Persecuzione dei cristiani nell'Impero romano

fenomeno oppressivo all'interno dell'impero romano

Le persecuzioni dei cristiani nell'antica Roma consistettero in azioni repressive contro gli appartenenti a questa religione che si stava diffondendo presso diverse popolazioni dell'impero. La leggenda Romana, che abbiamo grazie alla storiografia di Tacito (per secoli considerata storia a tutti gli effetti, ma in realtà solo leggenda, in quanto discorde con i reali eventi storici e scritta solo per aumentare la potenza e la grandezza di Roma basata sempre su numeri pieni di significato come il 10) vuole che siano appunto dieci; ma in realtà le uniche persecuzioni ufficiali, che vennero come ordine dall'autorità centrale furono solo tre: la prima sotto Marco Aurelio, la seconda con Decio e Valeriano e la terza, la più pesante, nominata la "grande persecuzione", con Diocleziano. Finirono con l'editto di Nicomedia del 311 emanato dall'imperatore Galerio, confermato dall'editto di Milano del 313 promulgato da Costantino I.

Il culto pubblico della tradizionale religione romana era strettamente intrecciato allo stato: fare sacrifici agli dèi e rispettare i riti significava stabilire un patto con le divinità, in cambio della loro protezione. Era facile integrare gli dèi, i riti e le credenze di altre popolazioni in questo sistema, mentre la religione cristiana rifiutava il sacrificio agli dèi tradizionali, ponendosi in tal modo agli occhi dei romani in antitesi allo stato, a differenza dell'ebraismo, accettato da Roma fin dai tempi di Giulio Cesare. Pare comunque che all'inizio i cristiani venissero facilmente confusi con gli ebrei stessi, tanto che Svetonio e Dione Cassio riportano che l'imperatore Claudio (41-54) avrebbe scacciato da Roma i "Giudei" che creavano disordini a nome di "un certo Chresto".

Persecuzione di Nerone

La prima persecuzione sotto Nerone nel 64 fu dovuta alla ricerca di un capro espiatorio per il grande incendio di Roma, come viene raccontato dallo storico latino Tacito. Secondo lo storico, prima sarebbero stati arrestati quanti confessavano e quindi, su denuncia di questi, ne sarebbero stati condannati moltissimi, ma, ritiene Tacito, non tanto a causa del crimine dell'incendio, quanto per il loro "odio del genere umano". Tacito non dice il nome di alcuno di loro tuttavia numerose fonti, cristiane e pagane (Tertulliano, Scorpiace, 15, 2-5; Lattanzio, De mortibus persecutorum, 2, 4-6; Orosio, Historiarum, VII, 7-10; Sulpicio Severo, Chronicorum, 3, 29; Porfirio Neoplatonico), attestano che gli apostoli Pietro e Paolo subirono il martirio in Roma in quella persecuzione. La maggior parte di questi scrittori afferma pure che Pietro fu crocifisso (Origene, citato nella Storia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea al libro III, I, 1-3, specifica che fu crocifisso a testa in giù) e Paolo fu decapitato. Tacito descrive quindi i supplizi a cui furono sottoposti per opera di Nerone i cristiani che,nonostante la loro presunta colpevolezza, causavano pietà in quanto puniti non per il bene pubblico ma per la crudeltà di uno solo:"et pereuntibus addita ludibria, ut ferarum tergis contecti laniatu canum interirent aut crucibus adfixi atque flammati, ubi defecisset dies, in usum nocturni luminis urerentur."(Annales, XV, 44, 4; Traduz.: "E coloro che morivano furono pure scherniti: coperti di pelli di bestie perché morissero dilaniati dai cani oppure affissi alle croci e dati alle fiamme perché, caduto il giorno, bruciassero come fiaccole notturne."). Lo stesso Svetonio conferma anche che Nerone aveva mandato i cristiani al supplizio e li definisce "una nuova e malefica superstizione",senza tuttavia collegare questo provvedimento all'incendio.

Persecuzione di Domiziano

Durante la dinastia flavia ebbero forse simpatie cristiane persino personaggi della corte imperiale, come Berenice, principessa ebrea figlia del re Erode Agrippa I, amante dell'imperatore Tito (79-81) e il console Flavio Clemente con la moglie Flavia Domitilla, al seguito di Domiziano (81-96): nel 95 la "seconda persecuzione" consistette nella messa a morte di Flavio Clemente insieme ad Acilio Gabrione, e nell'esilio per Flavia Domitilla. È molto probabile tuttavia che la presunta affiliazione di Clemente al Cristianesimo fosse una notizia creata ad arte per infangare l'immagine pubblica dell'uomo e smorzare la reazione del popolo romano, che stava appoggiando una sua congiura con l'aiuto di alcuni generali per spodestare Domiziano.

