Utente:Franz van Lanzee/Sandbox 2
Premesse
La prima coalizione
Gli eventi della rivoluzione francese, e le mire espansionistiche avviate dal nuovo governo francese, avevano molto allarmato le principali potenze europee, timorose che gli effetti della rivoluzione si potessero estendere anche ai loro stati; a seguito della dichiarazione di guerra della Francia al Sacro Romano Impero Germanico del 20 aprile 1792, Austria, Prussia, Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Regno di Sardegna e Regno di Napoli diedero vita alla prima coalizione antifrancese, e la neonata Repubblica si ritrovò assalita su tutti i fronti. La guerra ebbe un andamento altalenante: dopo una serie di insuccessi iniziali, l'esercito francese passò al contrattacco ed inflisse numerose sconfitte ai coalizzati; il vecchio esercito regio, composto di soldati professionisti, venne rimpiazzato con un'armata composta da coscritti, ed il Direttorio (l'organo di vertice istituito dopo il regime del Terrore) scatenò una guerra totale contro le potenze europee. Nel giro di pochi anni, la Francia si annettè i Paesi Bassi austriaci e la Renania, invase le Province Unite e le trasformò in uno stato fantoccio (la Repubblica Batava), obbligò la Prussia ad uscire dal conflitto e convinse la Spagna a passare dalla sua parte; una serie di violente rivolte realiste in Vandea vennero selvaggiamente domate tra il 1793 ed il 1796.
Durante la guerra della prima coalizione, si mise rapidamente in luce un giovane ufficiale d'artiglieria di origine corsa, in forza all'esercito rivoluzionario francese: Napoleone Bonaparte. Dopo essersi distinto nel'assedio di Tolone e nella repressione dell'Insurrezione del 13 vendemmiaio, il giovane Napoleone si vide assegnare il comando dell' Armata d'Italia il 2 marzo 1796, con il compito di invadere la penisola e assoggettarla alla Francia. Con una rapida azione, l'armata di Napoleone valicò le Alpi ed in un mese sconfisse ripetutamente le forze congiunte dell'Austria e del Regno di Sardegna, obbligando quest'ultimo a chiedere la pace e a ritirarsi dal conflitto nell'aprile del 1796; neutralizzato uno dei nemici della Francia, Napoleone si gettò quindi sugli austriaci, infliggendo loro una sconfitta dietro l'altra nelle battaglie di Lodi (10 maggio 1796), di Arcole (17 novembre 1796) e di Rivoli (15 gennaio 1797). Obbligata alla resa la piazzaforte austriaca di Mantova, l' Armata d'Italia invase quindi il Tirolo, arrivando a minacciare Vienna; fu Napoleone stesso, scavalcando il Direttorio, a negoziare il successivo trattato di Campoformio il 17 ottobre 1797, con cui obbligò l'Austria a ritirarsi dalla coalizione e a riconosciere lo stato fantoccio instaurato dai francesi nel nord Italia, la Repubblica Cisalpina[1].
Con l'Austria fuori dal conflitto, solo la Gran Bretagna rimaneva in armi contro la Francia; riconoscendo l'impossibilità di un attacco diretto a causa della superiorità della Royal Navy britannica sulla disastrata flotta francese, Napoleone consigliò il Direttorio di inviare la sua armata alla conquista dell'Egitto, onde portare la minaccia ai collegamenti con la più importante delle colonie britanniche, l'India[1]. Il 2 luglio 1798 i francesi sbarcarono ad Alessandria d'Egitto, ed in breve tempo si assicurarono il controllo del paese; tuttavia, nella notte tra il 1° ed il 2 agosto seguente, la flotta francese subì una disastrosa sconfitta nella battaglia del Nilo ad opera dell'ammiraglio britannico Horatio Nelson, e l'armata di Napoleone si ritrovò così isolata dalla madrepatria.
