Febbre puerperale

Infezione uterina
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Caratteristiche

Per febbre puerperale o sepsi puerperale si intende una grave infezione dell’utero che può verificarsi dopo un parto o un aborto. È provocata da una contaminazione da batteri, in particolare l’escherichia coli, lo streptococco o altri germi anaerobi che infettano l’endometrio, membrana che riveste l'utero, nelle zone in cui le mucose per vari motivi hanno subito una lesione.

Sintomi e segni

L'infezione puerperale inizia generalmente con dolori all'utero, segno di infezione di tale organo. L’utero, sempre più dolorante, aumenta progressivamente di volume. Solitamente sono presenti brividi, cefalea, malessere e inappetenza accompagnati da pallore, tachicardia e leucocitosi. Le lochiazioni possono essere diminuite o abbondanti e maleodoranti. Quando sono interessati i parametri, il dolore e la febbre sono intensi.

Terapia

Somministrazione endovenosa di antibiotico ad ampio spettro (p. es., ampicillina/sulbactam 1,5-3,0 g q 6 h o ticarcillina/clavulanato di potassio 3,1 g q 6 h) fin quando la paziente non sia sfebbrata da 48 h. Non è necessario continuare il trattamento con antibiotici orali.

Trasmissione

L’infezione viene trasmessa per contagio diretto tramite lesioni della muscosa avvenute durante il parto. Tra la fine dell’ ‘800 e l’inizio del ‘900 l’infezione era molto diffusa a causa del fatto che gli ostetrici, dopo aver sezionato cadaveri di donne morte di febbre puerperale, operavano sulle partorienti senza essersi lavati le mani. La patologia è stata del tutto debellata grazie alle norrme igienico-preventive adottate in ambiente sanitario.

Origini del nome

Il termine “puerperale” fu introdotto nel 1716 da Edward Strother, in un libro intitolato “Acritical Essay On Fevers” . Deriva da “puerpera” ( indicante la donna che ha appena partorito) composta dalle parole latine “puer” (bambino) e “pario”(partorire).

Storia

La febbre puerperale è testimoniata sin dai tempi di Ippocrate: la prima descrizione nota si trova nel Corpus Hippocraticum . L’autore del testo nel Libro 1 delle Epidemie descrive una storia clinica verificatasi a Taso : «la moglie di Filino, che aveva partorito una figlia […] il quattordicesimo giorno dopo il parto fu colta da febbre» con dolori addominali, brividi, delirio. La donna morì dopo venti giorni. Se la malattia era conosciuta da tempi memorabili, non ne era accertata la causa. Furono formulate svariate teorie, basate su osservazioni confuse e non supportate da dimostrazione speculativa: -teoria dell’arresto della libera fuoriuscita dei lochi: i lochi, non espulsi e putrefatti a seguito del ristagno, risalgono nei tessuti e nel sangue, causando dolore febbre e decesso. La patogenesi veniva fatta risalire a eccessiva densità del sangue, ristrettezza o ostruzione dei vasi, aria fredda all’interno dell’utero, freddo ai piedi , passioni che facevano “retrocedere il cammino del sangue dall’utero”(paura, dolore).

  1. teoria dell’impurità del sangue causato dall’accumularsi, durante i nove mesi della gravidanza, di materiale fecale, i cui veleni venivano assorbiti dalle vene. La causa dell’accumulo era attribuita all’utero che, ingrossandosi, premeva sugli intestini provocando una stasi.
  2. teoria della metastasi del latte: si credeva che il latte fosse composto da fluido mestruale trasformato. Esso presumibilmente raggiungeva le mammelle attraverso un dotto che, dalla sommità dell’utero, andava fino alla punta del capezzolo. Nell’aprire il cadavere delle morte di febbre puerperale, il pus che si trovava in addome appariva così simile al latte che alcuni dissettori affermavano che questo avesse deviato dal suo normale percorso verso le mammelle e si fosse accumulato nell’addome.
  3. teoria dei “miasmi”: un’atmosfera nociva si poteva sprigionare da altri individui malati o da influenze telluriche, solari o magnetiche;
  4. teoria psicologica basata sul terrore delle donne partorienti per il suono della campanella del pastore che preannunziava morte o del medico uomo che violava la pudicizia femminile

Ai tempi di Ippocrate, la teoria che più aveva avuto successo era quella dell’arresto delle lochi azioni. Ma la scoperta delle sue reali cause ha una storia travagliata e triste, dato l’ingente numero di madri morte post partum. La possibilità di un frammento di materia organica di qualche tipo, che entrasse in circolo e provocasse la malattia, venne occasionalmente presa in considerazione da qualche autore, ma raramente vi è stata prestata fede. Per esempio, il gesuita Athanasius Kircher aveva ipotizzato, nel 1658, che «piccoli animali viventi, invisibili a occhio nudo», diffondessero malattie contagiose, ma venne ignorato dai medici dei secoli successivi. Molto prima di Kircher nel 1546, Girolamo Fracastoro di Verona aveva scritto un libro intitolato De Contagione, nel quale suggeriva la stessa cosa. Tali autori non furono presi in considerazionei, e le loro teorie consi|derate strane: si stima che la malattia abbia ucciso centinaia di migliaia di donne tra il XVIII e il XIX secolo.Dopo il 1700 nella ricerca delle cause dell’infezione si impegnarono soprattutto Gordon, Holmes e Semmelwais. La loro vita fu resa difficile a causa della scoperte che rivelavano la colpevolezza dei medici nella trasmissione della malattia.

