Marineria veneziana

Il destino e le sorti della città di Venezia e della Serenissima Repubblica furono, per tutti gli undici secoli della loro storia, inestricabilmente legate a quelle della loro marineria.
Cresciuta tra le lagune affacciate sull'Adriatico, da sempre rivolta ai traffici col Levante mediterraneo, Venezia fondava la propria forza commerciale e la sicurezza militare sulla potenza della propria flotta, divenuta, alla fine del Medioevo, tanto potente da fronteggiare per secoli le forze dell'immenso Impero ottomano.
Ancora una delle prime forze navali al mondo, anche per tutto il lungo declino avviatosi alla fine del XVI secolo, la fine della marina veneziana coincise con la resa della città alle truppe di Napoleone.
L'evoluzione della marineria veneziana
Le origini della marineria veneziana vanno ricercate nella tradizione navale prima romana e poi bizantini. Di questi ultimi Venezia era infatti in origine prima vassalla e poi alleata e delle loro tecniche navali e militari si avvalse. In quest'epoca non esisteva una vera e propria distinzione tra marina mercantile e da guerra. Tutte le navi dovevano essere pronte, all'occorrenza essere in grado di difendersi da eventuali aggressioni e, nel caso di veri e propri conflitti, le navi e gli equipaggi mercantili erano radunati e rinforzati a formare la flotta da guerra. Finita l'emergenza, la flotta si disperdeva, tornando ad occuparsi dei commerci. Tuttavia esistevano già due tipologie di vascelli, l'una a destinazione prettamente militare e l'altra prevalentemente mercantile:
- La nave sottile, derivata dalle triremi romane che già da un millennio costituivano le imbarcazioni principe del Mediterraneo.
- La nave tonda, direttamente derivata dall'oneraria romana. Si trattava di una grossa nave ad alto bordo, con più ponti e forme tozze, mossa prevalentemente a vela ed ideale per un redditizio trasporto di grandi quantità di carico. Tuttavia questo tipo di nave era limitata nella navigazione dalla direzione dei venti e risultavano più vulnerabili agli assalti nemici, anche se in caso di guerra poteva essere utilizzata come supporto per la flotta di navi sottili.
Verso la fine del IX secolo fece la sua comparsa il principale strumento di potenza di Venezia:
- La galea sottile: una nave agile e sottile, ad unico ponte, mossa all'occorrenza da remi o da vele latine. Si trattava di navi scomode, prive di ripari per l'equipaggio, costretto a vivere all'aperto, in quanto l'intero spazio della stiva era destinatao al già magro carico trasportabile. Tuttavia il numero di uomini imbarcati, la velocità, la manovrabilità in combattimento e la possibilità di navigare anche contro vento od in sua mancanza, la rendevano una nave sicura, ideale per la guerra e per il trasporto delle merci più preziose. Lunga circa 45 m e larghe 5 m, per circa 25 banchi di rematori.
Le cronache citano però numerosi altri tipi di navi:
- la galandria o zalandria, galee ad un albero, dotate di un castello;
- la palandria, altro tipo di galea da guerra;
- il dromone, piuttosto simile alla coeva versione bizantina, ma spesso di maggiori dimensioni, con due ponti e alte torri utili agli assedi marittimi, recava sifoni armati col temibile fuoco greco, un liquido incendiario in grado di bruciare sull'acqua, la cui composizione non era nota agli altri popoli occidentali ed ai musulmani;
- la gumbaria, menzionata ai tempi di Pietro II Candiano;
- l'ippogogo, utilizzata per il trasporto di truppe a cavallo;
- il buzo, grande galea da guerra e da commercio, dotata di due o tre alberi, da cui sarebbe derivato il Bucintoro;
- il brulotto;
- il gatto.
Con queste navi Venezia combatté a fianco di Bisanzio contro Arabi, Franchi e Normanni e, a partire dal 1000, conquistò il predominio sull'Adriatico, sottomettendo Narentani e Dalmati.