La seconda coalizione
La situazione volgeva contro la Francia anche in Europa: ai primi di gennaio del 1799 si formò una seconda coalizione antifrancese, che riuniva Gran Bretagna, Austria, Russia, Regno di Napoli ed Impero ottomano. Le truppe della coalizione iniziarono una serie di offensive contro i francesi in Egitto, in Germania, in Svizzera e soprattutto in Italia, dove un grosso esercito austro-russo guidato dal generale Suvorov colse un successo dopo l'altro, cancellando in pochi mesi tutte le conquiste fatte da Napoleone; in aggiunta a ciò, la Francia si trovava in bancarotta ed i partiti monarchici andavano acquisendo sempre più popolarità. Informato della gravità della situazione, Napoleone lasciò in gran segreto il suo esercito in Egitto, ed il 9 ottobre 1799 rientrò in Francia, accolto entusiasticamente dalla popolazione. Avverso ad ogni politica di pace, il 9 novembre seguente il generale, grazie all'appoggio datogli dai membri del Dirrettorio Ducos e Sieyès, condusse un colpo di stato militare (il così detto "Colpo di Stato del 18 brumaio") che portò all'abolizione del Direttorio stesso ed all'istituzione del regime del Consolato; facendosi nominare primo console, Napoleone era ora di fatto il padrone politico della Francia[1].
La situazione militare andava intanto migliorando: sul finire del 1799, l'avanzata di Suvorov era stata bloccata nella seconda battaglia di Zurigo ad opera del generale Andrea Massena, mentre l'invasione anglo-russa dell'Olanda si era conclusa con una cocente disfatta per i coalizzati; alla luce di queste sconfitte e dei continui dissidi con gli alleati britannici, lo zar Paolo I decise di ritirarsi unilateralmente dall'alleanza, lasciando la sola Austria a confrontarsi con i francesi sul continente. Napoleone riorganizzò rapidamente le forze francesi e, affidato al generale Moreau il compito di trattenere gli austriaci in Germania, condusse un'armata di riservisti in Italia contro le forze del generale Melas. Atteso al passo del Moncenisio, valicò invece le Alpi al passo del Gran San Bernardo il 24 maggio 1800, e costrinse alla resa il Forte di Bard con un attacco a sorpresa[1]. Dopo aver catturato Milano senza combattere, l'armata di Napoleone affrontò gli austriaci nella battaglia di Marengo il 14 giugno seguente: la battaglia iniziò male per i francesi, ed avrebbe potuto trasformarsi in una cocente disfatta per Napoleone se nel pomeriggio non fossero sopraggiunti i rinforzi capitanati dal generale Desaix; la sua furiosa carica contro l'ala destra austriaca provocò la rotta dell'armata di Melas, anche se lo stasso Desaix rimase ucciso nelle fasi finali della battaglia[1]. Sebbene non decisiva ai fini del conflitto, la vittoria dei francesi a Marengo obbligò gli austriaci ad abbandonare per la seconda volta l'Italia. Il 3 dicembre 1800, il generale Moreau ottenne finalmente una vittoria decisiva sugli austriaci nella battaglia di Hohenlinden; ormai allo stremo, il 9 febbraio 1801 l'Austria si ritirò dal conflitto con la firma del trattato di Lunéville.
Il trattato di Amiens
Solo la Gran Bretagna (diventata, dal 1° gennaio 1801 "Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda") rimaneva in armi contro la Francia. Una spedizione militare britannica riuscì a costringere alla resa le residue forze francesi in Egitto sul finire dell'agosto del 1801, ma i britannici non disponevano di forze di terra sufficienti per inisidiare il controllo francese sul continente; al tempo stesso, però, la netta superiorità acquisita dalla Royal Navy sul mare, ulteriormente rafforzata dopo la vittoria sulla flotta danese nella battaglia di Copenaghen (2 aprile 1801)[2], precludeva ai francesi qualsiasi ipotesi di invasione delle isole britanniche: con circa 600 navi da guerra di vario genere che bloccavano con delle squadre di dimensioni variabili ogni base navale o porto di una certa importanza del territorio francese o da loro occupato, la flotta britannica impediva praticamente qualsiasi rifornimento o movimento della flotta avversaria e financo le più semplici operazioni di addestramento in mare, e contemporaneamente scortava imponenti convogli mercantili che rifornivano e trasportavano gli eserciti alleati impegnati nelle operazioni contro la Francia. Stante questa situazione di equilibrio, ai due contendenti non restò altro che la via dei negoziati; il 25 marzo 1802 venne quindi firmato il trattato di Amiens, che sanciva la conclusione delle ostilità.
La pace di compromesso sancita ad Amiens lasciava scontenti entrambi i contendenti, che ben presto si rinfacciarono reciprocamente violazioni del trattato: da un lato, Napoleone influenzò pesantemente le elezioni tenutesi nella Repubblica Batava, oltre a farsi eleggere (con un vero e proprio diktat) presidente della Repubblica Italiana[3]; dall'altro lato, il Regno Unito era riluttante a cedere la strategica isola di Malta per restituirla ai suoi precedenti proprietari, i Cavalieri Ospitalieri. La situazione si fece progressivamente insostenibile, ed il 18 maggio 1803 il Regno Unito dichiarò formalmente guerra alla Francia[4], dando così inizio alle "guerre napoleoniche" vere e proprie.
