Guerra del Pacifico (1941-1945)

teatro di guerra della II guerra mondiale

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Guerra del Pacifico
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Template:Campagnabox Campagna Pacifico 1941-42 Template:Campagnabox Campagna Pacifico 1943-45

La guerra del Pacifico (7 dicembre 194114 agosto 1945), in giapponese "guerra del Pacifico" (太平洋戦争?, Taiheiyō Sensō), o anche "Grande Guerra dell'Asia Orientale" (大東亜戦争?, Dai Tō-A Sensō), si svolse nell'oceano Pacifico centro-meridionale e occidentale, sulle sue isole, nell'Asia sud-orientale e nella Cina occupata dall'Esercito Imperiale giapponese. Venne combattuta tra il Giappone, facente parte dell'Asse[1], da una parte, e le potenze alleate dall'altra (la Cina, gli Stati Uniti, il Regno Unito assieme all'India, sua colonia; l'Australia, le Filippine, l'Olanda e la Nuova Zelanda). L'Unione Sovietica, che nel 1939 aveva sconfitto i giapponesi in una serie di scontri al confine con la Manciuria (Battaglia di Nomonhan)[2], rimase neutrale fino al 1945 quando giocò un ruolo importante per la parte alleata nelle ultime settimane di guerra[3]. Cronologicamente viene inclusa nella seconda guerra mondiale, in quanto ne comprende alcune tra le più importanti battaglie e campagne[4][5], ma ha le sue radici nel conflitto fra Cina e Giappone che si sviluppò negli anni tra il 1937 e il 1945[6]. Questo conflitto esacerbò i rapporti tra il Giappone e le potenze occidentali, e insieme a motivi economici e politici[7] spinse l'Impero giapponese all'attacco a sorpresa di Pearl Harbor del 7 dicembre 1941, seguito dalla fulminea espansione nel Pacifico e nelle isole del Sud-Est asiatico a spese dei territori e colonie statunitensi, olandesi e britannici. Il Giappone fu appoggiato anche dalla Thailandia, politicamente già sottomessa[8], e da vari movimenti indigeni nazionalisti. L'enorme ma effimero dominio che il Giappone si costruì con le conquiste militari prese il nome di Sfera di Prosperità Comune[9].

Dopo sei mesi di ininterrotte vittorie la potenza militare del Giappone subì un duro ed improvviso arresto a Midway (giugno 1942). Da allora iniziò un susseguirsi di disfatte aeronavali[10] e di sanguinose sconfitte su atolli ed isole[11], mentre si intensificavano i bombardamenti aerei sul suolo metropolitano, culminati con il lancio della prima bomba atomica su Hiroshima (6 agosto 1945) e di una seconda su Nagasaki (9 agosto 1945)[12].

Tra il 1942 e il 1945 ci furono quattro principali teatri alleati nella guerra contro il Giappone: Cina, l'area oceanica del Pacifico, il sud-est asiatico e l'area del Pacifico sud occidentale. Le fonti statunitensi indicano due teatri principali nell'ambito di questa guerra: il teatro di operazioni del Pacifico e il teatro di operazioni del sud-est asiatico. Comunque per la maggior parte della guerra il comando statunitense divise il controllo operazionale delle proprie forze tra i comandanti dell'area oceanica del Pacifico, dell'area sud-occidentale del Pacifico e del teatro birmano-cinese (CBI, "Cina-Birmania-India"). Le forze statunitensi nell'area erano tecnicamente sotto il comando operativo del Comando del sud-est asiatico o di quello del generalissimo Chiang Kai Shek. Per brevi periodi di tempo, sia nel 1939 che nel 1945, ci fu un altro teatro operativo: la Mongolia e il nord-est della Cina, dove le forze sovietiche ingaggiarono anch'esse quelle giapponesi.

Conflitto tra Giappone e Cina

Le origini della guerra sono situate alla fine del XIX secolo, con la Cina in preda al caos politico e il Giappone in corso di rapida modernizzazione. Tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo, con la Prima guerra sino-giapponese, il nuovo Impero sconfisse la flotta e l'esercito cinesi[13] e annesse l'isola di Formosa, espandendo la sua influenza economica e politica in Cina e Corea, specialmente nella Manciuria. La vittoria nella Guerra russo-giapponese del 1904-1905 consentì al Giappone di occupare integralmente la penisola, la metà dell'isola di Sakhalin e di porre le basi per una successiva penetrazione economico-militare in Cina[14]. Questa espansione del potere nipponico venne aiutata dal fatto che per il primo decennio del XX secolo la Cina si era frammentata in territori controllati da signori della guerra, con un governo centrale debole e inefficace. Nel 1926 veniva infatti creato lo stato indipendente del Manciukuo, guidato da Zhang Xueliang[15].

