Umberto I di Savoia
Umberto I | |
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Re d'Italia | |
In carica | 9 gennaio 1878 - 29 luglio 1900 |
Predecessore | Vittorio Emanuele II |
Successore | Vittorio Emanuele III |
Nome completo | Umberto Rainerio Carlo Emanuele Giovanni Maria Ferdinando Eugenio |
Nascita | Torino, 14 marzo 1844 |
Morte | Monza, 29 luglio 1900 |
Casa reale | Savoia |
Padre | Vittorio Emanuele II |
Madre | Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena |
Consorte | Margherita di Savoia |
Figli | Vittorio Emanuele III |
Umberto I (Umberto Rainerio Carlo Emanuele Giovanni Maria Ferdinando Eugenio di Savoia; Torino, 14 marzo 1844 – Monza, 29 luglio 1900) fu Re d'Italia dal 1878 al 1900.
Figlio di Vittorio Emanuele II e di Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena, venne soprannominato "Re buono" per via del suo atteggiamento positivo dimostrato nel fronteggiare sciagure quali la grave epidemia di colera a Napoli del 1884, prodigandosi personalmente nei soccorsi.
Da altri fu aspramente avversato e criticato per il suo duro conservatorismo e per varie azioni, come l'avallo alle repressioni dei moti popolari del 1898, o l'onorificenza concessa al generale Fiorenzo Bava Beccaris per l'azione di soffocamento delle manifestazioni del maggio dello stesso anno a Milano, azioni e condotte politiche che gli costarono vari attentati[1], fino a quello fatale del 29 luglio 1900.
Fu il destinatario di uno dei biglietti della follia di Friedrich Nietzsche.
Biografia
I primi anni
Ebbe fin dall'infanzia una formazione essenzialmente militare, avendo come istitutore il generale Giuseppe Rossi e fra gli insegnanti alcuni altri militari, e fu questa che ne formò il carattere e le idee che sostenne durante il suo regno.
Intrapresa la carriera militare nel marzo del 1858, iniziò col rango di capitano. Successivamente prese parte alla seconda guerra d'indipendenza, distinguendosi nella Battaglia di Solferino del 1859. Successivamente, nel 1866, prese parte anche alla terza guerra d'indipendenza, divenendo comandante della XVI divisione e partecipando con valore allo scontro di Villafranca del 24 giugno 1866 che seguì la disfatta di Custoza.
Umberto sposò a Torino, il 22 aprile 1868, la cugina Margherita dalla quale ebbe un figlio, il principe Vittorio Emanuele, principe di Napoli (1878-1900) e re d'Italia (1900-1946). Il 22 aprile 1893 furono celebrate con sfarzo le nozze d'argento. La mattina dei festeggiamenti a Roma furono sparati 101 colpi di cannone. Per tale occasione era prevista l'emissione di un francobollo speciale detto appunto Nozze d'argento di Umberto I che però non fu emesso.
La salita al trono
Alla morte del padre Vittorio Emanuele II, il 9 gennaio 1878, Umberto gli succedette al trono col nome di Umberto I sul trono italiano e Umberto IV su quello sabaudo dal momento che suo padre aveva stabilito, malgrado l'unità nazionale, il prosieguo della tradizione nominale sul trono sabaudo.
Alla morte del padre egli predispose l'inumazione della salma nel Pantheon di Roma, che fece diventare simbolicamente il mausoleo della famiglia reale che ancora oggi accoglie le spoglie dei primi sovrani dell'Italia unita. Roma fu luogo simbolico dal momento che la sua presa aveva rappresentato il completamento dell'agognata unità nazionale.
Il primo tentativo di assassinio
Appena salito al trono, Umberto I predispose subito un tour nelle maggiori città del regno d'Italia al fine di mostrarsi al popolo e guadagnare almeno una parte di quella notorietà che di cui ampiamente aveva goduto il padre come "padre della patria". Egli venne accompagnato in questo viaggio dall'allora primo ministro Benedetto Cairoli. Giunto a Napoli, il 17 novembre 1878 venne attaccato dall'anarchico Giovanni Passannante il quale però non riuscì nel proprio intento. Il re, infatti, riuscì a difendersi con la propria spada, mentre Cairoli, nel tentativo di difendere il monarca, venne pesantemente ferito. Il Passanante venne condannato a morte come stabiliva la legge, ma Umberto I commutò la sentenza in un carcere a vita in condizioni disastrose: la sua cella sarebbe stata alta solo 1,4 metri, senza alcun tipo di servizio igienico e con 18 chilogrammi di catene ai piedi. Passanante morì successivamente in un istituto psichiatrico dopo che questa tortura continua lo aveva portato a frequenti squilibri psichici.
