Reparti italiani al fronte orientale
Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, spesso abbreviato come CSIR, e l'8ª Armata Italiana in Russia, o ARMIR, furono le formazioni del Regio Esercito inviate sul fronte orientale tra il luglio del 1941 e il gennaio del 1943. La partecipazione alla guerra contro l'Unione Sovietica rappresentò uno sforzo notevole per le forze armate italiane, già duramente impiegate nei Balcani e in Africa settentrionale, e le ingenti perdite subite rappresentarono un duro colpo per le capacità militari dell'Italia.

Nonostante la comunicazione dell'intenzione tedesca di invadere l'Unione Sovietica sia stata data da Hitler a Mussolini solo il giorno stesso dell'invasione (22 giugno 1941), già dal 30 maggio il dittatore italiano, dando per scontato l'attacco tedesco, aveva espresso l'intenzione di inviare un corpo di spedizione in appoggio all'alleato.
Circa le ragioni strategiche delle spedizioni, si suppone che il principale desiderio di Mussolini fosse quello di "riequilibrare" lo stato dell'alleanza con la Germania, in quel momento fortemente sbilanciato in favore dei tedeschi; in tale ottica, la partecipazione italiana alla campagna di Russia avrebbe pareggiato l'intervento dell'Afrika Korps tedesco in Libia. Vi erano anche considerazioni economiche, ovvero il timore di arrivare in ritardo alla spartizione delle risorse di un nemico considerato ormai sconfitto. Del tutto secondarie erano invece le considerazioni ideologiche (la partecipazione dell'Italia fascista alla lotta contro il comunismo), che pure ebbero ampio risalto nella propaganda degli opposti schieramenti.[1]
Secondo altre versioni[senza fonte], che però non godono di suffragio documentale, le spedizioni sarebbero state volute nella prospettiva di partecipare in qualche misura alla prevista sconfitta della Russia, nell'ottica di un ipotetico piano di spartizione con l'Inghilterra a guerra conclusa.
Corpo di Spedizione Italiano in Russia
Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR) | |
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Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, inviato sul fronte russo nel luglio del 1941, era così composto:
- Divisione autotrasportabile Pasubio, generale di divisione Vittorio Giovanelli
- 79º Reggimento di fanteria
- 80º Reggimento di fanteria Roma
- 8º Reggimento di artiglieria
- Divisione autotrasportabile Torino, generale di divisione Luigi Manzi
- 81º Reggimento fanteria
- 82º reggimento fanteria
- 52º Reggimento artiglieria
- Divisione Celere Principe Amedeo duca d'Aosta, generale di brigata Mario Marazzani
- 3º Reggimento cavalleria Savoia Cavalleria
- 5º Reggimento cavalleria Lancieri di Novara
- 3º Reggimento bersaglieri
- 3º Reggimento artiglieria a cavallo
- 3º Gruppo carri San Giorgio
- Camicie Nere Legione Tagliamento, console Niccolò Nicchiarelli
- 30º Raggruppamento artiglieria di corpo d'armata, generale di brigata Mario Tirelli
Nel complesso 2 900 ufficiali, 58 800 uomini, 220 pezzi d'artiglieria, 83 aerei (51 da caccia, 22 da ricognizione, 10 da trasporto), 5 500 automezzi, 4 600 quadrupedi, 61 carri L3.
A partire dal 10 luglio le truppe vennero trasportate da Cremona (zona di raduno dei reparti) tramite 225 treni fino alla città ungherese di Borsa, da lì raggiunsero il teatro delle operazioni con una marcia di oltre 1000 km attraverso le pessime strade di Romania, Moldavia, Bessarabia e Ucraina. Questa lunga marcia causò un po' di dispersione, tanto che il CSIR raggiunse il fronte a scaglioni distanziati di giorni interi uno dall'altro[2](la prima a entrare in combattimento, l'11 agosto, fu la divisione Pasubio).
Comandante di questa forza, sulla carta, era il generale di corpo d'armata Giovanni Messe (che aveva sostituito il generale di corpo d'armata Francesco Zingales, colto da malore durante il viaggio in treno), ma in realtà il CSIR, fin dal suo arrivo in zona di operazioni, fu posto alle dipendenze dell' 11ª Armata tedesca del generale Eugen Ritter von Schobert, schierata in Ucraina meridionale nel settore operativo del Gruppo di Armate Sud guidato dal feldmaresciallo Gerd von Rundstedt.