Comunque la situazione di una Cina debole, incapace di resistere alle richieste giapponesi, parve cambiare verso la fine degli anni venti. Nel 1927 Chiang Kai-Shek e l'Esercito Rivoluzionario Nazionale del Kuomintang condussero la Spedizione verso il nord. Chiang riuscì a sconfiggere i signori della guerra nella Cina meridionale e centrale e stava assicurandosi l'alleanza nominale dei signori della guerra della Cina settentrionale. Temendo che Zhang Xueliang stesse per dichiarare la sua alleanza con Chiang, i giapponesi organizzarono l'Incidente di Mukden e invasero lo stato marionetta del Manchukuo (autunno 1931)[16]. L'imperatore nominale di questo stato marionetta è meglio conosciuto come Henry Pu Yi della dinastia Qing.

Non ci sono prove che il Giappone intendesse arrivare ad amministrare direttamente la Cina o che le sue azioni in Cina fossero parte di un piano di dominazione mondiale. Piuttosto i suoi obbiettivi (fortemente influenzati dal colonialismo europeo del XIX secolo) erano di assicurarsi e mantenere una fornitura sicura di risorse naturali e di disporre in Cina di un governo amico e malleabile che non agisse contro gli interessi giapponesi. Sebbene le azioni giapponesi non sarebbero parse fuori luogo tra le potenze coloniali del XIX secolo, negli trenta del XX secolo la nozione di autodeterminazione dei popoli di Woodrow Wilson significava che la grezza forza militare in supporto del colonialismo non era più considerato un comportamento appropriato dalla comunità internazionale.

In conseguenza di ciò le azioni giapponesi in Manciuria vennero aspramente criticate e condussero al ritiro del Giappone dalla Società delle Nazioni, ma provvedimenti più severi, richiesti in particolare dagli Stati Uniti, non ebbero seguito[17]. Durante gli anni trenta la Cina e il Giappone raggiunsero una situazione di stallo con Chiang, concentrato nei suoi sforzi di eliminare il comunisti da lui considerati un pericolo più dei giapponesi. L'influenza del nazionalismo cinese sull'élite politica e sulla popolazione in generale rese questa strategia sempre più insostenibile.

Nel frattempo in Giappone una politica di assassinii compiuti da società segrete e gli effetti della Grande depressione avevano fatto perdere il controllo dell'esercito al governo civile. Inoltre le alte sfere militari avevano un controllo limitato su truppe e comandanti in campo, che agiva nel proprio interesse, spesso in modo contrario alle necessità nazionali nella loro globalità. Ci fu anche un incremento del nazionalismo giapponese e dei sentimenti anti-europei, incluso lo sviluppo della credenza che le politiche giapponesi in Cina potessero essere giustificate da teorie razziste)[18].

Guerra sino-giapponese

  Lo stesso argomento in dettaglio: Seconda guerra sino-giapponese.

Nel 1937 Chiang venne rapito da Zhang Xueliang durante l'Incidente di Xi'an. Come condizione per la sua liberazione Chiang promise di unirsi con i comunisti per combattere i giapponesi. In risposta a questo ufficiali dell'armata del Kwantung, all'insaputa degli alti comandi a Tokyo, crearono, il 7 luglio 1937, l'Incidente del ponte di Marco Polo, che provocò lo scoppio della guerra sino-giapponese[19]; l'esercito imperiale invase le regioni costiere della Repubblica Cinese, conquistando importanti città come Pechino, Tientsin, Canton e Nanchino, dove instaurò un governo fantoccio capeggiato da Wang Jingwei[20]. Nel 1938, mentre in Cina iniziava un guerra fatta di piccole battaglie ed incursioni, sulla frontiera russo-giapponese si verificarono alcuni combattimenti aerei e terrestri, che vanno sotto il nome di Incidente di Nomonhan[21].

All'inizio del 1939 forze giapponesi occuparono l'isola di Hainan e l'arcipelago delle Pescadores. Cercarono di spingersi nell'Estremo Oriente Russo dalla Manciuria, ma furono duramente sconfitte nella battaglia di Khalkhin Gol da una forza mista sovietica e mongola condotta da Georgy Zhukov[22]. Questo fermò l'avanzata giapponese verso nord.

File:Nanjing Massacre infants.jpg
Bambini trucidati durante il massacro di Nanchino

Le politiche giapponesi degli anni trenta sono rimarcabili per la loro natura disastrosamente autodistruttiva. La strategia generale del Giappone era basata sulla premessa che non avrebbe potuto sopravvivere ad una guerra contro le potenze europee senza prima assicurarsi fonti di risorse naturali, ma per assicurarsi quelle risorse decise di intraprendere quella guerra che già sapeva che non avrebbe potuto vincere. Inoltre le azioni giapponesi, come la loro brutalità in Cina e la pratica di prima installare e poi rimuovere governi fantoccio in Cina erano chiaramente antitetiche agli obiettivi globali del Giappone, ma nonostante ciò persistette in essi. Infine questa marcia verso l'autodistruzione è sintomatica nel fatto che molti individui nell'élite politica e militare ne realizzavano le conseguenze autodistruttive, ma non riuscirono a fare niente riguardo alla situazione. Pare non esserci stato alcun dibattito riguardo a politiche alternative che avrebbero potuto permettere al Giappone di perseguire ulteriormente i suoi scopi in Cina.

