Rivoluzione egiziana del 2011
Le sommosse popolari in Egitto del 2011 costituiscono una successione di episodi violenti verificatisi in Egitto a partire dal 25 gennaio 2011. Il moto di protesta popolare egiziano, imperniato sul desiderio di rinnovamento politico e sociale contro il regime trentennale del presidente Hosni Mubarak, iniziato sotto forma di manifestazioni a carattere pacifico, ispirate a quelle recentemente organizzate in Tunisia (che hanno portato alla destituzione del capo dello stato Zine El-Abidine Ben Ali), ha poi assunto sviluppi violenti ed è sfociato in aspri scontri che hanno provocato numerose vittime tra manifestanti, poliziotti e militari.
Rivolta del 2011 in Egitto | |
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Proteste al Cairo il 25 gennaio
Il 25 gennaio venticinquemila manifestanti scendono in piazza nella capitale egiziana per chiedere riforme politiche e sociali, sul modello della "Rivoluzione del gelsomino" in Tunisia. La manifestazione si è poi trasformata in scontro aperto con le forze dell'ordine e ha lasciato sul terreno quattro vittime, tra cui un poliziotto.[1] Lo stesso giorno i principali social network, tra cui Twitter e Facebook, appaiono oscurati, secondo alcuni per iniziativa delle autorità per evitare che le notizie in diretta sulle proteste nel paese facciano il giro del mondo.[2]
Nuovi scontri il 26 gennaio
Nonostante il governo avesse vietato gli affollamenti, il giorno dopo le proteste nella capitale il "Movimento 6 aprile" e il gruppo "Khaled Sa'id"[3]) hanno animato le proteste del martedì, incoraggiando la popolazione ad avviare nuove manifestazioni pacifiche per le piazze. Il movimento di protesta si è assegnato la denominazione di "Rivoluzione egiziana dell'ira" in arabo ثورة الغضب المصرية?, Thawra al-ghadab al-misriyya. Oltre che al Cairo, intense proteste si sviluppano nel Sinai, ad Alessandria e in alcune località del delta del Nilo. A Suez, dove le proteste sono più violente, un gruppo di manifestanti appicca il fuoco al palazzo del governo e tenta di dare alle fiamme la sede locale del partito del presidente Mubārak. Fonti della sicurezza riferiscono che durante il giorno 26 gennaio sono state arrestate 500 persone. Un civile e un agente, inoltre, perdono la vita, mentre decine risultano i feriti.[4]
Il Times of India ha riportato che il figlio di Mubārak, Ğamāl, indicato come probabile successore del padre, sarebbe fuggito a Londra il 25 gennaio insieme alla moglie e ai figli. La notizia è stata però smentita da fonti aeroportuali.[4]
La rivolta si intensifica
Circa mille persone risultano in stato di fermo dall'inizio della protesta secondo fonti della sicurezza. Intanto per tutta la notte tra il 26 e il 27 gennaio, secondo l'emittente Al Jazeera, gli scontri nelle città egiziane non sono cessati. I fermati vengono accusati di manifestazione non autorizzata, danneggiamento di luoghi pubblici e di blocco stradale.[5][6] Il leader dell'opposizione Muhammad al-Barade'i intanto fa il suo ritorno in Egitto e annuncia di avere la volontà di sostenere la protesta e di essere pronto a guidare la transizione dopo la caduta di Mubārak se il popolo gli darà il consenso.[7] Lo stesso giorno al-Barade'i, in risposta alle parole del Segretario di stato americano Hilary Clinton che aveva definito "stabile" il governo di Mubarak, annuncia di essere "allibito e sconcertato" e chiede in una lettera al Daily Beast se con "stabilità" si intendesse riferirsi a "29 anni di leggi d'emergenza, a un presidente con un potere imperiale, a un Parlamento che è quasi una beffa, a una magistratura che non è indipendente".[6]
Mentre ad Ismailia, nel nord dell'Egitto, i manifestanti vengono dispersi dalla polizia, alla quale vengono contestati metodi illegittimi, al Cairo giungono altri 10 blindati e la borsa della capitale registra forti cali. Si decide anche per l'interruzione delle partite del campionato di calcio.[6][8]
A Suez alcuni edifici pubblici sono stati dati alle fiamme, tra cui una parte dell'ospedale pubblico. All'interno della città portuale 35 persone, fra cui 5 poliziotti, sono gravemente contuse, mentre i manifestanti danno fuoco ai blindati della polizia.[9]
Il timore, nel frattempo, di una fine prossima della dittatura del presidente egiziano viene considerata dai tradizionali sostenitori del governo egiziano (a partire da Stati Uniti, Italia, Francia e Germania) come foriera di una forte destabilizzazione per l'intero quadro politico del Nordafrica.[10]
Mubarak posto sotto pressione
Decine di migliaia di persone il 29 gennaio scendono in strada per chiedere che il presidente Mubārak abbandoni il potere, il giorno dopo che lo stesso presidente aveva annunciato in televisione in un discorso tenuto alla nazione che "le violenze di queste ore sono un complotto per destabilizzare la società".[11] Mubārak aveva inoltre affermato di aver chiesto al governo di dimettersi, con la promessa dell'incarico per l'indomani a un nuovo esecutivo.[12]