La marineria veneziana tra il XII secolo e la prima metà del XV secolo
Nel XII secolo, i crescenti interessi commerciali in Oriente seguiti alle ampie concessioni bizantine contenute nella Crisobolla di Alessio I Comneno e alle Crociate, per le quali Venezia forniva servizi di trasporto e sostegno militare, portarono alla prima grande rivoluzione per la marineria veneziana: la costruzione dell'Arsenale.
In questo grande cantiere pubblico vennero concentrate tutte le attività collegate alla costruzione e al mantenimento della flotta, sotto il rigido controllo dello Stato. La stessa proprietà delle galee passò alla mano pubblica, che provvedeva poi ad organizzare regolari spedizioni commerciali, le mude, nelle quali i privati si limitavano ad affittare gli spazi per il trasporto delle merci.
Il Duecento si aprì con la conquista del dominio d'oltremare a seguito della Quarta Crociata, che, con la conquista di Costantinopoli nel 1204, trasformò poi Venezia nella principale potenza marittima del Mediterraneo orientale, dotando le sue flotte di una fitta rete di basi, colonie ed interessi. Venne sviluppato anche un nuovo tipo di galea, utile a servire nelle mude:
- La galea grossa da merchado ("da mercato"), con maggiori dimensioni rispetto al naviglio "sottile", a scapito delle qualità marinare, ma a tutto vantaggio delle capacità mercantili. Si trattava in pratica di un compromesso tra funzione militare e commerciale, che rendeva la galea "grossa" particolarmente utile ad un redditizio trasporto delle merci preziose scambiate con l'Oriente. Era lunga circa 50 m e larga 7, per circa 25 banchi di rematori.
Contemporaneamente, il definitivo declino del potere ducale e la stabilizzazione della forma repubblicana dello Stato, portarono in quest'epoca a sottrarre progressivamente al Doge la designazione dei comandanti militari, che passò al Maggior Consiglio, assumendo la definitiva forma mantenuta poi nei secoli successivi. Inoltre, la necessità di difendere la condizione di padrona dei mari appena conquistata e la crescente conflittualità con le altre potenze marittime di Genova e Pisa spinse la città lagunare a mantenere sempre più spesso e più a lungo in servizio flottiglie militari.
Sin dal 1268, praticamente unica a quel tempo, Venezia si dotò di una flotta militare permanente, per il controllo dell'Adriatico: per i Veneziani semplicemente il Golfo. Attraverso questa forza navale la Repubblica impose la propria autorità su quel mare, che essa percepiva come proprio, pattugliandolo, ispezionando le navi di passaggio ed assaltando tutte quelle ritenute come ostili.
Nel Trecento l'introduzione di nuove tecniche costruttive, del timone centrale (in precedenza le navi venivano mosse da due timoni laterali) e della bussola magnetica, invenzione probabilmente proveniente dalla Cina (è del 1295 il rientro di Marco Polo dai suoi viaggi), modificò radicalmente il modo di andare per mare.
È questo il secolo del conflitto mortale con Genova, sfociato nella Guerra di Chioggia, dove la salvezza di Venezia risiedette probabilmente nell'incredibile capacità di recupero consentitale dal suo Arsenale, che fu in grado, in pochissimo tempo, di ricostituire la flotta perduta e contrattaccare. Già a quest'epoca, infatti, il grande cantiere conservava stabilmente almeno una cinquantina di scafi in disarmo sempre pronti per essere immediatamente allestiti e armati.
Agli inizi del Quattrocento si diffuse poi l'uso di un nuovo tipo di nave, sviluppato nel Mare del Nord dalle flotte della Lega Anseatica e diffusosi poi al resto d'Europa, adottato da Venezia soprattutto per gli scambi con il Nord:
- La cocca, una grande nave tonda adatta a reggere bene anche i difficili mari settentrionali. Queste navi, nelle costruzioni veneziane, presentavano una pronunciata forma a goccia dello scafo, più largo verso prua e più stretto a poppa, oltre che un alto castello prodiero.
