Cecco Angiolieri

poeta e scrittore italiano (1260-1311circa)
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Cecco Angiolieri (Siena, 1260 circa – Siena, 1312 circa) è stato uno scrittore e poeta italiano, contemporaneo di Dante Alighieri e appartenente alla storica casata degli Angiolieri.

La critica contemporanea sostiene che Cecco fu meno ribelle di come lo presentarono i Romantici, i quali lo rivendicarono con forza ai loro ideali. È fuori di dubbio, comunque, che visse una vita perlomeno avventurosa.

Biografia

Cecco Angiolieri nasce a Siena nel 1260, e vi muore nel 1312 circa. Il padre era Angioliero, a sua volta figlio di Angioliero detto Solafica,[1] morto nel 1236, che per alcuni anni fu banchiere di papa Gregorio IX. Il padre, cavaliere, fece parte dei Signori del Comune nel 1257 e nel 1273 e appartenne all'ordine dei Frati della Beata Gloriosa Vergine Maria, i cosiddetti "Frati gaudenti", e partecipò col figlio alla guerra d'Arezzo del 1288; è probabile che fosse ancora in vita nel 1296. La madre era Lisa de' Salimbeni, appartenente alla potente famiglia senese.

Nel 1281 era fra i Guelfi senesi all'assedio dei concittadini ghibellini asserragliati nel castello di Torri di Maremma (nei pressi di Roccastrada), tenuto dai ghibellini - la famiglia di Cecco aveva tradizioni guelfe - e fu più volte multato per essersi allontanato dal campo senza la dovuta licenza. Da altre multe fu colpito a Siena l'anno successivo, l'11 luglio 1282, per essere stato trovato nuovamente in giro di notte dopo il terzo suono della campana del Comune. Altra multa lo colpì nel 1291 in circostanze analoghe. Oltretutto, nel 1291 fu implicato nel ferimento di Dino di Bernardo da Monteluco, pare con la complicità del calzolaio Biccio di Ranuccio, ma solo quest'ultimo fu condannato.

Militò come alleato dei fiorentini contro Arezzo nel 1288 ed è possibile che qui abbia conosciuto Dante Alighieri. Il sonetto 100[2], datato tra il 1289 e il 1294, sembra confermare che i due si conoscessero, in quanto Cecco si riferisce a un personaggio (un mariscalco) che entrambi dovevano conoscere di persona (Lassar vo’ lo trovare di Becchina, / Dante Alighieri, e dir del mariscalco).

Intorno al 1296 fu allontanato da Siena, a causa di un bando politico. Si desume dal sonetto 102 (del 1302-1303), indirizzato a Dante allora già a Verona, che in quel periodo Cecco si trovasse a Roma (s'eo so’ fatto romano, e tu lombardo[3]). Non sappiamo se la lontananza da Siena dal 1296 al 1303 fu ininterrotta.
Il sonetto testimonierebbe anche della definitiva rottura tra Cecco e Dante (Dante Alighier, i’ t’averò a stancare / ch'eo so’ lo pungiglion, e tu se’ ’l bue[4]). Tuttavia non sono attestate risposte (tantomeno proposte) dantesche, per cui, se tenzone fra i due vi fu, ci rimane solo la parte composta da Cecco (e non sappiamo nemmeno se è tutta, peraltro). Inoltre, nelle opere di Dante, Cecco non è mai nominato, né suoi componimenti sono citati.

Nel 1302 Cecco svendette per bisogno una sua vigna a tale Neri Perini del Popolo di Sant'Andrea per settecento lire ed è questa l'ultima notizia disponibile sull'Angiolieri in vita. Proprio per questa ragione si oppose a ogni forma di politica proclamandosi una persona libera e indipendente. Si ritiene che questa sua imposizione sia dovuta al bando politico che lo allontanò da Siena

Dopo il 1303 fu a Roma, sotto la protezione del cardinale senese Riccardo Petroni. Da un documento del 25 febbraio 1313 sappiamo che i cinque figli (Meo, Deo, Angioliero, Arbolina e Sinione - un'altra figlia, Tessa, era già emancipata) rinunciarono all'eredità perché troppo gravata dai debiti. Si può quindi presupporre che Cecco Angiolieri sia morto intorno al 1310, forse tra il 1312 e i primi giorni del 1313.

