Metilde Viscontini Dembowski
Metilde Viscontini Dembowski (Milano, 1° febbraio 1790 – Milano, 1º maggio 1825) è stata un'attivista italiana, una patriota affiliata alla Carboneria che viene ricordata anche per l'amore non corrisposto suscitato nello scrittore francese Stendhal.

Biografia
Elena Maria Metilde[1] fu la seconda figlia di Carlo Viscontini e di Luigia Marliani. La primogenita Maria Beatrice era nata nel 1788: seguiranno nel 1793 Carlo Ercole e nel 1795 l'ultima figlia Maria Bianca Elena. I Viscontini erano una famiglia dell'alta borghesia milanese che si arricchita con il commercio dei tessuti, aveva investito i profitti in terre e palazzi della Lombardia e del Canton Ticino, e aveva stabilito proficue relazioni matrimoniali, come Elena Viscontini, zia di Metilde, che aveva sposato il ricchissimo commerciante Giovanni Battista Milesi.
Metilde era nata suddita austriaca, regnando ancora Giuseppe II, cui succedette venti giorni dopo Leopoldo II, e Milano era già una moderna e avanzata città europea, ricca di traffici, di palazzi prestigiosi e di vita mondana, al cui centro stava il teatro alla Scala, inaugurato poco più di dieci anni prima. Metilde aveva appena cominciato la propria istruzione, che sarà varia e accurata, quando il 15 maggio 1796 nella città entrava il generale Bonaparte e con l'aiuto delle truppe francesi Milano diveniva la capitale della Repubblica Cisalpina. Dopo un breve ritorno austriaco, tornano i francesi e la Repubblica e poi, dal 1805, il Regno d'Italia di Napoleone e di Eugenio di Beauharnais.
La ragazza crebbe con i fratelli e le cugine Milesi, indipendenti e versatili come Bianca, che studiò filosofia, anatomia, economia con Melchiorre Gioia e pittura con Andrea Appiani, disinibite come Francesca, che sposerà l'avvocato Giovanni Traversi, un finanziere spregiudicato legato alla politica come lo zio materno di Metilde, l'avvocato Rocco Marliani, «uno dei più rispettabili cittadini di Milano [...] uomo virtuoso [...] uno dei padri coscritti» della Milano democratica.[2]
Il 6 luglio 1807 Metilde sposò Jan Dembowski (1773-1823), ufficiale napoleonico di diciassette anni più vecchio di lei. Questo coraggioso militare polacco, apprezzato dai suoi superiori, aveva fatto la campagna d'Italia del 1800 ed era divenuto cittadino della Repubblica nel 1803. I genitori di Metilde gli accordarono il fidanzamento nel 1806 senza badare alla volontà della figlia e il matrimonio risultò sorprendente per l'assoluta diversità di caratteri e di interessi tra il Dembowski, persona dura e sbrigativa, e Metilde, delicata e riflessiva. I due coniugi andarono ad abitare in un appartamento dei Viscontini, da dove il marito partì qualche mese dopo per la Spagna, senza poter vedere la nascita del primo figlio Carlo, avvenuta il 9 aprile 1808.
Sembra che durante la lunga assenza del marito Metilde si fosse innamorata di un corteggiatore. Non si sa quanto importante fosse quella relazione ma le voci corsero e giunsero fino al marito, quando questi tornò in Italia il 10 agosto 1810 con il grado di generale di brigata, il titolo di barone e l'ordine della Corona di ferro.
A Berna frequentò la granduchessa Julie di Sassonia-Coburgo-Sachfeld, già cognata dello zar Alessandro I, in quanto già moglie del granduca Costantino, la quale, dopo la separazione, si era anch'essa stabilita in Svizzera. Sperò di ottenenerne protezione e appoggio nella sua causa contro il Dembowski, mentre il procuratore di Berna raccoglieva informazioni sul conto di Metilde. Un rapporto del 1816 riferisce le dicerie circolanti a Milano, secondo le quali ella avrebbe avuto, quando il marito era in Spagna, «con un'altra persona un qualche intrigo amoroso di cui restarono delle conseguenze».[3] Non si sa chi sia, né se mai sia esistita, questa persona: certo non il Foscolo che, come testimonia la loro corrispondenza, fu solo un amico al quale confidava le sue pene e le sue riflessioni morali.