Seconda metà del XV secolo-XVIII secolo
Una nuova fase per la marineria veneziana si apre nel 1453, con la caduta di Costantinopoli e l'avvio del plurisecolare confronto con i Turchi.
Di fronte alla crescente minaccia per i propri possedimenti marittimi, Venezia si trovò di fronte alla scelta di costituire una vera e propria marina da guerra permanente, con decine di galee operative in tempo di pace ed una forza approntabile di più di cento galee in caso di guerra. Il mantenimento in efficienza e l'amministrazione di una simile forza navale richiedeva un intenso sforzo organizzativo, che venne deputato ad una nuova magistratura: il Magistrato alla Milizia da Mar (1545), incaricato della costruzione e mantenimento delle navi e dell'artiglieria, dell'approvvigionamento del biscotto[1] ed in generale dei viveri, delle armi e della polvere da sparo, del reclutamento degli equipaggi e della fornitura del soldo.
Contemporaneamente, la diffusione delle armi da fuoco portò progressivamente ad armare le galee non più col tradizionale fuoco greco, ma con artiglierie posizionate a prua ed in grado di sparare nella direzione d'avanzo della nave. Nello stesso periodo vennero sviluppati nuovi tipi di nave:
- Il brigantino, piccola e veloce nave, simile alla galea, per servizi di scorta e trasporto. Lungo circa 20 m e largo 3 m, per circa 14 banchi.
- La galeotta, piccola nave simile alla galea, ma più veloce e manovriera. Lunga circa 25 m e larga 4 m, per circa 15 banchi.
- La fusta, piccola galea sottile. Lunga circa 35 m e larga 5 m, per circa 20 banchi.
- La galea bastarda, dalle dimensioni maggiori e dalle forme di poppa più piene della galea sottile, atta a fungere da capitana o patrona, cioè da nave ammiraglia.
Nel Cinquecento si prese progressivamente a sostituire a bordo delle navi le tradizionali armi piccole da lancio (archi e balestre) con più moderni archibugi. Sempre nello stesso periodo alle tradizionali galee libere, i cui equipaggi di galeotti erano composti dai cosiddetti buonavoglia (cioè uomini liberi reclutati per soldo) e zontaroli (cioè debitori e condannati che scontavano così il proprio debito o coscritti per necessità di guerra), presero ad affiancarsi le prime galee sforzate, cioè mosse esclusivamente da galeotti condannati al lavoro forzato ai remi. Il ricorso a questo tipo di navi rimase comunque sempre piuttosto limitato nella marina veneziana, tanto che esse non rientravano neppure nella normale gerarchia della flotta e costituivano una flottiglia a parte, dipendente dal cosiddetto Governator de'Condannati.
Nella vittoriosa battaglia di Lepanto, fece il suo esordio una nuova invenzione veneziana, presto diffusasi anche alle altre flotte del Mediterraneo:
- la galeazza, nave esclusivamente da guerra, costruita sul modello delle galee grosse, ma molto più grande e ad alto bordo. Mosse quasi esclusivamente dalle vele, spesso necessitando anche del rimorchio delle vicine galee, le galeazze erano armate di numerosissime artiglierie, con le quali spezzare l'impeto della flotta avversaria. Tale nave consentiva infatti per la prima volta il fuoco laterale, presentandosi quindi come una sorta di fortezza galleggiante. Lunga circa 50 m e larga 8 m, per circa 25 banchi.
Contemporaneamente, col declino dei traffici commerciali, scompariva la galea grossa mercantile.
