Zuavi pontifici
Il Battaglione degli zuavi pontifici fu creato il 1° gennaio 1861 sul modello dei corpi di Zuavi dell'esercito francese. Divenuto reggimento il 1° gennaio 1867, il corpo era costituito da volontari, in maggioranza francesi, belgi e olandesi, venuti a difendere lo Stato pontificio minacciato dalle guerre condotte dal Piemonte per l'Unità d'Italia. La sua storia si identifica con l'ultimo decennio di vita dello Stato della Chiesa (1860-1870). Il reggimento fu licenziato il 21 settembre 1870, dopo la presa di Roma.

La creazione del corpo degli zuavi pontifici
Nel 1860 la sorte dello Stato pontificio appariva assai critica, nel disinteresse delle potenze cattoliche d'Europa. Fu allora che il cameriere segreto del papa Pio IX monsignor Francesco Saverio de Mérode, ex militare della Legione straniera francese divenuto proministro delle armi del papa, decise di fare appello al generale de Lamoricière perché riorganizzasse l'esercito pontificio e ne prendesse il comando.
Per aumentare gli effettivi, Lamoricière ricorse all'arruolamento volontario, facendo appello agli stati cattolici. Belgi e francesi costituirono un battaglione di tiratori franco-belgi agli ordini del visconte Louis de Becdelièvre, al quale si deve l'uniforme del corpo, ispirata a quella degli zuavi, ma adattata alla temperatura di Roma[1]. L'idea trovò il sostegno di monsignor de Merode e del papa in persona, sicché questi tiratori furono chiamati zuavi pontifici anche prima della creazione ufficiale del corpo [2].
Con la sconfitta delle truppe pontificie alla battaglia di Castelfidardo, il 18 settembre 1860, lo Stato pontificio si trovò ridotto al solo Lazio. Il disastro fece allora affluire i volontari a Roma: il battaglione degli zuavi pontifici fu così costituito da una parte dei tiratori franco-belgi e dagli irlandesi del Battaglione san Patrizio, ai quali si erano aggregati, prima della battaglia, i pochi "crociati" di Henri de Cathelineau[3].
Provenienza degli effettivi
Fino al 1864 il battaglione degli zuavi contava dai 300 ai 600 uomini. La forza salì a 1.500, poi a 1.800, fino a raggiungere le 3.200 unità poco prima della caduta di Roma. Tra il 1861 e il 1870 si avvicendarono nel corpo oltre 10.000 nuovi arruolati, provenienti da 25 diverse nazioni. I più numerosi erano gli olandesi, i francesi e i belgi, ma vi si trovavano anche svizzeri, tedeschi, italiani, canadesi e anche americani.[4] Su 170 ufficiali, 111 erano francesi e 25 belgi. Il loro cappellano era monsignor Jules Daniel, di Nantes, assistito da due belgi, monsignor Sacré e monsignor de Wœlmont. La paga era alta, e ciò consentiva agli avversari di qualificarli come "mercenari".
Gli zuavi franco-belgi
Per quanto riguarda i francesi, più di un terzo del totale provenivano dai dipartimenti delle attuali regioni della Bretagna[5] e dei Paesi della Loira; altri contingenti non trascurabili provenivano da Nîmes e dal Massiccio Centrale. I belgi fiamminghi e gli olandesi erano spesso di estrazione popolare e attratti da alte paghe, mentre la nobiltà era ben rappresentata tra i francesi e i volontari belgi francofoni[6]. Questi ultimi, in particolare, si dicevano mossi dall'attaccamento alla Chiesa cattolica romana e accreditavano l'impegno militare come una crociata per difendere la capitale del cattolicesimo e la libertà del papa contro il rivoluzionario Garibaldi e il re anticlericale Vittorio Emanuele II, ma certamente il loro impegno religioso era tutt'uno con lo schieramento politico sul fronte legittimista.
