata di gnatobasi. Le appendici opistosomali sono modificate in forma di placche, e sostengono le branchie. È stato osservato che i limulidi attuali, curiosamente, nuotano sul dorso[33], inclinati di circa 30° rispetto all’orizzontale, utilizzando le appendici opistosomali e l’ultimo paio di appendici prosomali secondo un movimento metacronale che si propaga in avanti, mentre invece i primi quattro arti del segmento post-orale si muovono in fase, estendendosi durante il movimento di spinta all’indietro e ripiegandosi poi in avanti entro la cavità del prosoma. Il prosoma viene sostanzialmente utilizzato come uno “scafo” per sostenere il nuoto[34], sotto l'azione propulsiva delle appendici. Le appendici dei trilobiti non hanno il livello di differenziazione di quelle degli xifosuri, quindi si suppone che nel loro caso il movimento metacronale fosse prevalente.
Opipeuterella (Ordoviciano Iinferiore). Questo trilobite, dotato di occhi molto sviluppati e corpo stretto con linea idrodinamica, è indicato come un tipico esempio di modo di vita pelagico. Qui l'animale è ipotizzato nuotare sul dorso, come un limulo.
Tuttavia, la forte analogia morfologica tra il cephalon dei trilobiti e il prosoma dei limulidi ha indotto diversi autori ad ipotizzare che anche il nuoto dei trilobiti potesse avvenire sul dorso, con inclinazione variabile a seconda della morfologia (più o meno piatta o rilevata) dell’esoscheletro. Diversi trilobiti il cui stile di vita si suppone pelagico sono stati ricostruiti in questo modo. In particolare, trilobiti dotati di occhi molto sviluppati e corpo stretto e allungato con lobi pleurali poco sviluppati (ad esempio, i componenti la famiglia Telephinidae, ordine Proetida, come Opipeuterella, raffigurata qui accanto) sono ritenuti nuotatori veloci e probabili consumatori di plancton. I loro caratteri morfologici sono in accordo con uno stile di vita attivo: i grandi occhi reniformi olocroici garantivano una visione molto più ampia rispetto a forme più "classiche" di trilobiti (sia sotto che sopra il piano del corpo) per l'individuazione del cibo e dei predatori; ancora, la conformazione cilindrica del corpo, con i lobi pleurali stretti, avrebbe reso queste forme molto instabili nella postura di stazionamento e deambulazione sul fondale tipica dei trilobiti più comuni. Inoltre, la diffusione di queste forme appare indipendente dalla faciessedimentaria (a differenza delle forme più comuni, che appaiono strettamente limitate a facies ben precise), evidenza in accordo con un modo di vita pelagico
Phacops (Devoniano del Marocco). Esemplare appallottolato, tipico esempio di arrotolamento sferoidale: a) varie vedute del lato dorsale; b) particolare della duplicatura del cephalon, sulla quale è visibile il solco vincolare che serviva ad impedire lo slittamento del pygidium (il margine del pygidium che lo ricopriva è parzialmente asportato); c) Vedute laterali, in cui è osservabile il ricoprimento delle estremità distali delle pleure.
. Il loro probabile stile di vita poteva essere simile a quello degli attuali crostaceianfipodi planctonici del sottordine Hyperiidea (incluse le modalità di nuoto, prevalentemente sul dorso) .
Come sembra indicare il comportamento degli xifosuri attuali, però, il nuoto sarebbe stato in teoria possibile anche per trilobiti con corpo più ampio e appiattito e occhi dorsali, che sono considerati possibili nuotatori lenti o saltuari.
Una spinosità molto sviluppata è stata a lungo considerata un adattamento a condizioni di vita pelagiche, in quanto spine allungate (soprattutto le spine pleurali) avrebbero potuto facilitare il galleggiamento dell'organismo (analogamente ad altri organismi planctonici, come ad esempio i foraminiferi, in cui la presenza di spine svolge effettivamente un ruolo di questo tipo). Tuttavia, la maggior parte dei trilobiti raggiungono da adulti dimensioni tali (alcuni centimetri) per cui la presenza delle spine non sarebbe stata di effettiva utilità per il galleggiamento: in questi casi si tende a considerare questa specializzazione più come volta ad una migliore distribuzione del peso dell'animale su sedimenti fangosi poco consolidati, in modo da evitarne l'affondamento[35].
