Italia medievale

storia d'Italia nel Medioevo

Template:Storiaitalia Se con storia del Medioevo si intende la storia dal 476, anno della deposizione dell'ultimo imperatore d'occidente, al 1492, anno della scoperta dell'America, con Italia medievale dobbiamo forse più precisamente intendere quel periodo della storia d'Italia che va dall'invasione longobarda (568) fino alla discesa in Italia di Carlo VIII, re di Francia (1498).

A sua volta il Medioevo tradizionalmente si divide in alto Medioevo (fino all'anno 1000) e basso Medioevo. È bene puntualizzare che tali datazioni sono semplicemente delle convenzioni per riferirsi con maggiore chiarezza ad un periodo tanto lungo quanto complesso. Infatti, spesso, dietro alle nette datazioni ci sono molteplici sfumature tipiche della storia. All'inizio dell'alto Medioevo l'Europa e l'Italia romane vengono germanizzate, con la formazione dei regni romano-barbarici. Dopo la sedentarizzazione dei nomadi germanici, è la volta di nuovi nomadi, gli arabi che rompono l'unità del Mediterraneo. Inoltre i continuatori dell'Impero romano d'Oriente, comunemente chiamati bizantini, diventano anch'essi dei nemici da scacciare, per di più divisi anche dal tipo di Cristianesimo professato. Il tentativo di unire l'Europa da parte di Carlo Magno (742-814) non avrà fortuna, ma il sistema con cui organizzò la sua società, il feudalesimo, attecchirà un po' dovunque, per breve tempo anche in Italia, dove però le città di origine romana sapranno riprendersi sul fronte economico prima delle altre.

Così all'inizio del basso Medioevo, mentre in Europa si diffondono le monarchie feudali, in Italia si sviluppa la civiltà comunale, che si scontrerà politicamente e militarmente con il Sacro Romano Impero tedesco. Successivamente, mentre in Europa si affermano gli stati nazionali, in Italia si sviluppano delle potenze regionali che continuano a guerreggiare fra loro. Così, alla fine del Medioevo e nel Rinascimento – nonostante l'elevato livello culturale di entrambi i periodi – le piccole potenze italiane non saranno in grado di affrontare il pericolo costante di una dominazione straniera.

Nel 476 il re degli Eruli Odoacre, ultimo di una lunga schiera di condottieri germanici che nel periodo di decadenza dell'Impero romano d'Occidente avevano condotto le proprie orde in territorio italico, depose l'ultimo imperatore d'occidente, Romolo Augusto. Convenzionalmente, la data del 476 segna il passaggio dall'Antichità al Medioevo.

Inizialmente appoggiato dall'imperatore d'Oriente Zenone, che lo aveva insignito del titolo di dux Italiae ("duca d'Italia") per indicarlo - almeno formalmente - come suo rappresentante, Odoacre presto si proclamò, per la prima volta nella storia, rex Italiae ("re d'Italia"). Nel 489 Zenone invitò gli Ostrogoti, altro popolo germanico allora stanziato nel bacino del basso Danubio, a intervenire in Italia per scacciarne Odoacre, allentando in questo modo la pressione che esercitavano sulla sua stessa capitale, Costantinopoli. Gli Ostrogoti, guidati da Teodorico, sconfissero definitivamente Odoacre nel 493.

Il Regno ostrogoto (494-535)

Il Mausoleo di Teodorico a Ravenna
Lo stesso argomento in dettaglio: Regno ostrogoto.

Teodorico proseguì in gran parte la politica del suo predecessore e avversario, assegnando ai suoi Ostrogoti i compiti di sicurezza e di difesa e delegando ai Latini (o Romanici) le funzioni amministrative. Tra i collaboratori latini del sovrano si contarono anche i grandi intellettuali Cassiodoro e Boezio, anche se quest'ultimo cadde in seguito in disgrazia, venne imprigionato e fu infine ucciso.

La struttura latifondista della società e dell'economia italiana fu sostanzialmente preservata; la nuova ripartizione delle terre introdotta da Teodorico assegnò un terzo dei fondi ai conquistatori e i due terzi agli antichi abitanti. Durante il regno del sovrano germanico furono costruite nuove opere pubbliche, come il Mausoleo di Teodorico a Ravenna, e cercò, almeno nei primi anni, di mantenere pacifici i rapporti tra la maggioritaria Chiesa cattolica e gli aderenti al Cristianesimo ariano, tra i quali si contava la maggior parte degli Ostrogoti e lo stesso re.

Alla morte di Teodorico (526) il trono passò al giovane nipote Atalarico, sotto la reggenza della madre Amalasunta, e in seguito al secondo marito della regina madre, Teodato (a sua volta nipote di Teodorico). Amalasunta perseguì una politica apertamente favorevole al cattolicesimo, che determinò una frattura tra il potere regio e la nobiltà gotica; la divisione favorì i progetti di riconquista dell'Italia del nuovo imperatore d'Oriente, Giustiniano, che nel 535 lanciò l'armata del generale Belisario contro gli Ostrogoti.

Dalla guerra gotica all'invasione longobarda (535-568)

Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra gotica (535-553), Esarcato d'Italia e Longobardi.
L'impero bizantino durante il regno di Giustiniano. La penisola italiana venne inglobata totalmente nel 553

La riconquista giustinianea della penisola fu completata solo nel 553. Il conflitto si protrasse quindi per quasi un ventennio, devastando l'intera Italia tanto da portarla a una grave crisi demografica, economica, politica e sociale. I sovrani ostrogoti che si succedettero al comando (Teodato, Vitige, Totila, Teia), forti anche del sostegno fornito dai vicini Franchi e Burgundi, altri Germani stanziati in Gallia (l'odierna Francia), riuscirono a resistere a lungo agli attacchi dei Bizantini, a loro volta indeboliti da una rivalità tra i due comandanti, Belisario e Narsete. La definitiva sconfitta degli Ostrogoti nella Battaglia dei Monti Lattari, dove Narsete piegò Teia, portò l'intera Italia sotto la sovranità bizantina, ma gli anni seguenti furono funestati, oltre che da un aggravamento delle condizioni di vita dei contadini a causa della forte pressione fiscale, anche da una terribile pestilenza che spopolò ulteriormente la penisola (559-562).

L'Italia bizantina, indebolita e impoverita, non ebbe la forza di opporsi a una nuova invasione germanica, quella dei Longobardi capeggiati da Alboino. Tra il 568 e il 569 i Longobardi, che trovarono spesso appoggio tra la popolazione esasperata dalla fiscalità bizantina, occuparono gran parte dell'Italia centro-settentrionale. Questa regione, che da allora sarebbe stata detta Langobardia Maior ("Langobardia Maggiore"), costituì il nucleo del Regno longobardo, con capitale Pavia, ma contingenti germanici si spinsero anche nell'Italia meridionale, dove costituirono i ducati della Langobardia Minor ("Langobardia Minore"): Spoleto e Benevento. L'intero Regno longobardo fu infatti ripartito in numerosi ducati, ampiamente autonomi rispetto al potere centrale.