Per tutti gli anni trenta il Giappone riuscì ad alienarsi l'opinione pubblica occidentale, particolarmente quella statunitense. All'inizio l'opinione pubblica americana era stata moderatamente pro-giapponese: i resoconti della brutalità giapponese, come il massacro di Nanchino, descritti da missionari protestanti, dal romanziere Pearl Buck o dai giornalisti di testate occidentali come la rivista Time fecero però pendere l'opinione pubblica americana contro il Giappone, così come favorirono eventi quali l'incidente della Panay, una cannoniera statunitense attaccata da forze giapponesi con perdite umane che diede luogo ad un incidente diplomatico[23].

La guerra si espande a oriente

La firma del patto tedesco-sovietico e la denuncia americana (luglio 1939) dei trattati economici firmati con l'Impero giapponese nel 1911 bloccarono momentaneamente l'espansionismo nipponico[24]. Nel luglio del 1940 il Congresso americano accettò il contigentamento delle esportazioni in Giappone. La catastrofe degli Alleati in Europa, però, privò le loro colonie di reali difese, per cui il Giappone riprese la sua prepotente politica estera: il 27 settembre 1940, con il consenso forzato della Francia di Vichy, il Giappone ottenne delle basi nell'Indocina[25]. Lo stesso giorno veniva sottoscritto il Patto Tripartito, fatto che aiutò l'Impero del Sol Levante a stipulare un patto quinquennale di non aggressione con la Russia (aprile 1941), con la quale lo stato di pace fu comunque sempre inquieto[26].

Nel 1941 il Giappone era in una posizione di stallo in Cina. Sebbene avesse occupato la maggior parte della Cina settentrionale e centrale, il Kuomintang si era ritirato nell'interno organizzando una capitale provvisoria a Chongqing mentre il Partito comunista cinese manteneva il controllo di aree base nello Shaanxi. Inoltre il controllo giapponese del nord e della Cina centrale era tenue, dato che in genere controllava le ferrovie e le città principali ma non aveva una presenza militare o amministrativa di rilievo nella vasta campagna cinese. I giapponesi si resero conto che i loro attacchi contro l'esercito cinese in ritirata venivano vanificati dal terreno montagnoso della Cina sud occidentale, mentre i comunisti organizzavano attività di guerriglia e di sabotaggio diffuse nella Cina orientale e centrale dietro le linee del fronte.

Nonostante l'istallazione di diversi governi fantoccio il Giappone, con le sue politiche brutali verso la popolazione cinese, il rifiuto di cedere un potere reale ai governi e l'appoggio dato a diversi governi in competizione fra loro, non riuscì a controbilanciare la popolarità relativa del governo di Chiang. Il Giappone era anche contrario a negoziare direttamente con Chiang, né tentò di creare divisioni nel fronte avversario offrendo concessioni che lo avvantaggiassero nei confronti dei signori della guerra a scapito del governo di Chiang[27]. Sebbene il Giappone fosse profondamente impantanato in questo groviglio politico-militare, la sua reazione alla situazione fu di rivolgersi ad azioni sempre più violente e depravate, incluso l'uso di armi chimiche e biologiche contro la popolazione civile e l'uso di civili per esperimenti e medici o per testare nuove armi, nella speranza che il puro terrore potesse spezzare la volontà della popolazione cinese[28].

Le risoluzioni giapponesi ebbero il solo effetto di rivolger contro l'Impero la pubblica opinione mondiale. Tentando di scoraggiare lo sforzo di guerra giapponese in Cina e indignati dall'annuncio nipponico che informava il mondo di un accordo stipulato con l'Indocina per assumerne la "difesa"[29], gli Stati Uniti nel luglio 1941 congelarono immediatamente i crediti giapponesi: l'Impero fu privato di tutto il carburante. Il Giappone considerò ciò come un atto di aggressione, e il Capo del governo Principe Konoye (di tendenze moderate) cercò di trovare un compromesso con gli americani, ma le sue proposte furono rifiutate; fu rovesciato, e gli succedette in ottobre l'aggressivo generale Hideki Tojo [30]. Costui decise sia di preparare la guerra di conquista nel Pacifico, che di continuare le trattative con gli Stati Uniti. I piani d'espansione erano già stati abbozzati nel 1938[31] e furono ora completati per pianificare la conquista della Sfera di Prosperità Comune[32]. Verso la fine del 1940 il Giappone si rese conto che gli USA sarebbero scesi in guerra se avesse modificato lo statu quo: per evitare il confronto diretto con la flotta americana di base a Pearl Harbor, l'ammiraglio Yamamoto ideò l'attaco a sorpresa alle navi nemiche ancora nel porto[33]. Subito furono addestrate le unità necessarie all'operazione.

Nel frattempo i negoziati con gli Stati Uniti stavano languendo: i giapponesi non accettavano di lasciare i territori cinesi occupati, e gli americani non intendevano interrompere i rifornimenti al Kuomitang, per cui a Tokyo, il 1° dicembre, fu dato l'ordine di iniziare le operazioni militari[34]. La macchina militare giapponese si era messa in moto. In una baia dell'isola di Etorofu, a nord di Honshu, fu riunita la flotta che doveva sferrare il colpo di maglio alle navi americane[35]. La squadra giapponese salpò il 26 novembre alle 6 di mattina[36].

