Strage di via D'Amelio

attentato mafioso compiuto a Palermo il 19 luglio 1992

Template:Strage La strage di via d'Amelio fu un attentato di stampo mafioso messo in atto il pomeriggio del 19 luglio 1992 a Palermo in cui persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino e la sua scorta. L'attentato segue di due mesi la strage di Capaci, in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone, segnando uno dei momenti più tragici nella lotta alla mafia.[1]

L'esplosione, avvenuta in via Mariano d'Amelio dove viveva la madre di Borsellino e dalla quale il giudice quella domenica si era recato in visita, avvenne per mezzo di una Fiat 126 contenente circa 100 chilogrammi di tritolo.[2][3]

Secondo gli agenti di scorta, via d'Amelio era una strada pericolosa, tanto che era stato chiesto di procedere preventivamente ad una rimozione dei veicoli parcheggiati davanti alla casa, richiesta però non accolta dal comune di Palermo, come rilasciato in una intervista alla RAI da Antonino Caponnetto.

Oltre a Paolo Borsellino morirono gli agenti di scorta Agostino Catalano (caposcorta), Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto è Antonio Vullo, risvegliatosi in ospedale dopo l'esplosione, in gravi condizioni. La bomba venne radiocomandata a distanza ma non è mai stata definita l'organizzazione della strage, nonostante il giudice fosse a conoscenza di un carico di esplosivi arrivato a Palermo appositamente per essere utilizzato contro di lui. Si sospetta che il detonatore che ha provocato l'esplosione sia stato azionato dal Castello Utveggio.[4]

Dopo l'attentato, l'"agenda rossa" di Borsellino, agenda che il giudice portava sempre con sè e dove annotava i dati delle indagini, non venne ritrovata. Sul luogo dell'attentato giunse immediatamente il deputato ed ex-giudice Giuseppe Ayala che abitava nelle vicinanze[1].

Indagini

 
In via D'Amelio un albero è stato posto a memoria del luogo dell'uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta.

Nel luglio 2007, a pochi giorni dal quindicesimo anniversario della strage, la Procura di Caltanissetta ha aperto un fascicolo per scoprire se persone legate agli apparati deviati del SISDE possano avere ricoperto un ruolo nella strage.[5][6]

In quell'occasione è stata pubblicata una lettera aperta del fratello del giudice Borsellino, Salvatore, indirizzata all'ex-Ministro degli Interni Nicola Mancino. Tale lettera, intitolata 19 luglio 1992: Una strage di stato, ipotizza che l'allora Ministro degli Interni Mancino fosse a conoscenza della causa dell'omicidio di Borsellino. In un passaggio si legge infatti:

«Chiedo al senatore Nicola Mancino, del quale ricordo negli anni immediatamente successivi al 1992 una lacrima spremuta a forza durante una commemorazione di Paolo a Palermo, di sforzare la memoria per raccontarci di che cosa si parlò nell'incontro con Paolo nei giorni immediatamente precedenti alla sua morte. O spiegarci perché, dopo avere telefonato a mio fratello per incontrarlo mentre stava interrogando Gaspare Mutolo, a sole 48 ore dalla strage, gli fece invece incontrare il capo della Polizia Parisi e il dottor Contrada, incontro dal quale Paolo uscì sconvolto tanto, come raccontò lo stesso Mutolo, da tenere in mano due sigarette accese contemporaneamente... In quel colloquio si trova sicuramente la chiave della sua morte e della strage di Via D'Amelio[7][8]»

Gaspare Mutolo era un pentito della mafia, Bruno Contrada, ex numero tre del SISDE, è stato condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.

Altri fatti, citati nella lettera di Salvatore Borsellino, misero in questione l'operato del Ministero degli Interni guidato allora da Mancino: la presenza in via D'Amelio di un poliziotto trasferito alcuni mesi prima alla questura di Firenze perché colluso con un gruppo di spacciatori di droga, e la presenza in Via D'Amelio dell'allora capitano dell'Arma dei Carabinieri Arcangioli, visto allontanarsi dal luogo della strage con in mano la borsa di Paolo Borsellino appena estratta dai rottami della Fiat Croma blindata nella quale sedeva il giudice qualche istante prima dell'esplosione. Secondo i familiari e i colleghi di Borsellino, questa borsa conteneva un'agenda che il giudice utilizzava per annotare le considerazioni più private sulle sue indagini e colloqui.[5][9]