La politica governativa e coloniale
Durante gli anni del proprio regno, affiancò l'operato del governo di Francesco Crispi nel suo progetto di rafforzamento interno dello stato. È durante il suo regno che si definisce la figura del Presidente del Consiglio (1890). Fu inoltre un acceso sostenitore della Triplice Alleanza, soprattutto dopo l'occupazione francese della Tunisia nel 1881, paese su cui l'Italia avanzava delle pretese.
Nell'ottica della visibilità e del peso internazionale, appoggiò lo slancio coloniale in Africa, con l'occupazione dell'Eritrea (1885-1896) e della Somalia (1889-1905). Con il trattato di Uccialli del 1889 vennero infatti riconosciuti all'Italia i territori occupati in Eritrea e - a causa di un malinteso sulla traduzione dello stesso - anche il protettorato sull'Etiopia. Quest'ultimo fu perduto dopo la sconfitta nella campagna d'Africa Orientale con la battaglia di Adua del 1º marzo 1896 e con la successiva pace di Addis Abeba del 26 ottobre 1896. Sempre nel 1889 veniva riconosciuto il protettorato italiano sulla costa della Somalia, formando in tal modo il primo nucleo coloniale italiano in Africa.
Per quanto riguarda la politica interna, Umberto I assunse un atteggiamento autoritario, dovuto forse alla grave "crisi di fine secolo", dove insurrezioni e moti, come quelli dei Fasci dei Lavoratori in Sicilia e l'insurrezione della Lunigiana (1894) lo portarono a firmare provvedimenti come lo stato d'assedio. A seguito di questi e di altri gravi avvenimenti si procedette allo scioglimento, ad opera del governo Crispi, del Partito Socialista, delle Camere del Lavoro e delle Leghe Operaie.
Appoggiò quindi i governi ultra conservatori di Antonio di Rudinì (1896-1898) e di Luigi Pelloux (1898-1900) che rafforzarono le tensioni sociali in tutta l'Italia.
Fu criticato dall'opposizione anarchico-socialista e repubblicana italiana per aver insignito con la Gran Croce dell'Ordine militare di Savoia il generale Fiorenzo Bava-Beccaris che il 7 maggio 1898 fece uso dei cannoni contro la folla a Milano per disperdere i partecipanti alle manifestazioni di protesta scatenate dalla tassa sul macinato (la cosiddetta protesta dello stomaco) compiendo un vero e proprio massacro. La repressione costò più di cento morti e oltre cinquecento feriti secondo le stime della polizia dell'epoca, sebbene alcuni storici ritengano tali stime fossero approssimate per difetto.[2].
In realtà, in un primo tempo Umberto I era rimasto sconvolto per l'accaduto e avrebbe voluto punire Beccaris; furono i suoi consiglieri a convincerlo a cambiare atteggiamento, facendogli credere che la protesta preludeva a un tentativo insurrezionale che di lì a pochi giorni sarebbe scoppiato a Milano e in altre città italiane.[senza fonte]
Dopo i fatti di Milano, il governo del generale Pelloux intraprese una svolta autoritaria, accingendosi a sciogliere le organizzazioni socialiste, cattoliche e radicali e a limitare la libertà di stampa e di riunione. Tale atteggiamento venne però bloccato alla Camera, dove, ricorrendo all'ostruzionismo, i socialisti costrinsero Pelloux a sciogliere le Camere e ad andare a nuove elezioni, che videro una decisa avanzata della sinistra. Pelloux si dimise e Umberto I, in rispetto delle libertà garantite dallo Statuto, accettò di assegnare la carica di Presidente del Consiglio a Giuseppe Saracco, che diede il via a una politica di riconciliazione nazionale.
