Prima guerra civile in Libia
Le sommosse popolari in Libia del 2011, note altresì come Rivoluzione del 17 febbraio, sono un ampio moto di protesta che coinvolge i maggiori centri della Cirenaica, tra cui Bengasi, Beida e Derna, tramutatosi in scontro aperto tra manifestanti e polizia. La rivolta è esplosa sul modello di quelle recentemente organizzate in Tunisia, Egitto, Algeria, Bahrein, Yemen, Giordania e altri stati mediorientali, mossa dal desiderio di rinnovamento politico contro il regime quarantennale del presidente della Jamāhīriyya Muammar Gheddafi, salito al potere il 1º settembre 1969 dopo un colpo di stato che condusse alla caduta della monarchia filo-occidentale del re Idris.
| Sommosse popolari in Libia del 2011 | |
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Contesto
L'importanza delle risorse naturali
La Libia, un paese ben al di sopra degli standard economici degli altri vicini come Tunisia e Egitto, dove le sommosse popolari scoppiate nello stesso periodo hanno portato alla cacciata dei due presidenti, Ben Ali e Hosni Mubarak, non è rimasta esente dal vento della rivolta che in numerosi altri paesi del mondo arabo ha scatenato violenti sommovimenti.[1]
La rivolta libica, secondo Lucio Caracciolo, "è figlia dell'emulazione", in quanto "dopo che le piazze di Tunisi e del Cairo hanno infranto la barriera della paura, i meccanismi di autocensura tendono a saltare in tutta la fascia islamica, segnata dalla prevalenza demografica delle nuove generazioni".[1] In Libia, in base a quanto affermato dallo storico Angelo Del Boca, "non si può parlare veramente di rivolta del pane", di cui invece si è trattato negli altri stati coinvolti nella protesta nei quali il fattore di innesco è apparso per molti aspetti l'aumento del livello dei prezzi dei generi alimentari.[2][3] Il reddito procapite della popolazione, inoltre, è attestato a 11.307 dollari l’anno, un parametro più elevato rispetto agli altri stati del Maghreb (cinque volte superiore a quello egiziano).[4]
Il petrolio, risorsa della quale il paese è il primo possessore africano (in cui Eni è presente nelle attività di esplorazione e produzione non solo del petrolio ma anche del gas naturale dal 1959), seguito da Algeria e Nigeria, costituisce la risorsa più importante del paese e principale fonte di ricchezza, i cui proventi riguardano la quasi totalità delle entrate fiscali.[2][4] Per riserve di gas la Libia è invece al quarto posto nel continente africano e solo quindicesima nella classifica mondiale.[4] L'Italia è beneficiaria di circa il 60 % del gas e del 32 % del petrolio estratti sul totale e rappresenta il primo partner commerciale del paese.[4] A dispetto, tuttavia, delle condizioni economiche del paese, il contagio della rivolta nordafricana e mediorientale si è rivelato inevitabile, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni analisti secondo i quali la Jamāhīriyya "avrebbe resistito all’effetto domino che la caduta del presidente tunisino Ben Ali sembrava aver scatenato in tutto il mondo arabo".[5]
Divisioni interne
La genesi e l'evoluzione del moto di protesta e della susseguente repressione, hanno risentito della forte divisione interna alla Libia. Ad accentuare gli effetti della recrudescenza della sollevazione, infatti, sono risultati non secondari la frammentazione del paese tra tribù (se ne contano 140, tra cui 30 le maggiori), talvolta ostili all'unità della nazione, nonché lo iato molto forte tra la parte tripolitana e del Fezzan, fedeli al leader, e quella cirenaica, "storico focolare dell'opposizione al regime di Gheddafi".[2][5][6]
Dopo la conquista dell'indipendenza nel 1951 e gli incarichi di controllo amministrativo attribuiti dalla monarchia alle varie tribù, queste ultime si conquistarono ruoli di primo piano all'interno della politica libica.[7] Successivamente, con la presa del potere da parte di Gheddafi, uno dei primi passi del consolidamento del regime fu la sottrazione del potere che la monarchia aveva demandato ai clan. L'impostazione ideologica del dittatore, inoltre, imponeva il passaggio dalla sclerosi di una società fossilizzata nelle tradizioni e nei riti clanici, alla nuova età del socialismo reale che, attraverso la "dittatura delle masse" (Jamahiriya), conducesse al superamento dell'intermediazione dei partiti e delle tribù per assegnare al popolo (malgrado solo virtualmente) il potere decisionale.[7]