Il 7 dicembre, alle ore 7.55 di mattina[37][38], gli aerei giapponesi imbarcati lanciarono un massiccio attacco contro la flotta statunitense ormeggiata a Pearl Harbor. Dopo i primi giorni di smarrimento, si potè conoscere il blancio delle perdite: 2.403 morti o dispersi, 1778 feriti, 3 navi da battaglia ( Arizona, Oklahoma, Utah - quest'ultima però era stata riclassificata con pennant number AG-16 come nave da addestramento cannonieri[39]), e un posamine (Oglala) affondati, 178 aerei distrutti, 159 danneggiati e gravi danni alle strutture portuali. Numerose navi che ancora galleggiavano dovevano lamentare danni di varia entità[40]. Sebbene il Giappone sapesse che non avrebbe potuto sopportare una guerra sostenuta e prolungata contro gli Stati Uniti d'America, sperava che di fronte ad una massiccia e improvvisa sconfitta questi avrebbero negoziato un accordo che permettesse all'Impero del Sol Levante di avere via libera in Cina, ma gli Stati Uniti si rifiutarono di negoziare.

Allo stesso tempo, anche se tecnicamente l'8 dicembre 1941, a causa di differenze di fuso orario, le forze giapponesi attaccarono i possedimenti della corona britannica di Hong Kong[41] e Shanghai, oltre alle Filippine[42] che all'epoca appartenevano al commonwealth statunitense; utilizzò inoltre le basi della Francia di Vichy nell'Indocina francese per invadere la Thailandia (battaglia di Prachuab Khirikhan), quindi, usando il territorio thailandese guadagnato, lanciò un assalto contro la Malesia[43].

Gli Stati Uniti entrano in guerra

 
La USS Arizona bruciò per due giorni dopo essere stata colpita da una bomba giapponese nell'attacco di Pearl Harbor.

Fino all'attacco contro Pearl Harbor, gli Stati Uniti erano rimasti fuori dal conflitto europeo e asiatico. L'opinione pubblica si era fino a quel momento opposta ad ogni intervento americano nel vecchio continente come anche nei combattimenti in Asia, nonostante gli Stati Uniti fornissero dall'inizio 1940 aiuti militari al Regno Unito[44] e, successivamente, all'Unione Sovietica mediante il programma Affitti e prestiti; analogo appoggio l'America dava alla Cina nazionalista, sia per frenare l'espansionismo giapponese, sia in funzione anticomunista[45]. Inoltre il Giappone non era percepito come una minaccia, come lo era invece il Terzo Reich, e si pensava che il suo potenziale militare fosse assai basso e addirittura incapace di attaccare l'Indonesia o le Filippine[46]. L'opposizione alla guerra negli Stati Uniti svanì però dopo il devastante attacco: l'11 dicembre, quattro giorni dopo, la Germania nazista, seguita subito dall'Italia, dichiarava guerra agli Stati Uniti, obbligandoli a uno scontro su due fronti. Il 7 dicembre fu indicato come il Giorno dell'Infamia, durante il discorso del presidente Roosevelt dell'8 dicembre, dove, tra l'altro, gli USA dichiaravano guerra all'Impero giapponese[47].

Le forze britanniche, indiane, olandesi e australiane, già a corto di personale e materiali dopo due anni di guerra con la Germania e pesantemente impegnati nel Medio Oriente, in Nordafrica e in altri luoghi, furono capaci di opporre solo una resistenza minima alle temprate truppe giapponesi[48]. Gli alleati soffrirono molte disastrose sconfitte nei primi sei mesi di guerra. Due navi maggiori britanniche, la HMS Repulse e la HMS Prince of Wales, furono affondate da un attacco aereo giapponese al largo della Malesia il 10 dicembre 1941[49][50]. Il governo thailandese si arrese nel giro di 24 ore dall'invasione giapponese e si alleò formalmente con il Giappone il 21 dicembre, permettendo che le sue basi militari fossero usate come trampolino di lancio contro Singapore e la Malesia[51]. Hong Kong cadde il 25 dicembre e le basi statunitensi su Guam e l'isola Wake furono perse all'incirca nello stesso tempo[52].

In seguito alla Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1º gennaio 1942, i governi alleati incaricarono il generale britannico sir Archibald Wavell come comandante supremo di tutte le forze statunitensi-britanniche-olandesi-australiane(ABDA American-British-Dutch-Australian)[53] nel sud-est asiatico. Questo gli diede il controllo nominativo di una forza enorme ma dispersa, che copriva un'area che andava dalla Birmania alle Indie orientali olandesi e le Filippine. Altre aree, incluse India, Australia e Hawaii rimasero sotto il controllo separato di comandi locali. Il 15 gennaio Wavell si spostò a Bandoeng sull'isola di Java per assumere il controllo del comando dell'ABDA (ABDACOM).