Nel giugno del 1816 Metilde tornò a Milano per rivedere il figlio Carlo. Il marito cercò di sottrarle il figlio Ercole, e dovette intervenire il governatore della Lombardia, il feld-maresciallo austriaco Ferdinand Bubna, per garantirle momentaneamente l'affidamento del figlio Ercole. A lui e allo stesso imperatore sollecitò la definizione della causa di separazione, che si svolse nel 1817 con la provvisoria imposizione a Matilde di vivere nella stessa casa del Dembowski, seppure in appartamenti e in «letti separati». Nel luglio successivo, la sentenza di separazione previde che la tutela di entrambi i figli spettasse al marito e la Viscontini poté andare ad abitare per proprio conto in una casa di piazza Belgioioso, vicino al fratello.
Nel marzo del 1818 conobbe Stendhal, di cui rappresentò uno dei grandi amori, per altro non corrisposto: lo scrittore, che nei suoi diari la chiama Métilde, scrisse di lei che «ella disperava della società, quasi della natura umana, aveva come rinunciato a trovarvi ciò che era necessario al suo cuore». Come donna separata, avvertiva infatti la disapprovazione della società e non era infelice soltanto per questo: nelle sue ultime lettere alla granduchessa Julie si «mostra disperata per l'avvenire dei suoi figli, per l'Italia asservita, sognando l'esilio e il ritorno agli anni» trascorsi in Svizzera, come i meno infelici della sua vita.[4]
«Giardiniera», ossia, nel linguaggio delle società segrete, affiliata alla Carboneria, legata a Maria Frecavalli, viene ricordata come un'importante figura durante i moti carbonari del 1821, quando venne arrestata ed inquisita. Un suo cugino aveva denunciato il conte Federico Confalonieri come carbonaro e questi, arrestato il 13 dicembre 1821, fece i nomi dei complici, tra i quali figuravano Metilde e Stendhal, allora già rientrato in Francia. Arrestata il 24 dicembre 1821, la sua casa fu perquisita e vi furono trovate lettere dell'avvocato Giuseppe Vismara, noto carbonaro rifugiato a Torino, nella quali lei risultava tramite di spostamenti di denaro tra un fratello di Giuseppe Pecchio, altro carbonaro e forse suo amante, e lo stesso Vismara. Non avendo ammesso nulla, fu rilasciata il giorno dopo ed ebbe così tempo per accordarsi con il Pecchio per dare un'innocua giustificazione alle contestazioni degli inquirenti, che la interrogarono nuovamente il 26 dicembre senza poter raggiungere prove sufficienti di un suo coinvolgimento nella congiura.
Morì nel 1825, a soli 35 anni,[5] di tabe in casa della cugina Francesca Milesi. Alexandre-Philippe Andryane, anch'egli implicato nei processi del 1821 e imprigionato allo Spielberg, la ricorda nei suoi Mémoires d'un prisonnier d'État, pubblicati nel 1837. La ricordarono anche Teresa Casati, la moglie di Federico Confalonieri, come «donna angelica» che «riuniva in sé tutte le perfezioni di un'adorabile sensibilità con l'energia che rende capaci delle azioni più sublimi», e la contessa Frecavalli, che la descrisse «modello di madre» che «amava anche la gloria del suo paese [...] e la sua anima energica soffrì troppo a lungo per il suo asservimento e per la perdita dei suoi amici».[6]
Bibliografia
- Michel Crozet, Stendhal. Il signor Me stesso, Roma, Editori Riuniti 1990 ISBN 88-359-3413-3
- Marta Boneschi, La donna segreta. Storia di Metilde Viscontini Dembowski, Venezia, Marsilio, 2010 ISBN 978-88-317-0730-5
Note
- ^ Questi i suoi nomi registrati all'anagrafe parrocchiale: in particolare risulta Metilde, e non Matilde, come spesso viene chiamata. Cfr. M. Boneschi, La donna segreta, 2010, p. 22.
- ^ Stendhal, Rome, Naples et Florence, I, 1826, p. 116.
- ^ Michel Crozet, Stendhal, 1990, p. 381.
- ^ Michel Crozet, Stendhal, cit., p. 384.
- ^ http://www.literary.it/dati/literary/torcellan/la_dolorosa_storia_del_sovversiv.html
- ^ Michel Crozet, Stendhal, cit., p. 384-385.
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