Nel corso della rivolta contro Gheddafi sono stati i clan ad essersi sollevati, a differenza di quanto avvenuto durante l'insurrezione in Egitto, dove l'apporto dei giovani intellettuali assieme alla classe operaia nel sostenere la fine del regime di Mubarak è apparsa più incisiva e pressante di quanto non sia avvenuto nella sedizione libica.[8] Né l'esercito ha giocato un ruolo chiave come nel vicino Egitto, in quanto esso si è diviso o nel solidarizzare con i rivoltosi o nel mostrare lealtà al regime.[8] Alle divisioni di natura etnica, si aggiungono quelle ideologiche tra gli oppositori del regime e i "rivoluzionari", eredi degli artefici della rivoluzione del 1969, organizzati nei "comitati". Costoro, che costituiscono la componente più vicina al rais, sono osservanti del libro verde del colonnello e si incaricano della "diffusione del pensiero Jamahiriano nel mondo".[8] All'interno degli stessi comitati tuttavia si segnala una frangia più moderata, vicina alle posizioni riformiste di uno dei figli di Gheddafi, Seif al Islam. Accanto ai fedelissimi del regime e ai riformisti una terza componente precipua della consorteria al comando della Libia è rappresentata dai tecnocrati, gruppo elitario che cura gli interessi economici e finanziari del paese e che interagisce con le multinazionali estere nella gestione delle risorse naturali. [8]
La rivolta
Primi scontri
Il 16 febbraio scontri fra manifestanti scontenti per l'arresto di un attivista dei diritti umani da una parte, polizia e sostenitori del governo dall'altro scoppiano nella città di Bengasi. In tutto il Paese, nel frattempo, secondo i media ufficiali, si tengono manifestazioni a sostegno del governo del leader Muammar Gheddafi.[9]
Di 2 morti e decine di feriti sarebbe il bilancio delle vittime a Bengasi, dove le forze dell'ordine fanno ricorso a armi da fuoco per disperdere i rivoltosi.[10]
Il risultato degli scontri a Beida, terza città libica, tra manifestanti antigovernativi e polizia è invece di almeno 9 morti (secondo altri di 13), in occasione dei quali la reazione delle forze di sicurezza libica, sarebbe stata molto dura, mentre il direttore dell'ospedale Al Jala di Bengasi, dove scontri si sono registrati nella notte e per tutta la mattina, Abdelkarim Gubeaili, riferisce che "38 persone sono state ricoverate per ferite leggere" in seguito agli incidenti nella città.[11][12][13]
La "giornata della collera"
Il 17 febbraio altre 6 persone rimangono uccise in accesi conflitti a Bengasi. I siti di opposizione Al Yum e Al Manara parlano di almeno sei morti e 35 feriti. Testimoni riferiscono che sarebbero avvenute vere e proprie esecuzioni da parte delle forze di polizia.[14] Nella stessa giornata del 17 febbraio, in occasione della quale viene proclamata la "giornata della collera", milizie giunte da Tripoli a Beida, nell'est della Libia, secondo l'organizzazione Human Rights Solidarity, colpiscono i manifestanti causando almeno 15 morti e numerosi feriti.[15]
Battaglie a Beida e Bengasi
Il 18 febbraio gli scontri proseguono mentre il bilancio delle vittime viene aggiornato a 24 morti e decine di feriti, secondo Human Rights Watch.[16] La città di Beida, secondo quanto dichiarato da Giumma el-Omami del gruppo "Libyan Human Rights Solidarity", sopraffatte le forze di sicurezza, cade sotto il controllo dei manifestanti. Lo stesso 18 febbraio la conta dei morti nel corso della "giornata della collera" sale a cinquanta, secondo fonti dell'opposizione, che nella medesima giornata ha condotto per le strade migliaia di manifestanti contro il regime di Muammar Gheddafi in almeno otto città libiche, secondo l'agenzia Misna.[17] Quando le forze di opposizione prendono il controllo dell'aeroporto di Bengasi, l'edizione online del quotidiano Oea, vicino a Sayf al-Islam, uno dei figli del colonnello Gheddafi, riporta la notizia che tre mercenari assoldati per reprimere le proteste sono stati impiccati durante le sommosse contro il regime a Beida.[17]
Evasioni dalle carceri e rivolte nei penitenziari si registrano a Tripoli e Bengasi. Numerosi prigionieri evadono nella mattinata del 18 febbraio dalla prigione al-Kuifiya a Bengasi, a seguito di una rivolta, mentre sei detenuti rimangono uccisi dalla Polizia libica nella repressione di una ribellione nel carcere di Jadaida a Tripoli.[18][19]
Secondo il giornale online Oea le città di Bengasi e Derna, nelle quali ci sono stati in totale 27 morti, vengono occupate dai rivoltosi e l'esercito riceve l'ordine di lasciare le località. I familiari di Gheddafi intanto, abbandonata Beida, si dirigono a Sebha, dove secondo fonti non accertate sarebbero decedute 14 persone nei passati giorni di proteste.[20]
In totale dall'inizio delle proteste secondo Amnesty International sono 46 le persone rimaste uccise per mano delle forze libiche.[21]
