In fisica, il principio di complementarità descrive quella particolare caratteristica per cui il duplice aspetto, corpuscolare e ondulatorio, dei fenomeni che avvengono a livello atomico e subatomico non può mai essere osservato contemporaneamente durante lo stesso esperimento.

Fu enunciato da Niels Bohr nel Congresso internazionale dei Fisici del 1927, tenutosi a Como in occasione del centenario della morte di Alessandro Volta, per conciliare il dualismo onda corpuscolo delle particelle elementari osservato nella meccanica quantistica.

Corpuscoli e onde

Fino alla fine del 1800 le leggi della meccanica di Newton descrivevano il mondo macroscopico, non solo dei fenomeni meccanici, ma anche di quelli termici e acustici, mentre per i fenomeni elettromagnetici si ricorreva alle leggi di Maxwell. Perciò fenomeni meccanici e ondulatori rimanevano sostanzialmente distinti. Quando però si iniziò a studiare il mondo su piccola scala, ci si rese conto delle contraddizioni che questa suddivisione comportava: mentre la diffrazione degli elettroni evidenziava l'aspetto ondulatorio delle particelle, che quindi mostravano di possedere entrambi i comportamenti validando l'ipotesi di de Broglie, l'effetto fotoelettrico e lo spettro del corpo nero potevano essere spiegati solo ammettendo che le onde elettromagnetiche fossero formate da corpuscoli la cui energia veniva assorbita ed emessa in pacchetti fissi (quanti), detti poi fotoni.

Descrizione della complementarità

Bohr elaborò varie versioni di complementarità: l'originale era tra la rappresentazione spazio-temporale e la causalità, cui affiancò quella tra la rappresentazione corpuscolare e ondulatoria. Trovandosi di fronte ad una "contraddizione", la considerò solo apparente e la risolse postulando che i due aspetti, corpuscolare e ondulatorio, non sono solo complementari in senso concettuale, ma che non possono essere osservati contemporaneamente in quanto escludentisi a vicenda: l'osservazione dell'uno preclude cioè quella dell'altro.

La situazione viene così descritta da Heisenberg[1]: anche se esiste un corpo di leggi matematiche "esatte", queste non esprimono relazioni tra oggetti esistenti nello spazio-tempo; è vero che approssimativamente si può parlare di "onde" e "corpuscoli", ma le due descrizioni hanno la stessa validità. Per converso, la descrizione cinematica di un fenomeno necessita dell'osservazione diretta; ma poiché osservare significa interagire, ciò preclude la validità rigorosa del principio di causalità.

In altre parole:

1) o descriviamo i fenomeni nello spazio-tempo, ma dovendo tener conto delle limitazioni date dal principio di indeterminazione;

2) o usiamo relazioni causali espresse da leggi matematiche, ma allora la descrizione nello spazio-tempo diventa impossibile.

Note

  1. ^ Werner Heisenberg, The Physical Principles of Quantum Mechanics, Dover Publications, 1930.

Voci correlate

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