In gennaio venne invasa la Birmania[54], le Indie Orientali Olandesi[55], la Nuova Guinea[56], le isole Solomone e catturate Manila[57], Kuala Lumpur e Rabaul. Dopo essere state scacciate dalla Malesia, le forze alleate in Singapore tentarono di resistere ai giapponesi nella battaglia di Singapore, ma si arresero il 15 febbraio 1942, circa 130.000[58][59] soldati indiani, australiani e britannici furono presi prigionieri. L'avanzata dei conquistatori fu rapida: Bali e Timor caddero in febbraio[60]. Il rapido collasso della resistenza alleata spezzò l'area dell'"ABDA" in due. Wavell rassegnò le dimissioni dal comando da ABDACOM il 25 febbraio, cedendo il controllo dell'area ABDA ai comandanti locali e ritornando al posto di Comandante in Capo, in India[61].

Alla fine di febbraio/inizio di marzo, nella battaglia del mare di Giava, la Marina Imperiale Giapponese inflisse una sonora sconfitta alla principale forza navale dell'ABDA al comando dell'ammiraglio Karel Doorman[62]. I comandanti alleati sull'isola di Giava si arresero, ma non prima che le forze coloniali olandesi non avessero inflitto perdite pesanti agli attaccanti giapponesi. Nonostante la situazione fosse senza speranza le forze olandesi, supportate da molti indonesiani, combatterono con straordinario coraggio.

I britannici sotto intensa pressione si ritirarono combattendo da Rangoon fino al confine indo-birmano. Questo tagliò la Strada di Burma, la linea di rifornimento degli alleati occidentali all'esercito della Cina Nazionalista comandato da Chiang Kai-shek[63]. Forze filippine e statunitensi si opposero ostinatamente nelle Filippine fino all'8 maggio 1942 quando più di 80.000 soldati si arresero[64]. A questo punto, il generale Douglas MacArthur, che era stato nominato Comandante Alleato Supremo per il Pacifico Sud Occidentale, aveva spostato il suo quartier generale in Australia. La marina statunitense al comando dell'ammiraglio Chester Nimitz aveva la responsabilità del resto dell'oceano Pacifico[65].

Nel frattempo l'aviazione giapponese aveva praticamente eliminato tutta l'aviazione alleata nell'Asia sud orientale e stava organizzando l'attacco all'Australia settentrionale[66], iniziando con il grande e psicologicamente devastante attacco contro la città di Darwin del 19 febbraio che uccise almeno 243 persone. Il potere dell'aviazione nipponica scacciò anche la flotta britannica da Ceylon[67]. Gli attacchi aerei contro il territorio continentale degli USA furono trascurabili e compresero attacchi con palloni aerostatici e un idrovolante lanciato da un sommergibile che incendiò una foresta in Oregon il 9 settembre 1942[68]. Non va dimenticato però che nel giugno del 1942 i giapponesi riuscirono a occupare due isole dell'arcipelago delle Aleutine, in Alaska, facendone l'unico territorio degli Stati Uniti veri e propri a essere ceduto al nemico[69]. Gli americani riusciranno a riconquistare le isole solo un anno dopo, nell'estate del 1943[70].

Gli alleati si raggruppano

 
La situazione nel 1942

All'inizio del 1942 i governi delle potenze minori iniziarono a far pressioni per stabilire un concilio di guerra intergovernativo Asia-Pacifico, basato in Washington D.C.. Un concilio di guerra venne stabilito a Londra, con un corpo sussidiario a Washington. Comunque le potenze minori continuarono a fare pressioni. Il Pacific War Council ("Consiglio di guerra del Pacifico") venne formato a Washington l'11 aprile 1942 e di cui facevano parte il presidente degli Stati Uniti Roosevelt, il suo consigliere chiave Harry Hopkins e rappresentati del Regno Unito, Cina, Australia, Olanda, Nuova Zelanda e Canada. Più tardi si aggiunsero anche rappresentati delle Indie britanniche e delle Filippine. Il concilio non ebbe mai un controllo operativo diretto e tutte le sue decisioni vennero rimesse al Combined Chiefs of Staff statunitense-britannico, anch'esso con sede in Washington.

La resistenza alleata, inizialmente disordinata, iniziò gradualmente a irrigidirsi. L'incursione di Doolittle in aprile fu un bombardamento simbolico del Giappone[71], ma sollevò il morale alleato e, sebbene le marine alleate fossero sconfitte di stretta misura nella battaglia del mar dei Coralli, riuscirono comunque a deviare un attacco navale giapponese contro Port Moresby in Nuova Guinea[72]. A giugno, seguì la cruciale battaglia delle Midway: la battaglia avrebbe potuto facilmente decidersi a favore dell'una o dell'altra parte, ma l'aviazione navale giapponese subì una devastante sconfitta dalla quale non si riprese più. Midway segnò il punto di svolta della battaglia navale nel teatro del Pacifico[73].