Mentre il bilancio dei morti sale a 84 il 19 febbraio, secondo stime dell'organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch, le proteste si allargano a coinvolgere l'intero paese in base a quello riportato dall'emittente Al Jazeera.[22][23] Nelle stesse ore le rivolte si intensificano anche nella vicina Algeria, in Bahrein e Kuwait. Molti dei decessi registrati in Libia sarebbero concentrati nella sola città di Bengasi, città tradizionalmente poco fedele al leader libico e più influenzata dalla confraternita islamica della Senussia.[1] L'intera Cirenaica risulta in stato di fermento più che nel resto del paese, in cui Gheddafi ha saputo cementare negli anni un consenso più diffuso.[1] La rete internet inoltre risulta nella stessa giornata disattivata in tutto il paese.[23]
Uno dei figli del dittatore libico, Saad Gheddafi, rimane assediato a Bengasi da manifestanti che intendono trarlo in arresto.[24] Saad, e altri uomini fedeli al colonnello, riescono tuttavia a fuggire dall'albergo nel quale erano prigionieri, ma restano ancora bloccati nella città. [25]Per liberare Saad Gheddafi, il governo invia un commando composto da 1500 uomini della sicurezza guidati del genero del leader libico, Abdullah Senoussi.[25]
Al Jazeera riferisce che, in serata, le guardie del colonnello aprono il fuoco contro un corteo funebre a Bengasi, uccidendo circa quindici persone.[26]
Il ricorso ai mercenari stranieri
Il giorno dopo gli accesi scontri a Bengasi, dove mercenari di origine africana reclutati dal regime per soffocare la rivolta hanno aperto il fuoco contro i manifestanti, il numero dei morti nella città ribelle, secondo fonti citate dal quotidiano libico Quryna, si attesta intorno alle 24 persone.[27] Secondo altre fonti, non ufficiali, riportate da Al Jazeera, la conta sarebbe di molto superiore, con 250 morti causati dalla repressione attuata nella sola Bengasi.[28][29] I mercenari sono in larga parte miliziani arrivati in Libia attraverso il Ciad dalla regione occidentale del Sudan, già distintisi per le atrocità compiute in Darfur nel corso dell'omonima guerra.[30] La repressione è affidata anche a mercenari serbi, ex componenti dei "Berretti Rossi", il corpo istituito dal leader serbo Slobodan Milošević, con legami con la Legione straniera. [30] Le milizie ricevono 30.000 dollari per ogni giorno di combattimenti al fianco del regime e 10.000-12.000 per ogni manifestante ucciso. [31]
Il reperimento delle informazioni e il riscontro agli echi degli eventi che giungono dal paese risulta molto difficoltoso a causa del blocco posto dalle autorità alla rete internet.[32] In serata il bilancio delle vittime aumenta, giungendo a lambire le 300 vittime, quando si registrano ancora scontri nella città di Bengasi, dove il ricorso a soldati prezzolati africani ha provocato un numero molto elevato di morti.[33] La città principale della Cirenaica è contesa tra rivoltosi e esercito regolare che in seguito sarà costretto al ripiegamento.[5] Il sito informativo libico "Libya al-Youm" denuncia che "i militari inviati dal regime libico per reprimere i manifestanti di Bengasi stanno usando in queste ore armi pesanti contro le persone riunite davanti al tribunale cittadino" come razzi Rpg e armi anti-carro.[33]
I disordini si allargano a Tripoli
Il 21 febbraio la rivolta si allarga anche a Tripoli, centro nevralgico del potere del dittatore libico Gheddafi. Nella capitale, in seguito a violenti scontri, viene dato fuoco anche alla sede della televisione di stato, a stazioni di polizia e a diversi edifici pubblici.[34]
Mentre nella città principale della Libia si raccolgono un milione di persone e incidenti furiosi si verificano con la polizia che continua illegittimamente a fare fuoco sui ribelli, caccia militari dell'aviazione libica ricevono l'ordine di effettuare dei raid contro i manifestanti che provocano, secondo alcune stime, 250 morti nella sola Tripoli. [35][36]Il ministro della giustizia si dimette per protesta contro le violenze indiscriminate, mentre non si hanno notizie certe su dove si trovi realmente Gheddafi, che il ministro degli esteri britannico William Hague, a margine del vertice dell'Unione europea in corso a Bruxelles, ha dato per fuggito in Venezuela.[36][37] Il vice-ambasciatore libico presso le Nazioni Unite richiede un intervento internazionale contro quello che definisce "un genocidio" perpetrato dal regime di Gheddafi contro il popolo libico.[38]
Defezioni da parte delle tribù e dell'esercito