Con la invasione longobarda l'Italia rimase quindi suddivisa in due grandi zone d'influenza. I Longobardi occuparono le aree continentali della penisola, mentre i Bizantini conservarono il controllo di gran parte delle zone costiere, incluse le isole. Fulcro delle province bizantine in Italia furono l'Esarcato d'Italia, corrispondente grosso modo all'odierna Romagna (detta Romania nel latino dell'epoca, proprio per sottolineare la sua appartenenza all'Impero Romano d'Oriente) con Ravenna capitale, e la limitrofa Pentapoli bizantina, serie di città fortificate lungo la costa adriatica. Il potere supremo era esercitato dal luogotenente generale dell'imperatore bizantino, l'esarca, che aveva poteri quasi assoluti - sia civili, sia militari - e doveva rispondere del suo operato soltanto all'imperatore. Formalmente bizantina era anche Roma con il suo contado (il Ducato romano), ma in realtà la città era governata in modo quasi del tutto autonomo dal papa, in un primo embrione del futuro Stato della Chiesa.

Il Regno longobardo (568-774)

La Corona Ferrea che cingeva il capo dei re d'Italia longobardi, oggi conservata nel duomo di Monza
Lo stesso argomento in dettaglio: Regno longobardo.

Il VI secolo

Dopo la morte di Alboino, vittima nel 572 di una congiura ordita dalla moglie Rosmunda, la corona fu affidata a Clefi. Tra i Longobardi il re era infatti generalmente eletto dall'assemblea del popolo in armi (Gairethinx), anche se non sarebbero mancati tentativi di rendere ereditaria la trasmissione del potere. A essere eletti re, comunque, erano in genere gli esponenti di alcuni gruppi famigliari, tanto che nel corso della storia longobarda figurano diverse dinastie.

Clefi estese ulteriormente i confini del regno e tentò di continuare la politica del suo predecessore, volta a spezzare gli istituti giuridico-amministrativi consolidatisi durante il dominio ostrogoto e bizantino attraverso l'eliminazione dell'aristocrazia latina, l'occupanzione delle sue terre e l'acquisizione dei suoi patrimoni. A differenza degli Ostrogoti, quindi, i Longobardi esautorarono del tutto l'elemento romanico, accentrando nelle mani dei duchi ogni potere. Nel 574 anche Clefi venne assassinato e per un decennio, detto Periodo dei Duchi, non fu nominato alcun successore e i duchi regnarono autonomamente sui loro possedimenti (574-584).

L'interregno ebbe termine quando i duchi si resero conto che, separati, non avrebbero saputo reggere alla pressione militare dei Bizantini e dei Franchi; la corona venne quindi assegnata ad Autari, figlio di Clefi. Il nuovo re respinse entrambe le minacce e rafforzò la stabilità del regno alleandosi con i Bavari. L'accordo fu siglato con le nozze del re con la principessa bavara Teodolinda; rimasta presto vedova (590), la regina si risposò con il duca di Torino Agilulfo, che subito dopo (591) fu proclamato re dei Longobardi. La coppia, fondatrice della dinastia Bavarese, regnò congiuntamente e rafforzò ulteriormente il regno, garantendone i confini esterni e ampliandone l'area a danno dei Bizantini. Il potere centrale venne rafforzato a danno di quello dei duchi, che furono affiancati da funzionari di nomina regia (gli sculdasci) e fu avviata una maggior integrazione con i Romanici, anche attraverso l'avvio della conversione dei Longobardi dall'arianesimo al cattolicesimo.Venne stimolata la produzione artistica, grazie all'abate evangelizzatore irlandese San Colombano, fondatore a Bobbio nel 614 della futura Abbazia di San Colombano; questo dopo l'Espansione del Cristianesimo in Europa tra V e VIII secolo.

Il VII secolo

La debole reggenza assunta alla morte di Agilulfo (616) da Teodolinda in nome del figlio Adaloaldo favorì l'opposizione della fazione più aggressiva dei duchi, ancora ariani e contrari alla politica di pacificazione con i Bizantini e di integrazione con i Romanici. Nel 626 un colpo di Stato esautorò Adalaoaldo e portò sul trono l'ariano Arioaldo, che tuttavia dovette concetrare il suo impegno bellico a parare le minacce esterne portate dagli Avari a est e dai Franchi a ovest. Il suo successore Rotari, re dal 636 al 652, ampliò ulteriormente i domini longobardi, rafforzò l'autorità centrale anche sui duchi della Langobardia Minor e promulgò la prima raccolta scritta del diritto longobardo, l'Editto di Rotari. La nuova legislazione era d'ispirazione germanica, ma introduceva anche elementi desunti dal diritto romano e sostituì la faida (vendetta privata) con il guidrigildo (risarcimento in denaro stabilito dal re).

Da segnalare nel 619 la rivolta dell'esarca bizantino Eleuterio che si autoproclamò Imperatore d'Occidente con il nome di Ismaelius. Tuttavia la rinascita dell'Impero d'Occidente fu effimera, in quanto l'Imperatore usurpatore venne ucciso dai suoi soldati mentre si stava dirigendo verso Roma, dove intendeva farsi incoronare dal Senato romano. Già prima della rivolta di Eleuterio l'Impero d'Occidente rischiò di rinascere: infatti i successori di Giustiniano Tiberio II Costantino e Maurizio Tiberio intendevano dividere alla loro morte l'Impero d'Oriente (ora estesosi, dopo le conquiste di Giustiniano, su buona parte dell'Occidente) in una parte occidentale, con capitale Roma, e in una parte orientale, con capitale Costantinopoli. Tali piani tuttavia non si realizzarono mai.

L'Italia longobarda e bizantina alla morte di Rotari (652)

La seconda metà del VII secolo fu caratterizzata dal prevalere dei sovrani della dinastia Bavarese (Ariperto I, Pertarito, Godeperto, Cuniperto), che ripresero la consueta politica di pacificazione con i Bizantini e di integrazione con i Romanici sudditi del regno, tanto da arrivare infine alla completa conversione dei Longobardi al cattolicesimo. La continuità dinastica fu tuttavia interrotta da tentativi di usurpazione ispirati dalle residue frange ariane: nel 662 il duca di Benevento, Grimoaldo, riuscì a esautorare Pertarito e a regnare per una decina d'anni con una pienezza di poteri maggiore di ogni suo predecessore; i suoi sudditi ne apprezzarono (come testimonia il grande storico longobardo Paolo Diacono) la saggezza legislativa, l'opera mecenatistica e il valore guerriero. Egli riuscì inoltre a contrastare con successo l'aggressione da parte dei Bizantini di Costante II del Ducato di Benevento, mandando in fumo l'ultimo vero e proprio tentativo di riconquista bizantina dell'Italia. Costante II fu il primo Imperatore bizantino a risiedere in Italia per alcuni anni; infatti dopo la fallita campagna contro i Longobardi, l'Imperatore pose la propria residenza imperiale a Siracusa. Tuttavia la sua tirannia e avidità (in Italia saccheggiò le chiese e alzò di molto le tasse) lo resero odiato dal popolo e alla fine venne assassinato nel 668 a Siracusa mentre si faceva il bagno. I congiurati nominarono Imperatore Mecezio, che tuttavia venne deposto dal legittimo imperatore Costantino IV, figlio di Costante.

