Utente:Franz van Lanzee/Sandbox 2

Dalla Russia all'Isola d'Elba

  Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna di Russia e Sesta coalizione.
 
L'esercito francese attraversa il Niemen, dando inizio alla campagna di Russia

Sul finire del 1811, l'Impero francese aveva ormai raggiunto la sua massima espansione: la Francia stessa si era ingrandita annettendosi i Paesi Bassi, i paesi tedeschi affacciati sul Mare del Nord, le regioni italiane corrispondenti agli attuali Piemonte, Liguria, Toscana e Lazio, le Province illiriche e la regione spagnola della Catalogna. Il resto dell'Europa continentale era in un modo o nell'altro assoggettato alla Francia: la Danimarca era da tempo alleata dei francesi, il Ducato di Varsavia, la Confederazione del Reno e la Confederazione Elvetica erano fantocci controllati dal governo di Parigi, il Regno d'Italia aveva come monarca lo stesso Napoleone, mentre il fratello Giuseppe ed il maresciallo Murat governavano rispettivamente sulla Spagna e sul Regno di Napoli; perfino l'Impero austriaco e la Prussia erano stati costretti a stipulare trattati di alleanza con la Francia, mentre in Svezia si era da poco insediato come Principe ereditario l'ex maresciallo Bernadotte. All'infuori del Regno Unito e dei suoi traballanti alleati iberici, l'unica potenza europea rimasta a contrastare l'egemonia francese era rappresentata dall'Impero russo.

Dalla firma del trattato di Tilsit nel luglio del 1807, i rapporti tra i due imperi erano andati progressivamente deteriorandosi[1]. Molte erano le questioni controverse, ma i principali motivi d'attrito erano rappresentati dall'applicazione da parte della Russia delle disposizioni del blocco continentale (che venivano spesso disattese, anche perché la loro introduzione aveva provocato una grave crisi economica nel paese) e dalle dispute sul Ducato di Varsavia (la cui esistenza era vista come una provocazione dai russi, da sempre interessati ad una espansione nei territori polacchi)[1]; per la fine del 1811, Napoleone aveva ormai deciso di lanciare una spedizione militare contro la Russia. Entro maggio del 1812, le forze francesi ed alleate vennero ammassate in Polonia in vista della nuova campagna: in totale, Napoleone poteva disporre grosso modo di 675.000 uomini, 500.000 dei quali entrarono prima o poi in territorio russo (il resto rimase di guarnigione in Polonia o in Germania)[1][2]; circa metà della fanteria ed un terzo della cavalleria non era di origine francese[1]: c'erano contingenti polacchi, tedeschi e svizzeri, italiani e napoletani, spagnoli e portoghesi, e perfino truppe prussiane ed austriache. La dimensione stessa raggiunta dalla Grande Armée escludeva un controllo totale da parte dell'imperatore su di essa: Napoleone comandava solo il contingente principale, all'incirca 400.000 uomini, schierato al centro; il maresciallo Macdonald guidava un'armata franco-prussiana incaricata di proteggere l'ala sinistra del contingente principale, mentre l'ala destra era protetta dal Corpo Ausiliario austriaco del generale Schwarzenberg, con altre truppe francesi in appoggio.