La prima intuizione di Gordon

Gordon, medico scozzese nato nel 1752, intuì che la febbre puerperale era contagiosa. La sua immaginazione non arrivò però a postulare che venisse trasmessa da qualche agente specifico. Si limitò a considerare che «ogni persona che sia stata con una paziente affetta da puerperale si carica di atmosfera infetta, che viene comunicata a ogni donna incinta che capita nella sua sfera». Non aveva però alcun dubbio: il metodo della propagazione era il contagio. In una pubblicazione Gordon fece l’errore di pubblicare i nomi di 17 levatrici coinvolte, e, con l’ammissione della sua stessa colpevolezza, si procurò non solo l’ira delle levatrici ma anche la perdita del suo stesso lavoro. In breve tempo le sue teorie furono dimenticate.

Le considerazioni di Holmes

Già molte persone cominciavano ad essere d’accordo che la febbre puerperale fosse una malattia contagiosa. Holmes, patologo, poeta e saggista inglese, era uno dei medici più convinti di ciò. Il suo obiettivo era quello di persuadere o smontare le opinioni contrarie di alcuni dei principali ostetrici del periodo, quali ad esempio il famoso professore di ostetricia Charles Delucena Meigs, che persistevano nell’errore. Dopo una serie di ricerche Holmes giunse a conclusioni ampiamente sostenute da tutte le informazioni che era stato in grado di raccogliere, riassumibili in una sola espressione: «la malattia nota come febbre puerperale è così contagiosa da essere frequentemente trasportata da una paziente all’altra da medici e infermieri». Anche lui dichiarò di non conoscere il meccanismo con cui veniva trasmessa, ma diede una serie di consigli preventivi i quali a suo parere, se seguiti alla lettera, avrebbero diminuito l’incidenza della malattia:

  1. i medici dovevano evitare le autopsie di casi di febbre puerperale quando si preparavano ad assistere un parto;
  2. se fosse stato necessario essere presenti a un’autopsia, tutti i vestiti dovevano essere cambiati e dovevano passare 24 ore prima che il modico potesse operare su una partoriente;
  3. nel caso della scoperta di un caso di febbre puerperale nella propria attività, il medico era obbligato a considerare il pericolo che la paziente successiva venisse contagiata, e a prendere appropriate precauzioni;
  4. ogni medico che avesse fatto esperienza di due casi in un breve periodo di tempo avrebbe dovuto lasciare la professione per almeno un mese.

La soluzione di Semmelweis

Sebbene Holmes non sostenesse alcuna forma specifica di disinfezione del corpo oltre al lavarsi, fece notare che un certo Semmelweis aveva sperimentato un «presunto improvviso e notevole calo della mortalità per febbre puerperale» usando uno spazzolino per unghie e disinfettandosi le mani con cloruro di calce. Semmelweis era un medico ungherese che lavorava nell’ospedale di Vienna. Effettivamente la mortalità, nel suo reparto, calò notevolmente sino a divenire quasi nulla. L’idea di Semmelweis era che «sono le dita degli studenti, contaminatesi nel corso di recenti dissezioni, che portano la fatali particelle cadaveriche negli organi genitali della donna incinta». Egli era rimasto colpito dalla seguente osservazione: l’ospedale di Vienna era suddiviso in due padiglioni,in uno operavano medici e specializzandi, nell’altro solo ostetriche. Nel 1846, su 4 mila puerpere ricoverate nel padiglione 1, affidato alle cure dei medici, la febbre puerperale ne aveva uccise 459 (l’11%); nel padiglione accanto, dove operavano solo ostetriche, la mortalità era invece dell’1%. Semmelweis fece introdurre nel suo reparto una soluzione di cloruro di calce con la quale ogni studente che aveva sezionato il giorno stesso o il precedente, doveva lavarsi accuratamente le mani prima di effettuare qualsiasi tipo di operazione su una donna incinta

Il triste epilogo di Semmelwais

Ci vorranno più di quarant’anni prima che i migliori ingegni avrebbero accettato e infine applicato la scoperta di Semmelweis. La dimostrazione della contaminazione batterica fu data da Pasteur solo nel 1864 e, prima di allora, le scoperte di Semmelweis vennero screditate e le morti ripresero ad essere ingenti. Il povero dr. Semmelweis venne licenziato dall'ospedale di Vienna, nonostante i positivi risultati, per aver dato disposizioni senza averne l'autorità. Tornato in Ungheria applicò lo stesso metodo all'ospedale di San Rocco a Pest ottenendo anche qui un abbassamento drammatico dei nuovi casi di febbre puerperale. Ciononostante la comunità scientifica dell'epoca gli si scagliò contro ed il poveretto finì per essere ricoverato in manicomio dove morì nel 1865 a causa delle percosse subite nell'istituto.