Storia delle guerre napoleoniche
Trafalgar e Austerlitz
Napoleone aveva impiegato il tempo concessogli dalla temporanea tregua con il Regno Unito per rinforzare il suo controllo politico sulla Francia: il 18 maggio 1804 il Senato proclamò ufficialmente la costituzione dell'Impero francese, e Napoleone stesso si auto-incornò imperatore il 2 dicembre seguente, dopo essersi riappacificato con il Papa Pio VII grazie al concordato del 1801[1]. Il nuovo scontro con il Regno Unito inizialmente si concretizzò in una serie di azioni navali, ma per la metà del 1804 Napoleone ammassò un'armata di 150.000 uomini a Boulogne, in vista di un'invasione delle isole britanniche[5]; per attraversare il canale della Manica, tuttavia, era necessario allontanare da esso le navi della Royal Navy, e per tale ragione il neo-imperatore elaborò un complesso piano per attirare verso ovest la flotta britannica[6].
Il 30 marzo 1805, eludendo il blocco britannico, l'ammiraglio Villeneuve lasciò Tolone con una parte della flotta francese, e, dopo aver agganciato uno squadrone di navi spagnole alleate al largo delle coste iberiche, si diresse verso le Antille. Una volta in zona, l'ammiraglio doveva ricongiungersi con una seconda squadra salpata da Brest e minacciare le locali colonie britanniche, al fine di attirarvi le navi della Royal Navy; fatto questo, la squadra franco-spagnola avrebbe riattraversato l'Atlantico, sgombrato la Manica e protetto l'attraversamento dell'armata francese. Villeneuve raggiunse la Martinica il 12 maggio, ma non vi trovò lo squadrone di Brest, rimasto bloccato dai britannici; informato dell'arrivo in zona della flotta dell'ammiraglio Nelson, Villeneuve salpò alla volta dell'Europa il 9 giugno, sempre inseguito dai britannici. Al suo rientro nelle acque europee, il 21 luglio Villeneuve venne coinvolto in uno scontro violento ma non decisivo con uno squadrone britannico al largo di Capo Finisterre, e decise di ripiegare verso i porti spagnoli; contravvenendo alle istruzioni di Napoleone[6], l'ammiraglio si diresse a sud verso il porto di Cadice, dove rimase assediato dalla squadra di Nelson nel frattempo sopraggiunta.
L'imbottigliamento della flotta di Villeneuve comportò l'abbandono del piano di invasione delle isole britanniche[5], anche perché nuovi sviluppi stavano avendo luogo sul continente. L'instaurazione del regime imperiale aveva destato forti preoccupazioni nelle corti europee, timorose che ciò fosse il preludio ad una nuova fase di espansione francese; i rapporti sempre tesi tra Francia ed Austria peggiorarono decisamente dopo la decisione di Napoleone di incoronarsi sovrano del neo-costituito Regno d'Italia, mentre il nuovo zar russo Alessandro I mostrava un atteggiamento ostile nei confronti dell'imperatore[6]. Dopo lunghe negoziazioni e grazie alla mediazione del primo ministro britannico William Pitt, nell'aprile del 1805 Regno Unito, Austria, Russia e Regno di Napoli diedero vita alla terza coalizione antifrancese, ed iniziarono ad ammassare le forze in vista dell'imminente conflitto.