Nonostante ciò, le forze di terra giapponesi continuarono ad avanzare[74] In contemporanea a una pazzesca avanzata atraverso i Monti Owen Stanley, per attaccare via terra Port Moresby, era stato deciso di conquistare la punta sud orientale della Nuova Guinea con uno sbarco a Milne Bay, condotto da chiatte e battelli[75]. Tale flotta fu però scoperta e distrutta alla fine di agosto[76]. Nel frattempo, alcuni battaglioni della milizia australiana, molti di essi recenti e non ancora addestrati, combatterono una testarda azione di retroguardia in Nuova Guinea contro i giapponesi in avanzata per il sentiero Kokoda che portava a Port Moresby, sugli accidentati monti Owen Stanley. La milizia, esaurita e severamente decimata dalle perdite, venne sostituita alla fine di agosto da truppe regolari della seconda forza imperiale australiana, che tornavano dal fronte in Medio Oriente.

Attacchi contro gli Stati Uniti continentali

Durante la guerra ci furono timori di bombardamenti giapponesi del territorio statunitense e furono tenute esercitazioni per prepararsi a questa eventualità. Il Giappone tentò di attaccare gli Stati Uniti continentali mediante l'uso di palloni bomba tra il 1944 e il 1945[77]. Questi palloni erano dei grandi involucri di carta pergamena stratificata, tenuta assieme da colla naturale; potevano trasportare una bilancia barometrica, quale mezzo di regolazione dell'altitudine, e 45 chili di bombe[78]. Le uniche perdite causate avvennero quando uno di questi esplose nelle vicinanze di Lakeview in Oregon uccidendo cinque bambini e una donna quando questi lo trascinarono fuori dai boschi[79]. Queste furono le uniche perdite causate dal Giappone sul territorio continentale degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. In totale furono prodotti e lanciati ben 9000 palloni, ma solo il 10% raggiunse i territori americani[80] Altri attacchi giapponesi contro il territorio continentale degli Stati Uniti inclusero il bombardamento di un campo petrolifero in California[81].

L'ondata si arresta

  Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna di Guadalcanal.

Alla fine di agosto-inizio del settembre 1942, nella Baia di Milne all'estremità orientale della Nuova Guinea, le forze terrestri giapponesi subirono la loro prima decisiva sconfitta dal 1939. Le Forze di sbarco speciali giapponesi attaccarono una base strategica della Royal Australian Air Force difesa principalmente dall'Esercito australiano e da alcune forze statunitensi. Simultaneamente forze americane, l'8 agosto, erano sbarcate sull'isola di Guadalcanal[82]. Entrambi gli schieramenti riversarono gran parte delle proprie risorse nei combattimenti per Guadalcanal, che si protassero per i sei mesi seguenti in una crescente battaglia di attrito, vinta infine dagli Stati Uniti, in quanto i giapponesi, resisi conto che l'isola era perduta, evacuarono le loro forze[83]. In questo modo terminò una delle più lunghe battaglie dello scacchiere del Pacifico[84].

Da questo momento le forze giapponesi furono decisamente sulla difensiva. Il bisogno costante di rinforzare Guadalcanal, e le perdite sempre più alte sofferte[85], indebolì lo sforzo giapponese in altri teatri, conducendo alla riuscita controffensiva australiano-statunitense in Nuova Guinea, che culminò con la cattura delle basi chiave di Buna e Gona all'inizio del 1943. In giugno gli alleati lanciarono l'Operazione Cartwheel, con la quale diedero il via ad una strategia di isolamento della principale base avanzata giapponese di Rabaul e si concentrarono nel tagliare le sue linee di comunicazione. Questo preparò la strada alla campagna di avanzata "a salti" verso il Giappone dell'ammiraglio Nimitz.

Alla fine del 1942 e durante il 1943 le forze coloniali britanniche, indiane e africane contrattaccarono a Burma, sebbene con un successo limitato. Nell'agosto 1943 gli alleati occidentali formarono il nuovo South East Asia Command (SEAC, "Comando del sud est asiatico") per rilevare il generale Wavell dalle responsabilità strategiche del teatro. La riorganizzazione della struttura di comando richiese circa due mesi e nell'ottobre 1943 Winston Churchill incaricò l'ammiraglio Lord Louis Mountbatten come Comandante Supremo Alleato del SEAC. Lavorando a stretto contatto con il generale William Slim, Mountbatten diresse la liberazione di Burma e di Singapore nella Campagna di Burma. Il generale Stilwell nel CBI sotto il SEAC, fornì aiuti alle forze cinesi di Chiang Kai-shek e aiutò a coordinare gli attacchi cinesi contro i giapponesi a supporto della Quattordicesima armata britannica in Birmania.

Il 22 novembre 1943 il presidente Roosevelt, il primo ministro Winston Churcill e il leader della cina nazionalista Chiang Kai-Shek si incontrarono al Cairo in Egitto per discutere su come sconfiggere il Giappone.