La sera del 23 giugno 1812, l'avanguardia della colossale armata francese guadò il fiume Niemen, dando così inizio alla campagna di Russia; in confronto alla Grande Armée, le forze messe in campo dai russi erano inizialmente esigue, sebbene in rapido aumento: contrapposta all'armata principale di Napoleone vi era l'armata del generale Barclay de Tolly, ministro della guerra e comandante in capo delle forze russe, forte di circa 130.000 uomini, con una seconda armata di 48.000 uomini sotto il generale Bragation in appoggio poco più a nord[3]; in aggiunta a queste forze, l'ammiraglio Pavel Vasilievič Čičagov stava raccogliendo altri 100.000 uomini nell'Ucraina meridonale, mentre altre truppe erano in via di formazione tra Riga e San Pietroburgo sotto il generale Peter Wittgenstein[3]. Vista la schiacciante inferiorità numerica, Barclay de Tolly e Bragation iniziarono una lenta ritirata verso est, facendo terra bruciata dei territori attraversati[4]; per almeno tre volte Napoleone cercò di aggirare una delle due armate russe per annientarla separatamente, ma tutte le volte i russi riuscirono a sottrarsi ripiegando verso est: a mano a mano che i francesi si spingevano in avanti all'inseguimento dei russi, la loro situazione logistica peggirava sempre di più, con numerosi soldati messi fuori combattimento dalle malattie e dalle marce massacranti. Seppur efficace, la strategia messa in atto da Barclay de Tolly attirò sul generale molte critiche, e questi si vide costretto a sospendere la ritirata per dare battaglia ai francesi[5]; le due armate si affrontarono il 17 agosto nella battaglia di Smolensk: i francesi ottennero una vittoria, ma ancora una volta i russi si sottrassero all'annientamento con una veloce ritirata verso est. Con la stagione che iniziava ad essere troppo avanzata per poter portare avanti la campagna, Napoleone si vide davanti due linee d'azione[6]: poteva trascorrere l'inverno a Smolensk, per riprendere i combattimenti con la bella stagione, ma ciò avrebbe obbligato l'imperatore a lasciare l'esercito ed a rientrare a Parigi per occuparsi delle questioni di governo, dando ai russi l'opportunità di attaccare la Grande Armée mentre lui era assente; in alternativa, poteva sfruttare gli ultimi giorni di bel tempo per portare avanti l'azione, marciando su Mosca e sperando che la caduta della città spingesse lo zar a chiedere la pace. Napoleone scelse questa seconda linea d'azione, anche se le truppe sotto il suo diretto comando cominciavano a diminuire: a causa delle perdite e della necessità di distaccare reparti per proteggere i territori conquistati, al momento della partenza da Smolensk il nucleo centrale della Grande Armée era ora ridotto a 156.000 uomini[6].

 
Napoleone durante la ritirata dalla Russia, dopo la disfatta della Grande Armata (1813)

Ormai sommerso dalle critiche dopo la sconfitta di Smolensk, Barclay de Tolly venne sollevato dal comando e rimpiazzato dall'anziano generale Kutuzov, molto più ben visto dagli ambienti militari[6]. Kutuzov, le cui forze ammontavano ora a circa 120.000 uomini, avrebbe preferito proseguire nella tattica della ritirata davanti all'armata francese, ma venne convinto ad opporre resistenza all'invasore davanti Mosca; tra il 5 ed il 7 settembre, le due armate si affrontarono nella battaglia di Borodino: lo scontro, sanguinosissimo, venne vinto dai francesi, ma Kutuzov riuscì a sganciare il suo esercito ed a mantenerlo coeso. Il 15 settembre, le forze francesi fecero il loro ingresso a Mosca, semideserta dopo la fuga di gran parte della popolazione; poco dopo l'ingresso dei francesi, la città venne avvolta da numerosi incendi, che imperversarono fino al 20 settembre distruggendo almeno tre quarti dell'area urbana[7]. Le forze di Napoleone trascorsero un mese accampate nella zona di Mosca, mentre l'imperatore avviava contatti diplomatici con lo zar al fine di pervenire ad un accordo; gli approvvigionamenti erano ormai un problema serio, con le bande di guerriglieri russi e di cosacchi intente ad attaccare i convogli di rifornimento ed i reparti francesi isolati. Il 19 ottobre, con l'inverno ormai iniziato ed i rifornimenti quasi esauriti, Napoleone condusse il suo esercito, ridoto a circa 95.000 uomini[8], fuori da Mosca verso i depositi approntati a Smolensk; inizialmente, l'imperatore tentò di dirigere la sua armata su una strada più meridionale di quella presa all'andata, ma, dopo uno scontro con l'armata di Kutuzov a Maloyaroslavets il 24 ottobre, venne costretto a deviare sulla strada già percorsa, ormai devastata. Kutuzov decise di non ingaggiare più le forze francesi, ma di incalzarle mantenendo la sua armata tra di loro e le regioni meridionali della Russa, più ricche di rifornimenti; allo stesso tempo, mentre i cosacchi ed i guerriglieri continuavano a logorare le forze francesi, le forze di Wittgenstein da nord e di Čičagov da sud dovevano convergere sulla via di ritirata del nemico, onde stritolarlo tra le tre armate russe avanzanti. La fame, il freddo e le incursioni dei cosacchi scompaginavano sempre di più i reparti francesi; la situazione peggiorò ancora di più quando il 9 novembre l'armata raggiunse Smolensk, solo per scoprire che i magazzini erano già stati saccheggiati dalle truppe che l'avevano preceduta. Incalzato dai russi, Napoleone dovette proseguire verso ovest; tra il 26 ed il 29 novembre, l'armata francese riuscì a forzare lo sbarramento creato da Čičagov e Wittgenstein sul fiume Beresina, anche se al prezzo di gravissime perdite[9]. Il 6 dicembre, informato di un fallito tentativo di colpo di stato messo in atto in patria dal gerenale Claude François de Malet, Napoleone lasciò l'armata al comando di Murat per rientrare precipitosamente a Parigi; tra l'11 ed il 12 dicembre, i resti della Grande Armée riattraversarono il Niemen, mettendo fine alla campagna. L'armata di Napoleone era stata quasi completamente annientata: le perdite francesi vennero stimate in circa 370.000 morti e 200.000 prigionieri, oltre alla perdita di 1.000 cannoni e 200.000 cavalli; i russi ebbero circa 150.000 caduti in battaglia ed un numero incalcolabile di feriti, mentre sono ignote le perdite tra i civili[10].