Le ostilità vennero aperte dall'Austria: il 10 agosto 1805, un esercito austriaco sotto il generale Mack invase la Baviera, alleata dei francesi, e si attestò nei pressi di Ulma, in attesa dell'arrivo dei russi del generale Kutuzov in lenta avanzata da est; Napoleone reagì rapidamente a questa minaccia, ed il 25 agosto i primi reparti francesi lasciarono Boulogne alla volta della Germania meridionale. L'esercito francese era stato profondamente riorganizzato durante il periodo di pace[7]: invece di essere divise in più armate indipendenti come ai tempi della rivoluzione, le truppe francesi erano ora riunite in un'unica Grande Armée sotto il diretto controllo di Napoleone; unità operative fondamentali erano i Corpi d'armata, comandati da un Maresciallo o da un generale superiore, e comprendenti tutte le armi (fanteria, cavalleria ed artiglieria): ciascun corpo d'armata, la cui composizione non era mai fissa ma poteva mutare a seconda delle circostanze richieste, era una sorta di esercito in miniatura, capace di contenere da solo un avversario in attesa dell'arrivo di ulteriori forze[7]. Marciando separatamente ma in maniera strettamente coordinata, i sette corpi d'armata francesi piombarono inaspettatamente sulle forze di Mack da nord, aggirarono il loro fianco destro ed accerchiarono l'armata austriaca, obbligandola alla resa il 20 ottobre; in due settimane, senza mai doversi impegnare in battaglie di vaste proporzioni e perdendo solo 2.000 uomini, Napoleone aveva costretto alla resa la principale armata austriaca, prendendo quasi 60.000 prigionieri[8].
Il successo di Ulma era stato netto, ma pochi giorni dopo la grande vittoria Napoleone ricevette pessime notizie provenienti dalla Spagna: il 21 ottobre, durante un maldestro tentativo di lasciare Cadice, Villeneuve era stato ingaggiato dalla flotta di Nelson e pesantemente sconfitto nella battaglia di Trafalgar; nonostante lo stesso Nelson fosse rimasto ucciso nello scontro, la flotta franco-spagnola era uscita semidistrutta dallo scontro, lasciando così la Royal Navy padrona dei mari ancora una volta[8]. In aggiunta a ciò, l'armata di Kutuzov era riuscita ad eludere l'inseguimento dei francesi ed a ritirasi in Boemia, dove si ricongiunse con ulteriori forze russe giunte in rinforzo; la Grande Armée fu così costretta ad innoltrarsi nelle regioni interne dell'impero austriaco, distaccando numerose forze per proteggere le sue fragili linee di comunicazione. Il 2 dicembre 1805 i due eserciti si affrontarono nella battaglia di Austerlitz: nonostante l'inferiorità numerica, i francesi arrestarono gli attacchi degli austro-russi contro il loro fianco destro, per poi sfondare al centro ed accerchiare l'ala sinistra nemica, spazzandola via. L'armata dei coalizzati uscì distrutta dalla battaglia, con la perdita di 27.000 uomini tra morti e prigionieri, contro la perdita di 9.000 uomini in campo francese[9].
La battaglia di Austerlitz decise in pratica l'esito del conflitto: il 4 dicembre, stremata dalle sconfitte, l'Austria chiese ed ottenne un armistizio, preludio alla firma del trattato di Pressburg il 26 dicembre seguente: gli austriaci lasciarono la coalizione, cedendo il Veneto al Regno d'Italia ed il Tirolo alla Baviera.
- Philip Haythornthwaite, Le grandi battaglie napoleoniche, Osprey Publishing, 2005. ISBN 84-9798-181-2
- David G. Chandler, Austeritz 1805, Osprey Publishing, 1990. ISBN 978-0-85045-957-9
- David G. Chandler, Jena 1806, Osprey Publishing, 1993. ISBN 978-1-85532-285-1
- Guido Gerosa, Napoleone, Mondadori, 1995. ISBN 88-04-41829-X
- Ian Fletcher, Salamanca 1812, Osprey Publishing, 1997. ISBN 978-1-85532-604-0
- Ian Castle, Aspern e Wagram 1809, Osprey Publishing, 1994. ISBN 978-1-85532-366-7
- Peter Hofschroer, Lipsia 1813, Osprey Publishing, 1993. ISBN 978-1-85532-354-4
- Geoffrey Wootten, Waterloo 1815, Osprey Publishing, 1992. ISBN 978-1-85532-210-3
- ^ a b c d e f Antonio Spoto, Napoleone Bonaparte - 1ª parte, in pdsm.altervista.org. URL consultato il 25 ott 2010.
- ^ Gerosa 1995, p. 284
- ^ Indro Montanelli, Storia d'Italia, vol. 4 1789 - 1831, RCS Libri S.p.A., 2006, pp. 106-111. ISBN Non disponibile
- ^ Gerosa 1995, p. 292
- ^ a b Antonio Spoto, Napoleone Bonaparte - 2ª parte, in pdsm.altervista.org. URL consultato il 26 ott 2010.
- ^ a b c Chandler 1990, pp. 6-8
- ^ a b Chandler 1990, pp. 25-27
- ^ a b Chandler 1990, pp. 15-16
- ^ Chandler 1990, p. 83