Eugenio Scalfari

giornalista, scrittore e politico italiano (1924-2022)

Template:Membro delle istituzioni italiane Eugenio Scalfari (Civitavecchia, 6 aprile 1924) è un giornalista, scrittore e politico italiano.

Il campo principale dell'analisi di Scalfari è l'economia, insieme alla politica, che trovano ampia sintesi in un punto di vista etico-filosofico: alcuni articoli di Scalfari hanno dato avvio a battaglie ideologico-culturali, quali i referendum sul divorzio e sull'aborto. La sua ispirazione politica è liberale di matrice sociale. Punti forti dei suoi articoli recenti sono la laicità, la questione morale e la ferma critica verso l'azione politica di Silvio Berlusconi.

Esordio

Scalfari inizia al Liceo Mamiani di Roma, ma è a Sanremo (dove la famiglia si era trasferita temporaneamente, essendo il padre direttore artistico del Casinò), al liceo classicoG.D.Cassini, compagno di banco di Italo Calvino, che compie gli studi liceali.
La sua prima esperienza assoluta[senza fonte] nel giornalismo è con Roma Fascista [3], organo ufficiale del GUF (Gruppo Universitario Fascista), mentre era studente di giurisprudenza. Verso la fine degli anni Trenta, venne espulso dal Partito Fascista perché accusato di scrivere articoli di contenuto antifascista. Anni dopo, lo stesso Scalfari racconta di essere stato persino preso per il bavero, in occasione della sua espulsione, dall'allora Segretario del PNF Scorza[1]. Ciononostante, Scalfari continuerà a collaborare con riviste e periodici legati al fascismo, come Nuovo Occidente, diretto dall'ex squadrista e fascista cattolico Giuseppe Attilio Fanelli. Nel 1942, inoltre, Scalfari sarà nominato caporedattore di Roma Fascista.[2]

Dopo la fine della seconda guerra mondiale Scalfari entra in contatto con il neonato partito liberale, conoscendo giornalisti importanti nell'ambiente. Nel 1950, mentre lavora presso la Banca Nazionale del Lavoro, diventa collaboratore prima a Il Mondo e poi all'Europeo di due personalità che spesso richiama nei suoi scritti: Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti. Ricorderà, poi, con orgoglio di essere stato licenziato dalla B.N.L. per una serie di articoli sulla Federconsorzi non graditi alla direzione.[3]

Nel 1950 si sposa con la figlia del grande giornalista Giulio De Benedetti, Simonetta, che scomparirà nel 2006.

Nel 1955 partecipa all'atto di fondazione del Partito Radicale. Nello stesso anno nasce il settimanale L'Espresso: Scalfari è direttore amministrativo.

Nel 1963 passa al Partito Socialista Italiano con il quale è eletto nel consiglio comunale di Milano.

Carriera in ascesa

Nel 1963 sommò la carica di direttore responsabile de L'Espresso a quella di direttore amministrativo. Il settimanale arrivò in cinque anni a superare il milione di copie vendute. Il successo giornalistico si fuse con il piglio imprenditoriale, dato che Scalfari continuò a gestire anche la parte organizzativa e amministrativa.

Sempre nel 1968 pubblicò insieme a Lino Jannuzzi l'inchiesta sul SIFAR che fece conoscere il tentativo di colpo di Stato chiamato piano Solo. Il Generale De Lorenzo li querelò e i due giornalisti furono condannati rispettivamente a 15 e a 14 mesi di reclusione, malgrado la richiesta di assoluzione fatta dal Pubblico Ministero Vittorio Occorsio, che era riuscito a leggere gli incartamenti integrali prima che il governo ponesse il segreto di stato. Ambedue i giornalisti evitarono il carcere grazie all'immunità parlamentare loro offerta dal Partito Socialista Italiano: alle elezioni politiche del 1968 Scalfari fu eletto deputato, come indipendente nelle liste del PSI, mentre Jannuzzi divenne senatore.

Nel 1971 fu tra i firmatari dell'appello pubblicato sul settimanale L'Espresso contro il commissario Luigi Calabresi, ucciso l'anno seguente[4].

In quegli anni criticò accanitamente alle manovre di Eugenio Cefis, prima presidente dell'ENI e poi di Montedison, appoggiando spesso chi gli si opponeva; tra questi vi fu nel 1971 Sindona nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi[5].

Soprattutto contro Cefis era indirizzato il celebre libro-inchiesta pubblicato da Scalfari e da Giuseppe Turani nel 1974, Razza padrona.

Fondazione e direzione de La Repubblica

Nel 1976 Scalfari fondò il quotidiano la Repubblica, che debuttò nelle edicole il 14 gennaio di quell'anno. L'operazione, attuata con il gruppo L'espresso e la Mondadori, aprì una nuova pagina del giornalismo italiano. Il quotidiano romano, sotto la sua direzione, compie in pochissimi anni una scalata imponente diventando per lungo tempo il principale giornale italiano per tiratura (primato attualmente detenuto dal Corriere della Sera).

L'assetto proprietario registra negli anni Ottanta consolidamenti della posizione dello stesso Scalfari e l'ingresso di Carlo De Benedetti, nonché un vano tentativo da parte di Berlusconi in occasione della "scalata" del titolo Mondadori, finito con il "lodo Mondadori" grazie all'intermediazione di Giuseppe Ciarrapico. Sotto la sua guida La Repubblica aprì il filone investigativo sul caso Enimont, che dopo due anni fu in buona parte confermato dall'inchiesta di "Mani pulite".