Agosto 1941: primi scontri della divisione Pasubio presso il fiume Bug
Il CSIR entrò in azione per la prima volta nell'agosto del 1941. Dopo aver superato il Dniestr in più punti, stabilendo diverse teste di ponte, i tedeschi stavano tentando di chiudere in una morsa le forze sovietiche attestate tra il Dniestr e il Bug. In alcuni punti però i russi stavano opponendo una forte resistenza e servivano nuove forze per alimentare l'offensiva. A fine luglio, con il Csir ancora in fase di organizzazione, il generale Eberhard von Mackensen, comandante del III° Corpo germanico, richiese quindi al generale Messe almeno una divisione da utilizzare subito in battaglia e due gruppi di artiglieria per appoggiare il suo attacco alle forze sovietiche. Il 30 luglio venne così inviata urgentemente al fronte la divisione Pasubio, rinforzata da una compagnia motociclisti e dal 30° Raggruppamento artiglieria. La pioggia abbondante, che aveva trasformato le già disastrose piste russe in enormi pantani, ritardò la marcia della Pasubio, che raggiunse le rive del Bug a nord di Voznesens'k solo il 10 agosto. Nei due giorni successivi la Pasubio, marciando lungo la riva destra del Bug in direzione sud-est per tagliare ai russi la ritirata verso la strategica città di Nikolayev, finì per entrare in contatto con il nemico, partecipando così alla cosiddetta “Battaglia dei due fiumi”, ovvero la grande manovra effettuata dall'esercito tedesco per intrappolare le forze sovietiche tra i fiumi Dniestr a ovest e Bug a est. Nei due giorni di scontri presso i villaggi di Pokrovskoje e Yasna Poliana, la divisione Pasubio ebbe la meglio su un reggimento sovietico, che si ritirò lasciando sul campo centinaia di caduti e prigionieri. Il 14 agosto il CSIR venne assegnato al Gruppo corazzato von Kleist, con il compito di proteggere il fianco sinistro dell'avanzata dei panzer tedeschi verso il fiume Dniepr. Dal 15 al 20 agosto, rallentate dal maltempo e dalle incursioni aeree dei sovietici, vennero attuate quindi le operazioni di trasferimento della divisione Pasubio sulla riva destra del Dniepr. Per il 21 agosto i reggimenti della Pasubio erano attestati sul Dniepr, nella zona di Verkhnodniprovsk, a circa 50 km a nord-ovest della città di Dniepropetrovsk. I gruppi d'aviazione si stabilirono invece a Krivoy Rog, a distanza utile per proteggere i ponti e le unità sul Dniepr. Nei giorni seguenti raggiunsero il Dniepr anche i reparti motorizzati della Celere, l'artiglieria della Torino e le altre unità motorizzate del CSIR. Il 28 agosto Benito Mussolini, dopo avere visitato con Hitler il quartier generale del Gruppo di Armate Sud, passò in rassegna i reparti del CSIR a Tekusha. Soltanto il 5 settembre, dopo avere percorso quasi mille chilometri a piedi, anche i reparti non motorizzati della Torino (divisione autotrasportabile più che altro soltanto sulla carta) riuscirono a essere finalmente in linea sul Dniepr con il resto del CSIR.