Il Seicento segnò per Venezia la definitiva perdita dei possedimenti coloniali: la guerra di Candia ferocemente combattuta per venticinque anni da Venezia, portando le sue flotte sino alle porte di Istanbul (spedizione veneziana dei Dardanelli), segnò la perdita anche dell'ultimo e più prezioso possedimento, Creta. Nel settembre del 1669 venne persino presentato un progetto per la costruzione di una barca atta a navigar sott'acqua[2], per assalire le fortificazioni turche di Creta durante la guerra di Candia, ma la quasi contemporanea firma della pace fece naufragare il progetto. Apparvero in questo periodo:
- la galea bastardella, di dimensioni intermedie tra la galea bastarda e la galea sottile.
- Il galeone, veliero a più ponti in grado di trasportare numerosi cannoni. Tali navi, soprattutto nei primi tempi, spesso apparivano ancora ibridate con la presenza di remi. I galeoni vennero utilizzati a Venezia per armare armare la flotta da guerra di "navi grosse", da affiancare alle tradizionali "navi sottili".
Le esperienze accumulate durante i conflitti con la Spagna e i turchi con le navi prese a nolo da olandesi e inglesi avevano infatti spinto la marina da guerra a rivolgersi sempre più decisamente verso i velieri. Venne costituita in quest'epoca la separazione tra le due branche della flotta militare la cosiddetta Armada grossa, a vela, e l'Armada sottile, a remi.
Nel 1619, poi, il Senato veneziano decretò la costituzione, sull'isola della Giudecca di un Collegio dei Giovani Nobili, cui venne deputata la formarazione dei quadri della marina.
Nel Settecento, oltre all'introduzione del sestante, lo sviluppo della marineria a vela portò Venezia ad imitare gli altri stati europei, competendo con essi nel realizzare nuovi tipi di veliero:
- La fregata, piccola nave da guerra per il pattugliamento.
- Il vascello, grande veliero a più ponti, armato con decine di cannoni e concepito per costituire il nerbo della flotta.
La fine della marina veneziana giunse assieme alla fine dell'intero Stato nel 1797, con l'arrivo delle truppe di Napoleone. Alla caduta della Repubblica di Venezia i francesi, incendiato l'Arsenale, catturarono o affondarono tutte le 184 navi presenti. Abolirono inoltre ogni distinzione tra marina da guerra e mercantile e licenziarono tutti i 2000 dipendenti dell'Arsenale, per non dare modo di servirsene agli austriaci. Con la successiva dominazione austriaca le tradizioni marinare veneziane finirono poi per confluire nella marina imperiale[3].
- 11 vascelli di linea da 70 cannoni;
- 10 vascelli di linea da 66 cannoni;
- 1 vascello di linea da 55 cannoni;
- 13 fregate da 42 a 44 cannoni;
- 2 fregate da 32 cannoni;
- 3 brick da 16 a 18 cannoni;
- 1 goletta da 16 cannoni;
- 2 cutter da 10 cannoni;
- 23 galee sottili;
- 7 galeotte;
- 7 sciambecchi;
- 5 feluche;
- 99 batterie galleggianti.
Le tecniche costruttive
Inizialmente, nei tempi più antichi, le navi veneziane venivano realizzate nei numerosi cantieri privati sparsi per la città e per la laguna, gli squeri (dal veneziano: squara, cioè "squadra", l'attrezzo utilizzato per le costruzioni).
A partire dal XII secolo, però, tutte queste attività finirono per concentrarsi in un unico grande cantiere pubblico: l'Arsenale. Vero cuore della marina veneziana, l'Arsenale finì per raccogliere ogni tipo di attività, maestranza o materia prima utile alla costruzione delle navi e al funzionamento della flotta.
All'interno del complesso vigeva una rigida organizzazione, volta a garantire la piena efficienza del cantiere, organizzato come una vera e propria catena di montaggio. Le realizzazioni interne erano standardizzate, in modo tale da consentire un rapido utilizzo, senza necessità di laboriosi adattamenti, ed una costante disponibilità di pezzi di ricambio per la flotta. Inoltre tutte le materie prime venivano accuratamente selezionate e controllate, per verificarne la qualità e l'efficacia.
