Metilde Viscontini Dembowski

attivista italiana

Matilde Viscontini Dembowski (Milano, 1790Milano, 1º maggio 1825) è stata un'attivista italiana, una patriota affiliata alla Carboneria che viene ricordata anche per l'amore non corrisposto suscitato nello scrittore francese Stendhal.

Matilde Viscontini Dembowski

Biografia

Figlia di Carlo Viscontini e di Luigia Merliani, cresciuta in una famiglia dell'alta borghesia milanese, nel 1807 sposò Jan Dembowski (1773-1823), ufficiale napoleonico di diciassette anni più vecchio di lei, da cui ebbe due figli, Carlo nel 1808 ed Ercole nel 1812. Il Dembowski, che partecipò alla guerra di Spagna dal 1808 al 1810, fu promosso generale e nominato barone. Il matrimonio non fu però felice: il marito aveva una reputazione di donnaiolo e di violento, e proprio per i maltrattamenti ricevuti, nel 1814 Matilde fuggì dal marito[1], chiedendo la separazione e stabilendosi in Svizzera, a Berna, con il figlio Ercole. Carlo, il figlio maggiore, era invece già sistemato in un collegio di Volterra.

A Berna frequentò la granduchessa Julie di Sassonia-Coburgo-Sachfeld, già cognata dello zar Alessandro I, in quanto già moglie del granduca Costantino, la quale, dopo la separazione, si era anch'essa stabilita in Svizzera. Sperò di ottenenerne protezione e appoggio nella sua causa contro il Dembowski, mentre il procuratore di Berna raccoglieva informazioni sul conto di Matilde. Un rapporto del 1816 riferisce le dicerie circolanti a Milano, secondo le quali ella avrebbe avuto, quando il marito era in Spagna, «con un'altra persona un qualche intrigo amoroso di cui restarono delle conseguenze».[2] Non si sa chi sia, né se mai sia esistita, questa persona: certo non il Foscolo che, come testimonia la loro corrispondenza, fu solo un amico al quale confidava le sue pene e le sue riflessioni morali.

Nel giugno del 1816 Matilde tornò a Milano per rivedere il figlio Carlo. Il marito cercò di sottrarle il figlio Ercole, e dovette intervenire il governatore della Lombardia, il feld-maresciallo austriaco Ferdinand Bubna, per garantirle momentaneamente l'affidamento del figlio Ercole. A lui e allo stesso imperatore sollecitò la definizione della causa di separazione, che si svolse nel 1817 con la provvisoria imposizione a Matilde di vivere nella stessa casa del Dembowski, seppure in appartamenti e in «letti separati». Nel luglio successivo, la sentenza di separazione previde che la tutela di entrambi i figli spettasse al marito e la Viscontini poté andare ad abitare per proprio conto in una casa di piazza Belgioioso, vicino al fratello.

 
Milano: piazza Belgioioso

Nel marzo del 1818 conobbe Stendhal, di cui rappresentò uno dei grandi amori, per altro non corrisposto: lo scrittore, che nei suoi diari la chiama Métilde, scrisse di lei che «ella disperava della società, quasi della natura umana, aveva come rinunciato a trovarvi ciò che era necessario al suo cuore». Come donna separata, avvertiva infatti la disapprovazione della società e non era infelice soltanto per questo: nelle sue ultime lettere alla granduchessa Julie si «mostra disperata per l'avvenire dei suoi figli, per l'Italia asservita, sognando l'esilio e il ritorno agli anni» trascorsi in Svizzera, come i meno infelici della sua vita.[3]

«Giardiniera», ossia, nel linguaggio delle società segrete, affiliata alla Carboneria, legata a Maria Frecavalli, viene ricordata come un'importante figura durante i moti carbonari del 1821, quando venne arrestata ed inquisita. Un suo cugino aveva denunciato il conte Federico Confalonieri come carbonaro e questi, arrestato il 13 dicembre 1821, fece i nomi dei complici, tra i quali figuravano Matilde e Stendhal, allora già rientrato in Francia. Arrestata il 24 dicembre 1821, la sua casa fu perquisita e vi furono trovate lettere dell'avvocato Giuseppe Vismara, noto carbonaro rifugiato a Torino, nella quali lei risultava tramite di spostamenti di denaro tra un fratello di Giuseppe Pecchio, altro carbonaro e forse suo amante, e lo stesso Vismara. Non avendo ammesso nulla, fu rilasciata il giorno dopo ed ebbe così tempo per accordarsi con il Pecchio per dare un'innocua giustificazione alle contestazioni degli inquirenti, che la interrogarono nuovamente il 26 dicembre senza poter raggiungere prove sufficienti di un suo coinvolgimento nella congiura.

Morì nel 1825, a soli 35 anni,[4] di tabe in casa della cugina Francesca Milesi. Alexandre-Philippe Andryane, anch'egli implicato nei processi del 1821 e imprigionato allo Spielberg, la ricorda nei suoi Mémoires d'un prisonnier d'État, pubblicati nel 1837. La ricordarono anche Teresa Casati, la moglie di Federico Confalonieri, come «donna angelica» che «riuniva in sé tutte le perfezioni di un'adorabile sensibilità con l'energia che rende capaci delle azioni più sublimi», e la contessa Frecavalli, che la descrisse «modello di madre» che «amava anche la gloria del suo paese [...] e la sua anima energica soffrì troppo a lungo per il suo asservimento e per la perdita dei suoi amici».[5]

Bibliografia

  • Michel Crozet, Stendhal. Il signor Me stesso, Roma, Editori Riuniti 1990

Note

  1. ^ http://www.donneconoscenzastorica.it/testi/trame/mviscontini.htm
  2. ^ Michel Crozet, Stendhal, 1990, p. 381.
  3. ^ Michel Crozet, Stendhal, cit., p. 384.
  4. ^ http://www.literary.it/dati/literary/torcellan/la_dolorosa_storia_del_sovversiv.html
  5. ^ Michel Crozet, Stendhal, cit., p. 384-385.
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