Settembre 1941: traversata del Dniepr e battaglia di Petrikowka
Finalmente al completo, il compito del CSIR agli inizi di settembre era quello di difendere circa 150 chilometri di fronte a nord e a sud della città di Dnepropetrovsk, tra la 17ᵃ Armata tedesca di von Stülpnagel a nord ed il III° Corpo di von Mackensen a sud. Il 21 settembre l'intero CSIR passò all'offensiva. L'intento dei tedeschi era quello di sfondare la linea del Dniepr e quindi accerchiare ed annientare le forze sovietiche (i resti di cinque divisioni) attestate tra il Dniepr a ovest e i fiumi Orel a nord e Samara a sud. La Pasubio oltrepassò il Dniepr a Derivka, circa 80 km a nord-ovest di Dnepropetrovsk, per proteggere il fianco destro della 17ᵃ armata, che avanzava verso Poltava. Più a sud la Torino scattò verso nord-ovest dalla testa di ponte di Dnepropetrovsk e attraversò il Dniepr in vari punti sotto il fuoco dell'artiglieria e dell'aviazione nemiche (i soldati del genio lavorarono instancabilmente giorno e notte per riparare o costruire ponti di fortuna). All'alba del 23 settembre la Pasubio, coadiuvata dai carri della Celere e da panzer tedeschi, riuscì a stabilire una testa di ponte sul fiume Orel presso Tsarychanka. Dal 24 al 26 settembre le forze italo-tedesche riuscirono a resistere ai furiosi contrattacchi sovietici contro le teste di ponte sull'Orel. Il 28 settembre l'offensiva del CSIR riprese ed il 30 le truppe della Pasubio da nord-est, i bersaglieri della Celere da nord-ovest e i reggimenti della Torino da sud-est si incontrarono finalmente nel villaggio di Petrikowka, obiettivo della manovra a tenaglia, ponendo termine alla battaglia. In mano italiana restarono circa 10.000 prigionieri, mentre vennero distrutti 450 carri armati nemici. Nel suo piccolo la vittoria italiana a Petrikowka contribuì all'occupazione tedesca di Poltava e di Kiev, ove i tedeschi catturarono 655.000 prigionieri sovietici.
Autunno 1941: avanzata nel bacino del Donetz
Agli inizi di ottobre il CSIR venne schierato come ala sinistra della 1ª Armata Corazzata di von Kleist che stava avanzando nella grande zona industriale del bacino del fiume Donetz. Le truppe italiane erano attestate su un fronte di cento chilometri lungo la riva occidentale del fiume Vovcha, a circa 60 km a est del Dniepr. Dal 9 all'11 ottobre il CSIR appoggiò con la Legione Tagliamento l'attacco di una divisione tedesca contro la città di Pavlohrad, sulla riva orientale del fiume Vovcha, che venne infine conquistata, aprendo così la strada per la corsa verso il Donetz. A guidare l'avanzata verso la città di Stalino (l'attuale Donec'k), a circa 100 chilometri a sud-est di Pavlohrad, fu la divisione Celere (la Pasubio era ancora bloccata a Pavlohrad in attesa della costruzione di un nuovo ponte sul fiume Vovcha) con i suoi reggimenti di cavalleria e bersaglieri. Il 20 ottobre il 3° Reggimento bersaglieri, nonostante la strenua resistenza dei sovietici, riuscì ad occupare l'importante stazione ferroviaria a nord-ovest, mentre i tedeschi conquistarono il resto della città. Il Comando tedesco, intenzionato a sfruttare al massimo l'avanzata verso il Donetz non dando tregua al nemico in ritirata, ordinò di riprendere immediatamente l'offensiva, occupando anche le città minerarie di Rykovo (attuale Yenakiieve) e Gorlovka (Horlivka), a una trentina di chilometri a nord-est di Stalino. Il 22 ottobre, quindi, l'avanzata della Celere riprese. Dopo aspri combattimenti contro le retroguardie sovietiche in ritirata, l'1 novembre il 3° bersaglieri riusciva ad occupare la città di Rykovo, scacciandone tre divisioni nemiche, mentre il giorno successivo furono i reggimenti della Pasubio, dopo una lotta casa per casa, a conquistare Gorlovka. Nell'abitato di Nikitovka, a qualche chilometro a nord di Gorlovka, invece, l'80° Reggimento della Pasubio si trovò circondato dal 6 al 12 novembre da preponderanti forze sovietiche (probabilmente tre divisioni) e riuscì a sganciarsi e rientrare a Gorlovka solo grazie all'aiuto di altri reparti della Pasubio e della Celere e dell'aviazione, che ora operava dal vicino aereporto di Stalino. Con l'approssimarsi del temibile inverno russo era giunta infine l'ora di consolidare il fronte raggiunto, calcolando anche che il CSIR era ormai stremato, essendo avanzato in territorio nemico in poco più di un mese per più di 200 chilometri dalla testa di ponte di Dnepropetrovsk, nonostante le avverse condizioni meteorologiche dell'autunno russo (freddo, pioggia costante, piste nella steppa diventate fango che bloccava continuamente il movimento degli automezzi).
In novembre il CSIR si schierò in posizione difensiva lungo il fiume Mius, dove a dicembre respinse un contrattacco sovietico.