Nella notte Gheddafi appare in televisione in un filmato di appena 22 secondi per smentire le voci sulla sua partenza. [39] Crescono intanto le divisioni in seno alle istituzioni e all'apparato militare, sempre più lacerati tra lealisti e favorevoli a un colpo di mano contro il colonnello. [39] Eni chiude intanto il gasdotto Greenstream, che trasporta dalla Libia alla Sicilia un grosso quantitativo di gas naturale. L'Aviazione esegue nuovi attacchi dal cielo contro gli insorti nelle strade.[40]
Mentre le forze di opposizione mantengono il controllo delle città orientali del paese, forze di sicurezza fedeli al colonnello nelle strade della capitale mantengono il controllo del territorio. Oltre alle città principali della Cirenaica, Bengasi e Sirte, città natale del colonnello, anche larga parte del sud del paese finisce in mano agli insorti.[2] Alcune delle principali comunità tribali del paese (tra cui Tebu, Tuareg, Zawiya e Warfalla), componenti fondamentali della società libica e fattori di instabilità dell'unità della nazione (che il dittatore libico ha saputo tenere a bada nei decenni), dichiarano che combatteranno al fianco dei civili per cacciare Gheddafi.[2][41][5][6] Per Angelo Del Boca, storico del colonialismo italiano, "se in Tripolitania queste tribù si associano alla rivolta, la fine è vicina".[2]
In un lungo discorso alla nazione, Gheddafi, stringendo in mano il libro verde, elencante i principi del credo politico del colonnello, annuncia con veemenza che "chi attacca la costituzione merita la pena di morte, la meritano tutti coloro che cercano attraverso la forza o attraverso qualsiasi mezzo illegale di cambiare la forma di governo" e prosegue dicendo che "non ho dato l’ordine di sparare sulla gente, ma se sarà necessario lo farò e bruceremo tutto".[42] Il ministro francese per gli Affari europei Laurent Wauquiez definisce il discorso televisivo tenuto dal leader libico "spaventoso" per "la violenza usata nelle sue parole" e per "la mancanza totale di una prospettiva politica".[43] Il dittatore conferma di trovarsi a Tripoli e attacca i servizi segreti degli stati esteri con riferimento all'intelligence USA, ritenuta dal regime spalleggiatrice della rivolta; lancia strali anche contro l'Italia, primo partner commerciale, accusata di aver fornito dei razzi ai manifestanti.[44][4] Giunge però la smentita del ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, che definisce l'affermazione del colonnello una "purissima falsità che lascia sgomenti e sbigottiti".[45]
Gli scontri si concentrano nell'ovest
Altre città dell'est del paese e ormai anche della Tripolitania, compresi grossi centri come Misurata e Tobruch, finiscono sotto il controllo dei rivoltosi e non si avverte la presenza di forze di sicurezza, già in via di ripiegamento.[46][47][48] Numerose migliaia di stranieri abbandonano in fretta il paese soccorsi dai mezzi degli stati di appartenenza.[48] Citando un membro della Corte Penale Internazionale, Al Arabiya attraverso Twitter riferisce che sono almeno 10.000 le uccisioni e 50.000 i ferimenti avvenuti in una settimana di guerra civile.[48]
Si moltiplicano intanto i casi di insubordinazione da parte dei militari, segno di una sempre più incalzante perdita di potere di Gheddafi: due caccia del tipo Sukhoi Su-22 sono stati fatti precipitare dopo che i piloti, eiettandosi fuori dal velivolo prima che venisse distrutto, rifiutano l'ordine di bombardare Bengasi; due navi alle quali era stato dato l'ordine di bombardare la città insorta non eseguono gli ordini e si rifugiano in acque maltesi.[49] Nello stesso giorno Malta rifiuta l'atterraggio all'aeroporto di Luqa di un ATR 42 della Libyan Airlines con 42 persone a bordo, tra cui Aisha Gheddafi, figlia del dittatore, con la motivazione di "non creare un precedente"; il governo del Libano, inoltre, sostiene che la notte tra il 20 e il 21 febbraio sono pervenute altre richieste di asilo dalla famiglia Gheddafi, anch'esse rifiutate.[50]
Prima controffensiva del regime
Mentre le forze ribelli controllano ancora buona parte del paese (Saad Gheddafi, secondogenito del colonnello, assicura invece che il regime controlla ancora l'85% del paese), giungendo ad assumere anche il controllo di Zuara, città ad appena un centinaio di chilometri ad ovest di Tripoli, l'esercito di mercenari al soldo di Gheddafi, insieme a pezzi delle forze armate ancora fedeli al rais, lancia l'offensiva contro Ez Zauia, roccaforte filo-governativa a 40 chilometri dalla capitale.[51] [52][53] Anche Misurata è presa di mira dalle forze lealiste che fanno ricorso massiccio ad armi pesanti e al supporto dall'aviazione militare.[52] Nel frattempo l'organizzazione di al-Qaida nel Maghreb interviene con un messaggio in sostegno alla rivolta del popolo libico, affermando: "Gheddafi è un assassino, sosteniamo la rivolta degli uomini liberi, nipoti di Omar al-Mukhtar".[52]