Una possibile eccezione è costituita dall'ordine Odontopleurida, costituito da trilobiti di piccole dimensioni (da millimetriche a centimetriche) con spine lunghe e sottili sempre presenti, rivolte non solo in senso laterale ma anche ventrale e spesso dorsale, che sono spesso stati interpretati come nuotatori attivi[36].
Capacità di appallotolarsi
I trilobiti più evoluti post-cambriani (in particolar modo i Phacopida, ma anche diversi gruppi di Asaphida e Proetida) si rinvengono spesso appallottolati fino a formare una “palla” quasi perfetta (arrotolamento sferoidale): la duplicatura ventrale del cephalon è in stretto contatto il margine ventrale del pygidium, a chiudere completamente ogni accesso al lato ventrale vulnerabile dell’animale; le pleure dei segmenti toracici sono parzialmente sovrapposte (scorrendo sulle faccette articolari nel loro tratto distale), fino a serrare completamente gli spazi tra le estremità distali libere, chiudendo anche le aree laterali dell’esoscheletro (vedi capitolo di descrizione dell'esoscheletro). In forme di questo tipo, spesso, la duplicatura cefalica e pigidiale è dotata di strutture (strutture coaptative) atte a “bloccare” il contatto tra le due parti per impedirne lo slittamento. Si tratta di strutture di due tipi fondamentali: alcune consistono in indentazioni cui corrispondono fossette dalla parte opposta; altre sono caratterizzate da solchi e rughe. Ad esempio, in Phacops (figura accanto), un profondo solco (solco vincolare) è presente sulla duplicatura del cephalon, combaciando con il margine del pygidium. In altre forme, come Dalmanites ed Eodalmanitina, non vi era un contatto ermetico tra cephalon e pygidium, ma rimaneva una fessura triangolare o ad arco beante, che probabilmente aveva lo scopo di permettere ancora la circolazione dell’acqua nell’animale appallottolato: in questi ed in molti altri casi, la fessura era difesa da spine o file di denticoli.
Eldredgeops rana crassituberculata, particolare di un altro phacopide arrotolato.
In alcune forme avanzate di Ptychopariida (Harpina) e di Asaphida(Trinucleidae), dotati di un cephalon estremamente sviluppato con spine genali molto lunghe (che avrebbero reso impossibile un arrotolamento sferoidale), solamente i primi segmenti toracici anteriori potevano arrotolarsi, mentre la parte di torace restante si ripiegava al di sotto come una lamina rigida (arrotolamento discoidale). Molto più raro l’arrotolamento doppio, in cui il pygidium e gli ultimi segmenti toracici posteriori entravano sotto il margine anteriore del cephalon.
Le forme meno avanzate, fino al Cambriano Superiore (ad esempio i Redlichiida e le forme più arcaiche degli Ptychopariida, come Olenus), avevano scarsa capacità di arrotolarsi, in quanto le pleure avevano una limitata possibilità di sovrapposizione, e le loro estremità libere sarebbero entrate in contatto prima di poter completare l’appallottolamento: potevano solamente inarcarsi o al più di arrotolarsi in una spirale “lenta”, e non erano dotati di faccette articolari e strutture coaptative. La capacità di inarcamento del corpo era comunque indispensabile per l’animale durante la muta, per favorire l’apertura delle suture facciali e potere quindi fuoriuscire dall’exuvia [37]: l’appallottolamento completo è la naturale evoluzione di questa attitudine.
Nutrizione
Il modo di nutrirsi dei trilobiti e le loro abitudini alimentari sono in gran parte speculativi, dal momento che non sono state mai riscontrate strutture (mineralizzate o meno) che potessero essere ricondotte ad un apparato boccale e ad un apparato masticatore. D’altro canto, la grande varietà di morfologie e i diversi stili di vita comparsi nella lunga storia evolutiva di questo gruppo indicano chiaramente che dovevano essersi sviluppati adattamenti alimentari molto diversificati.
Due esempi di gnatobasi di trilobiti cambriani: processi spinosi situati sul tratto prossimale (coxa) delle appendici ventrali.