L'VIII secolo

L'VIII secolo si aprì con una grave crisi dinastica, che per più di dieci anni vide il Regno longobardo dilaniato da colpi di Stato, guerre civili e regicidi; soltanto nel 712, con l'ascesa al trono di Liutprando, l'Italia longobarda ritrovò compattezza. Quello di Liutprando è anzi considerato il periodo di maggior splendore del Regno longobardo, caratterizzato da pacificazione interna, fermezza del potere centrale, grande rilievo internazionale e creatività artistica (la cosiddetta "Rinascenza liutprandea").

Alla morte di Liutprando (744) il trono, dopo il brevissimo regno di Ildebrando, passò al duca del Friuli, Rachis. Definito "il re monaco", Rachis fu un sovrano debole, incapace di opporsi tanto alle spinte autonomiste dei duchi quanto alle pressioni esercitate dal papa e dai suoi alleati Franchi; nel 749 fu deposto e sostituito dal fratello Astolfo, che riprese la via dell'espansione territoriale a danno dei residui possedimenti bizantini. Sotto la sua guida il Regno longobardo toccò la massima espansione territoriale, arrivando a occupare l'intero Esarcato (compresa la capitale Ravenna), ma tanto potere preoccupò il pontefice, che vedeva minacciato direttamente il suo Ducato romano. Papa Stefano II invocò quindi l'aiuto del nuovo re dei Franchi, Pipino il Breve, che sconfisse Astolfo in due occasioni e lo costrinse a rinunciare alle sue conquiste.

Alla morte di Astolfo, nel 756, il trono passò a Desiderio, che ne proseguì la politica con maggior accortezza: puntò soprattutto sulla coesione interna del regno e favorì la massima integrazione con i Romanici e con la Chiesa cattolica, fino a costringere il papa ad accettare una forma di tutela da parte del re longobardo.

La conquista carolingia (774-814)

Carlo Magno in un dipinto di Albrecht Dürer
Lo stesso argomento in dettaglio: Impero carolingio.

Nel 771 papa Stefano III invocò l'intervento del nuovo re dei Franchi, Carlo Magno, contro Desiderio. La guerra tra Franchi e Longobardi si concluse nel 774 con la vittoria di Carlo, che assunse il titolo di Rex Francorum et Langobardorum ("Re dei Franchi e dei Longobardi") e unificò la parte dell'Italia che aveva conquistato (sostanzialmente la Langobardia Maior) al suo Regno dei Franchi. Il papa riacquistò una piena autonomia, garantita da Carlo stesso, mentre a sud, nella Langobardia Minor, sopravvisse in piena indipendenza il longobardo Ducato di Benevento, presto elevato al rango di principato.

Nel 781 Carlo affidò l'Italia, sotto la sua tutela, al figlio Pipino. Il giovane sovrano avviò varie campagne di espansione verso nord, ma morì nell'810; pochi anni dopo morì anche il padre, Carlo Magno (814).

Il Regnum Italiae entro il Sacro Romano Impero (814-1002)

Lo stesso argomento in dettaglio: Regnum Italiae.

Il IX secolo

Dopo la morte di Pipino, il potere venne assunto dal suo figlio illegittimo Bernardo. Nell'817, però, suo zio l'imperatore Ludovico il Pio assegnò l'Italia al proprio figlio, Lotario I; Bernardo tentò la ribellione, ma venne imprigionato e a partire dall'822 il dominio di Lotario sulla penisola divenne effettivo. Tra i suoi provvedimenti, uno statuto sulle relazioni tra papa e imperatore riservò il potere supremo alla potenza secolare; Lotario emise inoltre varie ordinanze per favorire un governo efficiente dell'Italia. La morte di Ludovico, avvenuta nel 840 causò vari tumulti tra gli eredi; Lotario si scontrò più volte con i fratelli, venendo infine sconfitto.

Il titolo di re d'Italia venne inizialmente detenuto dai sacri romani imperatori (Ludovico II, Carlo il Calvo, Carlo III il Grosso), ma con l'indebolimento della compagine imperiale i territori del Regnum Italiae finirono in una sorta di anarchia feudale, dominata dai signori locali nonostante alcuni deboli monarchi si avvicendassero sul trono, arrivando anche talora a venire incoronati dal papa. Tra l'888 e il 924 il titolo, al quale tuttavia non corrispondevano reali poteri, fu conteso fra numerosi feudatari locali, sia di origine italiana sia provenienti da regioni limitrofe: Berengario del Friuli, Guido da Spoleto, Lamberto da Spoleto, Arnolfo di Carinzia, Ludovico III il Cieco e Rodolfo II di Borgogna.

Il X secolo

Un momento di maggior solidità del Regnum si ebbe con il governo di Ugo di Provenza, che tra il 926 e il 946 regnò e cercò di risolvere le diatribe ereditarie sul titolo associandolo subito a suo figlio Lotario II. Questi però scomparve già nel 950, per cui gli successe il marchese d'Ivrea Berengario II, che a sua volta elesse come successore il figlio Adalberto. Berengario, temendo lotte e trame per il potere, fece perseguire la vedova di Lotario II, Adelaide, che si rivolse all'imperatore tedesco Ottone I, chiedendogli aiuto a fronte di quella che riteneva l'usurpazione della corona da parte di Berengario.

Ottone colse il pretesto e scese in Italia, già nelle sue mire per via delle vie di comunicazione che l'attraversavano, per la possibilità di avviare un confronto con l'Imperatore bizantino, che possedeva ancora numerosi territori nella penisola (costa adriatica, Italia meridionale) e per instaurare un rapporto diretto con il papa. Dopo aver sconfitto Berengario, entrò nella capitale Pavia, sposò Adelaide e si cinse della corona italiana nel 951, legandola a quella dell'Impero romano-germanico. Da allora la corona d'Italia fu istituzionalmente connessa a quella imperiale, per cui fu automaticamente ereditata dai successori di Ottone I (Ottone II e Ottone III) fino al 1002.

Lo Stato della Chiesa e il monachesimo

Lo stesso argomento in dettaglio: Stato della Chiesa e Monachesimo.

Durante l'intero alto Medioevo la Chiesa cattolica fu l'unico potere che si dimostrò capace di conservare, tramandare e sviluppare la cultura latina, sia attraverso il monachesimo, sia mediante la creazione di un potere temporale concretizzatosi nel centro Italia con lo Stato della Chiesa e capace di conservare la propria autonomia.

Il Cristianesimo fu uno dei più potenti collanti che, a partire dai regni romano-barbarici, permisero la convivenza e in seguito l'integrazione tra due mondi distanti tra loro: quello romanico e quello germanico. Favorito dalla condivisione della religione cristiana, dalla progressiva integrazione tra il diritto latino e il diritto germanico e dall'intersezione culturale tra gli elementi germanici di più recente insediamento in territorio italico e quelli di più antica formazione, di derivazione latina, nacque uno spirito propriamente europeo. Ovviamente tale fusione fu instabile e ci vollero secoli prima di trovare un equilibrio. Equilibrio che però, una volta raggiunto, portò ad apici di cultura e spiritualità, quali non solo le innovazioni tecnologiche, ma anche la fioritura delle università come luoghi di diffusione e di ricerca del sapere.