Da gennaio a marzo del 1942 il CSIR, scarsamente impegnato in azione, fu potenziato con nuove unità giunte dall'Italia: Battaglione alpini sciatori Monte Cervino, 6º Reggimento bersaglieri, 120º Reggimento artiglieria. Il 4 giugno 1942 il CSIR passò alle dipendenze della 17ª Armata tedesca; dal 9 luglio, infine, il CSIR entrò a far parte dell'ARMIR con la denominazione di XXXV Corpo d'armata.
Armata Italiana in Russia
L'Armata Italiana in Russia (la denominazione ufficiale del Corpo di spedizione inviato sul Fronte Orientale) venne costituita nel luglio 1942 e designata come 8ª Armata. Essa era così strutturata:
Armata Italiana in Russia (ARMIR) | |
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- Raggruppamento a cavallo Barbò
- 3º Reggimento cavalleria Savoia Cavalleria
- 5º Reggimento cavalleria Lancieri di Novara
- 3º Reggimento artiglieria a cavallo
- 9º Raggruppamento artiglieria d'Armata
- 201º Reggimento artiglieria motorizzato
- Battaglione alpini sciatori Monte Cervino
- Legione croata
- 156ª Divisione fanteria Vicenza
- 277º Reggimento fanteria
- 278º Reggimento fanteria
- Corpo d'Armata Alpino (generale di corpo d'armata Gabriele Nasci)
- Divisione alpina Tridentina (Generale Luigi Reverberi)
- 5º Reggimento alpini (colonnello Giuseppe Adami)
- 6º Reggimento alpini (colonnello Paolo Signorini)
- Battaglione Vestone
- Battaglione Val Chiese
- Battaglione Verona
- 2º Reggimento artiglieria alpina (colonnello Federico Moro)
- Gruppo Bergamo
- Gruppo Vicenza
- Gruppo Val Camonica
- Divisione alpina Julia (Generale Umberto Ricagno)
- 8º Reggimento alpini (colonnello Armando Cimolino)
- 9º Reggimento alpini (colonnello Fausto Lavizzari)
- 3º Reggimento artiglieria alpina (colonnello Pietro Gay)
- Gruppo Conegliano
- Gruppo Udine
- Gruppo Val Piave
- Divisione alpina Cuneense (Generale Emilio Battisti)
- 1º Reggimento alpini (colonnello Luigi Manfredi)
- 2º Reggimento alpini (colonnello Luigi Scrimin)
- 4º Reggimento artiglieria alpina (colonnello Enrico Orlandi)
- Gruppo Pinerolo
- Gruppo Mondovì
- Gruppo Val Po
- 11º Raggruppamento artiglieria di Corpo d'Armata
- Divisione alpina Tridentina (Generale Luigi Reverberi)
- II Corpo d'Armata (generale di corpo d'armata Giovanni Zanghieri)
- Divisione fanteria Sforzesca
- 53º Reggimento fanteria
- 54º Reggimento fanteria
- 17º Reggimento artiglieria
- Divisione fanteria Ravenna
- 37º Reggimento fanteria
- 38º Reggimento fanteria
- 121º Reggimento artiglieria
- Divisione fanteria Cosseria
- 89º Reggimento fanteria
- 90º Reggimento fanteria
- 108º Reggimento artiglieria
- 2º Raggruppamento artiglieria di Corpo d'Armata
- Raggruppamento Camicie nere 23 marzo
- Legione Valle scrivia
- Legione Leonessa
- Divisione fanteria Sforzesca
- XXXV Corpo d'Armata (l'ex CSIR) (generale di corpo d'armata Giovanni Messe)
- Divisione autotrasportabile Pasubio
- 79º Reggimento fanteria
- 80º Reggimento fanteria
- 8º Reggimento artiglieria
- Divisione autotrasportabile Torino
- 81º Reggimento fanteria
- 82º Reggimento fanteria
- 52º Reggimento artiglieria
- Divisione celere Principe Amedeo Duca d'Aosta
- 3º Reggimento bersaglieri
- 6º Reggimento bersaglieri
- 120º Reggimento artiglieria motorizzato
- 30º Raggruppamento artiglieria di Corpo d'Armata
- Raggruppamento Camicie Nere 3 gennaio
- Legione Tagliamento
- Legione Montebello
- Divisione autotrasportabile Pasubio
All'autunno del 1942 l'8ª Armata metteva quindi in campo 230 000 uomini (di cui circa 150 000 schierati in prima linea), 16 700 automezzi, 1 150 trattori d'artiglieria, 4 500 motomezzi, 25 000 quadrupedi, 940 cannoni (di cui 356 controcarro e 52 contraerei), 31 carri leggeri L6/40 e 19 semoventi L40, 64 aerei (di cui 41 caccia Macchi M.C.200 o Macchi M.C.202 e 23 aerei da ricognizione). Aggregate all'8ª Armata vi erano anche alcune unità tedesche, come la 298ª Divisione fanteria ed elementi della 62ª Divisione fanteria e della 27ª Divisione corazzata.