I sonetti

Il problema del testo: numero dei sonetti e autenticità

Prima del 1956

Dal 1956 ad oggi

Le tematiche

La poetica di Cecco Angiolieri rispetta tutti i canoni della tradizione comica toscana. A differenza di Folgòre da San Gimignano e altri epigoni è l'unico che fa ampio uso della parodia (parà: contro e odé: canto) per rovesciare tutti i caratteri propri dello stilnovismo. La donna-angelo diventa una creatura terrena, finanche volgare. Viene catapultata nei locali notturni, quelli che noi oggi chiameremmo tabarin. Emerge anche la presenza di un padre spilorcio che a causa della sua parsimonia non permette a Cecco di scialacquare per conquistare le belle donne. Le principali protagoniste sono la moglie, pettegola e arcigna, e l'amante Becchina, sensuale e meschina, con la quale alterna momenti di diatribe con momenti di passioni incontrollate.

La malinconia

S'i' fosse foco, ardere' il mondo

All'inizio del Trecento, epoca in cui la poesia era dominata dal "Dolce Stil Novo", che rappresentava l'amore con immagini di grande delicatezza e ricercata eleganza, l'irriverente Cecco Angiolieri compose versi di forte provocazione e che tessevano l'elogio delle passioni terrene.

Il celebre sonetto S'i' fosse foco, arderei 'l mondo appartiene a una secolare tradizione letteraria goliardica improntata all'improperio e alla dissacrazione delle convenzioni. L'Angiolieri si colloca all'interno, e sulla vetta di una "scuola" poetica parodistica che è quella dei poeti giocosi; fra i quali si annoverano Rustico di Filippo, Meo de' Tolomei, Folgore da San Gimignano, Pieraccio Tedaldi, Pietro de' Faitinelli. Lo stile "giocoso" si risolve spesso in un gioco letterario anche raffinato e socialmente accettato proprio perché convenzionale.

Il sonetto ha avuto anche una trasposizione musicale ad opera del cantautore genovese Fabrizio De André, nell'album Volume III del 1968; a un differente livello, è citato nella canzone della puntata Il rapimento di Gino nella serie a cartoni animati Gino il Pollo.

Come buona parte dei sonetti di Cecco, anche questo sonetto ha avuto diverse lectiones a seconda delle edizioni. Si cita qui dall'edizione Marti del 1956[5].

«

S'i' fosse foco, arderei 'l mondo;
s'i' fosse vento, lo tempestarei;
s'i' fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i' fosse Dio, mandereil'en profondo;

s'i' fosse papa, allor serei giocondo,
ché tutti cristïani imbrigarei;
s'i' fosse 'mperator, sa' che farei?
a tutti taglierei lo capo a tondo.

S'i' fosse morte, andarei da mi' padre;
s'i' fosse vita, non starei con lui:
similemente faria da mi' madre,

S'i' fosse Cecco, com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le vecchie e laide lasserei altrui.

»

Note

  1. ^ I critici sono discordi sul significato di questo soprannome. Il Marti propose di leggerlo Solàfica, cioè Serafica, mentre la maggioranza degli studiosi, dal D'Ancona fino al Lanza, lo leggono Solafìca, con evidente significato osceno.
  2. ^ In wikisource l'edizione seguita è quella a cura di Gigi Cavalli, che riproduce l'ordinamento dei sonetti proposto da Maurizio Vitale.
  3. ^ Rime, Sonetto CII
  4. ^ Rime, Sonetto CII
  5. ^ Mario Marti, Poeti giocosi del tempo di Dante, Rizzoli, Milano 1956, p. 200. Il sonetto è il numero 82 (LXXXVI nell'edizione Vitale).

Bibliografia

Testi

Saggi

Voci correlate

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