Papa Celestino V

192° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica da agosto a dicembre del 1294

Template:Papa della chiesa cattolica Celestino V, nato Pietro Angeleri e detto Pietro da Morrone (Molise, circa 1209Fumone, 19 maggio 1296), fu il 192° papa della Chiesa cattolica dal 29 agosto al 13 dicembre 1294.

Fu incoronato ad Aquila (oggi L'Aquila) il 29 agosto del 1294 nella basilica di Santa Maria di Collemaggio, dove è sepolto. Il 28 aprile 2009 papa Benedetto XVI visitando la basilica duramente colpita dal terremoto pose sulla sua urna (una teca di cristallo) il suo pallio pontificio in ricordo della visita. Celestino V fu il primo Papa che volle esercitare il proprio ministero al di fuori dei confini dello Stato Pontificio, e uno dei pochi, come San Clemente I e Gregorio XII, ad abdicare.

È venerato come Santo dalla Chiesa cattolica che ne celebra la festa liturgica il 19 maggio. È patrono di Isernia e compatrono dell'Aquila, di Urbino e del Molise.

La vita eremitica

Di origini contadine, penultimo di dodici figli, nacque tra il 1209 e il 1215 (la fonte più accreditata è tratta dalla "vita C" che racconta che aveva 87 anni al momento della morte avvenuta il 19 maggio 1296, ciò vorrebbe dire, come dicono altre fonti, che sarebbe nato nel 1209). È certo che nacque in Molise. La sua nascita è rivendicata da due comuni: Isernia e Sant'Angelo Limosano (di cui pure è patrono). Recentemente anche Sant'Angelo in Grotte, frazione di Santa Maria del Molise ne ha rivendicato i natali, dopo il rinvenimento di un documento che parla della nascita di Celestino V "... in un castello di nome Sancto Angelo".

Da giovane, per un breve periodo, ebbe a soggiornare presso il monastero benedettino di Santa Maria in Faifoli, Chiesa abbaziale che, tra le dodici della diocesi di Benevento, era una delle più importanti. Mostrò una straordinaria predisposizione all'ascetismo e alla solitudine, ritirandosi nel 1239 in una caverna isolata sul Monte Morrone, sopra Sulmona, da cui il suo nome.

Qualche anno dopo si trasferì a Roma, presumibilmente presso il Laterano, ove studiò fino a prendere i voti sacerdotali. Lasciata Roma, nel 1241 ritornò sul monte Morrone, in un'altra grotta, presso la piccola chiesa di Santa Maria di Segezzano. Cinque anni dopo abbandonò anche questa grotta per rifugiarsi in un luogo ancora più inaccessibile sui monti della Maiella, negli Abruzzi, dove visse nella maniera più semplice che gli fosse possibile.

Si allontanò temporaneamente dal suo eremitaggio di Morrone nel 1244 per costituire una Congregazione ecclesiastica riconosciuta da papa Gregorio X come ramo dei benedettini, denominata "dei frati di Pietro da Morrone" , che ebbe la sua povera culla nell'Eremo di Sant'Onofrio al Morrone, il rifugio preferito di Pietro, e che soltanto in seguito avrebbe preso il nome di Celestini.

Nell'inverno del 1273 si recò a piedi in Francia, a Lione, ove stavano per iniziare i lavori del Concilio di Lione II, per impedire che l'ordine monastico da lui stesso fondato fosse soppresso. La missione ebbe successo poiché grande era la fama di santità che accompagnava il monaco eremita. Sembra inoltre che durante il viaggio verso Lione sia venuto a contatto con i Cavalieri Templari stringendo amicizia con loro, i quali a loro volta intercedettero a suo favore durante il Concilio.[senza fonte]

I successivi vent'anni videro la radicalizzazione della sua vocazione ascetica e il suo distaccarsi sempre più da tutti i contatti con il mondo esterno, fino a quando non fu convinto che stesse sul punto di lasciare la vita terrena per ritornare a Dio. Ma un fatto del tutto inaspettato stava per accadere.