Operazioni di guerra
L'Armir prese parte all'offensiva estiva tedesca, denominata Operazione Blu. Schierata alle dipendenze del Gruppo di Armate B tedesco, venne destinata alla protezione del fianco sinistro delle truppe impegnate nella battaglia di Stalingrado. L'armata venne quindi schierata lungo il bacino del Don, tra la 2ª Armata ungherese a nord e la 3ª Armata romena a sud. Il 20 agosto 1942, truppe sovietiche attaccarono il settore difeso dal XXXV Corpo d'Armata, riuscendo a stabilire una testa di ponte oltre il Don. Il contrattacco italiano lanciato il 23 (durante il quale si svolse il celebre episodio della carica di Izbušenskij) riuscì in qualche modo a contenere l'azione dei sovietici, che tuttavia furono in grado di consolidare le posizioni conquistate.
Settembre e ottobre trascorsero tranquillamente, con le truppe italiane disposte a difesa di un tratto di fronte lungo 270 km: l'ampiezza era tale che tutte le divisioni erano schierate in prima linea, con l'eccezione della Vicenza (impegnata a contrastare i partigiani nelle retrovie) e del Raggruppamento Barbò (giudicato inadatto al ruolo di difesa statica). Il 19 novembre, l’Armata Rossa lanciò una massiccia offensiva volta ad accerchiare le truppe tedesche bloccate a Stalingrado. L'azione portò all'annientamento della 3ª Armata romena, schierata a sud dell'ARMIR. Il 16 dicembre l'offensiva sovietica (Operazione Piccolo Saturno) si scatenava anche contro le linee tenute dal II e XXXV Corpo dell'ARMIR. Il primo attacco russo fu respinto, ma il 17 i sovietici impiegarono le loro truppe corazzate, travolgendo le linee degli italiani e obbligandoli alla ritirata. Quasi prive di mezzi di trasporto, le divisioni di fanteria dell'ARMIR finirono in gran parte annientate.
L'offensiva sovietica non coinvolse il Corpo d'Armata alpino, che continuò a tenere le sue posizioni sul Don. La Divisione Julia, sostituita sulla linea del fronte dalla Divisione Vicenza, fu rischierata sul fianco destro del Corpo alpino insieme al XXIV Corpo d'Armata tedesco, riuscendo a contenere lo sfondamento nemico. Il 13 gennaio 1943, i sovietici attaccarono e travolsero la 2ª Armata ungherese, completando l'accerchiamento del Corpo d'Armata alpino. L'ordine di ripiegare dal Don venne dato (con molto ritardo) solo il 17 gennaio. In dieci giorni, le tre divisioni alpine, la Divisione Vicenza, alcune unità tedesche del XXIV Corpo e una gran massa di sbandati italiani, ungheresi e romeni, coprirono più di 120 km in quella che parecchi storici definirono la più grande avanzata all'indietro della storia[senza fonte] in condizioni climatiche proibitive (neve alta e temperature tra i −35° e i −42°), con pochi mezzi di trasporto e vestiario insufficiente, sottoposte ad incessanti attacchi di truppe regolari e di partigiani sovietici. Il 26 gennaio, la Divisione Tridentina riusciva finalmente a rompere l'accerchiamento sovietico presso Nikolajewka, mentre le divisioni Julia, Cuneense e Vicenza finivano pressocchè annientate nella sacca. [3]
Il 30 gennaio i sopravvisuti del Corpo d'Armata alpino si raccolgono a Schebekino, dove possono finalmente riposare dopo 350 chilometri di marce estenuanti e dopo tredici battaglie. Gravissime in particolare le perdite delle divisioni alpine: dei 57 000 alpini partiti per la Russia, ne ritornano solo 11 000.