Gli zuavi canadesi
Nel Québec, la provincia francofona e cattolica del Canada, la notizia della proclamazione del regno d'Italia nel 1861 era arrivata nel bel mezzo di un'intensa lotta ideologica tra la Chiesa appoggiata dalla maggioranza conservatrice del paese, e i "Rouges", minoranza di radicali liberali che propugnava idee di laicità, suffragio universale, libero scambio e annessione agli Stati Uniti, che veniva assimilata al fronte antipapista in Italia. L'arcivescovo di Montréal, Ignace Bourget, aveva lanciato un appello alle diocesi di tutto il mondo, assai gradito a Roma, perché finanziassero la solidarietà con il papa attraverso sottoscrizioni, e in questo quadro venivano incoraggiati anche gli arruolamenti di giovani nel corpo degli zuavi. Dopo la battaglia di Mentana la campagna fu intensificata, e nel 1868 erano complessivamente 388 i canadesi partiti alla volta di Roma. Nello Stato pontificio, le loro operazioni militari si limitarono generalmente a lunghi pattugliamenti nella campagna romana a caccia di briganti[7]. Nessuno zuavo canadese fu ucciso in combattimento. Di quelli che non tornarono, uno si fece monaco, due si arruolarono nell'esercito francese e 9 erano morti di malattia. E tuttavia una nuova città, Piopolis, fu fondata nel 1871 per ospitarvi i reduci della campagna d'Italia, e nel 1899 l'ex cappellano del battaglione fondò un'Associazione degli zuavi del Québec, organizzazione paramilitare che rimase in vita fino al 1984, quando formò la guardia d'onore per la visita di Giovanni Paolo II; dopo, si sciolse per mancanza di partecipanti[8].
Le vicende militari
Il comando, affidato al colonnello de Becdelièvre, passò presto al colonnello Allet, uno svizzero da lungo tempo al servizio del papa. La linea intransigente e belligerante sostenuta dall'ideatore de Merode e dai gesuiti sembrò sconfessata nel 1865: con la convenzione di settembre la Francia s'impegnava infatti a ritirare le proprie truppe entro due anni, e il 25 settembre de Merode fu sostituito, come proministro delle armi, dal generale Hermann Kanzler. Continuava tuttavia la guerriglia garibaldina (Garibaldi era vissuto, dai papalini in generale e dagli Zuavi in particolare, come l'Anticristo), sostenuta sottobanco dai piemontesi, e fu con le camicie rosse che gli zuavi dovettero sostenere diversi scontri a difesa delle frontiere del Lazio, fino a quello decisivo del 1867.
La campagna del 1867 e Mentana
A fine settembre 1867 i garibaldini tentarono l'invasione dello Stato pontificio, convinti di dare la spallata finale al pericolante dominio papalino suscitando l'insurrezione di Roma. In questo contesto, un attentato alla caserma Serristori, in Borgo, provocò la morte di 25 degli zuavi che vi erano acquartierati, oltre a quella di alcuni civili. La sollevazione popolare della città tuttavia non vi fu. Il 26 ottobre Garibaldi occupò Monterotondo e lì si fermò, nonostante alcune scaramucce dirette verso la città, lasciando che un corpo di spedizione francese sbarcato a Civitavecchia il 29 raggiungesse Roma. Nel frattempo - il 27 ottobre - Vittorio Emanuele II emanava il proclama che disapprovava l'azione garibaldina, e non pochi dei circa 8.000 effettivi di Garibaldi disertavano l'azione.
La controffensiva pontificia, il 3 novembre, fu guidata dal generale Hermann Kanzler, a capo di una forza di circa 8.000 uomini costituita da carabinieri pontifici, zuavi e volontari francesi della legion d'Antibes. La battaglia si concentrò a sud di Mentana, mentre Garibaldi cercava di spostare i suoi uomini verso Tivoli, per sciogliere lì la spedizione, e i papalini la ebbero vinta. Il 6 novembre le truppe franco-pontificie sfilavano vittoriose a Roma e il popolo gridava "Viva Pio IX, viva la Francia, viva gli zuavi, viva la religione!".