Il conclave

Papa Niccolò IV morì il 4 aprile 1292; nello stesso mese si riunì il conclave, che in quel momento era composto da soli dodici porporati:

  1. Latino Malabranca Orsini (o Frangipani Malabranca), vescovo di Ostia e Velletri, Decano del Sacro Collegio.
  2. Matteo d'Acquasparta, vescovo di Porto-Santa Rufina, sub-decano del Sacro Collegio.
  3. Gerardo Bianchi, vescovo di Sabina.
  4. Giovanni Boccamazza (o Boccamiti), vescovo di Frascati.
  5. Hughes Seguin de Billon (o Aycelin), titolare di Santa Sabina.
  6. Jean Cholet, titolare di Santa Cecilia.
  7. Benedetto Caetani, titolare di Santi Silvestro e Martino ai Monti.
  8. Pietro Peregrossi (detto Milanese), titolare di San Marco.
  9. Giacomo Colonna, diacono di Santa Maria in via Lata.
  10. Matteo Orsini Rosso, diacono di Santa Maria in Portico.
  11. Napoleone Orsini Frangipani, diacono di Sant'Adriano.
  12. Pietro Colonna, diacono di Sant'Eustachio.

Numerose furono le riunioni dei padri cardinali nell'Urbe, ma sempre tenute in sedi diverse: a Santa Maria sopra Minerva, a Santa Maria Maggiore e sull'Aventino presso il monastero di Santa Sabina. Nonostante ciò, il Sacro Collegio non riusciva a far convergere i voti necessari su nessun candidato.

Sopravvenne un'epidemia di peste che indusse il Conclave allo scioglimento. Nel corso dell'epidemia il cardinal Cholet, francese, fu colpito dal morbo e ne rimase vittima, per cui il Collegio Cardinalizio si ridusse a 11 componenti.

Passò più di un anno prima che il Conclave potesse nuovamente riunirsi, perché un profondo disaccordo s'era creato sulla sede in cui convocarlo (Roma o Rieti). Finalmente si riuscì a trovare una soluzione condivisa stabilendone lo svolgimento nella città di Perugia. Era il 18 ottobre 1293.

I porporati però, nonostante le laboriose trattative, non riuscivano ad eleggere il nuovo Papa, soprattutto per la frattura che si era creata tra i sostenitori dei Colonna e gli altri cardinali. I mesi si susseguivano inutilmente e il permanere della sede vacante aumentava il malcontento popolare che si manifestava attraverso disordini e proteste, anche negli stessi ambienti ecclesiastici.

Si giunse così, alla fine del mese di marzo del 1294, quando i cardinali dovettero registrare un evento che, probabilmente, contribuì, forse in maniera determinante, ad avviare a conclusione i lavori del Conclave.

 
Statua raffigurante Celestino V

Erano in corso, in quel momento, le trattative tra Carlo II d'Angiò, Re di Napoli e Giacomo II, Re d'Aragona, per sistemare le vicende legate all'occupazione aragonese della Sicilia, avvenuta all'indomani dei cosiddetti vespri siciliani, del 31 marzo 1282. Poiché si stava per giungere alla stipula di un trattato, Carlo d'Angiò aveva necessità dell'avallo pontificio, la qual cosa era impossibile, stante la situazione di stallo dei lavori del Conclave. Spinto da questa esigenza, il re di Napoli si recò, insieme al figlio Carlo Martello, a Perugia dove era riunito il Conclave, con lo scopo di sollecitare l'elezione del nuovo Pontefice. Il suo ingresso nella sala dove era riunito il Sacro Collegio provocò la riprovazione di tutti i cardinali e il re fu cacciato fuori, soprattutto per l'intervento del cardinale Benedetto Caetani. Questa vicenda, con molta probabilità, indusse i cardinali a prendere coscienza del fatto che si rendeva necessario chiudere al più presto la sede vacante. Nel frattempo, Pietro del Morrone predisse alla chiesa "gravi castighi" se questa non avesse provveduto a scegliere subito il proprio pastore. La profezia fu inviata al Cardinale Decano Latino Malabranca, il quale la presentò all'attenzione degli altri cardinali e propose la persona del monaco come Pontefice; figura ascetica, mistica e religiosissima, del quale si diceva un gran bene da parte di tutti e la cui fama era nota a tutti i regnanti d'Europa. Il Cardinale Decano però, dovette adoperarsi molto per rimuovere le numerose resistenze che il Sacro Collegio aveva sulla persona di un non porporato. Alla fine, dopo ben 27 mesi, emerse dal Conclave all'unanimità, il nome di Pietro Angeleri. Era il 5 luglio 1294.