Con la sostanziale distruzione dell'ARMIR ebbe di fatto termine la partecipazione italiana alla campagna sul fronte orientale; a partire dal 6 marzo, i sopravvissuti delle divisioni italiane verranno progressivamente rimpatriati. Alcune unità italiane continuarono comunque ad operare sul fronte orientale: cinque battaglioni di truppe chimiche addette alla creazione di nebbia artificiale operarono nei porti del Baltico fino alla fine della guerra, come pure l'834º ospedale da campo, attivo in Russia. Singoli soldati o ufficiali italiani si offrirono volontari e combatterono all'interno di unità della Wermacht sul fronte orientale, anche se non ci sono dati precisi sul loro numero.
Comandanti
- Generale di corpo d'armata Francesco Zingales (10 luglio 1941 – 14 luglio 1941)
- Generale di corpo d'armata Giovanni Messe (14 luglio 1941 – 10 luglio 1942)
- Generale d'armata Italo Gariboldi (10 luglio 1942 – aprile 1943)
Le perdite
Tra il 5 agosto 1941 e il 30 luglio 1942, il CSIR ebbe 1 792 morti e dispersi, e 7 858 feriti e congelati.
Tra il 30 luglio 1942 e il 10 dicembre 1942, l'ARMIR ebbe 3 216 morti e dispersi, e 5 734 feriti e congelati.
Per quanto riguarda le perdite durante la battaglia sul Don e la ritirata (11 dicembre 1942 - 20 marzo 1943), le cifre ufficiali parlano di 84 830 militari che non rientrarono nelle linee tedesche, e che furono indicati come dispersi, oltre a 29.690 feriti e congelati che riuscirono a rientrare. Le perdite ammontarono quindi a 114 520 militari su 220 000. Andarono inoltre perduti il 97% dei cannoni, il 76% di mortai e mitragliatrici, il 66% delle armi individuali, l'87% degli automezzi e l'80% dei quadrupedi.[4]
Circa il destino dei dispersi, l'unico dato certo è che a partire dal 1946 vennero rimpatriati dalla Russia 10.030 prigionieri di guerra italiani (gli ultimi 28 prigionieri, tra cui il maggiore MOVM Alberto Massa Gallucci furono rilasciati nel 1954, a oltre undici anni dall'armistizio dell'8 settembre 1943); è quindi possibile calcolare che 74.800 militari italiani morirono in Russia, in quattro distinte fasi: durante i combattimenti sul Don, durante la ritirata, durante le marce di trasferimento verso i campi di prigionia, e durante la prigionia stessa. Ripartire i caduti tra le diverse fasi è molto difficile: come dato orientativo e molto discusso, si parla di circa 50.000 italiani morti nei campi di prigionia o durante il viaggio per raggiungerli.[5]
L'UNIRR, citando fonti delle autorità russe, calcola in 95 000 il numero degli italiani dispersi. Di questi, circa 25 000 caddero nelle battaglie sul Don e durante la ritirata, mentre 70 000 furono presi prigionieri. Ne consegue che i morti in prigionia furono circa 60 000.[6][7]
Circa il trattamento dei prigionieri italiani catturati dai sovietici, è stato oggetto di alcune polemiche politiche il ruolo avuto da Palmiro Togliatti, che non avrebbe fatto nulla per riportare a casa i prigionieri italiani; le lettere attribuite a Togliatti, su cui partì questa polemica, sono poi state riconosciute come dei falsi. L'alto numero di decessi tra i prigionieri italiani è da imputarsi alla disorganizzazione del sistema di smistamento sovietico, sopraffatto dall'altissimo numero di prigionieri dell'Asse catturati nel corso delle offensive invernali (quasi mezzo milione tra tedeschi, romeni, italiani e ungheresi); impreparati a gestire una simile massa di prigionieri, i sovietici non furono in grado di garantire le condizioni minime di sopravvivenza ai militari catturati, sia durante i viaggi di trasferimento, sia durante i primi mesi nei campi di prigionia. Il numero dei decessi fu infatti molto elevato nei primi mesi di prigionia, per poi attestarsi su livelli più fisiologici a partire dall'estate del 1943.[8]
Sette prigionieri italiani furono processati e condannati ai lavori forzati dai tribunali sovietici per crimini di guerra; graziati nel 1954, vennero liberati assieme agli altri prigionieri. I sovietici chiesero inoltre l'estradizione di altri 12 militari italiani, richiesta che non venne accolta dal Governo italiano.[9]
A seguito di una lunga campagna promossa dai reduci per la restituzione delle salme dei caduti, solo nel 1989 fu possibile la restituzione dei primi resti. In seguito fu consentito dalle autorità russe l'accesso a 72 dei molti cimiteri di guerra italiani in quel territorio e sono state iniziate le operazioni di rimpatrio di circa 4 000 salme. Ai caduti della guerra di Russia è dedicato un tempio a Cargnacco, presso Udine, ove sono raccolti anche gli ignoti.