 
Napoleone alla battaglia di Lipsia (1813)

La disastrosa sconfitta dei francesi in Russia aveva provocato grandi tumulti in Germania, e rivolte anti-napoleoniche scoppiarono un po' ovunque nel paese; sull'onda dell'entusiasmo popolare, alla fine del febbraio 1813 la Prussia ruppe la fragile alleanza con i francesi e si schierò con i russi. Pressata da Kutuzov in avanzata da est e dai prussiani in fase di mobilitazione da ovest, l'armata francese, ora guidata dal generale Eugène de Beauharnais, non poté fare altro che abbandonare la Polonia, ritirandosi prima lungo la linea del fiume Oder, e poi sull'Elba. Nel frattempo, Napoleone cercava disperatamente di ricostruire la sua armata; viste le pesanti perdite di uomini patite in Russia, le nazioni alleate potevano fornire solo poche truppe, e l'imperatore venne quindi costretto a spremere al limite le risorse della Francia: furono richiamate truppe dalla Spagna, vennero integrati nelle forze regolari gli appartenenti alla Guardia nazionale francese, e la coscrizione fu estesa a nuove classi di leva[11]. In questo modo, Napoleone riuscì a mettere in campo 200.000 uomini per i primi di aprile del 1813[12], guadagnando così una leggera superiorità numerica sui russo-prussiani dei generali Blücher e Wittgenstein[13]. Sperando di coglierle impreparate, i russo-prussiani lanciarono un attacco contro le forze francesi verso la metà di aprile, ma subirono una sconfitta nella battaglia di Lützen il 2 maggio; i francesi avevano subito gravi perdite, ma gli alleati persero una grande opportunità di infliggere a Napoleone una sconfitta decisiva[14]. L'inseguimento dell'armata alleata da parte dei francesi si svolse lentamente, a causa della grave penuria di reparti di cavalleria; Napoleone tornò ad ingaggiare gli alleati nella battaglia di Bautzen, combattuta tra il 20 ed il 21 maggio: ancora una volta i francesi ottennero una vittoria, ma i russo-prussiani riuscirono a salvare la loro armata ed a ripiegare con ordine in Slesia. Entrambe le parti erano esauste, e su suggerimento di Napoleone i due contendenti sottoscrissero un armistizio provvisorio il 4 giugno, poi progressivamente esteso fino alla metà di agosto[11].