Nei secoli più travagliati, invece, l'eredità culturale classica era stata custodita prima con i monasteri cluniacensi, poi con quelli cistercensi. I monasteri medievali infatti si impegnarono a custodire il sapere di ogni tipo, dalla letteratura pagana (classici greci e latini) ai testi arabi di filosofia, matematica e medicina. È anche grazie alla lungimiranza dei monaci medievali che sono potuti fiorire i secoli dell'età moderna.

Il basso Medioevo

La lotta per le investiture: Enirico IV e Gregorio VII (1073-1122)

La posizione ambigua dei vescovi-conti, vassalli dell'imperatore che avevano anche cariche religiose, creati da Ottone I, portò il papato e l'impero a scontrarsi su chi li avrebbe dovuti nominare. Il Papato reclamava per sè il diritto di nominarli, in quanto vescovi mentre l'impero reclamava lo stesso diritto, in quanto vassalli. Alle origini della disputa, chiamata lotta per le investiture, vi era anche il Privilegium Othonis del 962, una legislazione secondo la quale l'elezione del Pontefice sarebbe dovuta avvenire soltanto col consenso dell'Imperatore. Nel 1059 il Concilio Laternanense abolì questa legislazione.

La lottà entrò nel vivo con l'imperatore Enrico IV e il papa Gregorio VII. Quest'ultimo pubblicò nel 1075 il Dictatus Papae, documento nel quale sosteneva che solo il Papa può nominare e deporre i vescovi. Enrico continuò nella sua politica e anzi, alle minacce di scomunica, convocò un sinodo a Worms nel quale dichiarava il Papa deposto. Gregorio rispose scomunicando l'imperatore e dispensando quindi i suoi sudditi dal dovere di servirlo. Preoccupato da una rivolta di baroni che avevano approfittato della sua scomunica, Enrico si recò a Canossa dove il Pontefice si era rifugiato, presso Matilde di Canossa, e si umiliò pubblicamente invocando il perdono del Pontefice che ottenne (vedi: umiliazione di Canossa).

La lotta riprese nel 1080 quando Enrico venne di nuovo colpito da scomunica. Egli nominò subito un antipapa (Clemente III) e scese in Italia occupando Roma, ma il normanno Roberto il Guiscardo, alleato col Papa, lo costrinse alla ritirata. L'intervento normanno si tradusse, però, in un saccheggio e Gregorio VII fu costretto a seguire il Guiscardo a Salerno, dove morì nel 1085.

Il contenzioso continuò tra i successori del Papa e dell'Imperatore fino al 1122 quando le due parti firmarono il concordato di Worms. Le lotte tra papa e imperatore erano però ben distanti dalla fine.

I Normanni nell'Italia meridionale (1030-1189)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Normanni.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglie dei Normanni.

I Normanni, popolo di avventurieri provenienti dalla Normandia, arrivarono nel XI secolo nel sud Italia. Aiutando militarmente vari Signori longobardi, in lotta tra di loro, riuscirono ad avere i primi possedimenti, prime tra tutte la Contea di Aversa, nel 1030, e la Contea di Puglia nel 1043. Allarmato dall'espansione normanna, papa Leone IX tentò di arginarla, ma fu sconfitto a Civitate nel 1053.

Negli anni seguenti i Normanni si adoperarono per migliorare i rapporti con il papato ed espansero ulteriormente i loro territori nel Meridione. Nel 1059 papa Niccolò II nel concilio di Melfi I riconobbe i territori normanni ed affidò a Roberto il Guiscardo il titolo di duca di Puglia e di Sicilia, nonostante l'isola fosse allora ancora sotto il controllo degli Arabi.

 
Mosaico rappresentante Ruggero II incoronato da Gesù re di Sicilia.

Tra il 1061 e il 1091 Ruggero d'Altavilla, fratello di Roberto, iniziò la conquista della Sicilia sconfiggendo a più riprese gli Arabi. Nel 1071, infine, gli ultimi baluardi bizantini, Brindisi e Bari, caddero in mano normanna. Nel 1113 Ruggero II riuscì a riunire nelle sue mani tutti i possedimenti normanni creando uno stato fortemente accentrato simile per molti versi ai moderni stati nazionali. Nel 1130 nacque il Regno di Sicilia, per volontà dell'antipapa Anacleto II espressa al concilio di Melfi

La rinascita economica e la formazione dei Comuni (XI-XII secolo)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Comune medievale.

Intorno al XI secolo si ha in Europa la fine delle invasioni: i magiari sono definitivamente sconfitti, i saraceni smettono di saccheggiare le coste italiane e i normanni si stabilizzano in Normandia e nel sud Italia. A ciò si unisce una generale ripresa demografica e l'introduzione di nuove tecniche agricole come la rotazione triennale delle colture e l'aratro pesante che permettono di avere raccolti più abbondanti. La popolazione tende a trasferirsi dalle campagne alle città che divengono i nuovi centri della società. Si sviluppano l'artigianato e il commercio e conseguentemente la moneta assume un'importanza maggiore. I mercati tendono ad allargarsi e si forma dunque una nuova classe media di mercanti e banchieri che mal si concilia con le istituzioni feudali.

Così molte città del nord e del centro Italia tendono a staccarsi dalle istituzioni feudali e a divenire indipendenti dal potere imperiale. È questo il caso di città come Milano, Verona, Bologna, Firenze, Siena e di molte altre che si costituiscono "Liberi Comuni". Inizialmente il comune è retto da un Consiglio generale (spesso chiamto Arengo) che elegge due consoli. Successivamente in molti comuni fu istituito il podestà, una persona, possibilmente straniera, che reggeva il comune e si presumeva essere al di sopra delle parti. Spesso i cittadini si riunivano in corporazioni o arti in modo da tutelare e regolamentare gli appartenenti a una stessa categoria professionale.

 
Lo stemma della marina militare contenente gli stemmi dell quattro repubbliche marinare: nell'ordine quello di Venezia, di Genova, di Amalfi e di Pisa.

Il protrarsi degli scontri tra impero e Chiesa, la nascita di una borghesia mercantile, i cui interessi si opponevano frequentemente a quelli delle aristocrazie rurali, la lotta delle classi dirigenti urbane per acquisire quote di autonomia sempre più ampie, portò la società comunale del tempo a dar vita a tutta una serie di correnti e schieramenti spesso contrapposti. Particolare rilievo ebbero, a partire dal XII secolo e fino almeno agli ultimi decenni del XIV secolo, le fazioni dei Guelfi e Ghibellini; i primi sostenuti dall'autorità papale, i secondi da quella imperiale.

La nascita delle repubbliche marinare (1015-1114)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Repubbliche marinare.
 
Rilievo sulla torre di Pisa che mostra l'antico porto pisano
 
Canaletto, Veduta dell'entrata dell'Arsenale di Venezia (1732)
File:GalataTower-İstanbul.jpg
La Torre di Galata, costruita dai genovesi a Costantinopoli

Un particolare sviluppo ebbero le cosiddette repubbliche marinare. Alcune di esse (Venezia, Amalfi) godevano già di una fiorente economia e di un'autonomia politica considerevole nell'alto Medioevo. L'esaurirsi delle razzie corsare musulmane dopo il X secolo permise il prosperare di nuovi porti, che però in alcuni casi erano frenati dal punto di vista della dinamica socio-economica da un forte potere centrale, come a Salerno, Napoli, a Bari o a Messina. Le città tirreniche come Genova e Pisa invece avevano potuto decollare quando il potere regale (formalmente esse erano sotto la corona del Regno d'Italia che apparteneva all'Imperatore germanico) era venuto meno, nell'XI secolo. Ai centri italiani si aggiunsero anche alcuni centri provenzali, come Marsiglia, e catalani (soprattutto Barcellona).