La costruzione delle navi era affidata al proto, cui competeva la tracciatura del sesto, cioè il disegno delle linee dello scafo, da cui sarebbero dipese le caratteristiche nautiche della nave, il suo successo o insuccesso. Si trattava di un atto frutto dagli insegnamenti ricevuti dal proto nei lunghi anni di apprendistato, dall'esperienza accumulata e dall'accuratezza dei sesti, gli strumenti utilizzati in questo delicato lavoro e gelosamente custoditi. Questi erano dei regoli ricurvi che venivano utilizzati per tracciare, direttamente per terra, con polvere rossa, le tracce della chiglia e delle costole della nuova nave.
La costruzione dello scafo sullo scalo era poi affidata alle capacità dei maestri d'ascia e alle maestranze.
A lavoro ultimato intervenivano quindi i calafati, che si occupavano di rendere impermeabile lo scafo inserendo tra i legni del fasciame corde di canapa intrise di pece. A lavoro ultimato la nave era pronta per essere varata ed essere allestita.
Procedendo a traino lungo il canale interno che tagliava in due l'Arsenale, la nuova nave riceveva dai magazzini costruiti in sequenza lungo di esso tutti le parti ancora necessarie a completarla: da alberi, corde, vele, remi e timoni, sino al pan biscotto, immancabile nutrimento dell'equipaggio, e alle armi, immancabili a bordo di ogni nave. Tutti prodotti che nel tempo finirono per essere realizzati all'interno dello stesso Arsenale, che venne dotato di intere aree dedicate a corderie, velerie, fonderie, forni, pecerie, etc.
Al massimo del suo sviluppo un simile ciclo di produzione, completo e autosufficiente, consentiva di costruire fino a tre grandi navi al giorno, in cui l'unico limite era dato dalle scorte delle materie prime.
La segretezza delle tecniche costruttive era talmente importante per la città che ben presto tutto l'enorme complesso venne cinto da mura abbastanza alte da impedire la vista e l'accesso, ma non abbastanza da poter essere individuate in lontananza, rimanendo occultate nel profilo della città. Su tutto il complesso vegliavano due Patroni, poi affiancati e sottoposti nel loro ufficio da tre Provveditori dell'Arsenale, risiedenti in tre palazzi costruiti attorno alle mura e detti Paradiso, Purgatorio ed Inferno, incaricati di dormire a turno per quindici notti nella fortezza conservandone le chiavi. Il complesso degli addetti al cantiere, gli Arsenalotti, godevano poi di privilegi ed erano mantenuti a vita dallo Stato.
L'Armada
La marina da guerra veneziana prendeva il nome di Armata (in veneziano: Armada), che era il nome assegnato anche alle singole squadre e divisioni navali, con un'accezione equivalente a quella di flotta.
Formalmente, da sempre, il comando dell'armata era un diritto e una prerogativa del Doge, rimasto intatto sino alla fine della Repubblica. Tuttavia, per quanto non manchino i casi in cui principi anche molto in là con gli anni presero posto a capo delle operazioni navali, la Repubblica prevedeva che al vertice della marina, in caso di guerra si nominasse un comandante in capo con il grado di:
- Capitano generale da mar, comandante in capo delle operazioni navali e ammiraglio del nucleo principale della flotta;
Subito al disotto e sempre presente sia in tempo di pace che in guerra vi era la massima autorità marittima dello Stato da Mar:
- il Provveditore generale da mar, responsabile della disciplina e dell'ordine, pagatore generale e vice-comandante in guerra.