Contro Craxi, a differenza che con Spadolini e con De Mita [6], Scalfari s'era speso sin dall'inizio del decennio precedente, considerandolo l'archetipo della questione morale contro cui si scagliava l'anima della sinistra rappresentata da Berlinguer. Di questi invece elogiò lo "strappo" con l'URSS in occasione del golpe polacco, pur restando essenzialmente estraneo alla tradizione comunista e rimanendo su posizioni legate all'intellettualità laica e alla tecnocrazia. In tal senso vanno lette alcune sue importanti iniziative, tutte sostenute per il tramite di "Repubblica": sponsorizzò il "governo del Presidente" candidandovi il governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi già negli anni Ottanta; indicò al presidente Scalfaro la moralità indiscussa del commissario PSI a Milano Giuliano Amato come viatico per la sua scelta a premier nel 1992; apprezzò Guido Rossi come commissario delle aziende travolte nel turbine di Tangentopoli.

Il ritiro dalla direzione di La Repubblica

Scalfari, padre del quotidiano la Repubblica e della sua ascese editoriale e politico-culturale, abbandona il ruolo di direttore nel 1996, e a lui subentra Ezio Mauro. Non scompare dalla testata del giornale, poiché attualmente svolge il ruolo di editorialista dell'edizione domenicale. I suoi editoriali sono entrati oramai nella consuetudine del giornale, tanto da essere soprannominati - anche per la loro congrua lunghezza - "la messa cantata della domenica". Cura altresì una rubrica su L'Espresso (il vetro soffiato). Il 6 luglio 2007, sul Venerdì, ha annunciato l'abbandono della sua storica rubrica Scalfari risponde dopo l'estate ringraziando i lettori per l'affetto ricevuto e gli stimoli da loro pervenuti per le sue riflessioni. Gli è subentrato Michele Serra.

Su RaiSat Extra è andato in onda per qualche tempo, ogni giovedì, un programma dal titolo la Scalfittura, in cui Scalfari teneva dei colloqui politici con Giovanni Floris.

Ha ricevuto varie onorificenze. A livello giornalistico ha vinto nel 1988 il Premio Internazionale Trento per "Una vita dedicata al giornalismo", nel 1996 il "Premio Ischia" alla carriera, nel 1998 il Premio Guidarello al giornalismo d’autore e, di recente, il premio "St-Vincent" 2003. L’8 maggio 1996 è stato nominato Cavaliere di gran croce dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro mentre nel 1999 ha ricevuto una delle più prestigiose onorificenze della Repubblica francese diventando Cavaliere della Legione d'onore (successivamente è stato promosso ufficiale). Il 5 maggio 2007 ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Vinci e il 23 ottobre 2008 gli è stata conferita la cittadinanza benemerita di Sanremo.

Curiosità

Il 7 agosto 1970 l'allora deputato socialista Eugenio Scalfari avrebbe detto al vigile urbano Gianfranco Baroni di Milano, che gli contestava una contravvenzione: "Sarebbe meglio che lei facesse una cura ricostituente anziché contravvenzioni, perché lei non sa chi sono io. Io sono l'Onorevole Scalfari". Così lo raccontò in Parlamento Giuseppe Tatarella[7]

Prendendo spunto dal solecismo contenuto nel titolo del suo libro del 1994 "Incontro con Io" (invece che "con me", come da grammatica italiana), il giornale Il Foglio ha attribuito ironicamente a Eugenio Scalfari il soprannome di "Io", prendendo in giro il carattere egocentrico e narcisista del fondatore di Repubblica.

Ricevette ironicamente rispettivamente 2 e 3 voti nel corso dell'XV e XVI scrutinio delle elezioni presidenziali del 1992, poi vinte dal quasi omonimo Oscar Luigi Scalfaro.[senza fonte]

Onorificenze

Cittadinanza onoraria di Vinci (2007)

Cittadinanza benemerita di Sanremo (2008)

Note

  1. ^ Ero giovane, fascista e felice, intervista a Eugenio Scalfari apparsa su Il Foglio del 29 Maggio 2008 [1]
  2. ^ Mirella Serri, I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte 1938-1948, Milano, Corbaccio, 2005.
  3. ^ [2]
  4. ^ Anni dopo suscitò un certo scalpore il fatto che Mario Calabresi, il figlio del commissario, iniziasse a lavorare per la Repubblica, il quotidiano fondato da Scalfari.
  5. ^ Fabio Tamburini, Un siciliano a Milano, Longanesi, da ultimo citato da Ferruccio de Bortoli su ((http://www.corriere.it/politica/09_ottobre_14/debortoli-attacchi-corriere_401507c8-b888-11de-9ba8-00144f02aabc.shtml)).
  6. ^ Nei cui confronti Carlo Caracciolo dice che Scalfari ebbe un "innamoramento", non condiviso dallo stesso editore della Repubblica che non lo considerava "un grande politico": intervista alla Stampa del 10 gennaio 2008, p. 23.
  7. ^ Quotidiano LA STAMPA del 13-01-2006 ((http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=6722598)).

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