Occorre chiedersi le ragioni che avevano indotto il Sacro Collegio ad eleggere Papa un semplice frate eremita, completamente privo di esperienza di governo e totalmente estraneo alle problematiche della Santa Sede. Per di più, vi è da chiedersi le ragioni di un'elezione avvenuta a voti unanimi.

L'ipotesi più attendibile che si può avanzare è quella di un tacito accordo fra tutti i prelati al fine di rinviare nel tempo la nomina di un Papa vero e nel contempo tacitare l'opinione pubblica e le monarchie più potenti d'Europa, vista l'impossibilità di eleggere un porporato.

Probabilmente, però, i cardinali pervennero a questa soluzione pensando anche di poter gestire, ciascuno a modo suo, la totale inesperienza del vecchio (79 anni) frate eremita, al fine di trarne vantaggi più o meno cospicui. Del resto, la presenza nel Collegio di prelati come il Caetani e il Malabranca, molto scaltri, smaliziati ed esperti di intrighi curiali, autorizza a tanto supporre, e la successiva condotta del Caetani lo conferma.[senza fonte]

Il pontificato

 
La Basilica di Santa Maria di Collemaggio eretta per volere del santo

La notizia dell'elezione gli fu recata da tre vescovi, nella grotta sui monti della Maiella, dove il frate risiedeva. Sorpreso dall'inaspettata notizia, il frate, forse anche intimorito dalla potenza della carica, inizialmente oppose un netto rifiuto che, successivamente, si trasformò in un'accettazione alquanto riluttante, avanzata certamente soltanto per dovere d'obbedienza.

Appena diffusa la notizia dell'elezione del nuovo Pontefice, Carlo d'Angiò si mosse immediatamente da Napoli e fu il primo a raggiungere il frate. In sella ad un asino tenuto per le briglie dallo stesso Re e scortato dal corteo reale, Pietro si recò nella città di Aquila (oggi L'Aquila), dove aveva convocato tutto il Sacro Collegio. Qui, nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio, fu incoronato il 29 agosto 1294 con il nome di Celestino V.

Si tratta della prima ma non unica incoronazione di un papa al di fuori di Roma. Anche il papa Urbano IV venne incoronato fuori da Roma, a Viterbo, ed anche lui, come Papa Celestino V, non era cardinale quando fu eletto Papa. Si sottolineano ancora altre coincidenze importanti per la storia dell'Aquila fino ad oggi: nel 1261 diviene papa Urbano IV (Jacques Pantaléon de Troyes) e nel 1263 la "Congregazione dei Fratelli penitenti dello Spirito Santo", fondata da Pietro del Morrone, è formalmente riconosciuta proprio dal papa Urbano IV. Lo stesso Papa, che ha istituito la Solenne Festa del Corpus Domini prima come arcivescovo di Liegi e poi come Papa appena eletto con il nome di Urbano IV, dopo il Miracolo di Bolsena, al quale volle legare la costruzione del magnifico Duomo di Orvieto. Anche Papa Urbano IV non andò mai nella Sede Pontificia di Roma come Papa Celestino V. Oggi le sue spoglie risiedono nel Duomo di Troyes dedicato a Sant'Urbano in Francia, dal 1935 dopo essere state traslate dal Duomo di Perugia. Senza questo "riconoscimento papale e spirituale" dell'eremita Pietro del Morrone da parte di Urbano IV, non avremmo forse mai avuto un Papa Celestino V.[senza fonte]

Uno dei primi atti ufficiali fu l'emissione della cosiddetta Bolla del Perdono, bolla che elargisce l'indulgenza plenaria a tutti coloro che confessati e pentiti dei propri peccati si rechino nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, nella città dell'Aquila dai vespri del 28 agosto al tramonto del 29. Fu così istituita la Perdonanza, celebrazione religiosa che anticipò di sei anni il primo Giubileo del 1300, ancora oggi tenuta nel capoluogo abruzzese.