Dopo gli aumenti del prezzo del petrolio dei giorni precedenti, il costo del greggio continua la sua salita, sospinta dall'incertezza e dalla caoticità della situazione nella regione nordafricana e in Medio Oriente.[53] Il Fondo Monetario Internazionale, oltretutto, rivede al rialzo le stime sui prezzi del petrolio per l'anno 2011.[53]
Gheddafi tiene un nuovo discorso via telefono alla nazione. Il dittatore, ormai isolato e chiuso in un bunker sotterraneo a Tripoli accerchiato da pochi fedelissimi, accusa Bin Laden di "traviare i giovani" e afferma che il leader di al-Qaeda "ha distribuito stupefacenti agli abitanti di Ez Zauia per farli combattere contro il paese".[54] Gheddafi minaccia anche di chiudere i pozzi petroliferi, paventando l'abbassamento dei "salari e degli altri redditi".[55] Le città di Ez Zauia e Misurata, oggetto della controffensiva del regime in mattinata, sono al centro di aspri conflitti tra truppe ancora fedeli al rais e forze ribelli. A Sebha, nel sud del paese, e a Sabratha, vicino Tripoli, si registrano combattimenti che vedono gli uomini del colonnello sempre più incapaci di rintuzzare l'onda ribelle.[55]
All'interno della comunità internazionale si affaccia l'ipotesi di un intervento militare a carattere umanitario da parte della Nato, poi smentita dal segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen, al termine dei colloqui avuti a Kiev con il presidente ucraino Viktor Yanukovych[56] L'intervento di Rasmussen arriva dopo che il leader cubano Fidel Castro aveva accusato gli Stati Uniti e le Nazioni Unite di essere pronti a invadere il paese nordafricano per difendere i propri interessi petroliferi.
I rivoltosi raggiungono i dintorni di Tripoli
Nella mattina del 25 febbraio, le forze ribelli conquistano definitivamente la città di Misurata.[57] Successivamente, i rivoltosi iniziano la battaglia per Tripoli, di cui, nel pomeriggio, riescono a conquistare l'aeroporto.[57] Quando la morsa si fa più stretta sulla capitale, dove il colonnello rimane asserragliato nel suo bunker insieme ad alcuni figli, Saif al Islam, secondogenito del rais, riferisce in un intervista televisiva che "il piano A è di vivere e morire in Libia, il piano B è di vivere e morire in Libia, il piano C è di vivere e morire in Libia".[57]
Mentre nell'est del paese si festeggia il primo venerdì di preghiera a Bengasi, libera dopo oltre quarantanni dal controllo del regime e governata da un comitato di giudici e avvocati, prosegue l'emorragia di membri dell'establishment che abbandonano il dittatore: anche il procuratore generale e uno dei più stretti collaboratori del colonnello, Ahmed Kadhaf Al Dam, si uniscono agli insorti.[58][57] Anche il più giovane dei figli di Muammar Gaddafi, Saif al-Arab, si unisce alla rivolta. [59]
Verso sera, Muammar Gheddafi arringa la folla riunita alla piazza Verde di Tripoli, esortandola a prepararsi a combattere per difendere la Libia e preannunciando di essere in procinto di mettere a disposizione del popolo i depositi di armi. Il colonnello incita la gente che ancora lo sostiene affermando che è stata "la rivoluzione ad aver piegato il regno d'Italia in Libia".[60]
Secondo il sito israeliano Debkafile, centinaia di consulenti militari statunitensi, britannici e francesi, inclusi agenti dei rispettivi servizi segreti, raggiungono la Cirenaica per aiutare i rivoltosi.[59] I consulenti, sbarcati a Bengasi e Tobruk, hanno lo scopo di organizzare i rivoltosi in unità paramilitari, addestrandoli all'uso delle armi, di preparare l'arrivo di altre unità militari e di aiutare i comitati rivoluzionari a stabilire infrastrutture governative.[59]
Secondo quanto riferisce la tv satellitare al Arabiya presente a Ez Zauia i ribelli sono ormai in pieno controllo del centro della cittadina, situata nella zona occidentale della Libia, tuttavia le forze fedeli a Gheddafi la circondano ancora. Esponenti dell'opposizione libica presenti a Bengasi annunciano il 27 febbraio la nascita di un Consiglio Nazionale Libico, che coordinerà le attività dei gruppi di rivoltosi e governerà le aree della Libia liberate dal regime di Muammar Gheddafi.[61]
Il 28 febbraio, il colonnello Rasheed Rajab, che ha defezionato dal regime con il suo reggimento, riferisce alla stampa che sono in corso preparativi per lanciare l'attacco sulla capitale libica e che i militari e le forze ribelli dispongono di tutto l'equipaggiamento necessario, blindati e sistemi antiaerei, per sostenere un'offensiva.[62] Il colonnello conferma anche che gran parte della zona orientale fino al confine con l’Egitto è in mano ai rivoltosi.