Il bilancio dei morti dall'inizio della rivolta sale a 100, anche se Al Jazeera ha parlato di 100 morti nella sola giornata di venerdì,[13] si verificano assalti ai ministeri nel Cairo ai quali la polizia e l'esercito oppongono raffiche di armi da fuoco, mentre la piazza principale della capitale è circondata dai carri armati dell'esercito, che intanto ha preso in mano la situazione.[14] Quando manifestazioni e scontri poi sono in atto in tutto il paese, in mattinata diversi detenuti di un carcere nei pressi della cittadella del Cairo, riescono a fuggire prendendo con sé tutte le armi in custodia dopo aver dato fuoco ai posti di guardia.[15] Il Museo egizio del Cairo subisce il saccheggio, nel corso del quale si registra anche la distruzione di due mummie faraoniche, nonché la sottrazione di diversi reperti.[16][17] Per le 16,00 del giorno 29 si fa ricorso alla misura del coprifuoco (esteso al Cairo, ad Alessandria e Suez), ma, nonostante gli appelli dell'esercito, i manifestanti ignorano volutamente tale disposizione e affollano le piazze, talvolta solidarizzando con gli stessi militari.[13]
Le dimissioni ufficiali dei ministri vengono presentate nel primo pomeriggio del 29 gennaio. Diverse ore dopo viene reso noto che il capo dei servizi segreti egiziani, ʿUmar Sulaymān, è stato nominato vice presidente della Repubblica, facendo quindi intravedere la concreta possibilità che a succedergli non sia più suo figlio Gamāl, bensì (secondo quanto stabilito dalla Costituzione) ʿUmar Sulaymān.[13]
Il bilancio delle vittime sale a 150 nella giornata del 30 gennaio.[18] Quando il presidente egiziano decide di attuare un nuovo giro di vite nel tentativo di porre sotto controllo la rivolta (rafforzando la presenza dei militari per le strade e ricorrendo maggiormente all'impiego di blindati e aerei militari che sorvolano la capitale), al-Barāde'i rinnova il proprio invito a Mubārak a lasciare la presidenza e si ripropone come nuovo leader del paese.[18] Il governo americano, intanto, per bocca del Segretario di stato Clinton e attraverso lo stesso presidente Barak Obama, fa sapere di appoggiare "una ordinata transizione verso un governo che sia in linea con le aspirazioni del popolo egiziano".[18]
Il 31 gennaio, nella speranza di calmare l'escalation della protesta, Mubārak dimette il suo gabinetto,[19] dando corso a un nuovo governo, tra i quali componenti figurano il Ten. Gen. 'Umar Sulayman, già nominato vice-presidente, Jabir Asfur come ministro della cultura,[20] Samir Ridwan ministro delle finanze,[21] l'ambasciatore Ahmad Abu l-Ghayt come ministro degli esteri, il feldmaresciallo Muhammad Husayn Tantawi ministro della difesa e il Maresciallo dell'Aria Ahmad Shafiq primo ministro. Diversi altri dicasteri, tra i quali quelli della Giustizia, dell'Istruzione e della Sanità sono lasciati vacanti.
Il cambiamento più rilevante è quello che riguarda il ministro degli Interni, additato come responsabile dell'uso delle armi da fuoco contro i manifestanti, sostituito con l'anziano generale Mahmūd Wajdī.
Il presidente dell'Assemblea del Popolo, il parlamento egiziano, Ahmad Fathi Surūr, fa sapere che sarà aperta un'inchiesta sulla regolarità delle contestate elezioni legislative del 2010 (vinte con netta maggioranza dal partito del raʾīs Mubarak), la cui dubbia legittimità ha rappresentato (insieme alla disoccupazione, specialmente giovanile, alla crescita vorticosa della corruzione del regime e all'interminabile stato di precarietà economica in cui è tenuto il paese) un elemento di crescente malcontento ed esasperazione nella popolazione.[22] [23]
Nel frattempo i numerosissimi manifestanti del Cairo, di ogni sesso e religione, sfidando il coprifuoco anticipato alle ore 15,00, lanciano l'invito affinché si raccolgano, in una mobilitazione generale, un milione di dimostranti nella sola Il Cairo.[24] I militari annunciano la propria decisione, sfidando l'autorità di Mubarak, di non usare la forza contro la popolazione che intenderà ancora dimostrare per richiedere la fine del potere del presidente.[25]
All'indomani della manifestazione svoltasi nella capitale alla quale, si viene a sapere, hanno partecipato due milioni di egiziani e dopo che Mubarak annuncia in televisione di voler aprire un dialogo con le opposizioni promettendo la libera scelta di colui che gli subentrerà alla carica di presidente e una riforma costituzionale, Barak Obama rinnova il proprio invito al raʾīs a lasciare la carica auspicando l'inizio immediato della transizione democratica.[26] [27]
Ripresa degli scontri
Il 2 febbraio, a dispetto degli inviti dei militari ad abbandonare l'occupazione di piazza Tharir, la gente decide di mantenere i presidi nel centro della capitale egiziana. Il coprifuoco viene ridotto di due ore, ma la tensione è ancora alta e scontri con numerosi feriti e diversi morti si verificano tra dimostranti a favore del presidente Mubarak e coloro che ne invocano le dimissioni.[28]
Altri progetti
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Note
- ^ In Egitto rivolta contro Mubarak Scontri, quattro morti, molti feriti gravi, in la Repubblica, 25 gennaio 2011. URL consultato il 29-1-2011.