Vi erano poi le squadre navali permanenti, coi loro comandanti:
- il Capitano del Golfo, comandante della flotta dell'Adriatico, di stanza a Corfù;
- il Capitano delle galeazze, comandante delle galeazze, di stanza nell'Arsenale;
- il Capitano dei galeoni, comandante dell'Armada grossa di stanza nell'Arsenale;
- il Governator de'condannati, comandante della squadra navale di galee sforzate utilizzate per i pattugliamenti a lungo raggio.
Vi erano poi i comandanti delle varie forze navali minori organizzate a seconda delle esigenze recanti il generico titolo di:
- Capo da Mar, con l'accezione di ammiraglio.
Il titolo vero e proprio di ammiraglio, che più che un comandante militare designava un esperto di questioni marinaresche, spettava invece a tre ufficiali impiegati nel controllo del porto di Venezia e nel comando del Bucintoro, la nave ducale:
- l'Ammiraglio dell'Arsenal, comandante militare dell'Arsenale;
- l'Ammiraglio del Lido, comandante della sorveglianza del porto del Lido;
- l'Ammiraglio di Malamocco, comandante della sorveglianza del porto di Malamocco.
A questi si aggiungeva, sempre a Venezia:
- il Capitano dell'Arsenal, vice-comandante militare dell'Arsenale.
Sulle navi della flotta grossa la gerarchia di comando era formata da:
- il Capitano, capitano della nave, sempre di rango patrizio;
- l'Almirante, cioè l'ufficiale addetto alla navigazione;
- il Governator di Nave;
- i Nobili.
A bordo delle navi della flotta sottile gli equipaggi erano formati come segue:
- il sopracomito (prima del XIII secolo detto patrono, poi per breve periodo comito), capitano della nave, sempre di rango patrizio;
- il comito (prima detto paron zurado), primo ufficiale, sempre un cittadino;
- l'armiraglio, cioè l'ufficiale addetto alla manovra;
- i nobili di poppa, due o tre ufficiali che si occupavano esclusivamente di organizzare le battaglie, i combattimenti ecc.
Ad essi si affiancavano un segretario (scrivano di bordo) ed un medico.
Vi erano poi gli uomini di equipaggio, che nel complesso in una galea sottile potevano raggiungere i 200-300 uomini:
- i marinai, uomini specializzati alla navigazione (timonieri, addetti alle vele, etc.);
- i galeotti, addetti ai remi;
- il corpo "tecnico": calafati e maestri d'ascia per le eventuali riparazioni;
- i fanti da mar, corpo combattente.
Le galee si dividevano generalmente tra libere, laddove i galeotti erano costituiti da uomini liberi reclutati a soldo, e sforzate, quando i galeotti erano invece veri e propri forzati condannati al remo. In tempo di guerra i ranghi erano ulteriormente infittiti ricorrendo agli zontaroli, condannati provenienti da tutti i territori della Repubblica.
Per un certo periodo, nel Cinquecento, esistette anche una carica di Capitano del Lago, comandante della squadriglia per il controllo del Lago di Garda.
La marina mercantile
L'età delle Mude
All'epoca della apogeo della potenza mercantile, a Venezia le spedizioni commerciali erano organizzate dalla Repubblica usualmente con cadenza annuale. Il governo metteva a disposizione le proprie navi (solitamente tra 2 e 4 galee per viaggio) e le sub-appaltava a consorzi di privati attraverso un'asta pubblica (l'incanto).
L'asta era convocata dal Senato, che approvava allo stesso tempo il regolamento che i vincitori avrebbero dovuto rispettare nel corso del viaggio (come il giorno di partenza, i minimi e i massimi delle soste in determinati porti, la rotta da seguire, l'equipaggio da ingaggiare, il divieto di caricare merci in parti della nave diverse da quelle previste, ecc.). Una volta approvate le offerte, i privati a capo dei differenti consorzi erano nominati quali Patroni delle differenti galee.