A fronte delle critiche sul suo operato all'epoca della strage di via D'Amelio, Mancino sostenne di non ricordarsi di nessun incontro con il giudice nel mese di luglio 1992 e mise in dubbio l'attendibilità del pentito Mutolo. Salvatore Borsellino replicò con un'altra lettera aperta:

«In merito alla persistenza delle lacune di memoria del sen. Mancino sull'incontro con Paolo Borsellino del 1° luglio 1992, evidenti dalla sua risposta alle mie dichiarazioni e preoccupanti per chi è stato chiamato alla vicepresidenza del CSM, ritengo mio dovere fargli notare quanto segue. Se è vero che le dichiarazioni di un pentito come Gaspare Mutolo non possano assumere da solo valore probatorio se non suffragate da solidi riscontri è anche vero che di riscontro ne esiste almeno uno, e incontrovertibile, dato che è siglato dallo stesso Paolo Borsellino. Nella sua seconda agenda, quella grigia in possesso dei suoi familiari, che, essendo stata lasciata a casa da Paolo il 19 luglio non ha potuto essere sottratta come quella rossa, Paolo ha annotato: 1° luglio ore 19:30 : Mancino. In quanto alla credibilità dello stesso Mutolo, il quale riferisce la frase di Paolo durante l'interrogatorio: 'devo smettere perché mi ha chiamato il ministro, manco mezz'ora e torno...', devo ricordare al sen. Mancino che è proprio grazie alle dichiarazioni di Gaspare Mutolo che il dott. Contrada, funzionario del SISDE, ha potuto essere condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione. Inoltre lo stesso Vittorio Aliquò [procuratore aggiunto alla procura di Palermo] ha dichiarato di aver accompagnato Paolo fino alla soglia dell'ufficio di Mancino, ed è impossibile credere che lo stesso non possa ricordare di avere incontrato non un qualsiasi magistrato tra i tanti che quel giorno venivano a complimentarsi per la sua nomina, ma un giudice ad estremo rischio di vita che in quei giorni era al centro dell'attenzione di tutti gli Italiani[10]»

In seguito alle indagini del consulente Gioacchino Genchi si accertò la presenza di una sede coperta del SISDE sul Monte Pellegrino, che sovrasta Palermo e via Mariano d'Amelio, all'interno del Castello Utveggio che ospita il Cerisdi, un centro di ricerche e studi manageriali. La circostanza fu scoperta dall'analisi del tabulato telefonico del numero 0337962596, intestato al boss Gaetano Scotto, che chiamò un'utenza fissa del SISDE installata proprio in quel castello. Suo fratello, Pietro Scotto, per conto della società Sielte, compì lavori di manutenzione sull’impianto telefonico della palazzina di via D'Amelio. Lavori necessari, si scoprì successivamente, per intercettare abusivamente la linea telefonica della madre del giudice Borsellino e quindi ottenere la conferma del suo arrivo nel pomeriggio del 19 luglio 1992. Dal castello Utveggio il SISDE scompare subito dopo l'inizio delle indagini. Quella stagione, poi, fu segnata anche da un'altra discussa vicenda giudiziaria, scaturita in una condanna definitiva a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa, che vide coinvolto il numero tre del SISDE, Bruno Contrada.[11]. A proposito della sede dei servizi sul Monte Pellegrino aveva parlato anche Totò Riina il 22 maggio 2004, al processo tenutosi a Firenze per la strage di via dei Georgofili. [12][13]

Nel luglio 2009, in occasione del diciassettesimo anniversario della strage, Massimo Ciancimino ha annunciato che avrebbe consegnato ai magistrati il "papello", una sola pagina a firma di Totò Riina che conterrebbe le condizioni poste dalla mafia allo Stato[14]. Nella stessa occasione, Totò Riina ha riferito al suo avvocato di non essere coinvolto nella strage di via d'Amelio. Il boss ha dichiarato parlando al suo legale:

«L'hanno ammazzato loro. Lo può dire tranquillamente a tutti, anche ai giornalisti. Io sono stanco di fare il parafulmine d'Italia»

Il legale ha poi diffuso una nota che interpreta queste dichiarazioni:

«Il signor Riina ha voluto, tramite me, rappresentare la sua convinzione: cioè che l'attentato a Borsellino fu opera di personaggi legati alle istituzioni.»