In Italia, il riconoscimento giuridico della qualità di ente morale dell'Associazione dei Reduci è stato numerose volte chiesto ed altrettante rifiutato, sino al 1996[senza fonte], quando il Ministero della Difesa con Decreto Ministeriale del 20 novembre 2006[senza fonte], concesse all'UNIRR - Unione Nazionale Italiana dei Reduci di Russia l'agognato riconoscimento.
Meritoria è l'azione dei componenti dell'UNIRR che attraverso memoriali, difficili ricerche negli archivi ex-sovietici e visite dirette sui luoghi ricercano, e spesso trovano ancora oggi, le fosse comuni dei gulag e dei campi di transito dove furono frettolosamente inumati i caduti italiani prigionieri dei sovietici.
La leggenda del bollettino n. 630
È un falso storico che il bollettino n. 630 del Comando supremo russo, emesso da Radio Mosca l'8 febbraio 1943 abbia recitato:
Per amore della verità storica, non esistono prove che tale citazione sia vera e pare essere stata inventata in Italia durante la guerra fredda[11].
La componente navale
Tra i reparti italiani inviati sul fronte orientale vi era anche una piccola unità della Regia Marina, distaccata dalla Xª Flottiglia MAS su esplicita richiesta tedesca per operare nel Mar Nero. L'unità, designata come 101ª Flottiglia MAS e posta al comando del capitano di fregata Francesco Mimbelli, era inizialmente composta da quattro MAS (aumentati poi a sette), sei sommergibili tascabili classe CB, cinque motoscafi siluranti e cinque barchini esplosivi.
L'unità venne trasferita via terra fino alle coste del Mar Nero (ove giunse nel maggio del 1942), facendo base nei porti di Yalta e Feodosia, sulla penisola di Crimea. I MAS e i sommergibili italiani vennero subito coinvolti nelle operazioni contro la fortezza sovietica di Sebastopoli, attaccando il traffico da e verso la piazzaforte. Caduta la città (4 luglio 1942), l'unità venne spostata nel Mar d'Azov per fornire protezione al traffico navale tedesco, per poi continuare con le missioni di pattugliamento lungo le coste controllate dai sovietici.
La mancanza di combustibile e il cattivo andamento del conflitto influirono pesantemente sulle attività dei mezzi italiani. Il 20 maggio 1943 i MAS superstiti vennero ceduti alla Kriegsmarine, e gli equipaggi rimpatriati. I sommergibili continuarono ad operare con equipaggi italiani fino all'agosto del 1943 dalla base di Sebastopoli. A seguito dell'armistizio italiano dell'8 settembre 1943, gli equipaggi vennero internati dai tedeschi, mentre i mezzi (ormai in pessimo stato di manutenzione) vennero acquisiti dai romeni, per finire poi nelle mani dei sovietici a Costanza nel 1944.
Durante la sua attività, l'unità riuscì ad affondare 3 navi da trasporto e 3 sommergibili sovietici, oltre a danneggiare l'incrociatore Molotov e il cacciatorpediniere Kharkov. Le perdite ammontarono ad un CB e a due MAS.