Già all'inizio del IX secolo i porti campani avevano una moneta propria, derivata dal tarì arabo (a testimoniare come il mondo musulmano fosse il mercato al quale essi guardavano). Ma fu a Venezia che poterono svilupparsi traffici di grande portata, grazie a una rete finanziaria, produttiva e commerciale che seppe instaurare in un vero e proprio impero economico. La navigazione sull'Adriatico fu sicura fin dal IX secolo e permise lo sfruttamento di rotte che andavano da Costantinopoli, alla Siria e la Palestina, al Nordafrica e alla Sicilia. I veneziani, nonostante i reiterati divieti, commerciavano con gli Arabi, comprese quelle merci proibite quali armi, legname, ferro e schiavi (provenienti soprattutto dalle popolazioni slave di Istria, Croazia e Dalmazia, tanto che da "slavo" - e dal mediolatino creolo "sclavum*" - derivò poi la parola "schiavo"). Contemporaneamente Genova e Pisa iniziavano a emergere con politiche autonome.

Durante il XII secolo vi fu un profondo mutamento, che portò la navigazione ad essere il metodo di spostamento più comodo e usato: ne è prova il fatto che dalla Terza e dalla Quarta crociata in poi le truppe si mossero solo via mare, non perché le vie terrestri fossero diventate più insicure o lunghe (lo erano anche prima), ma perché ormai la nave era il mezzo più diffuso.

I numerosi conflitti che sorsero tra le città marinare scaturivano spesso da questioni commerciali in oltremare. Per esempio Pisa e Genova furono inizialmente alleate contro i saraceni, ma la rivalità su chi dovesse avere l'egemonia in Corsica e in Sardegna compromise inevitabilmente i rapporti.

Nelle città più importanti queste città avevano dei veri e propri quartieri con empori, fondachi, cantieri navali e arsenali, dove convergevano le piste carovaniere e da dove partivano le navi con i preziosi carichi per l'Europa. Le città marinare italiane spesso diressero le crociate dirottando gli sforzi verso l'apertura di rotte commerciali ad esse propizie: emblematico è il caso della conquista di Costantinopoli del 1204, attuata dai veneziani sfruttando le forze della quarta crociata, ma anche con la quinta crociata pisani e genovesi fecero puntare sui ricchi porti egiziani di Alessandria e Damietta per fondarvi colonie commerciali. Genova riuscì anche, grazie all'appoggio della dinastia bizantina dei Paleologi a estendere le proprie rotte oltre il Bosforo, nel Mar Nero dove entravano in contatto con i mongola dell'Orda d'oro e con i principati russi, verso i quali convergevano vie fluviali e carovaniere dal Baltico e dall'Asia centrale. Laggiù inoltre potevano acquistare il grano ucraino che riforniva l'Occidente. Alle fine del Duecento, con la battaglia della Meloria (1284) e quella di Curzola (1298) i genovesi batterono rispettivamente i pisani e i veneziani, assicurandosi, almeno apparentemente, un dominio mediterraneo.

I primi secoli dei Giudicati Sardi (X - XII sec.)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Sardegna.

Sotto le mire ora di Bisanzio, ora delle potenze occidentali è la Sardegna del X-XI secolo, coinvolta in un originale fenomeno politico-geografico: allentatasi progressivamente l'influenza bizantina nel bacino del Mediterraneo Occidentale, l'isola tirrenica si ritrova a doversi gestire autonomamente, isolata dal continente a causa del controllo marittimo ormai prerogativa degli stati musulmani. Già assegnata ad un luogotenente in epoca bizantina, la Sardegna del X secolo è sotto la reggenza di un arconte o dux, per riaffiorare nei documenti del 1015-1016, (quando il papato chiede l'ausilio delle repubbliche marinare di Pisa e Genova contro l'invasione della Sardegna da parte di Mughaid), già divisa in quattro entità statuali indipendenti: i Giudicati. Cagliari o Pluminos, Arborea, Torres o Logudoro, Gallura, sono retti da quattro judices, provenienti probabilmente da rami della stessa famiglia originaria.

Barisone I d'Arborea fu il primo dei giudici sardi a tentare militarmente e diplomaticamente l'annessione di tutti i territori dell'isola al suo regno, facendosi dichiarare Rex Sardiniae il 10 agosto 1164 nella Basilica di San Siro a Pavia da Federico Barbarossa. Proprio i quattro giudicati, entreranno progressivamente dal XII sec., attraverso donazioni, concessioni e legami dinastici, nelle mire espansionistiche delle Repubbliche Marinare di Genova e soprattutto Pisa, che ne farà perno della propria egemonia nel Mediterraneo occidentale, godendo delle copiose rendite agricole (grano) e minerarie (argento, ferro).

Federico Barbarossa e la lotta con i comuni (1152-1189)

Nel 1152 fu incoronato imperatore del Sacro Romano Impero Federico I Hohenstaufen detto Barbarossa. Egli tentò di attuare una politica di restaurazione dell'antico potere imperiale venendo inevitabilmente in conflitto con il papato e con i comuni del nord italia che si erano guadagnati vaste autonomie.

 
Miniatura di Federico I Barbarossa

In due diete, presso Roncaglia nel 1154 e nel 1158 egli afferma gli antichi privilegi feudali sulle città che si erano rese di fatto indipendenti e ordina che siano ricondotte di nuovo sotto il potere imperiale. Per attuare questo programma manda dei messi imperiali in molti Comuni del nord Italia. In molte cittadine questi messi vengono scacciati provocando così la durissima reazione del Barbarossa che distrugge Crema (1159) e assedia Milano, aiutato da varie città lombarde come Como, Cremona e Pavia che colgono l'occasione di danneggiare la potente rivale. Dopo due anni d'assedio nel 1162 Milano fu costretta alla resa e rasa al suolo dalle forze imperiali. Il Barbarossa, inoltre, tentò con due assedi (1167 e 1173) la presa di Ancona, però senza mai riuscirvi.

Intanto nel 1159, tentando di influire nella nomina del successore di papa Adriano IV, si era inimicato il papato dando inizio a una nuova lotta. Federico nominò un antipapa (Vittore IV) in opposizione a quello scelto dai cardinali romani. Intanto si cominciano a formare leghe anti-imperiali tra i Comuni, appoggiate anche dal papato e da Venezia. Nel 1167 le due principali leghe anti-imperiali, capeggiate da Verona e da Cremona si fondono per formare la Lega lombarda. Contro di questa nel 1174 Federico Barbarossa scese di nuovo in Italia ma fu sconfitto rovinosamente nella Battaglia di Legnano (29 maggio 1176) che segnò la definitiva sconfitta dell'imperatore che nella pace di Costanza (1183) si vide costretto a riconoscere ampie autonomie ai Comuni.