La stessa nota, tuttavia, smentisce che Riina abbia partecipato a una trattativa fra Stato e mafia:

«Con riferimento alla cosiddetta trattativa che sarebbe stata condotta tramite i signori Ciancimino, Vito e Massimo, Riina intende far presente che già diversi anni fa era stata la sua difesa a chiedere che venisse esaminato in aula Massimo Ciancimino, senza però ottenere tale prova, in maniera inspiegabile ancor più alla luce degli odierni approfondimenti.»

L'avvocato, intervistato dal quotidiano La Repubblica dichiara:

«Abbiamo parlato della trattativa. Riina sostiene che è stato oggetto e non soggetto di quella trattativa di cui tanto si è discusso in questi anni. Lui sostiene che la trattativa è passata sopra di lui, che l'ha fatta Vito Ciancimino per conto suo e per i suoi affari e insieme ai carabinieri: e che lui, Totò Riina, era al di fuori. Non a caso io, come suo difensore, proprio al processo per le stragi di Firenze già quattro anni fa ho chiesto che venisse ascoltato Massimo Ciancimino in aula proprio sulla trattativa. Riina voleva che Ciancimino deponesse, purtroppo la Corte ha respinto la mia istanza.»

Note

  1. ^ Marco Letizia, Borsellino, 10 anni fa la strage di via D'Amelio, in Corriere della Sera, 19 luglio 2002. URL consultato il 16-03-2010.
  2. ^ Giovanni Bianconi, Il pentito e le stragi La nuova verità che agita l'antimafia, in Corriere della Sera, 22 aprile 2009. URL consultato il 17-03-2010.
  3. ^ Rita Di Giovacchino, Il libro nero della prima Repubblica, prefazione di Massimo Brutti, con un'intervista a Giovanni Pellegrino, I ed., Roma, Fazi Editore (collana Le Terre n° 59), 2003, p. 445, ISBN 88-8112-407-6.
  4. ^ Francesco Viviano, Strage via D' Amelio, nuovo indagato, in la Repubblica, 24 dicembre 2004, p. 01. URL consultato il 16-03-2010.
  5. ^ a b Cristina Bassi, Strage di via D’Amelio: 15 anni dopo, ancora troppi dubbi, in Panorama, 19 luglio 2007. URL consultato il 16-03-2010.
  6. ^ Attilio Bolzoni; Francesco Viviano, Mafia e servizi, telefonate e carte sparite ecco gli indizi nelle inchieste, in la Repubblica, 18 luglio 2009. URL consultato il 16-03-2010.
  7. ^ Il fratello di Borsellino: «Mancino ora sveli perché incontrò Paolo», in Il Giornale, 17 luglio 2007. URL consultato il 16-03-2010.
  8. ^ Salvatore Borsellino, Strage in via D´Amelio, sono troppi i segreti, in Il Cittadino, 06 dicembre 2008. URL consultato il 16-03-2010.
  9. ^ Chicco Alfano, Quell'agenda rossa di Paolo Borsellino... luci ed ombre sulla strage di via D'Amelio, in Ammazzateci tutti, 19 luglio 2007. URL consultato il 17-03-2010.
  10. ^ Salvatore Borsellino, La replica al Sen.Mancino, 17 luglio 2007. URL consultato il 17-03-2010.
  11. ^ Pizzini segreti
  12. ^ http://www.avvenire.it/Multimedia/AudioGallery/audio+rina.htm
  13. ^ http://www.avvenire.it/Cronaca/Stragi+di+mafia+i+vecchi+veleni+di+Riina_200907250655320500000.htm
  14. ^ Attilio Bolzoni; Francesco Viviano, Ciancimino jr, l'ultimo segreto "Patto mafia-Stato, ecco la prova", in la Repubblica, 14 luglio 2009. URL consultato il 16-03-2010.
  15. ^ La Stampa e La Repubblica del 19 luglio 2009
  16. ^ Marcello Zinola, Parla Riina:«Delitto di Stato» In pochi alla cerimonia, in Il Secolo XIX, 19 luglio 2009. URL consultato il 17-03-2010.
  17. ^ Riina.- « SPACEPRESS

Bibliografia

  • Maurizio Torrealta, Antonio Ingroia, La trattativa. Mafia e stato: un dialogo a colpi di bombe, Editori riuniti, 2002
  • Rizza Sandra Lo Bianco Giuseppe, L' agenda rossa di Paolo Borsellino, editore Chiarelettere, 2007 (collana Reverse).

Collegamenti esterni

Voci correlate