- ^ TIZIANO TONIUTTI, Il Cairo, la rivolta è sul web. Oscurati Twitter e Internet, in la Repubblica, 25 gennaio 2011. URL consultato il 29-1-2011.
- ^ Così definito dal nome di Khāled Muhammad Saʿīd, ucciso il 6 giugno del 2010 dalle forze di sicurezza interne, nella regione alessandrina di Sīdī Jābir
- ^ a b Egitto, nuovi violenti scontri. Uccisi un civile e un agente, in la Repubblica, 26 gennaio 2011. URL consultato il 29-1-2011.
- ^ Egitto, almeno mille arresti, in ANSA, 27 gennaio 2011. URL consultato il 29-1-2011.
- ^ a b c El Baradei, allibito posizione Clinton, in ANSA, 27 gennaio 2011. URL consultato il 29-1-2011.
- ^ Scontri nel Sinai, ucciso manifestante È tornato El Baradei: "Sto col popolo", in la Repubblica, 27 gennaio 2011. URL consultato il 29-1-2011.
- ^ Egitto: disordini a Ismailia, in ANSA, 27 gennaio 2011. URL consultato il 29-1-2011.
- ^ Egitto: ucciso manifestante nel Sinai, in ANSA, 27 gennaio 2011. URL consultato il 29-1-2011.
- ^ Vincenzo Nigro, Egitto, le paure della diplomazia "Se salta Mubarak cade il Nord Africa", in la Repubblica, 28 gennaio 2011. URL consultato il 29-1-2011.
- ^ Egitto: Mubarak, violenze sono complotto, in ANSA, 28 gennaio 2011. URL consultato il 29-1-2011.
- ^ Redazione online, Mubarak: «Basta violenze, subito un nuovo governo», in Corriere della Sera, 29 gennaio 2011. URL consultato il 29-1-2011.
- ^ a b c Redazione online, Egitto, nuova giornata di scontri La polizia apre il fuoco sui manifestanti, in Corriere della Sera, 29 gennaio 2011. URL consultato il 29-1-2011.
- ^ Vincenzo Nigro, Il Cairo, 50mila in piazza: "Mubarak via" Assalti ai ministeri, 100 morti nella rivolta, in la Repubblica, 29 gennaio 2011. URL consultato il 29-1-2011.
- ^ Egitto, quasi 100 i morti Polizia apre il fuoco, in ANSA, 29 gennaio 2011. URL consultato il 29-1-2011.
- ^ (EN) Looters destroy mummies during Egypt protests, ABCnews, 29 gennaio 2010
- ^ Fabio Scuto, Mummie a fuoco nel museo violato "Non toccate la nostra storia", in la Repubblica, 30 gennaio 2011. URL consultato il 31-1-2011.
- ^ a b c El Baradei: "Pronto a presidenza", in ANSA, 30 gennaio 2011. URL consultato il 30-1-2011.
- ^ (EN) CNN Wire Staff, Mubarak hangs on to power as protests, looting convulse Egypt, in CNN, 30 gennaio 2011. URL consultato il 2-2-2011.
- ^ (EN) Egypt's New Government Announced On State TV, in The Huffington Post, 1º gennaio 2011. URL consultato il 2-2-2011.
- ^ (EN) Alaa Shahine, Egypt Names Radwan Finance Minister in New Cabinet, Replaces Boutros-Ghali, in Bloomberg, 31 gennaio 2011. URL consultato il 2-2-2011.
- ^ (EN) Timeline: Egypt protests, in ABC News, 31 gennaio 2011. URL consultato il 1-2-2011.
- ^ Redazione, Elezioni in Egitto: trionfo di Mubarak. L’opposizione denuncia brogli e intimidazioni, in Panorama, 1º dicembre 2010. URL consultato il 1-2-2011.
- ^ Egitto: parte marcia del 'milione', in ANSA, 1º febbraio 2011. URL consultato il 1-2-2011.
- ^ Egitto, esercito: non useremo violenza, in ANSA, 31 gennaio 2011. URL consultato il 1-2-2011.
- ^ Egitto: Mubarak, non mi ricandido, in ANSA, 1º febbraio 2011. URL consultato il 2-2-2011.
- ^ Obama pressa Mubarak: 'Transizione cominci ora', in ANSA, 2 febbraio 2011. URL consultato il 2-2-2011.
- ^ Scontri tra manifestanti. Morti in piazza Tahrir, in ANSA, 2 febbraio 2011. URL consultato il 2-2-2011.