La notte del 1° marzo, a Misurata, secondo un portavoce dei "Giovani della rivoluzione del 17 febbraio", diverse persone rimangono uccise dopo che forze fedeli a Gheddafi aprono il fuoco su un veicolo di civili.[63] Il regime intanto, che rafforza il confine con la Tunisia attuando posti di blocco per garantirsi uno sbocco per la fornitura di armi e uomini, all'inizio di marzo continua a mantenere il controllo della capitale e del circondario di Tripoli, mentre nel resto del paese non detiene più alcuna autorità e perde anche la gestione dei principali campi petroliferi libici, oltreché dei maggiori giacimenti di gas e petrolio in corso di sfruttamento.[64][65]
Nuova controffensiva del regime
Forze fedeli al leader libico, all'interno del quadro di un progetto di recupero dell'egemonia in Cirenaica, il 2 marzo riprendono il controllo, sebbene solo per un breve periodo, di Marsa Brega, città dell'est della Libia.[66] [67]
Controffensive alle città prese dai rivoltosi da parte dei sostenitori del regime si prolungano per tutta la giornata del 2 marzo nelle città di Marsa El Brega (al centro per tutto il giorno di aspri scontri) e ad Agedabia, con l'utillizo di mezzi pesanti tra cui carri armati e caccia bombardieri. Il regime fa ricorso anche ai bombardamenti per riprendere la città di Brega, 700 km a est di Tripoli, zona di impianti petrolchimici. I ribelli, esposti soprattutto agli attacchi dall'alto richiedono l'aiuto della comunità internazionale e l'istituzione di una no fly zone per impedire agli aerei del regime di alzarsi in volo. [68] [69][70]
Il 3 marzo si diffonde la notizia di una trattattiva di pace avviata attraverso la mediazione e l'iniziativa di Hugo Chavez. Gheddafi si dice favorevole al piano, mentre il segretario generale della Lega araba, ʿAmr Mūsā, afferma di prendere in esame la proposta.[71] Mustafa Gheriani, portavoce del Consiglio nazionale declina però ogni proposta di trattativa.[72]
I ribelli, intanto, respingono definitivamente l'attacco lealista al terminal petrolifero di Brega, mentre il leader libico invia minacce alle potenze straniere sul fatto che si rischierebbe un nuovo Vietnam qualora si verificasse un intervento Nato a supporto dei sediziosi.[71] Ai confini con la Tunisia, nel frattempo, da giorni si accalcano migliaia di persone, in gran parte profughi e gente in fuga dalle violenze, in attesa di poter varcare il confine.[73] Secondo alcune cifre, si tratterebbe di 60.000 persone. In Europa, e in Italia soprattutto, si teme l'arrivo in massa di rifugiati di nazionalità tunisina e egiziana per la maggior parte già presenti in Libia.[73] Per prevenire tale eventualità il governo italiano avvia una missione umanitaria in Tunisia inviandovi Croce Rossa, Protezione civile e Vigili del fuoco (protetti da militari), che allestiscono un campo profughi per dare assistenza a coloro che scappano dal territorio libico.[73]
Il 4 marzo, forze fedeli al colonnello Muammar Gheddafi riconquistano Zawiyah, città situata in posizione strategica ad appena 50 chilometri di Tripoli, anche se sacche di resitenza resistono nella città. Si continuano a registrare bombardamenti presso la base militare di Ajdabiyah in mano ai ribelli, che nel frattempo riconquistano lo scalo aereo di Ras Lanuf, uno dei principali centri petroliferi del paese.[74][75][76][77] In un distretto di Tripoli, intanto, l'esercito spara contro una folla di contestatori, mentre in altre parti della capitale avvengono scontri fra manifestanti fedeli e contrari a Gheddafi. Secondo Al Jazeera, nella giornata del 4 marzo si contano almeno 50 vittime in tutto il paese.[78]