In pratica Celestino V istituì a Collemaggio un prototipo del Giubileo, successivamente copiato dal suo successore che lo estese a tutta la Chiesa cattolica.

Il nuovo Pontefice si affidò, incondizionatamente, nelle mani di Carlo d'Angiò, nominandolo "maresciallo" del futuro Conclave. Ratificò immediatamente il trattato tra Carlo d'Angiò e Giacomo d'Aragona, mediante il quale fu stabilito che, alla morte di quest'ultimo, la Sicilia sarebbe ritornata agli angioini.

Il 18 settembre 1294 indisse il suo primo e unico Concistoro, nel quale nominò ben 13 nuovi cardinali, di cui nessuno romano:

  1. Simon de Beaulieu, francese, Arcivescovo di Bourges, Francia.
  2. Beraud de Got, francese, Arcivescovo di Lione, Francia, fratello maggiore del futuro papa Clemente V.
  3. Tommaso d'Ocre, italiano e suo seguace, O.S.B.Cel., Abate di San Giovanni in Piano.
  4. Jean Le Moine, francese, Vescovo di Arras, Francia, Vice Cancelliere di Santa Romana Chiesa.
  5. Pietro d'Aquila, italiano e suo figlio spirituale, benedettino, Vescovo di Valva-Sulmona.
  6. Guillaume Ferrier (o de Ferrières), francese.
  7. Nicolas de Nonancour, francese, cancelliere del capitolo della cattedrale di Parigi, Francia.
  8. Robert, francese, Ordine dei Cistercensi, Abbate dei monasteri di Potigny e Citeaux, Superiore Generale del suo Ordine.
  9. Simon, francese, Ordine benedettino cluniacense.
  10. Landolfo Brancaccio, di Napoli.
  11. Guglielmo Longhi, Cancelliere di Carlo II d'Angiò.
  12. Francesco Ronci, di Atri, Abruzzo.
  13. Giovanni Castrocoeli, O.S.B.Cas. (Ordinis Sancti Benedicti, Congregatio Cassinensis), Arcivescovo di Benevento.

In questo modo Celestino V, su consiglio di Carlo, riequilibrò a suo favore il Sacro Collegio, dandogli una forte connotazione monastica benedettina.

Dietro ulteriore consiglio di Carlo d'Angiò, trasferì la sede della Curia da L'Aquila a Napoli fissando la sua residenza in Castel Nuovo, dove fu allestita una piccola stanza, arredata in modo molto semplice e dove egli si ritirava spesso a pregare e a meditare. Di fatto il Papa era così protetto da Carlo, ma anche suo ostaggio, in quanto molte delle decisioni pontificie erano direttamente influenzate dal Re Angioino.

Probabilmente, nel corso delle sue frequenti meditazioni, dovette pervenire, poco a poco, alla decisione di abbandonare il suo incarico. In ciò sostenuto forse anche dal parere del cardinal Caetani, esperto di diritto canonico, il quale riteneva pienamente legittima una rinuncia al pontificato.

La rinuncia al pontificato

 
La tomba di Celestino V nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio

Circa quattro mesi dopo la sua incoronazione, nonostante i numerosi tentativi per dissuaderlo avanzati da Carlo d'Angiò, il 13 dicembre 1294 Celestino V, nel corso di un Concistoro, diede lettura di una bolla, appositamente preparata per l'occasione, nella quale si contemplava la possibilità di un'abdicazione del Pontefice per gravi motivi. Dopo di che recitò la formula della rinuncia al Soglio Pontificio.

(latino)
«Ego Caelestinus Papa Quintus motus ex legittimis causis, idest causa humilitatis, et melioris vitae, et coscientiae illesae, debilitate corporis, defectu scientiae, et malignitate Plebis, infirmitate personae, et ut praeteritae consolationis possim reparare quietem; sponte, ac libere cedo Papatui, et expresse renuncio loco, et Dignitati, oneri, et honori, et do plenam, et liberam ex nunc sacro caetui Cardinalium facultatem eligendi, et providendi duntaxat Canonice universali Ecclesiae de Pastore.»
(italiano)
«Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe [di questa plebe], al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale.»