Persecuzione di Traiano

Della "terza persecuzione" sotto Traiano ci testimonia una lettera inviata a Plinio il giovane quando questi era legato nella provincia di Bitinia, l'imperatore dettava le modalità con cui si doveva trattare la "questione cristiana": nessuna ricerca attiva dei cristiani, ma, in caso di denuncia, essi dovevano essere condannati se avessero rifiutato di sacrificare agli dei. Un'altra lettera inviata da Adriano al proconsole della provincia d'Asia, stabilisce regole ancora più restrittive, allo scopo di controllare le delazioni.

Nella cerchia imperiale ed intellettuale dell'epoca, giudizio negativo contro la religione cristiana era largamente diffuso: Plinio il giovane la considera nihil aliud quam superstitionem ("null'altro che superstizione").

Persecuzione di Marco Aurelio

A sua volta la "quarta persecuzione" sotto Marco Aurelio si limitò probabilmente ad alcuni episodi ad opera di autorità locali. Nel V libro della sua "Storia Ecclesiastica" Eusebio di Cesarea riporta i brani principali della "Lettera delle chiese di Vienne e di Lione alle chiese dell'Asia e della Frigia": in essa sono documentate le vessazioni nei confronti dei cristiani e le loro esecuzioni capitali avvenute a Lione nell'anno 177. Di questi cristiani, torturati e gettati in carcere, molti morirono per soffocamento. La folla, aizzata da false accuse (di cannibalismo e rapporti incestuosi) diffuse sul conto dei cristiani, infierì su di loro senza più alcun riguardo per l'età o per il sesso dei condannati: il vescovo ultranovantenne Potino,linciato dalla folla, spirò in carcere; il quindicenne Pontico e la schiava Blandina, dopo essere stati costretti per giorni ad assistere all'esecuzione degli altri, furono essi stessi torturati e uccisi. Marco Aurelio perseguitò i cristiani sotto false accuse, inventate da lui stesso. Ma era troppo intelligente per credere a queste storie e dopo poco lasciò in pace i cristiani.Marcia, liberta imperiale e amante dell'imperatore Commodo fu invece di simpatie cristiane (viene citata in merito alla liberazione di papa Callisto I dalla condanna alle miniere (ad metalla) in Sardegna).

Intorno al 178-180 il filosofo platonico Celso scrisse contro la religione cristiana e in difesa di quella tradizionale il Logos arethes ("Discorso della verità"), che conosciamo solo dalla confutazione apologetica polemica che ne fece il teologo cristiano Origene, con la sua opera del 248, intitolata, appunto, Contra Celsum ("Contro Celso").

Persecuzione di Settimio Severo

Il regno di Settimio Severo fornisce un interessante esempio dei metodi di persecuzione dei cristiani. Settimio Severo non promulgò nuove leggi contro i cristiani, ma consentì l'applicazione di vecchie leggi. Non sono dimostrate persecuzioni sistematiche, ma anzi, ci sono prove che l'imperatore in molte occasioni protesse i cristiani dall'accanimento popolare.

D'altro lato, singoli funzionari si sentivano autorizzati dalla legge a procedere con rigore verso i Cristiani. Naturalmente l'imperatore, a stretto rigore di legge, non ostacolava qualche persecuzione limitata, che avesse luogo in Egitto, in Tebaide o nei proconsolati di Africa e Oriente. I martiri cristiani furono numerosi ad Alessandria (cfr. Clemente di Alessandria, Stromata, ii. 20; Eusebio, Storia della Chiesa, V., xxvi., VI., i.).

Non meno dure furono le persecuzioni in Africa, che sembra avessero inizio nel 197 o 198 (cfr. Tertulliano Ad martires), alle cui vittime ci si riferisce nel martirologio cristiano come ai martiri di Madaura. Probabilmente nel 202 o 203 caddero Felicita e Perpetua. La persecuzione infuriò ancora, per breve tempo, sotto il proconsole Scapula nel 211, specialmente in Numidia e Mauritania. Nei tempi successivi sono leggendarie le persecuzioni in Gallia, specialmente a Lione. In generale, si può dire che la posizione dei cristiani sotto Settimio Severo fu la stessa che sotto gli Antonini; ma la disposizione di questo imperatore almeno mostra chiaramente che Traiano aveva mancato i suoi obiettivi.


