L'arte preistorica in Italia comprende tutte quelle manifestazioni culturali e artistiche delle popolazioni che abitarono la penisola italica dall'età del Bronzo fino all'VIII-VII secolo a.C., a seconda delle zone.

Tazza con ansa figurata, dalle Coste del Marano, fine X secolo a.C., Museo della preistoria del Lazio, Roma

La penisola italiana, rispetto alle culture già avviate nel Mediterraneo orientale, mantenne a lungo un carattere periferico e frammentato in tante civiltà diverse, legate da rapporti di vario genere.

Si indicano di solito due principali aree culturali: quella della pianura padana, in contatto con l'area nordeuropea e danubiana, e quella della penisola centro-meridionale, gravitante sul Mediterraneo. In queste macro-aree esiste un mosaico di popolazioni diverse. Il successivo periodo protostorico rientra nella cosiddetta arte italica.

Neolitico

Con il termine neolitico che, etimologicamente non ha un grande significato, poiché coniato in epoca ottocentesca secondo criteri puramente tecnologici di composizione e taglio dei manufatti litici, si suole indicare per convenzione un periodo della preistoria databile all’incirca tra il X e il VI millennio. Nel mondo europeo e africano il punto di partenza della neolitizzazione viene comunemente fissato alla fine del VII millennio e la sua conclusione al III con l’avvento dell’età del rame, cui seguiranno quelle degli altri metalli. Durante questo periodo si verificherà la prima grande rivoluzione umana: la scoperta dell’agricoltura e dell’addomesticamento di alcuni animali, oltre alla produzione della ceramica ed alla pratica della tessitura, che avranno come conseguenza primaria l’abbandono del nomadismo ed i ripari in grotta e lo stanziamento organizzato in villaggi. Prima della scoperta della scrittura avvenuta in Mesopotamia (attuale Iraq) ad opera dei Sumeri, una delle prime forme espressive di comunicazione dell’uomo arcaico (homo sapiens), oltre al linguaggio, è stata il graffito su pietra. In verità gli studiosi non sono concordi nell’attribuire questa priorità ai semplici graffiti su roccia o alle pitture parietali realizzate nelle grotte. Il 1° febbraio 1970 cinque membri del Gruppo Speleologico Salentino “P. De Lorentiis” di Maglie-Lecce in Puglia (S. Albertini, E. Evangelisti, I. Mattioli, R. Mazzotta e D. Rizzo) scoprirono una grotta naturale a Porto Badisco, una frazione di Otranto, lungo la litoranea salentina che porta a Santa Maria di Leuca. La Grotta si sviluppa lungo un percorso sotterraneo, di tre corridoi principali, pari a ca. 1500 m. Alla cavità ipogea (posta a 18 m nel sottosuolo) è dato il nome di Grotta dei Cervi per la presenza sulle pareti e sulle volte di circa 3000 pittogrammi in ocra rossa e guano nero di pipistrello raffiguranti molte scene stilizzate di caccia a cervidi, risalenti all’età neolitica e databili tra i 6.000 e i 5.000 anni addietro. Oltre alle scene venatorie, sono raffigurate immagini antropomorfe e zoomorfe stilizzate, oggetti d’uso, simboli magici e numerose forme geometriche emblematico-astratte sostanzialmente di difficile quanto impossibile decifrazione, anche se alcuni di essi ricorrono in tutto il mondo arcaico.


Il maggiore studioso dell’intero complesso pittorico della Grotta, Paolo Graziosi, a conclusione del suo lavoro di ricerca e di studio decennali, ha definito il sistema carsico del triplice sotterraneo  “un grande santuario, un luogo di culto… uno dei più importanti e grandiosi monumenti d’arte pittorica parietale postpaleolitica d’Europa”.  Oltre alla fondamentale consultazione della monografia  di Graziosi, Le pitture preistoriche della grotta di Porto Badisco, Firenze 1980, rist.anast. 2002, corredato da una esaustiva documentazione fotografica, e dello studio specifico sull’ambiente carsico ipogeo e sullo stato di conservazione delle pitture parietali di Fulvio Zezza, La Grotta dei Cervi sul Canale d’Otranto , Lecce 2003, sull’argomento è consultabile senza oneri il recente sito sul web  www.lagrottadeicervi.it  realizzato da Angelo Carcagni, secondo un metodo didattico-divulgativo e con una bibliografia essenziale aggiornata sul tema.

Il triplice sotterraneo, per non alterare il delicato microclima interno (umidità 92% - 100% e temp. 18°) che ha consentito per millenni la conservazione dei pittogrammi, e per evitare ad essi il triste destino di quelli di Lascaux ed Altamira depauperati dalle esalazioni di anidride carbonica dei visitatori e delle lampade a petrolio, è chiuso al pubblico ed agli stessi specialisti. Può essere tuttavia utile una visita al Museo di Paleontologia e di Paletnologia della vicina cittadina di Maglie che conserva, oltre a numerose illustrazioni, notevoli reperti trovati nell’antegrotta quali frammenti di ceramica, punte di lancia, oggetti in osso ed altro. Alla fine di novembre 2010 il Consorzio preposto (SIBA di Lecce, CASPUR di Roma, NRC del Canada, Soprintendenza Archeologia di Puglia, Comune di Otranto) ha presentato al pubblico la prima realizzazione parziale (Zona V del 2° corridoio) del progetto, avviato nel 2003, di ricostruzione tridimensionale e di visualizzazione stereoscopica e interattiva attraverso il teatro virtuale in 2D e 3D del triplice sotterraneo della Grotta. Nel frattempo è all’esame uno studio di prefattibilità da parte del Comune di Otranto per la realizzazione di un relativo Parco Archeologico, unitamente alla possibilità di una riproduzione fisica dei vani più significativi della Grotta dei Cervi, come si è fatto a Lascaux o ad Altamira.