Un fatto importante accaduto durante il regno di Umberto fu la delibera del codice penale Zanardelli (1889), un corpo normativo liberale e molto avanzato per l'epoca (tra l'altro, aboliva la pena di morte). Il progetto venne approvato grazie al consenso pressoché unanime da ambedue le Camere.
Il fatale attentato di Gaetano Bresci e la morte
Il 21 luglio il re e la regina giungono a Monza dove si riposano alcuni giorni, prima di recarsi in Val d'Aosta.
Il giorno 29, Umberto viene pregato di onorare con la sua presenza la cerimonia di chiusura del concorso ginnico organizzato dalla società sportiva Forti e Liberi, a cui sono presenti le squadre di Trento e Trieste. Il re accetta e, dopo aver cenato con buon appetito, poco dopo le 21 si congeda da Margherita e scende nel parco dove lo attende la carrozza. Quest'ultima è scoperta: infatti, fa troppo caldo per circolare in una carrozza chiusa. Anche a causa del caldo, il re rinuncia a indossare, sotto il panciotto, la maglia d'acciaio a protezione contro altri attentati. Insieme ai generali Ponzio Vaglia e Avogadro di Quinto, si avvia serenamente verso il padiglione, da dove provengono suoni di banda e un brusio di folla.
Tra la folla si trova anche l'attentatore con in tasca un revolver a cinque colpi. Ha intaccato i proiettili perché, colpendo, uccidano. Si trova a Monza già da due giorni, si è informato sulle abitudini del re, sui suoi orari e sui suoi itinerari preferiti.
Il sovrano si intrattiene per circa un'ora, è di ottimo umore: «Tra questi giovanotti in gamba mi sento ringiovanire». Decide di andarsene verso le 22.30, si avvia verso la carrozza, mentre la folla applaude e la banda intona la Marcia Reale. C'è gran confusione: approfittandone, Gaetano Bresci fa un balzo avanti con la pistola in pugno e spara tre colpi in rapida successione. Umberto viene colpito a una spalla, al polmone e al cuore. Il re avrebbe balbettato: «Andiamo non è nulla» o secondo altri «Avanti credo di essere ferito». Morirà poco dopo.
Subito dopo, i carabinieri si scagliano su Bresci, che ancora impugna il revolver; lo sottraggono al linciaggio da parte dei presenti: passanti, ginnasti in maglietta a righe, quanti insomma gli erano vicini, sicché viene trascinato via con gli abiti a brandelli e imbrattato di sangue. Intanto la carrozza giunge alla reggia, la regina, avvisata, si precipita all'ingresso gridando: «Fate qualcosa, salvate il re». Ma non c'è più nulla da fare, il re è già morto.
La salma di Umberto I viene tumulata solennemente nel Pantheon; il 13 agosto diventa giorno di lutto nazionale. Bresci viene processato il 29 agosto e condannato all'ergastolo, poiché re Vittorio Emanuele III gli fece grazia della vita (era in vigore la pena di morte per il regicidio e l'alto tradimento, oltre che per i crimini di guerra). Inizia il suo periodo di reclusione nel carcere di Santo Stefano dove, neppure un anno dopo, nel maggio del 1901, lo troveranno impiccato in cella.
Il luogo dell'attentato è segnato da una Cappella costruita nel 1910 su disegno dell'architetto Giuseppe Sacconi.
Albero genealogico
Onorificenze
Onorificenze italiane
Onorificenze straniere
Note
- ^ Benedetto Croce, Storia D'Italia dal 1871 al 1915, Bibliopolis, Napoli, 2004.
- ^ Paolo Valera, I cannoni di Bava Beccaris, Milano 1966
- ^ Ferma restando la genealogia dei Savoia, il tema della successione ad Umberto II come capo del casato è oggetto di controversia tra i sostenitori di opposte tesi rispetto all'attribuzione del titolo a Vittorio Emanuele piuttosto che a Amedeo: infatti il 7 luglio 2006 la Consulta dei senatori del Regno, con un comunicato, ha dichiarato decaduto da ogni diritto dinastico Vittorio Emanuele ed i suoi successori ed ha indicato duca di Savoia e capo della famiglia il duca d'Aosta, Amedeo di Savoia-Aosta, fatto contestato anche sotto il profilo della legittimità da parte dei sostenitori di Vittorio Emanuele. Per approfondimenti leggere qui.
Voci correlate
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