Il Meridione dagli Svevi alla Guerra del Vespro (1189-1302)

Se la politica del Barbarossa aveva fallito miseramente nei comuni Italiani egli riuscì, tramite un'accorta politica matrimoniale, ad insediare sul trono del Regno di Napoli suo figlio Enrico VI costituendo così un'unità territoriale che andava dal Sud Italia alla Germania, chiudendo in una morsa il papato. All'improvvisa morte di Enrico nel 1197 il figlio di questi, Federico, fu preso in tutela dal pontefice Innocenzo III che sperava di farne un fedele alleato del papato e che si adoperava per restaurarne il potere. Salito al trono del regno di Napoli e dell'Impero nel 1220 Federico II continuò la politica accentratrice dei sovrani normanni firmando nel 1231 le Costituzioni di Melfi che accentravano il potere nelle mani del sovrano e riducevano la potenza dei feudatari.

Scomunicato da Gregorio IX per il mancato adempimento della promessa di una Crociata in Terra Santa, partì alla volta di Gerusalemme dove però riuscì a ottenere grosse concessioni per i cristiani con l'uso della diplomazia. Sfruttando l'evento, che appariva come uno scandalo, il pontefice riuscirà a costituire una lega anti-imperiale alla quale presero parte anche i Comuni italiani. La lotta andrà avanti tra alterne vicende fino alla morte dell'imperatore nel 1250.

Il papa, approfittando della situazione, cercò di insediare al trono del Regno di Napoli Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia. Carlo trovò però l'opposizione di Manfredi, figlio di Federico II che inizialmente ottenne una serie di successi, tanto che il partito ghibellino si affermò in molti comuni italiani, primo tra tutti Firenze: le milizie guelfe della città furono sconfitte a Montaperti (1260) dai Senesi, ghibellini, aiutati dalle truppe dello stesso Manfredi. Egli fu tuttavia sconfitto pesantemente a Benevento da Carlo d'Angiò provocando un improvviso crollo del partito ghibellino in tutta Italia.

La dominazione Angioina impose tasse potenti e mise in posti di comando numerosi baroni francesi, alienandosi presto le simpatie del popolo, che nel 1282 diede inizio a Palermo a una sanguinosa rivolta (Vespri siciliani). I rivoltosi chiamarono in loro aiuto Pietro III d'Aragona, che aveva sposato la figlia di Manfredi. Ebbe così inizio la cosiddetta Guerra del Vespro che si concluse soltanto nel 1302 con la Pace di Caltabellotta, in seguito alla quale la Sicilia sarebbe passata a un ramo cadetto della Casa d'Aragona. Il Regno di Napoli restò invece sotto la dominazione Angioina.

Firenze e i comuni toscani (1182-1302)

I primi comuni a svilupparsi in Toscana furono Lucca, Siena e Pisa. Lucca si era arricchita commerciando la lana con la Francia, Siena grazie alla sua posizione sulla via Francigena che portava i pellegrini dal Nord Europa a Roma. Inoltre si erano sviluppate le banche, come quella create dai Salimbeni.

Tra queste si va affermando, nei primi decenni del XIII secolo la città di Firenze, inizialmente centro economico secondario. Governata prima dagli aristocratici ghibellini, passò nel 1250 nelle mani dei guelfi. Nel 1260, come si è detto, i ghibellini fuoriusciti alleati con Siena e con Manfredi sconfissero i fiorentini a Montaperti e restaurarono il dominio aristocratico della città. Ma quando nel 1266 Manfredi fu sconfitto a Benevento la città passo definitivamente ai Guelfi.

Firenze iniziò allora una politica di prepotente espansionismo, sconfisse nel 1269 Siena e nella battaglia di Campaldino (1289) inflisse una clamorosa sconfitta ad Arezzo. Pistoia venne sottomessa e nel 1293 anche Pisa dovette adattarsi all'egemonia fiorentina.

Alla fine del XIII secolo ripresero le lotte interne tra i Guelfi Bianchi sostenuti dalla famiglia dei Cerchi e i Guelfi Neri, sostenuti dai Donati. Il conflitto sfociò in una guerra civile che si concluse nel 1302, con l'intervento del papa Bonifacio VIII con l'esilio dei Bianchi (tra cui anche Dante Alighieri). A questo periodo risale anche la riforma di Giano della Bella che aumentava il numero delle Arti e istituiva il Gonfaloniere di Giustizia, rappresentante del popolo posto a salvaguardia degli interessi dei ceti più umili.

La rinascita culturale nei Comuni

Durante il XIII e il XIV secolo, parallelamente a una generale ripresa economica, si ebbe una rinascita culturale notevole che portò alla formazione della lingua italiana volgare. Tra coloro che contribuirono a questa rinascita ricordiamo Iacopone da Todi che scrisse delle famose Laude e soprattutto Francesco Petrarca che affiancò a varie opere scritte in latino alcune importanti composizioni in volgare italiano tra cui il Canzoniere. Petrarca in particolare fu promotore di una riscoperta del classicismo che sarà proseguita dagli intellettuali rinascimentali.

In quegli anni si sviluppò a Firenze una nuova corrente culturale: il Dolce Stil Novo, che rappresentava per certi versi la continuazione e l'evoluzione del vecchio Amor cortese dei romanzi cavallereschi. I principali esponenti di tale corrente furono Guido Cavalcanti, Guido Guinizzelli, e soprattutto Dante Alighieri che rivoluzionò in modo profondo la letteratura italiana e che produsse opere come la Vita Nova e la Divina Commedia, universalmente riconosciuta come uno dei capolovori letterari di ogni tempo e che viene ancora oggi studiata approfonditamente nelle scuole italiane.

Da ricordare è anche il contributo del fiorentino Giovanni Boccaccio che scrisse il Decameron. In questa opera egli racconta di alcuni giovani che per fuggire alla peste si rifugiano nelle campagne vicino Firenze, e delle cento storie, molto spesso a carattere faceto, da raccontare per passare il tempo. Anche il Decameron è da annoverarsi tra le più gradi opere delle letteratura italiana e, al pari delle altre sopra indicate, contribuì alla nascita di un volgare italiano, o più propriamente, di un dialetto fiorentino che sarebbe poi diventato la base dell'attuale lingua italiana.

Forte è anche la fioritura dell'arte, con artisti come Giotto, Duccio di Buoninsegna, Simone Martini, Arnolfo di Cambio e Jacopo della Quercia. Anche qui Firenze (affiancata comunque dalle altre città toscane) si dimostra un centro culturale attivo oltre che un centro politico importante.

L'affermazione delle signorie nel nord italia (1259-1328)

Le Signorie furono l'evoluzione istituzionale di molti comuni urbani dell'Italia centro-settentrionale attorno alla metà del XIII secolo.

Esse si svilupparono a partire dal conferimento di cariche podestarili o popolari ai capi delle famiglie preminenti, con poteri eccezionali e durata spesso vitalizia. In tal modo si rispondeva all'esigenza di un governo stabile e forte che ponesse termine all'endemica instabilità instituzionale ed ai violenti conflitti politici e sociali, soprattutto tra magnati e popolari.[1]

I signori più forti e ricchi riuscirono quindi ad ottenere la facoltà di designare il proprio successore, dando così inizio a dinastie signorili attraverso la legittimazione dell'imperatore, che concedeva il titolo di Duca (spesso dietro forti compensi da parte dei Signori). Rimanevano tuttavia funzionanti le istituzioni comunali, sebbene spesso si limitassero a ratificare le decisioni del Signore.