Gli stadi finali della guerra

 
La situazione al momento della capitolazione del Giappone

Le dure battaglie di Tarawa, Iwo Jima, Okinawa e altre causarono elevate perdite a entrambe le parti, ma fecero arretrare il Giappone. Per rimediare alla perdita dei suoi piloti più esperti, i giapponesi ricorsero inoltre a tattiche kamikaze nel tentativo di frenare l'avanzata statunitense. Nell'ultimo ed estremo tentativo di fermare l'avanzata americana, oltre 4000 kamikaze, in maggioranza studenti, si immolarono a bordo dei loro caccia, nell'estremo tentativo di colpire le navi nemiche.

Verso la fine della guerra e con l'accresciuto ruolo del bombardamento strategico venne creato un nuovo comando per supervisionare tutti i bombardamenti strategici statunitensi nell'emisfero, l' U.S. Strategic Air Forces in the Pacific sotto il comando del generale dell'USAAF Curtis LeMay. Le città giapponesi soffrirono gravi danni a causa degli attacchi aerei dei bombardieri statunitensi. Nei soli giorni del 9 marzo-10 marzo circa 100.000 persone rimasero uccise nella tempesta di fuoco causata da un attacco su Tokyo.

 
Il fungo nucleare della esplosione atomica sopra Nagasaki che sale nell'aria fino a 18 chilometri di altezza nel mattino del 9 agosto 1945.

Il 3 febbraio 1945 anche l'Unione Sovietica accettò in linea di principio di entrare nel conflitto del Pacifico, ma la sua Dichiarazione di Guerra arrivò l'8 agosto, circa tre mesi dopo la fine della guerra in Europa, così da soddisfare gli obblighi dell'Unione Sovietica verso gli alleati. Con un devastante colpo al morale del popolo giapponese gli Stati Uniti attaccarono due città con armi nucleari: Hiroshima il 6 agosto 1945 e Nagasaki il 9 agosto. Più di 200.000 persone morirono come conseguenza diretta di questi due bombardamenti.

Il 9 agosto l'Unione Sovietica entrò in guerra contro il Giappone lanciando l'Operazione August Storm. Una forza di un milione di soldati, veterani di combattimenti vennero trasferiti dall'Europa per attaccare le forze giapponesi in Manciuria e rapidamente sconfissero l'esercito del Kwantung.

In Giappone il 14 agosto viene considerato il giorno del termine della guerra del Pacifico. Comunque l'Impero Giapponese si arrese formalmente il 15 agosto. L'ordine di resa non venne immediatamente inviato alle forze giapponesi in Manciuria, che continuarono a combattere i sovietici fino al 19 agosto. La resa formale del Giappone venne firmata il 2 settembre 1945 sulla nave da battaglia USS Missouri ancorata nella Baia di Tokyo. La resa venne firmata dal generale Douglas MacArthur come Supremo Comandante Alleato, alla presenza di rappresentati di ogni nazione alleata e da una delegazione giapponese guidata da Mamoru Shigemitsu.

Combattimenti di piccola entità, con tattiche di guerriglia, continuarono a occorrere per tutto il Pacifico, in alcuni casi per molti anni. L'ultimo caso registrato di soldato giapponese che continuò a combattere, ignaro della fine del conflitto, fu quello del tenente in seconda Hiroo Onoda, che si arrese il 9 marzo del 1974 sull'isola di Lubang, nelle Filippine; negli anni successivi furono registrati altri casi, ma si trattava di giapponesi che erano comunque a conoscenza della resa, ma che si erano uniti a gruppi di guerriglia indigena per altri motivi.[86]

Una cerimonia di resa separata tra la Cina e il Giappone venne tenuta a Nanchino il 9 settembre 1945.

 
Douglas MacArthur firma il documento di resa formale del Giappone a bordo della USS Missouri, 2 settembre 1945

Successivamente MacArthur stabilì basi in Giappone per supervisionare lo sviluppo post-guerra della nazione. Questo periodo è conosciuto nella storia giapponese come occupazione. Il presidente statunitense Harry Truman proclamò ufficialmente la fine delle ostilità il 31 dicembre 1945.