Entrambi i contendenti impiegarono il periodo di tregua per preparare le proprie armate alla ripresa delle ostilità, essendo evidente che nessuno dei due sarebbe stato disposto ad una pace di compromesso; una proposta di accordo presentata dall'Austria venne seccamente respinta da Napoleone[15]. Durante questo periodo i russo-prussiani misero a segno un importante colpo, convincendo Austria e Svezia ad unirsi all'alleanza; con l'aggiunta del Regno Unito, nel luglio del 1813 venne così formata la sesta coalizione antifrancese. Alla ripresa delle ostilità, il 16 agosto 1813, i coalizzati potevano mettere in campo tre grosse armate: 230.000 austriaci sotto il generale Schwarzenberg[16] muovevano dalla Boemia verso nord, 95.000 russi e prussiani sotto il generale Blücher si trovavano in Slesia, mentre 110.000 russi, prussiani e svedesi erano dislocati tra il Brandeburgo e la Pomerania sotto il comando del Principe ereditario di Svezia (l'ex maresciallo francese Bernadotte); una quarta armata di 60.000 russi era in via di formazione in Polonia sotto il generale Bennigsen[17]. Contro di loro, Napoleone poteva opporre circa 400.000 uomini: 250.000 erano in Sassonia sotto il comando dello stesso imperatore, 120.000 erano nell'armata del maresciallo Oudinot (poi sostituito dal maresciallo Ney) incaricata di marciare su Berlino, mentre altri 30.000 erano dislocati sotto il maresciallo Davout presso Amburgo, incaricati di difendere il corso superiore dell'Elba[17]. Napoleone cercò di attuare la sua vecchia tattica, consistente nel battere una ad una le armate nemiche prima che avessero l'opportunità di riunirsi, ma gli alleati risposero con una strategia semplice quanto efficace: ogniqualvolta l'armata principale francese si avvicinava ad una delle armate alleate, questa si ritirava immediatamente, mentre le altre due continuavano ad avanzare[18]. L'imperatore venne costretto a delegare sempre di più le funzioni di comando ai vari marescialli, ma questi si dimostrarono inferiori ai loro corrispettivi alleati: il sistema di comando francese, incentrato sulla figura di Napoleone, si rivelò troppo rigido per far fronte ad un conflitto su così larga scala[11]. Nonostante una prima vittoria su Schwarzenberg nella battaglia di Dresda tra il 26 ed il 27 agosto, Napoleone non riuscì a distruggere nessuna delle armate alleate, mentre due diversi tentativi di prendere Berlino vennero respinti dai prussiani. Con le sconfitte che si andavano accumulando, Napoleone venne costretto a retrocedere ad ovest dell'Elba, per poi essere messo con le spalle al muro a Lipsia dalle tre armate alleate riunite: la successiva battaglia di Lipsia, combattuta dal 16 al 19 ottobre, fu la più grande delle guerre napoleoniche[19], coinvolgendo all'incirca mezzo milione di uomini provenienti da quasi tutte le più importanti nazioni europee, fatto che le conferì l'appellativo di Battaglia delle Nazioni; lo scontro in sè rimase in bilico fino all'ultimo, ma il tentativo francese di ritirarsi oltre il fiume Elster trasformò la sconfitta in un disastro, e l'armata di Napoleone uscì semidistrutta dalla battaglia. Viste le pesanti perdite subite, a Napoleone non rimase altra scelta che ritirarsi verso il Reno e la Francia; i suoi alleati tedeschi defenzionarono in massa passando dalla parte dei coalizzati, assottigliando ancora di più le forze sotto il suo comando.

Anche in Spagna la situazione era volta definitivamente a favore degli alleati. Dopo aver espugnato la città fortificata di Badajoz al termine di un sanguinoso assedio nell'aprile del 1812, l'esercito anglo-portoghese di Wellington aveva inflitto una dura sconfitta ai francesi del maresciallo Auguste Marmont il 22 luglio seguente nella battaglia di Salamanca; la vittoria consentì a Wellington di liberare Madrid il 12 agosto, ma nell'ottobre seguente le forze anglo-britanniche subirono un grave scacco quando non riuscirono ad espugnare Burgos, la prima grave sconfitta subita dal duca nella campagna iberica[20]. Wellington riportò la sua armata sul confine portoghese, dedicando i mesi seguenti a riorganizzarla e rinforzarla; la campagna riprese nel maggio del 1813, ed il 21 giugno gli anglo-portoghesi ottennero una vittoria decisiva contro le forze del re Giuseppe nella battaglia di Vitoria. Il comando delle forze francesi passò al maresciallo Soult, ma questi non poté fare altro che coordinare una lenta ritirata verso i Pirenei; un contrattacco lanciato dai francesi venne respinto, e le forze di Wellington misero piede sul suolo francese il 7 ottobre 1813. Soult tentò un nuovo contrattacco sul finire di gennaio del 1814, ma subì una sconfitta nella battaglia di Orthez il 27 febbraio; l'ultimo scontro di una certa importanza fu la battaglia di Tolosa il 12 aprile, dove ancora una volta Wellington inflisse una sconfitta a Soult. L'indomito maresciallo stava di nuovo tentando di concentrare le sue forze per un nuovo scontro, quando venne informato dell'abdicazione di Napoleone avvenuta il 6 aprile precedente[21]; il 17 aprile, con l'armistizio di Tolosa tra Soult e Wellington, si concluse ufficialmente la lunga guerra d'indipendenza spagnola.