Nei casi in cui le appendici ventrali sono conservate, la presenza costante sulla parte interna degli arti di processi spinosi apparentemente atti a perforare e tagliare (gnatobasi), ha indotto diversi autori ad ipotizzare che i trilobiti in questione fossero predatori o necrofagi[38]. Le gnatobasi dei trilobiti erano probabilmente in grado di lacerare la cuticola e le parti molli di animali privi di strutture difensive mineralizzate, come i vermi: effettivamente, l'attuale limulo utilizza le proprie gnatobasi (situate sulla coxa delle appendici ventrali prosomatiche) per lo stesso scopo. Spesso, tracce fossili attribuite a trilobiti si interrompono quando incrociano bioturbazioni riferibili a tane di vermi, come se il trilobite stesse effettivamente cacciando questi organismi; in altri casi si hanno possibili tracce di nutrizione associate a tane di vermi: ad esempio, sono conosciuti dal Cambriano Inferiore della Svezia[39] vari esempi di tracce tipo rusophycus scavate accanto a probabili tane di priapulidi (di forma tubolare a U). Queste tracce sono sempre scavate a contatto con la tana del verme, ma leggermente di lato. Questo particolare sembra suggerire che il trilobite avesse scavato in modo da portare allo scoperto un lato della tana per “agganciare” il corpo cilindrico del verme con una fila laterale di arti ed estrarlo; successivamente, lo avrebbe portato sotto di sé per lacerarlo con le gnatobasi. Le parti edibili delle prede erano poi convogliate verso la bocca dal movimento delle gnatobasi, attraverso il solco mediano ventrale situato tra le due file di appendici[40]. Questo tipo di adattamento alimentare sembra sviluppato già nelle forme più arcaiche, del Cambriano (come Olenoides), indicando questa strategia alimentare come quella originaria del gruppo, mentre i trilobiti successivi sviluppano una varietà maggiore di morfologie e di adattamenti. Secondo Fortey e Owens (1999), le abitudini alimentari dei trilobiti sarebbero correlate con il tipo di ipostomo: l'ipostomo conterminante (fissato saldamente al margine anteriore del cephalon), avrebbe favorito un comportamento alimentare predatorio, fornendo un supporto più robusto (dal punto di vista meccanico) per l'assunzione di frammenti più grandi di cibo (i "brandelli" del corpo delle prede), mentre i trilobiti con ipostomo natante (non fissato al margine del cephalon) sarebbero stati predatori meno efficienti o microfagi[41][42]. Allo stesso modo, secondo gli autori citati, una glabella particolarmente sviluppata e inflata (come ad esempio in Phacops o Kainops) sarebbe stata indice di abitudini predatorie, in quanto avrebbe lasciato uno spazio maggiore per lo stomaco e quindi una maggiore possibilità di digerire frammenti relativamente grandi di prede.
Riproduzione e ontogenesi
Stadi ontogenetici di Shumardia (Conophrys) salopiensis (da Whittington, 1959, ridisegnato). Il primo stadio (protaspide) è dotato di un esoscheletro discoidale con lobo mediano. Nello stadio intermedio (meraspide) compare un pygidium transitorio dal quale si originano in fasi successive i segmenti toracici (tergiti). Ogni segmento compare e si individua entro il pygidium come elemento fuso, e si differenzia successivamente come elemento separato (tergite) quando il distacco progressivo dei segmenti precedenti lo porta al margine anteriore del pygidium stesso. Gli stadi meraspidi vengono numerati da 0 a n a seconda nel numero dei segmenti toracici differenziati. Dopo il raggiungimento dello stadio finale (olaspide) non si originano altri segmenti toracici, anche se possono comparire ulteriori segmenti fusi entro il pygidium. Nella specie illustrata compare nello stadio meraspide un segmento dotato di spine pleurali particolarmente sviluppate (megapleure). Si tratta di un carattere piuttosto frequente in numerosi gruppi di trilobiti, e spesso la comparsa delle megapleure corrisponde a significative variazioni nella morfologia e nel pattern di crescita dell'organismo.
I trilobiti sono generalmente ritenuti organismi dioici[43], come la maggior parte dei crostacei attuali. Vi sono diverse segnalazioni di variazioni morfologiche intraspecifiche interpretate come dimorfismo sessuale[44].