Le più importanti furono quelle dei De Medici, Gonzaga e Sforza. Ma anche quelle dei Della Torre, Visconti, Montefeltro, Estensi, Della Scala e Malatesta ebbero, in momenti diversi, notevole importanza.

Inizialmente, le Signorie si presentarono come "cripto-Signorie", cioè delle "Signorie nascoste"; infatti, queste non erano delle istituzioni legittime di cui il popolo conosceva gli aspetti, ma erano appunto "nascoste". Vengono così dette poiché si aggiunsero alle istituzioni comunali senza mostrarsi apertamente e senza mostrare cambiata l'istituzione vigente. Con questa Signoria ancora in ombra (ma già forte) salirono al potere molti avventurieri, ma soprattutto famiglie di antica nobiltà feudale. Queste, dopo aver governato per una o due generazioni, decisero di legittimare il loro potere e di renderlo ereditario. Nel XIV secolo ottennero il titolo di vicario imperiale e tra il XIV e il XV secolo i titoli di duca e marchese. L'assegnazione di questi titoli è indice della stabilizzazione dei poteri signorili. In quel tempo, nell'Italia settentrionale, gli imperatori tedeschi pretendevano la sovranità feudale. Tuttavia, già dalla seconda metà del '300, questi non riuscivano a governare le regioni settentrionali. Così si rese possibile l'affermazione delle Signorie.

Alla fine le Signorie si evolsero in Principati con dinastie ereditarie. Ciò avvenne quando i Signori, riconoscendo l'imperatore e pagando una quantità di denaro, vennero legittimati e riconosciuti come autorità da sudditi e principi. Questo cambiamento fu reso possibile grazie all'incapacità dei sovrani tedeschi di mantenere l'ordine nell'Italia del nord e grazie alla poca difficoltà che i Signori incontravano per essere riconosciuti come autorità legittima.

Il declino del Papato e dell'Impero (1302-1414)

L'importanza dell'impero nel mondo politico medioevale, e in particolare in quello italiano, era notevolmente calata dopo la sconfitta di Federico Barbarossa nella Battaglia di Legnano del 1176 e quella di Manfredi del 1266 a Benevento, che avevano segnato la fine del potere politico dell'impero rispettivamente nel Nord e nel Sud Italia.

Enrico VII di Lussemburgo tentò dopo la sua ascesa al soglio imperiale nel 1308 di restaurare l'antico potere imperiale in Italia trovando però la fiera opposizione del libero comune di Firenze di papa Clemente V e di Roberto d'Angiò. La sua discesa in Italia con la conseguente incoronazione come Imperatore del Sacro Romano Impero (titolo vacante dalla morte di Federico II, durante il cosiddetto grande interregno) rimmarrà quindi un gesto puramente simbolico. Nel 1313 muore mentre si trova ancora in territorio italiano deludendo così coloro che avevano sperato in una unificazione del suolo italiano sotto la sua bandiera.

Anche il Papato, l'altra grande istituzione medioevale, attraversa un periodo di crisi. Entrambe quese istituzioni si vedono costrette ad accettare la crescente influenza degli Stati nazionali, supportati dalla sempre più potente classe borghese, e la crisi del sistema feudalesimo. Bonifacio VIII asceso al soglio pontificio nel 1296, cercherà di restaurare il potere papale scontrandosi però con Filippo IV il Bello, re di Francia. Nel punto culminante del conflitto Filippo scese in Italia e, con un gesto impensabile qualche secolo prima, imprigionò il papa ad Anagni (1303) dove sembra che abbia ricevuto addirittura uno schiaffo (Schiaffo di Anagni). Nel 1305, Clemente V spostò a sede papale ad Avignone dove resterà per i successivi settanta anni. I papi avignonesi restarono succubi dei re di Francia e non mancarono di destare scandalo tra i loro contemporanei. Nel 1377 si aprirà lo Scisma d'occidente in seguito al ritorno a Roma di papa Gregorio XI: alla sua morte infatti i cardinali romani elessero al soglio pontifico Urbano VI mentre i cardinali francesi Clemente VII. Lo scisma si compicherà ancor più dopo il Concilio di Pisa (1409) che, nel tentativo di unificare di nuovo la cristianità, elesse un altro papa. L'Europa era divisa tra i seguaci dei due (poi tre) "papi" fino alla definitiva fine dello scisma avvenuta col Concilio di Costanza (1414).

Lo scisma aveva mostrato la debolezza di una istituzione che era stata un punto di riferimento fondamentale nei secoli passati. Così mentre dal punto di vista culturale il papa perdeva un'egemonia quasi millenaria dal punto di vista politico la Cattività avignonese e lo Scisma favorirono il distacco definitivo del Ducato di Urbino, già iniziato sotto Guido da Montefeltro e la nascita per breve tempo di una repubblica romana tra il 1347 e il 1354 guidata da Cola di Rienzo. Questi dopo essersi impadronito del potere tentò di organizzare una repubblica simile a quella romana ma alla fine della sua carriera sconfinò nel delirio e venne linciato dai suoi stessi concittadini che lo avevano sostenuto.


Il regno di Napoli tra Angioini e Aragonesi (1309-1442)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Regno di Napoli.
 
Alfonso I di Napoli

Gli angioini, ottenuto il dominio su tutto il Mezzogiorno d'Italia, esclusa la Sicilia, stanziarono a Napoli la sede del potere regio e conservarono nel nuovo regno l'assetto amministrativo di origine sveva, con giustizierati e universitates. Le ultime regalie del napoletano furono però perse, quali il diritto del sovrano di nominare degli amministratori regi nelle diocesi con sedi vacanti[2]. Con Roberto d'Angiò a Napoli fiorirono le scienze umanistiche: egli istituì una scuola di teologi scolastici e commissionò importanti traduzioni dal greco, da Aristotele a Galeno, per la biblioteca di Napoli. Furono anche gli anni in cui fiorì la cultura greca di Calabria, grazie alla quale il neoplatonismo e la cultura ellenistica entrarono nella tradizione italiana, dal Petrarca a Pico della Mirandola.

Morto Roberto, seguirono anni di incertezze politiche. Scoppiò una guerra di successione fra Giovanna I di Napoli e Carlo di Durazzo, finché il regno non finì per breve tempo nelle mani di Luigi II d'Angiò. Ladislao I infine, figlio di Giovanna, riconquistò Napoli e, sfruttando le incertezze politiche, intraprese una guerra contro lo Stato Pontificio e i comuni toscani, arrivando ad occupare buona parte dell'Italia centrale: il Regno di Napoli acquisiva per breve tempo buona parte della penisola italiana.

Nel 1414 però Ladislao morì e il regno tornò presto nei confini originari. Prese il suo posto al trono Giovanna II, l'ultima sovrana angioina nel napoletano; non avendo avuto eredi diretti, Giovanna adottò un aragonese come figlio, Alfonso V d'Aragona, diseredandolo poi del regno, in favore di Renato d'Angiò. Alla morte di costei Alfonso rivendicò il diritto di successione e dichiarò guerra a Napoli. Col sostegno del ducato di Milano in breve tempo tutto il Mezzogiorno fu conquistato da Alfonso V d'Aragona, che divenne intanto Alfonso I di Napoli, col titolo di Rex Utriusquae Siciliae. Costui, come poi suo figlio Ferrante, contribuì ampiamente all'ammodernamento del territorio dominato sul modello economico aragonese, tramite il sostegno giuridico della transumanza, i fori boari, il contrasto dei privilegi feudali e l'adozione del napoletano come lingua di stato.