In seguito Pio IX fece erigere un monumento in ricordo dei caduti pontifici del 1867 nel Cimitero del Verano.
Nello stesso anno, il 1867, gli zuavi si ritrovarono a soccorrere la popolazione di Albano Laziale colpita dal colera.
La caduta di Roma
La guerra franco-prussiana del 1870 provocò la ritirata delle truppe francesi e consentì l'invasione dello Stato pontificio da parte dell'esercito italiano al comando del generale Raffaele Cadorna. A fronte dei 70.000 italiani, gli effettivi pontifici non superavano i 13.000, di cui 3.000 zuavi. Kanzler decise perciò di concentrare le proprie forze nella difesa di Roma. Ai primi colpi di cannone, il 20 settembre, il papa chiese al generale di cessare il fuoco. Nei combattimenti morirono soltanto 11 zuavi.
Attilio Vigevano ricorda un fatto singolare che accadde al maggiore de Troussures, lo zuavo che si ritrovò a comandare i suoi commilitoni a Porta Pia. Sembra infatti che durante il combattimento ebbe un presentimento della sua morte in Francia che avvenne qualche mese dopo (nella Battaglia di Loigny): «...Parrebbe che il maggiore de Troussures, indicando sulla via Salara la chiesa di Trasone e Saturnino e la zona delle antiche catacombe estendesi oltre la tomba del tribuno Peto, dicesse di udire le voci dei cristiani seppelliti vivi nelle catacombe di Crisando e Dario, chiamarlo perchè li raggiungesse...»[9]
Riferisce sempre Attilio Vigevano un altro anedotto: gli zuavi, durante il combattimento, si fermarono ad intonare il loro canto preferito,quello dei Crociati di Cathelineau:
«Intonato dal sergente Hue, e cantato da trecento e più uomini, l'inno echeggiò distinto per alcuni minuti; il capitano Berger ne cantò una strofa ritto sulle rovine della breccia colla spada tenuta per la lame e l'impugnatura rivolta al cielo quasi a significare che ne faceva omaggio a Dio; presto però illanguidì e si spense nel ricominciato stridore della fucilata, nel raddoppiato urlio, nel tumulto delle invettive»[10]
Il loro reggimento fu licenziato l'indomani, mentre i francesi venivano imbarcati alla volta di Tolone. Nella nave che li riportava in patria il colonello Allet distribuì ad ognuno a piccoli lembi la bandiera del reggimento in modo che ogni zuavo potesse portare con sè un ricordo di quel periodo trascorso a Roma in difesa dello Stato Pontificio. Rivolse anche un ultimo saluto: «Zuavi! Trasmettendovi gli addii del generale de Courten io mi associo pienamente agli elogi che egli vi fa e che voi avete così bene meritato. Se c'è qualcosa che possa attenuare il dolore della nostra seprazione è il ricordo dei dieci anni che abbiamo passati insieme. Tempi migliori risplenderanno per voi; quanto a me io applaudirò da lontano i vostri successi e il mio cuore sarà sempre con voi. Se ho fatto qualcosa di buono è presso di voi che io vengo a cercare la mia ricompensa e io l'avrò piena ed intera se vivo nel vostro ricordo. Addio signori! La sorte ci divide, ma lo stesso sentimento ci unirà sempre: la devozione e la fede nella causa che noi abbiamo servita dieci anni insieme»[11]
Gli zuavi pontifici alla guerra franco-prussiana
«...Bella fu la condotta degli zuavi pontifici in Francia: fede ed amor di Patria sposandosi alla combattività produssero un eroismo tanto più elevato in quanto sventurato.»[12]
Al ritorno in Francia Charette[13] offrì i propri servigi alla difesa nazionale, che lo autorizzò a fondare un corpo franco lasciandogli libertà d'azione e l'uniforme da zuavo, ma a condizione di cambiare il nome in Légion des volontaires de l'Ouest. La Legione partecipò onorevolmente alla guerra (memorabile fu la Battaglia di Loigny dove gli zuavi combatterono eroicamente) e fu sciolta il 13 agosto 1871, dopo essere stata consacrata al Sacro Cuore di Gesù dal de Charette con queste parole:
«All'ombra di questa bandiera tinta dal sangue delle nostre più nobili e care vittime, io generale Barone de Charette, che ho l'insigne onore di comandarvi, consacro la Legione dei Volontari dell'Ovest, gli zuavi pontifici, al Sacro Cuore di Gesù, e con tutto il cuore e con tutta la mia fede di soldato io dico e prego tutti voi di ripetere con me: Cuore di Gesù salvate la Francia!»[14]
Sempre il de Charette salutò per l'ultima volta la Legione, quando fu sciolta (sebbene il ministro della guerra Ernest Courtot de Cissey aveva proposto alla Legione di entrare nell'esercito regolare), nell'Ordine del Giorno del 13 Agosto 1871:
«(...) egli (il ministro della guerra) ci aveva offerto la più bella ricompensa nazionale alla quale potessimo ambire proponendo a noi, corpo di Volontari, di far parte dell'esercito regolare. Ben forti sono le ragioni che ci consigliano a rinunziare all'onore che ci viene offerto. Ma venuti in Francia come zuavi pontifici, non ci crediamo in diritto di vincolare la nostra libertà, nè di introdurre nell'esercito un'uniforme che non ci appartiene: io ho dunque domandato il licenziamento. Voi tornate ai vostri focolari, ma il vostro compito non è finito. Uniti e compatti vi siete battuti su diversi campi di battaglia: vi sovvenga che il sangue sparso è legame più forte di un giuramento: se la Francia farà appello di nuovo al patriottismo de' suoi figli, voi tutti accorrerete alla prima chiamata, il ministro fa assegnamento sopra di voi, ed io ne sono sicuro. Arrivederci, miei cari camerati, col cuore profondamente commosso io mi separo da voi. Non è senza dolore che si estingue un'esistenza di undici anni, in cui tutto era comune, gioie, dolori e sacrifici. Ciò nullameno non ci lasciamo abbattere: ancor ci rimangono due grandi cose: la fede nella nostra causa, che è pur quella della Chiesa e della Francia e la speranza del trionfo. Serbiamoci degno della cuasa, Dio ci darà il trionfo. Generale de Charette»[15]
Alcuni figli di zuavi combatterono nella Prima Guerra Mondiale, tanto che su di loro fu scritto anche un libro con il titolo "Régiment des Zouaves Pontificaux. Franco-belges, Zouaves, Volontaires de l'Ouest et leurs familles pendant la guerre de 1914-1918."
Ideologia del corpo
Sul piano diplomatico ed economico la creazione del corpo degli zuavi pontifici è legata alla linea più dura della Curia romana dell'epoca, che trovava eco negli ambienti cattolici conservatori e legittimisti di tutto il mondo. In tutto il mondo occidentale, numerosi preti lanciarono appelli ad arruolarsi in questo corpo, e gli zuavi morti apparivano agli occhi di molti come martiri moderni.[16]
Sul piano militare rappresentavano uno dei migliori reggimenti dell'Esercito Pontificio, se non l'elitè vera e propria. La loro disciplina fu frutto soprattutto del loro primo comandante de Becdelievre che ebbe a dire: «(...) il vero coraggio si mostra nelle prove giornaliere della vita militare più ancora che sul campo di battaglia»[17]. Mentre il loro valore e il loro eroismo fu dovuto principalmente ai principi che li animarono. Significativo è ciò che dice lo studioso Lorenzo Innocenti: «(...) furono il "baluardo del Trono e dell'Altare" e contribuirono in maniera determinante con il loro volontariato mistico -contrapposto alla fede laica dei garibaldini e a quella monarchica delle truppe dell'esercito piemontese - a ritardare di qualche anno l'annessione dello Stato della Chiesa al resto d'Italia.»[18]. Lo stesso testo del giuramento prestato dai soldati è abbastanza rappresentativo delle motivazioni che li animavano:
à mon souverain, le Pontife Romain, Notre Très Saint Père
le Pape Pie IX, et à ses légitimes successeurs.
