Un metallocarbonile è un complesso formato da un metallo di transizione e da molecole di monossido di carbonio (CO). I metallocarbonili omolettici, che cioè contengono solo ligandi CO, sono genericamente indicati come M(CO)n, mentre quelli che contengono anche altri ligandi sono indicati come M(CO)nLm.

Metallocarbonile terminale e cluster metallocarbonilici

Si tratta generalmente di composti volatili e tossici, tossicità dovuta in parte alla formazione di carbossiemoglobina che non è in grado di legare l'ossigeno.[1] Tendono ad avere carattere apolare e ad essere incolori, ad eccezione dei metallocarbonili polinucleari che possono assumere colorazione variabile.

Tra i principali utilizzi spicca quello come catalizzatori in sintesi industriali.

Cenni storici

Il primo metallocarbonile fu sintetizzato da Ludwig Mond, Carl Langer e Friedrich Quincke nel 1890[2] I tre chimici scoprirono il tetracarbonilnichel durante le loro ricerche riguardanti la corrosione subita dalle valvole di nichel in contatto con gas contenenti CO.

Struttura

 
Struttura a bipiramide trigonale del pentacarbonilferro

La formazione dei metallocarbonili rispetta generalmente la regola dei 18 elettroni, che corrisponde tipicamente alla condizione di massima stabilità dovuta al riempimento degli orbitali. Ad esempio, il cromo possiede 6 elettroni di valenza e necessita quindi di altri 12 elettroni: legandosi con 6 molecole di CO, ciascuna delle quali porta un contributo di 2 elettroni di valenza, forma il composto Cr(CO)6 con 18 elettroni sistemati negli orbitali a maggior carattere legante. Gli elementi dei gruppi 9 e 10 della tavola periodica tendono frequentemente a formare metallocarbonili con 16 elettroni di valenza, come nel caso di Ni(CO)4.

Il CO si lega all'atomo metallico tramite un legame σ e una retrodonazione π.

 

Il ligando dona elettroni utilizzando i suoi orbitali HOMO con simmetria σ. Il legame del complesso viene rafforzato dalla sovrapposizione degli orbitali d del metallo con il LUMO π* del CO. Quest'ultimo legame ha l'effetto di delocalizzare la densità elettronica dal metallo verso il ligando CO, il che spiega la prevalenza di numeri di ossidazione del metallo nulli o negativi. Il popolamento degli orbitali antileganti π* indebolisce il legame all'interno del monossido di carbonio.

Generalmente i metallocarbonili possiedono una struttura simmetrica in accordo con la teoria VSEPR. I complessi polinucleari, che cioè contengono più centri metallici, come nel caso di Mn2(CO)10, formano dei cluster[1][3] che vengono descritti indicando il numero di centri legati a ponte (utilizzando la lettera μ con a pedice il numero di atomi metallici) e l'apticità del monossido di carbonio (ovvero il numero di atomi utilizzati per il legame, si specifica con η2 quando è implicato anche l'atomo di ossigeno).

Metodi di indagine

I principali metodi di indagine sulla struttura dei metallocarbonili si basano sulla spettroscopia IR e sulla spettroscopia NMR C13. La maggioranza delle bande di stiramento del CO cade tra i 2100-1700 cm-1. Al crescere della carica diminuisce la frequenza di stiramento. A titolo illustrativo, si osservi la tabella riportata sotto.[4][5]

Metallocarbonile νCO (cm-1)
CO(g) 2143
[Mn(CO)6]+ 2090
Cr(CO)6 2000
[V(CO)6]- 1860
[Ti(CO)6]2- 1750

Nei cluster all'aumentare del numero di atomi metallici si osserva una diminuzione della frequenza di stiramento, corrispondendo anche l'aumento dei centri metallici a un ulteriore indebolimento del legame nel CO. Ciò è utile a distinguere il legame -C≡O terminale. Oltre alla frequenza a cui si registrano i picchi è utile anche osservare il numero di bande rilevabili dallo spettro IR, essendo tale numero legato al grado di simmetria del complesso.

Utile alla determinazione della struttura dei metallocarbonili è anche la spettroscopia NMR 13C, in quanto dal relativo spettro è possibile differenziare i ligandi CO non equivalenti. Il nucleo 13C del CO terminale risulta più schermato.

Note

  1. ^ a b Elschenbroich, C. ”Organometallics” (2006) Wiley-VCH: Weinheim. ISBN 978-3-29390-6
  2. ^ .Shriver, p. 501
  3. ^ P. J. Dyson, J. S. McIndoe, Transition Metal Carbonyl Cluster Chemistry, Gordon & Breach: Amsterdam (2000). ISBN 9056992899.
  4. ^ Nakamoto, Infrared and Raman spectra of inorganic and coordination compounds, Wiley, New York (1986)
  5. ^ Frerichs, S.R.; Stein, B.K.; Ellis, J.E.; J. Amer. chem. Soc., 109, 5558 (1987)

Bibliografia

  • D.F. Shriver, P.W Atkins; C.H. Langford, Chimica inorganica, Zanichelli, 1993, ISBN 9788808126245.

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