A capo dell'intero convoglio era nominato dal Senato un Capitano accompagnato da uno scrivano anch'esso di nomina pubblica e da un Ammiraglio, responsabile delle questioni inerenti alla navigazione. Il Capitano era il rappresentante dello Stato e aveva il compito di sorvegliare l'applicazione delle regole imposte dal Senato a tutte le navi. In qualità di funzionario pubblico, inoltre, il Capitano aveva l'onere e l'onore di raccogliere e riportare tutti i fatti salienti e le informazioni di cui fosse venuto a conoscenza duranti il viaggio, per poi farne pronta relazione al Senato al rientro a Venezia.
Ogni singolo patrono doveva obbligatoriamente partecipare di persona al viaggio e occuparsi di affittare in carati lo spazio della propria galera a vari mercanti. Per ragioni logiche ed economiche, i commercianti privilegiati erano gli stessi che avavano appoggiato e finanziato l'elezione del patrono stesso. I mercanti che caricavano proprie merci a bordo non sempre le seguivano ma davano delega ai patroni stessi di venderle in determinati porti ed a determinati prezzi. Un altro importante compito dei patroni era quello di reclutare l'equipaggio per la propria galera quali rematori, balestrieri, il medico di bordo, ufficiali (cioè l' homo de conzeio, il navigatore, e il Paron zurado, ufficiale di coperta), e pagarne il relativo salario.
L'epoca del declino
Se originariamente all'organizzazione statale della marina mercantile, creata attraverso le mude si accompagnava comunque una libera iniziativa privata. Con la fine delle prime a seguito del declino commerciale cinquecentesco e la contemporanea creazione di una stabile marina da guerra, la flotta mercantile veneziana rimase completamente in mano all'iniziativa privata.
Gli equipaggi venivano arruolati a dai capitani tramite il pagamento anticipato di alcuni mesi di paga. Dopodiché dei banditori annunciavano la partenza per tutti e tre i giorni precedenti la stessa: dato l'anticipo ricevuto, la diserzione costituiva un reato, la cui persecuzione, nella città di Venezia, spettava ad una particolare magistratura, i Signori della Notte, che provvedeva all'imbarco forzato o all'arresto.
Note
- ^ Il biscotto era l'alimento principale a bordo delle navi. Preparato nei forni dell'Arsenale era poi distribuito a tutte le unità della flotta militare o fornito, dietro compenso, alle unità della marina mercantile. Peculiarità del biscotto veneziano era la capacità di durare per mesi o addirittura anni senza alterarsi, grazie ad una particolare miscela di farine la cui composizione è andata ad oggi perduta.
- ^ Rivista Marittima della Marina Militare Italiana del novembre 2005
- ^ Risultava ancora vigente al tempo della [[battaglia di Lissa (1866)|]] a bordo delle navi dell'Impero austro-ungarico l'uso di impartire gli ordini in veneziano.
- ^ Dandolo, Girolamo: La caduta della Repubblica di Venezia ed i suoi ultimi cinquant'anni, Pietro Naratovich tipografo editore, Venezia, 1855.
Bibliografia
- Anonimo: Dizionario di Marina medievale e moderno, Regia Accademia d'Italia, Roma, 1937.
- Da Mosto, Andrea: L'Archivio di Stato di Venezia, Biblioteca d'Arte editrice, Roma, 1937.
- Moncenigo,Mario Nani Storia della marineria Veneziana da Lepanto alla caduta della Repubblica Filippi editore, Venezia, 1985.
- Mutinelli, Fabio: Lessico Veneto, tipografia Giambattista Andreola, Venezia, 1852.
- Ricotti, Ercole: Storia delle compagnie di ventura in Italia, Giuseppe Comba e C. Editori, Torino, 1845.
- Moro, Federico: Venezia in Guerra, le grandi battaglie della Serenissima, Mazzanti Editori, Venezia 2007.
- Moro, Federico: Ercole e il Leone, 1482 Ferrara e Venezia duello sul Po, Studio LT2, Venezia 2008.