La storia ha chiarito poi, che la bolla pontificia, contenente tutte le giustificazioni per un'abdicazione del Papa, era stata compilata ad hoc proprio dal cardinal Caetani, il quale, vista l'impossibilità di controllare il Papa come aveva auspicato, impedito in questo da Carlo d'Angiò, intravedeva in questa vicenda la possibilità di ascendere egli stesso al soglio pontificio con notevole anticipo sui tempi che egli aveva preventivato al momento in cui aveva aderito all'elezione di Pietro da Morrone.[senza fonte]

Undici giorni dopo le sue dimissioni infatti, il Conclave, riunito a Napoli in Castel Nuovo, elesse il nuovo Papa nella persona del cardinal Benedetto Caetani, laziale di Anagni. Aveva 64 anni circa ed assunse il nome di Bonifacio VIII.

Caetani, che aveva aiutato Celestino V nel suo intento di dimettersi, temendo uno scisma da parte dei cardinali filo-francesi a lui contrari mediante la rimessa in trono di Celestino, diede disposizioni affinché l'anziano frate fosse messo sotto controllo, per evitare un rapimento da parte dei suoi nemici. Celestino, venuto a conoscenza della decisione del nuovo Papa grazie ad alcuni tra i suoi fedeli cardinali da lui precedentemente nominati, tentò una fuga verso oriente, ma il 16 maggio 1295 fu catturato presso Santa Maria di Merino da Guglielmo Stendardo II, Connestabile del Regno di Napoli, figlio del celebre Guglielmo Stendardo detto "Uomo di Sangue".

La morte

Le polizie di Carlo d'Angiò e di Bonifacio VIII catturarono Celestino, il quale fuggì da San Germano per raggiungere la sua cella sul Morrone, e Vieste sul Gargano per tentare l'imbarco per la Grecia.

Fu raggiunto dai soldati che lo rinchiusero nella rocca di Fumone, in Ciociaria, castello nei territori dei Caetani e di diretta proprietà del nuovo Papa; qui il vecchio Pietro morì il 19 maggio 1296, fortemente debilitato dalla deportazione coatta e dalla successiva prigionia: la versione ufficiale sostiene che l'anziano uomo sia morto dopo aver recitato, stanchissimo, l'ultima messa. La teoria secondo la quale Bonifacio ne avrebbe ordinato l'assassinio è priva di fondamento, anche se, di fatto il Papa ne ordinò l'arresto che causò la morte. Il "foro" che si vede nel cranio altro non è che la conseguenza di un ascesso di sangue. Bonifacio portò il lutto per la morte del predecessore, caso unico tra i Papi, celebrò una messa pubblica in suffragio per la sua anima e diede inizio, poco dopo, al processo di canonizzazione.[2]

Il 5 maggio 1313, fu canonizzato da papa Clemente V a seguito di sollecitazione da parte del re di Francia Filippo IV Capeto detto il bello e da forte acclamazione di popolo, accelerando moltissimo l'iter avviato da Bonifacio.

Fu sepolto nei pressi di Ferentino, nella chiesa di Sant'Antonio sita nell'abazia celestina che dipendeva dalla casa madre di Santo Spirito del Morrone. Nel gennaio del 1327 le sacre spoglie furono trasferite nella chiesa di Sant'Agata, nell'abitato di Ferentino, per evitare che cadessero nelle mani delle truppe di Anagni che avevano cinto d'assedio la cittadina. Un mese dopo (febbraio 1327), le spoglie furono rubate e portate a dorso di mulo all'Aquila, nella basilica di Santa Maria di Collemaggio, dove era stato incoronato Papa.