Il 5 marzo, l'esercito di Gheddafi sferra l'ennesimo attacco alla città di Ez Zauia, ricorrendo a carri armati e mortai, mentre i ribelli continuano l'avanzata verso ovest e, dopo aver conquistato il piccolo agglomerato costiero di Bin Jawad, puntano verso Sirte, città natale del leader libico.[79] [80] Il giorno successivo prosegue la battaglia a Zauia: i governativi, dopo aver bombardato con i mortai il centro cittadino, entrano al mattino nella città appoggiati dai blindati, provocando un alto numero di uccisioni che, secondo alcune fonti, sarebbero 200. L'esercito riconquista anche la zona attorno Bin Jawad, rimasta scarsamente presidiata dalle forze rivoluzionarie. Nelle stesse ore la televisione di stato dirama la notizia di un accordo per la fine delle ostilità, raggiunto nella notte tra Gheddafi e i capi di alcune tribù, poi rivelatosi fasullo.[81][82] [83][84]
Ras Lanuf è di nuovo al centro degli attacchi aerei e terrestri dell'esercito e dell'aviazione al servizio del regime che conduce una massiccia offensiva nell'est del paese per strapparlo al controllo dei ribelli. [85][86] Bombardamenti si verificano anche a Agedabia, una delle principali località della Cirenaica in mano ai ribelli.[87] L'8 marzo Zauia è di nuovo attaccata dalle forze armate rimaste fedeli al colonnello Gheddafi, mentre Ras Lanuf in mattinata è raggiunta da quattro raid aerei e Zenten è posta sotto assedio dai governativi. A Bin Jawad intanto la popolazione è alle prese con le conseguenze della battaglia dei giorni precedenti. In totale, secondo stime delle organizzazioni umanitarie, 200.000 persone sono state obbligate a mettersi in salvo dalle violenze.[88][89]
Proposta di via d'uscita a Gheddafi
L'8 marzo i ribelli propongono a Gheddafi di lasciare il potere entro 72 ore in cambio dell'improcedibilità al processo che potrebbe vedere il dittatore imputato per crimini contro l'umanità.[90] Il giorno dopo, mentre Gheddafi interviene sulla tv nazionale paventando un allargamento del caos "a tutta la regione, fino a Israele, qualora l'organizzazione terroristica di Bin Laden dovesse conquistare la Libia", Zawiya capitola di fronte all'imponente schieramento di forze governative, che entrano nella città impiegando una cinquantina di carri armati. A Misurata, invece, l'esercito di Gheddafi avanza, ma i ribelli oppongono una forte resistenza; a Ras Lanuf e Bin Jawad la battaglia infuria ancora.[91][92] Nel corso dei bombardamenti a Ras Lanuf vengono colpiti i depositi di greggio, mentre la raffineria di Zawiya chiude per l'intensificarsi della battaglia. [93] Dallo scoppio della rivolta in Libia la produzione petrolifera si riduce a meno di un terzo, dai precedenti 1,6 milioni di barili al giorno a 500.000.[94]
Reazioni internazionali
La risposta violenta alla rivolta civile da parte di Gheddafi è stata duramente condannata dalla comunità internazionale. Il regime di Muammar Gheddafi perde l'appoggio di alcuni dei suoi più importanti diplomatici libici in Europa e nel mondo, tra cui l'ambasciatore in Italia, gli ambasciatori a Parigi, Londra, Madrid e Berlino e i diplomatici presso l'Unesco e l'Onu.[95][59]
La maggior parte degli stati occidentali condanna gli avvenimenti e le minacce di chiudere i pozzi di petrolio, anche se nessuno interviene ufficialmente. L'UE procede intanto all'attuazione di sanzioni contro la Libia di Gheddafi. [96] [97] Il 26 febbraio il presidente degli Stati Uniti Barack Obama firma una serie di sanzioni contro la Libia, tra cui il congelamento dei beni di Muammar Gheddafi e dei suoi familiari.[98]
L'Unione europea infine il 28 febbraio decide le sanzioni contro il regime di Gheddafi: il Consiglio europeo, attraverso i ministri dell'Energia dei 27 stati membri, approva l'embargo sulle armi stabilito dalla risoluzione Onu del 26 febbraio, aggiungendo anche l'embargo su tutti quegli strumenti che il regime potrebbe utilizzare nella repressione della rivolta in Libia. Inoltre, il Consiglio aggiunge il congelamento dei beni e restrizioni sui visti per lo stesso leader Gheddafi e 25 dei suoi familiari e persone della cerchia.[99]