È verosimile anche che deponessero uova, anche se vi è una sola segnalazione di possibili uova fossili di trilobiti, risalenti al Cambriano[45]. È stata avanzata l’ipotesi che almeno alcune forme di trilobiti tenessero le uova e/o gli esemplari larvali entro la cavità del cephalon come l’attuale limulo, l’analogo vivente più vicino ai trilobiti, il cui carapace ha alcune affinità morfologiche (soprattutto nella sua parte anteriore, il prosoma) con il cephalon dei trilobiti stessi. In alcune specie sono stati osservati [46]rigonfiamenti nella regione anteriore (pre-glabellare) del cephalon che compaiono solo in alcuni esemplari delle forme adulte, interpretati come caratteri connessi ad un dimorfismo sessuale e in particolare come “tasche” per il mantenimento delle uova o delle forme larvali. Strutture simili sono presenti in altri gruppi di artropodi, come gli ostracodi (anche se non nella stessa posizione).
L’ontogenesi dei trilobiti è ben conosciuta, attraverso numerosi studi [47]. Gli stadi iniziali di crescita erano molto diversi dagli adulti: il primo stadio di sviluppo (stadio protaspide), di dimensioni inferiori al millimetro (mediamente circa 0.75 mm di diametro), ha una forma discoidale aperta centralmente e dotata di un ipostomo (spesso molto spinoso), mentre superiormente è presente un lobo mediano segmentato destinato a divenire la gabella (stadio protaspide); in questo stadio gli occhi erano molto piccoli e si trovavano al margine anteriore dell’esoscheletro, mentre nelle fasi di crescita successive migrano gradualmente nella parte dorsale e compaiono le suture facciali. Nello stadio successivo (stadio meraspide), compare un primo pygidium transitorio, dal cui margine anteriore si originano i segmenti toracici attraverso fasi successive di crescita e di muta. In questi stadi iniziali la morfologia dei vari elementi dell’esoscheletro (cephalon, segmenti toracici e pygidium) poteva differire anche notevolmente da quella delle forme adulte. Lo stadio finale (stadio olaspide) è caratterizzato dal pieno sviluppo dei segmenti toracici e dal raggiungimento della forma definitiva dell’esoscheletro, anche se la crescita dell’individuo generalmente proseguiva ed erano necessarie varie mute per raggiungere l’effettiva maturità. Sono stati talora rinvenuti[48] associati a trilobiti degli oggetti (phaselus) fosfatizzati di forma ovoidale dotati di una apertura ventrale con duplicatura, di dimensioni inferiori ai protaspidi più piccoli, che sono stati interpretati come uno stadio larvale pre-protaspide, presumibilmente con stile di vita planctonico.
Distribuzione geografica
Sono fossili molto diffusi in tutto il mondo, in sedimenti marini del Paleozoico.
In Italia sono presenti: in Carnia, in Sardegna (Iglesiente e Sarrabus) e segnalati in Sicilia negli olistoliti[49] di età permiana della (Valle del Sosio), cioè le tre aree italiane dove affiorano le successioni più significative di rocce sedimentarie paleozoiche depostesi in ambiente marino.
^In altre parole: l'ipotesi di Babcock ("i predatori preferivano il lato destro") si basa sull'assunto che i trilobiti consumati dai predatori siano stati attaccati con le stesse modalità di quelli fossilizzati (quindi sopravvissuti all'attacco). Tale assunto appare a prima vista ragionevole, ma è in realtà assolutamente non verificabile (quindi non provato e impossibile da provare) con il materiale fossile a disposizione, in quanto può essere vera anche l'ipotesi contraria ("i predatori preferivano il lato sinistro"). L'ipotesi andrebbe quindi riformulata come "i predatori preferivano attaccare i trilobiti da un particolare lato" (qualunque fosse): in questo modo la deduzione di una lateralizzazione degli organismi predatori reggerebbe in ogni caso...
^Considerando l storia evolutiva di questo gruppo, tuttavia, è evidente nelle forme più primitive una organizzazione molto più simile a quella dei trilobiti , con una evidente segmentazione dell'opistosoma e sovente con la tipica partizione a tre lobi longitudinali: [1]
^Nei crostacei attuali, tutta questa serie di operazioni è svolta dalle parti specializzate della bocca: nei trilobiti sembrerebbe che le strutture analoghe non fossero effettivamente solo in prossimità dell'apertura boccale ma "distribuite" lungo tutta la lunghezza del corpo.
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