Cronologia

Conquista giapponese del sud est asiatico e del Pacifico

Campagna di Burma

Campagna di Guadalcanal

Campagna delle isole Salomone e di Guadalcanal

Campagna delle isole Palau

Campagna delle Filippine

Campagna delle isole Vulcano e isole Ryukyu

Campagna del Borneo

Campagna del Giappone

Note

  1. ^ L'Impero giapponese aveva firmato il Patto Anticomintern con la Germania nazista nel 1936; nel settembre 1940 sottoscrisse il Patto Tripartito con Italia e Germania.
  2. ^ Military History Online
  3. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 987, 991; A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol.II, pag. 487
  4. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico; A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol. II
  5. ^ Storia illustrata della seconda guerra mondiale, Garzanti editore
  6. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 23
  7. ^ La barbara condotta della guerra in Cina, l'espulsione del Giappone dalla Società delle Nazioni e l'aggressivo militarismo nipponico convinsero gli Stati Uniti a congelare i crediti giapponesi in America e a interrompere l'esportazione di petrolio e rottami di ferro, essenziali per la macchina bellica nipponica; B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 24
  8. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 75
  9. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 26
  10. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico; A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale
  11. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico; A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale
  12. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 977-986
  13. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 19
  14. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 19-20
  15. ^ B.Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 22
  16. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 26
  17. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico,
  18. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 23, pag. 26
  19. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 23
  20. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 23
  21. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 23-24
  22. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico
  23. ^ The USS Panay memorial website, su usspanay.org. URL consultato il 31 maggio 2011.
  24. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 24
  25. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 25
  26. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 25
  27. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico
  28. ^ Questo "massacro scientifico", che ricorda le atrocità commesse dai nazisti in Europa, fu condotto principalmente dalla famigerata Unità 731.
  29. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 25
  30. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 26
  31. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 32
  32. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico. Il progetto di realizzare un grande Impero del quale il Giappone sarebbe stato centro vitale fu lanciata dal generale Arita alla fine degli anni Trenta, e ricorda l'idea di spazio vitale teorizzata da Hitler.
  33. ^ I progetti giapponesi furono grandemente influenzati dall'attacco britannico alla Regia Marina a Taranto, nel novembre 1940.
  34. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 38
  35. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 39
  36. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 42
  37. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 55
  38. ^ La dichiarazione di guerra avrebbe dovuto essere consegnata alle ore 13 a Washington, quindi alle 7.30 alle Hawaii, ovvero venti minuti prima dell'attacco giapponese. La difficoltà incontrata nella traduzione dei testi fece sì che venisse consegnata alle 14, quando il disastro era già compiuto, pag. 38
  39. ^ USS Utah (Battleship # 31, later BB-31 and AG-16), 1911-1941 -- Overview and Special Image Selection, su history.navy.mil. URL consultato il 1º giugno 2011.
  40. ^ B.Millot, La Guerra del Pacifico. Le corazzate West Virginia, California e Nevada affondarono, ma furono recuperate e rimesse in efficienza, pag. 62
  41. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 71-74; A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol. II, pag. 9
  42. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 90-112; A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol. II, pagg. 5-6, 9-11, 26-28, 35-37
  43. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 33, 75
  44. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 149
  45. ^ Questo sostegno durava dalla seconda metà del 1937, quando il Giappone aveva scatenato la seconda guerra sino-giapponese, destando timore negli Stati Uniti. B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 122
  46. ^ L'atteggiamento americano e, più in generale, dell'Occidente nei confronti del Giappone era anche dovuto al fatto che i giapponesi, per non rivelare i loro progressi in campo bellico, adottarono misure di sicurezza rigidissime: ad esempio nelle parate mostravano armi obsolete, o deportavano le popolazioni da un territorio dove si doveva costruire una base, etc. B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 29
  47. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 149
  48. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 66-170; A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, pagg. 4-36
  49. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 79-81
  50. ^ A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol II, pag. 6
  51. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 75; A. Tosti, Storia della seconda guerra mndiale, vol II, pag. 7
  52. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 66-67, pagg.68-71. A Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol II, pagg. 4-5
  53. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 115
  54. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 159; A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, pag. 7, 11, 15, 28-35
  55. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 113
  56. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 146
  57. ^ B. Millot, La guerra del Pacifico, pag. 103; A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, pag. 11
  58. ^ The fall of Singapore, 15 February 1942
  59. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 86-89
  60. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 121
  61. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 121-122
  62. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 123-137; A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol. II, pag. 23
  63. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 159-162; A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol. II, pagg. 29-30
  64. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 108; in A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol. II, pag. 26 vengono indicati 30.000 prigionieri militari e 25.000 civili
  65. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 149
  66. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 121, 170-172
  67. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 162-169
  68. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 447
  69. ^ B. Millot, La guerra del Pacifico, pagg. 271-274; A. tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol. II, pag. 73
  70. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 466-471; A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol. II, pagg. 168-169
  71. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 174-181
  72. ^ A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol II pagg. 71-72; B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 201-207. Infatti gli americani persero più unità e materiali dei giapponesi; soprattutto l'affondamento della portaerei Lexington privava loro di un tipo di nave del quale c'era disperato bisogno. Ma l'aver impedito lo sbarco nemico era una piena vittoria strategica del fronte alleato
  73. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 274-279; A.Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol II, pagg. 73-75
  74. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 450. Infatti i militari giapponesi, nonostante le sconfitte della battaglia del Mar dei Coralli e delle Midway, non avevano rinunciato ai loro piani di conquista della Nuova Guinea, ritenuta base indispensabile per l'invasione dell'Australia
  75. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 451
  76. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 451
  77. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 838-843
  78. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 838-843
  79. ^ B. Millot, La Guerra del pacifico, pag. 842
  80. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 842
  81. ^ La guerra del Pacifico, su liceoberchet.it. URL consultato il 25/08/10.
  82. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 288
  83. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 440-442; A. Tosti, Storia della Seconda guerra mondiale, vol. II, pag. 80
  84. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pagg. 288-444; A. Tosti, Storia della seconda guerra mondiale, pagg. 76-80
  85. ^ B. Millot, La Guerra del Pacifico, pag. 288-440
  86. ^ Chronology Japanese Holdouts in the Pacific

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