Intanto le marine di numerosi stati, tra cui gli USA e Inghilterra, si posizionano nel Mediterraneo nell'eventualità di un attacco. Gli Stati Uniti studiano un piano d'azione per intervenire, valutando la possibilità di un attacco preventivo per neutralizzare le postazioni contraeree. In caso venga dichiarata una No-fly zone sui celi libici si predispone la portaerei Enterprise con il probabile appoggio della stessa marina italiana. Il ministro della Difesa La Russa dichiara che potrebbe essere utilizzata la stessa Sicilia come punto strategico per far rispettare l'embargo.[100] [101] [102]
Il procuratore Luis Moreno-Ocampo della Corte Penale Internazionale annuncia l'apertura di una inchiesta per crimini contro l'umanità in Libia, mentre Barack Obama sostiene di prendere in considerazione l'opzione militare affermando che "ciò di cui voglio essere sicuro è che gli Stati Uniti abbiano una piena capacità di azione, potenzialmente rapida, se la situazione dovesse degenerare in modo da scatenare una crisi umanitaria". [103] [104] [105] L'Interpol diffonde un'allerta internazionale a tutte le polizie mondiali per facilitare le operazioni della Corte Penale Internazionale e l'attuazione delle sanzioni ONU. [106] [107] [108]
Il 9 marzo prosegue il pressing degli Stati Uniti sull'ONU per la decisione dell'attuazione di una zona di divieto di sorvolo sui cieli libici. [109] Il vicepresidente Usa, Joe Biden, giunge a Mosca allo scopo di persuadere la Russia, contraria ad un attacco contro Gheddafi, a dare il consenso alla realizzazione della no-fly zone, che richiederebbe il ricorso allo stato di guerra contro Tripoli, primo passo informale verso l'apertura di un fronte di terra con l'obiettivo di sostenere i ribelli libici e disarcionare Gheddafi. [110][111]
Il 17 marzo il consiglio di sicurezza dell'ONU discute una seconda proposta di no-fly zone, avanzata dalla Francia, già aperta sostenitrice dei ribelli, che viene approvata a tarda sera[112].
La risoluzione consente ogni mezzo, tranne l'occupazione militare, per proteggere i civili ed imporre un cessate il fuoco. Il Regno Unito si è dichiarato pronto a mobilitare l'aeronautica entro poche ore.
Note
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<ref>non valido; il nome "profuconftunis" è stato definito più volte con contenuti diversi - ^ Libia, proteste a Tripoli. Forze Gheddafi sparano, in reuters, 04 marzo 2011. URL consultato il 4 marzo 2011.
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- ^ Libia, l’opzione militare resta sul tavolo, in euronews, 04 marzo 2011. URL consultato il 4 marzo 2011.
- ^ La battaglia per rovesciare il regime non si ferma. Allerta dell'Interpool per Gheddafi., in info OGGI, 05 marzo 2011. URL consultato il 7 marzo 2011.
- ^ Libia nel caos. I ribelli controllano Brega. Allerta Interpol su Gheddafi. Napolitano: si fermi la violenza, in Il Sole 24ore, 05 marzo 2011. URL consultato il 7 marzo 2011.
- ^ LIBIA: ALLERTA INTERPOL SU GHEDDAFI E 15 ALTRI...(ANSA), in Dago Spia, 05 marzo 2011. URL consultato il 7 marzo 2011.
- ^ LIBIA: CLINTON, DECISIONE SU 'NO-FLY ZONE' SPETTA A ONU E NON AGLI USA, in asca, 09 marzo 2011. URL consultato il 9 marzo 2011.
- ^ Gheddafi invia uomo al Cairo per Lega araba, Obama e Cameron preparano la no-fly zone, in ilsole240re, 09 marzo 2011. URL consultato il 9 marzo 2011.
- ^ La trappola dell’intervento, in Limes, 08 marzo 2011. URL consultato l'8 marzo 2011.
- ^ Onu: sì all'uso della forza contro Gheddafi Juppé detta i tempi: «Questione di ore», in Corriere della Sera, 18 marzo 2011. URL consultato il 18 marzo 2011.
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