Il 18 aprile 1988 la salma di Celestino V fu rubata. Due giorni dopo, venne ritrovata nel cimitero di Rocca Passa, nel comune di Amatrice. Non si sono mai scoperti i mandanti o gli esecutori; pare però che durante quei due giorni sia stata eseguita una TAC sul corpo del pontefice.[3]

A seguito del terremoto dell'Aquila del 2009, il crollo della volta della basilica ha provocato il seppellimento della teca con le spoglie, recuperate poi dai Vigili del Fuoco, dalla Protezione Civile e con la collaborazione della Guardia di Finanza.[4][5]

Controversie

Controversi sono i pareri sulle dimissioni di Celestino V. Se si dà credito ad una interpretazione molto popolare, ma contestata dai critici moderni e contemporanei, Dante Alighieri è quello che, forse, si espresse nella maniera più critica nei suoi confronti. Secondo questa ipotesi, infatti, il personaggio nel III Canto dell'Inferno di cui si dice che:

«Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,

vidi e conobbi l'ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.»

sarebbe proprio Celestino V, ma occorre precisare che per Dante il concetto di viltà era riposto in tutt'altra categoria di personaggi. Tuttavia, vi sono diverse interpretazioni della frase dantesca (ad es. Esaù e Ponzio Pilato).
Francesco Petrarca invece diede di questo gesto un'interpretazione diametralmente opposta, ritenendo che una persona come l'Angeleri, dotata di alta spiritualità, non avrebbe mai potuto attendere ai doveri papali se quei doveri, come succedeva a quei tempi, andavano a prevalere sui principi morali. In altri termini, Celestino V, uomo di alti principi morali, non tollerava che la Chiesa nel corso della gestione temporale potesse sottostare a compromessi. Forse la semplice verità non offuscata da visioni parziali moderne è che la persona di Pietro da Morrone non aveva le caratteristiche adatte a svolgere il ruolo di Pontefice del suo tempo, perché in realtà era persona prettamente spirituale, quasi un eremita, che contro la sua volontà si trovò a svolgere un ruolo che non era adatto a svolgere e che gli fu dato perché non si era trovato l'accordo in un Conclave estremamente piccolo. Secondo altri, invece, l'ingenuità di Celestino era solo una maschera.[senza fonte]
Ancora oggi, la storiografia ufficiale fornisce pareri controversi sul gesto di Celestino V.

Celestino V in letteratura

Oltre al già citato e noto passo de la Divina Commedia, la figura di Celestino V è stata trattata da:

  • due suoi discepoli, che hanno scritto Vita C, la sua biografia più antica ed accurata;
  • Jacopone da Todi, che al momento dell'elezione, gli dedicò una nota lauda, in cui si domandava cosa avrebbe fatto il nuovo papa e se fosse stato all'altezza del compito, che inizia così:
«Que farai, Pier da Morrone?

Èi venuto al paragone.
Vederimo êl lavorato
che en cell’ài contemplato.
S’el mondo de te è ’ngannato,
séquita maledezzone.»

  • Ignazio Silone, che alla vita di Celestino V ha dedicato il libro: L'avventura di un povero cristiano;
  • L. Ceccarelli e P. Cautilli, che hanno dedicato ai supposti segreti di Celestino V il libro: La Rivelazione dell'Aquila;
  • Angelo De Nicola, che alla sua figura ed al suo messaggio di pace, nonché alla Perdonanza, ha dedicato il "romanzo storico virtuale": La missione di Celestino.

Inoltre il titolo di un famoso romanzo new age degli anni '90, La profezia di Celestino, è frutto in realtà di un errore di traduzione dall'inglese The Celestine Prophecy (letteralmente "La Profezia Celestiale").

Note

  1. ^ Tratto da www.operacelestiniana.org (versione italiana) e da http://www.ghirardacci.it/ (versione latina)
  2. ^ Il Papato fatto carne. La fuga di Celestino V e una nuova lettura della teologia di Bonifacio VIII.
  3. ^ La Tac riapre il giallo su papa Celestino V, in la Repubblica, 19 agosto 1998. URL consultato il 09-04-2009.
  4. ^ Sotto macerie teca con Celestino V, in ANSA, 09 aprile 2009. URL consultato il 09-04-2009.
  5. ^ Recuperate spoglie di Celestino V, in Corriere della Sera, 09 aprile 2009. URL consultato il 09-04-2009.

Bibliografia

  • Giorgio Leocata, Il Papa rubato, L'Aquila, 1989;
  • Ignazio Silone, L'avventura di un povero cristiano, Mondadori, Milano 1998;
  • Paolo Golinelli, Celestino V. Il papa contadino, Mursia, Milano, 2006.
  • Antonio Grano, Celestino V, il papa santo, Pironti, Napoli, 2000

Collegamenti esterni