Le lotte tra gli stati italiani (1412-1454)

Nella prima metà del XV secolo si ebbe un lungo periodo di guerre che interessò l'intera penisola e fu segnato dai ripetuti tentativi degli Stati più forti di estendere la propria egemonia. Nell'area centro-settentrionale i maggiori contendenti furono il Ducato di Milano e le Repubbliche di Venezia e Firenze, impegnati in una politica di espansione territoriale avviata già nel Trecento col progressivo assoggettamento del contado da parte delle città.

Il regno di Napoli fu scosso da una lunga crisi dinastica iniziata nel 1435 con la morte dell'ultima regina angioina, Giovanna II, e conclusasi solo nel 1442 con la vittoria di Alfonso V d'Aragona, che ebbe la meglio sul rivale Renato d'Angiò. L'avvento della dinastia aragonese dei Trastamara segnò anche la riunificazione de facto dei regni di Napoli e Sicilia e l'avvio di un periodo di stabilità dinastica destinato a durare fino alla fine del secolo.

Il dominio sui mari fu invece l'obiettivo che contrappose gli interessi delle antiche repubbliche marinare: estromessa Amalfi già nel XII secolo, lo scontro proseguì tra Pisa, Genova e Venezia. Genovesi e Pisani combatterono ripetutamente per il controllo del Tirreno e nel 1406 Pisa fu conquistata da Firenze, perdendo definitivamente la propria autonomia politica. Agli inizi del secolo la contesa era dunque ridotta a un duello fra Genovesi e Veneziani. Per tutto il Quattrocento perdurò uno stato di conflittualità tra le due repubbliche ma non si ebbero battaglie decisive. La potenza di Genova andò affievolendosi nel corso del secolo e Venezia si affermò come padrona dei mari, raggiungendo il culmine della propria ascesa agli inizi del XVI secolo.

Col progressivo declino dell'Impero bizantino, l'altro grande rivale di Venezia - la caduta di Costantinopoli data al 1453 - la Serenissima poté interessarsi ad una politica di espansione territoriale sulla terraferma che prese avvio proprio agli inizi del XV secolo. Le iniziative militari veneziane entrarono in conflitto con gli interessi del ducato di Milano, impegnato a sua volta in una politica espansionistica guidata della famiglia Visconti. Nello scontro si inserì anche la repubblica di Firenze, minacciata dall'aggressività viscontea e alleatasi con i Veneziani. La Serenissima riportò una vittoria decisiva nella battaglia di Maclodio del 1427, assumendo una posizione egemone che allarmò i Fiorentini, i quali preferirono rompere l'alleanza e schierarsi dalla parte di Milano. La guerra si protrasse con operazioni di minore portata fino al 1454, quando le due rivali siglarono a Lodi una pace destinata a stabilizzare l'assetto politico della Penisola per quarant'anni: Venezia e Milano fissavano sull'Adda il confine fra i rispettivi territori e rinunciavano ad ulteriori tentativi di espansione, mantenendo in una condizione di equilibrio la frammentata realtà politica italiana.

La Pace di Lodi e la politica dell'equilibrio (1454-1492)

La Pace di Lodi, firmata nella città lombarda il 9 aprile 1454, mise fine allo scontro fra Venezia e Milano che durava dall'inizio del Quattrocento[3].

La rilevanza storica del trattato risiede nell'aver garantito all'Italia quarant'anni di pace stabile, contribuendo di conseguenza a favorire la rifioritura artistica e letteraria del Rinascimento.

Venezia e Milano conclusero una pace definitiva il 9 aprile 1454 presso la residenza di Francesco Sforza a Lodi; il trattato fu ratificato dai principali Stati regionali[4] (prima fra tutti Firenze, passata da tempo dalla parte di Milano).

Il Nord Italia risultava in pratica spartito fra i due Stati nemici, nonostante persistessero alcune potenze minori (i Savoia, la Repubblica di Genova, i Gonzaga e gli Estensi). In particolare, stabilì la successione di Francesco Sforza al Ducato di Milano, lo spostamento della frontiera tra i suddetti stati sul fiume Adda, l'apposizione di segnali confinari lungo l'intera demarcazione (alcune croci scolpite su roccia sono tuttora esistenti) e l'inizio di un'alleanza che culminò nell'adesione – in tempi diversi – alla Lega Italica.

L'importanza della Pace di Lodi consiste nell'aver dato alla penisola un nuovo assetto politico-istituzionale che – limitando le ambizioni particolari dei vari Stati – assicurò per quarant'anni un sostanziale equilibrio territoriale e favorì di conseguenza lo sviluppo del Rinascimento italiano.

A farsi garante di tale equilibrio politico sarà poi – nella seconda parte del QuattrocentoLorenzo il Magnifico, attuando la sua famosa politica dell'equilibrio.

Il Rinascimento italiano

  Lo stesso argomento in dettaglio: Rinascimento italiano.

Il Rinascimento italiano è la civiltà culturale ed artistica che, nata a Firenze e da lì diffondendosi in tutta Europa dalla metà del XIV secolo a tutto il XVI secolo, voleva riappropriarsi della cultura classica antica, che ad alcuni sembrava alterata dalla religiosità medioevale, proponendosi di recuperarne l'originalità ed il senso della naturalità dell'uomo.

L'epicentro dell'Umanesimo-Rinascimento è Firenze, da dove arriverà alla corte napoletana aragonese di Alfonso I di Napoli, a quella papale di Pio II, il papa umanista, e di Leone X, e a quella milanese di Ludovico il Moro.

Politicamente l'Umanesimo in Italia si accompagna alla trasformazione dei Comuni in Signorie. L'umanesimo infatti è l'espressione della borghesia che ha consolidato il suo patrimonio e aspira al potere politico.

Gli sviluppi dell'umanesimo rientrano nella formazione delle monarchie nazionali in Europa.

Voci correlate

Note

  1. ^ Franco Cardini e Marina Montesano, Storia Medievale, Firenze, Le Monnier Università/Storia, 2006, pag. 389 "Questi "signori", che non erano dotati di specifiche prerogative istituzionali ma che governavano di fatto fornendo con la loro forza e il loro prestigio la cauzione agli altrimenti esausti governi comunali (ma che in pratica svuotavano quei governi stessi di contenuto), si appoggiavano di solito a titoli di legittimazione che venivano loro "dal basso", dalla costituzione cittadina: potevano quindi essere "podestà" o "capitani del popolo", ma detenere per lungo tempo o addirittura a vita quelle cariche che, di solito, mutavano di breve periodo in breve periodo."
  2. ^ Galasso G., Storia d'Italia Vol XV, Utet, Torino 1995
  3. ^ Agenore Bassi, Storia di Lodi, Lodi, Edizioni Lodigraf, 1977, pagg. 54-55. ISBN 8871210182.
  4. ^ Agenore Bassi, Storia di Lodi, Lodi, Edizioni Lodigraf, 1977, pag. 55. ISBN 8871210182.