  Lo stesso argomento in dettaglio: Incisioni rupestri della Val Camonica.

Risalgono a quest'epoca le prime incisioni rupestri della Val Camonica, che nel corso dei secoli sarebbero arrivate a contare oltre centoquarantamila petroglifi[1].

Civiltà villanoviana

 
Urna da Tarquinia con copertura ceramica a elmo, IX secolo a.C., Museo archeologico nazionale di Firenze
  Lo stesso argomento in dettaglio: Civiltà villanoviana.

Un momento di aggregazione si ebbe con la civiltà appenninica, che si originò in Italia meridionale diffondendosi poi verso nord. Da questa cultura nacque a cavallo tra l'età del bronzo e quella del ferro la cosiddetta civiltà villanoviana, dal nome della località Villanova presso Bologna, dove furono scavati i primi cospicui ritrovamenti.

L'area interessata da questa civiltà è molto vasta e va dalle regioni settentrionali, a all'area tosco-laziale, al Meridione, per cui si parla di una vera e propria koinè italica. Le varie popolazioni italiche infatti, sebbene probabilmente diverse per gruppo etnico e linguistico, adottarono un modello comune di rito per l'incinerazione, con l'uso di contenitori in terracotta con coperchio dalla caratteristiche simili.

I vasi cinerari si trovavano spesso in tombe a pozzetto, coperte da lastre di pietra e poste assieme a vari oggetti di uso comune.

 
Elmo bronzeo crestato da Veio, inizi VIII secolo a.C., Museo nazionale di Villa Giulia, Roma

La decorazione dei vasi seguiva semplici motivi geometrici e lineari impressi. Avevano la forma di due tronchi di cono ("biconici") con una ciotola rovesciata o un elmo bronzeo come coperchio. Le differenti coperture indicavano la classe sociale del defunto (agricoltore o guerriero). Per esempio l'urna con elmo da Tarquinia, al Museo archeologico nazionale di Firenze, presenta un elmo in lamina bronzea con un'alta cresta decorata da file sovrapposte di borchie, poste entro decorazioni a puntinatura. Grande abilità dei villanoviani fu infatti la fusione, laminazione e lavorazione a sbalzo dei metalli.

Vasi figurati

A partire dall'VIII secolo a.C. si trovano anche produzioni di vasi plastici, che negli esemplari migliori hanno forme ibride (askòi) antropomorfe e zoomorfe, come si riscontrano anche in area danubiana.

Doli e urne a capanna

 
Urna cineraria a capanna forse da Vulci, VII secolo a.C., Museo nazionale di Villa Giulia, Roma
 
Vaso a doppia ampolla dalla tomba Calabresi di Cerveteri, bucchero, 650 a.C., Museo gregoriano etrusco

Nel Lazio si ebbe una produzione peculiare dei "doli", contenitori di corredi, e urne funerarie a forma di capanna che riproducono la forma delle abitazioni. Numerosi doli sono stati scavati anche a Roma, come nella necropoli del tempio di Antonino Pio e Faustina.

Civiltà atestina

  Lo stesso argomento in dettaglio: Civiltà atestina.

Alcune zone mantennero un certo isolamento che causò una produzione di oggetti invariata in lunghi archi temporali, mentre altre zone furono particolarmente ricettive alle influenze esterne. Tra quest'ultime ci fu la cosiddetta civiltà atestina (da Este in provincia di Padova), detta anche "delle situle", dal nome degli oggetti tipici della sua produzione.

La situla Benvenuti è uno dei migliori esempi di questa produzione, con ornamenti animali (reali o fantastici), vegetali e geometrici, che dimostrano un'influenza orientale. Vi sono raffigurate anche scene con personaggi, dove si scorgono i primi intenti narrativi, con temi tipicamente locali come scene di commercio, di lotta, di vita rurale e di guerra.

Le situle sono diffuse in un ampio raggio, forse opera di artigiani itineranti con contatti con civiltà orientali più progredite, probabilmente tramite la mediazione dell'Etruria o delle colonie adriatiche della Magna Grecia o della penisola balcanica.

Influssi orientali

Le civiltà italiche, al contatto con le più progredite culture del Mediterraneo orientale (tra VIII e VII secolo a.C.), svilupparono fenomeni di adeguamento e una maggiore libertà espressiva. Vengono creati così oggetti più colti e raffinati, con più attenzione agli elementi naturalistici e alla ricerca formale (come i vasi a doppia ampolla di Cerveteri).

Civiltà nuragica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Civiltà nuragica.

Civiltà originale che si è sviluppata in Sardegna.

Note

  1. ^ Scheda Unesco, su whc.unesco.org. URL consultato il 01-04-2009.

Voci correlate

Il portale Preistoria non esiste