Un'altra piccola unità navale italiana operò tra il 15 agosto e il 22 ottobre 1942 sulle sponde del lago Ladoga, in appoggio alle truppe tedesche e finlandesi impegnate nell'assedio di Leningrado. L'unità, denominata 12ª Flottiglia MAS, era comandata dal capitano di corvetta Bianchini, e disponeva di soli due MAS. Impegnata nella caccia al traffico navale sovietico (che costituiva l'unica via di rifornimento verso la città assediata), l'unità affondò una cannoniera e un trasporto. Con il sopraggiungere dell'inverno, i MAS vennero ceduti ai finlandesi, e gli equipaggi italiani rimpatriati. [12]
Note
- ^ Andrea Molinari, Da Barbarossa a Stalingrado, Hobby & Work, 2007, ISBN 9788878515376
- ^ I tedeschi contrassegnavano sulle loro carte le divisioni italiane come unità autotrasportate e Messe ogni volta doveva spiegare che non era esattamente così, che gli automezzi bastavano solo a metà del CSIR. Viste le insistenze del comando tedesco ad attribuire al corpo di spedizione compiti da corpo motorizzato, Messe dai primi di agosto non farà che ripetere al Comando supremo: «E' indispensabile che tutti i reparti avviati a questo fronte siano esclusivamente autotrasportati. In caso contrario è preferibile rinunciare a qualsiasi apporto di forze poiché esse sarebbero destinate inevitabilmente a rimanere centinaia di chilometri indietro»
- ^ La Tragedia del Don - 1943, EuropaRussia
- ^ Tutti i dati sulle perdite sono tratti da Alfio Caruso, Tutti i vivi all'assalto, Longanesi, 2003, ISBN 9788850209125, il quale cita le stime ufficiali dell'Ufficio Storico dell'Esercito italiano.
- ^ Giorgio Rochat, Le guerre italiane 1935-1943, Einaudi, 2005, ISBN 9788806191689.
- ^ http://www.fronterussounirr.it/storia.html
- ^ Il Lager degli Italiani nel Paese dei Lupi in EuropaRussia http://www.europarussia.com/posts/155,
- ^ Giorgio Rochat, Le guerre italiane 1935-1943, Einaudi, 2005, ISBN 9788806191689.
- ^ Gianni Oliva, «Si ammazza troppo poco», Mondadori, 2006, ISBN 9788804564041
- ^ Sono tuttora discordanti le opinioni sull'esattezza della citazione: alcuni asseriscono che nel testo, annunciando il travolgimento delle forze dell'Asse sul fronte del medio Don e la caduta di Stalingrado, si precisò: «... soltanto il Corpo d'armata alpino italiano deve ritenersi imbattuto sul suolo di Russia...»
- ^ http://www.ana.it/uploads/Bollettino630.pdf
- ^ http://www.regiamarina.net/others/blacksea/blacksea_I_it.htm
Bibliografia
- Giovanni Messe, La guerra al fronte russo, Mursia, 2005, ISBN 8842533483
- Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve, Einaudi Ragazzi, 2001, ISBN 8879263595
- Nuto Revelli, La strada del Davai, Einaudi Tascabili Saggi, 2004, ISBN 8806170600
- Giulio Bedeschi, Centomila gavette di ghiaccio, Mursia, 1994, ISBN 8842517461
- Cristoforo Moscioni Negri, I lunghi fucili, Il Mulino, 2005, ISBN 8815104879
- Eugenio Corti, I più non tornano, Bur, 2004, ISBN 881700166X
- Eugenio Corti, Il cavallo rosso, Edizioni Ares, 2002, ISBN 8881552353
- Jacek Wilczur, Le tombe dell'ARMIR, Mondadori editore, 1967 (ultima edizione 1987), ISBN 8804302488
- Alberto Massa Gallucci, No! Dodici anni prigioniero in Russia, Rizzoli, 1958
- Francescho Bigazzi e Evgenij Zhirnov, Gli ultimi 28. La storia incredibile dei prigionieri italiani dimenticati in Russia, Mondadori editore, 2002, ISBN 8804503416
- Alfio Caruso, Tutti i vivi all'assalto, Longanesi, 2003, ISBN 9788850209125
- Giuseppe D'Amato Nikolajewka: la tragedia del Don - 1943. Reportage. Riedizione In EuropaRussia.com Sezione Italia.
- Giuseppe D'Amato Il Lager degli Italiani nel Paese dei Lupi – 1943. Reportage. Riedizione In EuropaRussia.com Sezione Italia.
- AA.VV., Le operazioni delle unità italiane al fronte russo (1941-43), Stato Maggiore dell’Esercito.
- Giorgio Bocca, Storia d'Italia nella guerra fascista 1940-43, Laterza, Bari, 1969.
Voci correlate
Collegamenti esterni
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