Persecuzione di Massimino il Trace

Per motivi economici l'imperatore spogliò i templi, ma non è conosciuto nessun editto specifico contro i cristiani: una "sesta persecuzione" è forse erroneamente stata identificata con questo provvedimento. Secondo alcune fonti cristiane, l'imperatore Filippo l'Arabo sarebbe stato addirittura cristiano egli stesso.

Persecuzioni di Decio e Valeriano

La "settima persecuzione" sotto Decio, fu inaugurata con un editto del 250 che, nell'ambito del programma di restaurazione religiosa promosso dall'imperatore, ordinò che tutti i cittadini dell'impero offrissero un sacrificio pubblico agli dei o all'imperatore (formalità equivalente ad una testimonianza di lealtà all'imperatore e all'ordine costituito). Decio autorizzò delle commissioni itineranti a visitare le città e i villaggi per supervisionare l'esecuzione dei sacrifici e per la consegna di certificati scritti a tutti i cittadini che li avevano eseguiti. Ai coloro che si rifiutarono di obbedire all'editto fu mossa accusa di empietà, che veniva punita con l'arresto, l'imprigionamento, la tortura e la morte.I cristiani si nascondevano in rifugi nelle campagne. Valeriano iniziò nel 257 con un primo editto che imponeva a vescovi, preti e diaconi di sacrificare agli dei, pena l'esilio, e proibì inoltre ai cristiani le assemblee di culto. Un secondo editto del 258 inasprì le pene per chi rifiutava il sacrificio e aggiunse la confisca dei beni per i senatori e cavalieri, con un provvedimento destinato soprattutto a rimpinguare le casse statali. Il successore Gallieno concesse a tutti di rientrare dall'esilio e restituì alle chiese i loro beni. In Nord Africa le gravi persecuzioni della metà del III secolo spezzarono le comunità cristiane dell'area, alcune delle quali voltarono le spalle ai membri che avevano temporaneamente abiurato la loro fede a causa delle durezze subite. Diversi concili tenuti a Cartagine discussero fino a che punto la comunità doveva accettare questi cristiani che avevano ceduto alle richieste dei romani, e la questione è ampiamente trattata nelle opere di Cipriano, vescovo di Cartagine. Alcuni cristiani avrebbero all'inizio accolto con entusiasmo la possibilità di ottenere il martirio: gli scrittori della chiesa cristiana degli inizi si occuparono molto delle condizioni in base alla quali l'accettazione del martirio poteva essere considerato un destino accettabile, o, viceversa, essere considerato quasi come un suicidio.I martiri erano considerati esempi da seguire della fede cristiana e pochi dei primi santi non furono anche martiri. Nel contempo il suicidio era considerato dai cristiani un grave peccato e veniva associato ad un tradimento della propria fede, l'esatto opposto della "testimonianza" di essa nel martirio: alla maniera di Giuda il traditore, non di Gesù il salvatore. Il Martirio di Policarpo, del II secolo, registra la storia di Quintus, un cristiano che si consegnò alle autorità romane, ma con atto di codardia finì per sacrificare agli dei romani quando vide le fiere nel Colosseo: "Per questo motivo quindi, fratelli, non lodiamo quelli che si consegnano, perché il vangelo non insegna ciò." Giovanni l'Evangelista non accusò mai Gesù di suicidio o di auto-distruzione, ma dice piuttosto che Gesù scelse di non opporre resistenza all'arresto e alla crocifissione.


Con una serie di editti sempre più duri, la "decima persecuzione" iniziò nel 303 sotto Diocleziano e fu particolarmente violenta nella parte orientale dell'impero, sotto il dominio del cesare Galerio. Venne sancita la distruzione delle chiese e dei libri sacri e a tutti i cittadini venne richiesto di sacrificare agli dei. La persecuzione terminò nel 311 con l'editto di Nicomedia, emanato dagli allora augusti Galerio, Costantino I e Licinio.


Introduzione alle persecuzioni dei pagani Le persecuzioni, tuttavia, non erano dirette (come molti credono)a punire i cristiani in quanto non attuavano sacrifici e non svolgevano funzioni pagane: la religione romana in epoca repubblicana e arcaica fu, anzi, molto tollerante verso altri culti e credenze. Come prova,molti dei suoi dèi sono importati dal culto etrusco e greco; il governo non impediva l'assorbimento di altri culti purché questi non provocassero problemi di tipo civile. Fu durante l'epoca imperiale che,con l'avvento del cristianesimo e la crisi della religione pagana,il culto romano venne deposto: i cristiani obbligarono la propria religione mediante la chiusura dei templi e la proibizione,sotto pena capitale,di professare religioni diverse da quella cristiana.

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