 
L'esercito russo entra a Parigi (30 marzo 1814)

Nonostante il disastro in cui era incappato in Germania e le pessime notizie che giungevano dalla Spagna, il 9 novembre 1813 Napoleone rientrò a Parigi e si diede subito da fare per ricostruire il suo esercito distrutto; un'offerta di pace avanzata dagli austriaci, che prevedeva il ritorno della Francia nei confini precedenti alla rivoluzione, venne fermamente respinta dall'imperatore[22], e agli alleati non restò altra scelta che dare inizio ai primi di gennaio del 1814 all'invasione della Francia stessa. Le armate alleate varcarono il Reno ed avanzarono su Parigi divise in due tronconi: 160.000 russo-austriaci sotto Schwarzenberg avanzavano da sud-est, mentre gli 80.000 russo-prussiani di Blücher arrivavano da nord; a queste forze Napoleone poteva opporre circa 180.000 uomini (di cui 70.000 sotto il suo diretto comando), in maggioranza costituiti da giovani reclute prive di addestramento. Nonostante la disparità delle forze, tra febbraio e marzo del 1814 Napoleone riuscì ad infliggere alle armate alleate una mezza dozzina di imbarazzanti sconfitte, ma senza ottenere alcun successo definitivo; ad ogni scontro le esigue forze francesi si logoravano sempre di più, mentre ormai anche tra i marescialli cresceva la sfiducia verso l'imperatore[22]. Il 21 marzo Napoleone subì una dura sconfitta nella battaglia di Arcis-sur-Aube, e le forze di Schwarzenberg e di Blücher poterono così riunirsi per marciare direttamente su Parigi; il 31 marzo, dopo aver subito una sconfitta nella battaglia di La Fère-Champenoise cinque giorni prima, il maresciallo Marmont, incaricato della difesa della capitale, consegnò agli alleati la città[22]. Napoleone condusse il suo esercito a Fontainebleau in previsione di un tentativo di liberare Parigi, ma i suoi soldati ormai non erano in grado di condurre un'altra battaglia: il 1° aprile il Senato francese dichiarò decaduto l'imperatore, mentre il 4 aprile i marescialli Ney, Davout e Macdonald comunicarono la loro ferma intenzione di non condurre più in battaglia le loro truppe[22]. Messo di fronte al fatto compiuto, a Napoleone non rimase altro che la resa: il 6 aprile abdicò formalmente dalla carica di imperatore, consegnandosi spontaneamente nelle mai degli alleati; l'11 aprile seguente, con il trattato di Fontainebleau, i monarchi alleati decisero di mandarlo in esilio sull'isola d'Elba, mentre sul trono di Francia si insediava il re Luigi XVIII, fratello del sovrano ghigliottinato durante la rivoluzione francese.





  • Philip Haythornthwaite, Le grandi battaglie napoleoniche, Osprey Publishing, 2005, ISBN 84-9798-181-2
  1. ^ a b c d Haythornthwaite 2005, vol. 56 pp. 3 - 10
  2. ^ Gerosa 1995, p. 443, riporta un totale di 610.000 uomini schierati in Polonia, con altri 37.000 giunti a campagna iniziata
  3. ^ a b Haythornthwaite 2005, vol. 55 pp. 13 - 14
  4. ^ Gerosa 1995, p. 445
  5. ^ Haythornthwaite 2005, vol. 57 p. 9
  6. ^ a b c Haythornthwaite 2005, vol. 58 pp. 3 - 8
  7. ^ Haythornthwaite 2005, vol. 61 pp. 8 - 9. Se gli incendi furono provocati dai saccheggiatori francesi o da incendiari russi sguinzagliati dal sindaco Fyodor Rostopchin, è ancora argomento controverso; in ogni caso, i russi avevano provveduto a rimuovere o distruggere tutti gli equipaggiamenti antincendio presenti in città.
  8. ^ Haythornthwaite 2005, vol. 62 p. 3
  9. ^ Haythornthwaite 2005, vol. 63 p. 14
  10. ^ Haythornthwaite 2005, vol. 64 p. 14
  11. ^ a b c Hofschroer 1998, pp. 8 - 10
  12. ^ Haythornthwaite 2005, vol. 67 p. 3
  13. ^ Kutuzov era caduto gravemente ammalato ai primi di aprile ed era stato sollevato dal comando, per poi morire il 28 aprile 1813
  14. ^ Haythornthwaite 2005, vol. 67 p. 14
  15. ^ Gerosa1995, p. 477
  16. ^ Nominalmente comandante in capo delle forze alleate
  17. ^ a b Haythornthwaite 2005, vol. 69 pp. 5 - 8
  18. ^ Hofschroer 1998, p. 40
  19. ^ Haythornthwaite 2005, vol. 73 p. 3
  20. ^ Fletcher 1999, p. 77
  21. ^ Haythornthwaite 2005, vol. 81 p. 14
  22. ^ a b c d Gerosa1995, p. 482 - 485