Je jure de le servir avec honneur et fidélité et de sacrifier
ma vie même pour la défense de sa personnalité auguste et sacrée,
pour le maintien de sa souveraineté et pour le maintien de ses droits.»
Gli zuavi, in particolare, suscitarono un impegno finanziario non trascurabile da parte dei cattolici, soprattutto in Francia: oltre al già citato esempio di finanziamento da parte di ricchi nobili, va notato che gli ufficiali dovevano spesso provvedere a proprie spese all'equipaggiamento (ciò che può spiegare perché queste truppe godessero di un equipaggiamento relativamente moderno, come i noti fucili Remington mod.1868).
Note
- ^ L'uniforme degli zuavi pontifici non entusiasmò la curia, dove un cardinale ebbe a dire, considerando i calzoni a sbuffo, - "È proprio un'idea da francesi, vestire i soldati del papa da musulmani." - ma l'idea piacque a Pio IX.
- ^ Questa affluenza di truppe straniere creò anche non pochi problemi. Si veda in Carlo Belviglieri, Storia d'Italia dal 1814 al 1866, vol. V, Milano 1868, p. 228:«Lamoricière fece levare ad Antonelli il portafogli della guerra e conferirlo al De Mérode (con che cominciò l'antagonismo tra il cardinale italiano ed il prelato belga); dispose i quadri, gli armamenti, istituì i zuavi pontifici, ed infine cimentossi a stabilire la militar disciplina; difficile impresa tra le antiche truppe pontificie, difficilissima tra i nuovi venuti, perché quelli di gran nome aveano tutti i pregiudizi, le pretensioni, l'arroganza aristocratica; gli altri, e massime gli irlandesi, erano un'affamata bordaglia e ad ogni istante commettevano scandali, risse, ruberie, tanto che si dovette venire alla risoluzione di rinviare i più riottosi, ed infine di fucilarne. Ciò nondimeno il fermo volere ottenne più di quanto era sembrato possibile.»
- ^ Henri comte de Cathelineau (1813-1891) fu un generale di brigata francese al seguito del generale vandeano e legittimista Louis Auguste Victor de Ghaisne de Bourmont. Giunto a Roma per sostenere i domini minacciati del papa creò qui, su richiesta di Pio IX, un ordine militare detto "Croisés de Cathelineau", che ebbe pochi mesi di vita, e i cui membri residui confluirono nel corpo degli zuavi pontifici.
- ^ Il 21 Settembre 1870, quando gli Zuavi pontifici si ritrovarono per l'ultima volta in Piazza San Pietro, tra le loro fila c'erano: 1.172 olandesi, 760 francesi, 563 belgi, 297 tra canadesi - inglesi - irlandesi, 242 italiani, 86 prussiani, 37 spagnoli, 19 svizzeri, 15 austriaci, 13 bavaresi, 7 russi e polacchi, 5 del Baden, 5 degli Stati Uniti, 4 portoghesi, 3 essiani, 3 sassoni, 3 wuttemburghesi, 2 brasiliani, 2 equadoregni, 1 peruviano, 1 greco, 1 cittadino monegasco, 1 cileno, 1 ottomano ed 1 cinese.
- ^ Dal seminario di Nantes proveniva, ad esempio, il volontario Giuseppe Luigi Guérin del corpo de' Zuavi pontificii franco-belgi, la cui biografia pubblicata in Roma nel 1862 è un ottimo esempio dell'ideologia che animava queste truppe.
- ^ Il duca de La Rochefoucauld-Doudeauville e suo fratello il duca de La Rochefoucauld-Bisaccia, ad esempio, sostennero finanziariamente l'impresa equipaggiando completamente 1.000 uomini.
- ^ Con i quali del resto le truppe papaline furono spesso conniventi, considerandoli un punto di resistenza agli invasori italiani. Si veda in Il brigantaggio nelle province napoletane - Relazioni della Commissione d'inchiesta della Camera de' Deputati, Napoli 1863, p. 84 e passim: «Nei mesi d'agosto e settembre dell'anno 1862 scorso erano a Forzino ad Anagni a Rissa molte truppe papaline e squadriglie di briganti sotto la direzione dell ispettore della polizia pontificia.»
- ^ Per una trattazione più ampia del tema "zuavi canadesi" si veda la voce francese.
- ^ Attilio Vigevano, La Fine dell'Esercito Pontificio, Albertelli, pg.544
- ^ Attilio Vigevano, La fine dell'Esercito Pontificio, Albertelli, pg.571
- ^ Piero Raggi, La Nona Crociata, Libreria Tonini Ravenna, pg.37
- ^ Attilio Vigevano, La fine dell'Esercito Pontificio, pg.764
- ^ Athanase de Charette de la Contrie (1832-1911), pronipote di François-Athanase Charette de La Contrie, era un militare professionista. Operò in Austria e in Italia, come tenente colonnello degli zuavi pontifici agli ordini di Allet. Divenuto generale dopo il ritorno in Francia, partecipò con onore alla guerra franco-prussiana, ma si rifiutò di intervenire nelle repressione della Comune di Parigi, non certo per simpatia ideologica, ma perché rifiutava di battersi contro altri francesi, come aveva già mostrato nel 1859, dimettendosi dall'esercito austriaco quando questo era divenuto avversario della Francia durante la Seconda guerra di indipendenza italiana.
- ^ Piero Raggi, La Nona Crociata, Libreria Tonini Ravenna, pg.38
- ^ Piero Raggi, La Nona Crociata, Libreria Tonini Ravenna, pg. 39
- ^ Gli zuavi pontifici venivano visti dai liberali e risorgimentali come veri e propri "mercenari" mentre molti ambienti cattolici e legittimisti li rivalutarono parlandone come "nuovi crociati". De Segur pubblicò un libro dedicato a tutti i caduti pontifici nella Battaglia di Castelfidardo intitolato "I martiri di Castelfidardo". Perfino Santa Teresina del Gesù Bambino scrisse «Sento nell'anima mia il coraggio di un Crociato, di uno Zuavo pontificio (...) (Storia di un'anima, manoscritto B, lettera a Suor Maria del sacro Cuore) »
- ^ L.A. de Becdelièvre, Souvenirs de l'armée pontificale, Lecoffre fils, pg.189
- ^ L.Innocenti, Per il Papa Re, pg.I (Introduzione)
Bibliografia
- Anonimo, Olderico ovvero il zuavo pontificio, racconto del 1860 pubblicato in La Civiltà cattolica anno duodecimo, vol. XI della serie quarta, Roma 1861, pp. 26–41; episodio romanzato e lacrimevole della sconfitta dell'esercito pontificio a Castelfidardo.
- Teodoro Salzillo, I fatti d'arme delle prodi legioni pontificie nella invasione garibaldesca di ottobre e novembre 1867 del Patrimonio di San Pietro, Roma, 1868
- Emilio Faldella, Storia degli eserciti italiani, Bramante editrice, 1976
- Piero Raggi, La Nona Crociata, Libreria Tonini Ravenna, 2a edizione
- Lorenzo Innocenti, Per il Papa Re, Esperia Editrice, 2004
- Antonmaria Bonetti, Il Volontario di Pio IX, Centro librario Sodalitium, 2007
- Attilio Vigevano, La fine dell'Esercito Pontificio, Albertelli, 1995
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