Famiglia aristocratica italiana vissuta prima a Teramo e poi a Lecce. Ulteriori diramazioni, delle quali si suppone una comune agnazione, sono attestate in altre città del Sud Italia (in particolare, Salerno, Tropea, Catanzaro, Taormina) e della Dalmazia (Lesina, Traù).
Altre famiglie nobili o notabili con il cognome Paladini sono storicamente documentate in provincia di Ancona, Lucca e a Casirate d'Adda.

Storia

La famiglia Paladini, che la leggenda vuole proveniente dalla Francia dove ebbe per capostipite Ponzio commilitone del conte di Tolosa alla prima crociata, fu nel XIV secolo una delle più notabili di Teramo, insieme a quella dei Melatino e dei De Valle. Agli inizi del Quattrocento, in seguito alle sanguinose lotte civili che investirono la città, i fratelli Berardo e Tommaso Paladini abbandonarono Teramo e si rifugiarono in Terra d'Otranto.

Berardo, capostipite del ramo di Lecce, ottenne nel 1436 dalla contessa Maria d'Enghien, già moglie del re di Napoli Ladislao, la baronia di Lizzanello e Melendugno. Un suo nipote di un ramo secondario, Luigi, nel 1488 ebbe da re Ferdinando la baronia di Salice e Guagnano, mentre il figlio di questi, Ferrante, acquisì nel 1522 anche il feudo di Campi.

L'altro fratello esule da Teramo, Tommaso, nel 1430 era capitano di Nardò[1] e successivamente si trasferì sull'isola di Lesina, dove è probabile già risiedesse un altro ramo della famiglia, imparentata con il ramo teramano. Un Benedetto Paladini che da Lesina si trasferì a Cipro dette vita al ramo dei Benedetti di Cipro[2], che nel corso del XVI secolo divennero baroni di San Sozomeno e Peristerona[3].
Sempre in Dalmazia, a Traù, fiorì nel Seicento un'altra famiglia Paladini, imparentata con l'influente famiglia tragurina dei De Andreis, ma allo stato attuale non è ipotizzabile una comune agnazione con il ramo lesignano, anche per l'evidente diversità dell'arme di famiglia.

Stando alle ricerche del giudice e letterato salentino, Luigi Giuseppe De Simone (1835-1902), che dedicò ampi e approfonditi studi sulla storia della famiglia leccese, appare plausibile che dai Paladini di Lecce discenda un ramo siciliano: un Francesco Paladini, figlio cadetto dei baroni di Lizzanello, si trasferì nel 1512 a Taormina e sposò la nobildonna siciliana Eleonora Grugno[4].

Blasonatura

Paladini di Lecce Paladini di Sicilia Paladini di Lesina (Hvar) Paladini di Traù (Trogir)

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Inquartato: nel 1° e 4° d'argento ad un giglio di rosso, nel 2° e 3° di rosso ad un giglio d'argento, alla croce d'oro attraversante sul tutto. Di rosso alla croce scorciata d'argento accantonata da quattro gigli d'oro. Troncato d'azzurro ad un giglio d'argento e d'argento al semivolo abbassato dello stesso. Bandato d'azzurro e d'oro, le bande d'azzurro caricate di sette stelle (6) d'oro, 2, 3 e 2

Membri illustri

Ramo di Teramo

Giacomo Paladini

  Lo stesso argomento in dettaglio: Giacomo Paladini.
(1349-1417), noto anche come Jacopo Palladini, fu vescovo di Monopoli, arcivescovo di Taranto, Firenze e Spoleto, nunzio apostolico in Polonia.

Berardo Paladini

(† 1448 ca), noto anche come Verardo o Averardo, partecipò nel 1407 alla congiura dei Melatino che portò all'uccisione del signore di Teramo Andrea Matteo Acquaviva. Rifugiatosi nel Salento, nel 1423 divenne vicegerente per la provincia di Terra d'Otranto e poi (1436) primo barone di Lizzanello e Melendugno.

Ramo dalmata e cipriota

Nicolò Paladini

(1419-1500 ca), sopracomito della galea di Lesina, per il valore dimostrato in combattimento contro i Turchi, fu investito dalla Repubblica di Venezia del rango di Cavaliere di San Marco e insignito della toga d'oro.

Paolo Paladini

  Lo stesso argomento in dettaglio: Paolo Paladini.
(fl. 1470-1510), petrarchista dalmata e sopracomito, come il padre Nicolò, della galea di Lesina, è autore di un canzoniere dedicato a Federico d'Aragona con poesie in latino e italiano.

Battista Benedetti

(† 1571), discendente del lesignano Benedetto Paladini che verso la fine del Quattrocento si trasferì a Cipro, morì nella battaglia di Lepanto sopracomito della galea cipriota Speranza di Venetia[5].

Ramo di Lecce

Luigi Paladini

(† 1510 ca), noto anche come Luise o Aloisio, fu dottore di diritto e primo barone del suo casato di Salice e Guagnano (dal 1488). Ricoprì importanti cariche sotto gli Aragonesi: capitano di Matera nel 1470, regio consigliere e auditore a vita nelle province di Terra di Bari, d'Otranto e Capitanata nel 1472, regio consigliere in Calabria nel 1478, dove conobbe san Francesco da Paola, di cui sperimentò le doti profetiche e taumaturgiche[6]. Nel 1484, a seguito della pace di Bagnolo, fu uno dei procuratori incaricati di ricevere per conto del re Ferdinando la città di Gallipoli, occupata dai Veneziani. Fu poi ambasciatore del Regno di Napoli a Venezia (1490) e a Roma (1491-94), ove presentò la chinea bianca sia ad Innocenzo VIII sia ad Alessandro VI, ricevendo da quest'ultimo l'ufficio di scrittore apostolico e il titolo di conte palatino. Nel 1496 fu nominato viceré di giustizia nelle province di Terra d'Otranto e di Bari. Con la caduta degli Aragonesi, fu esiliato a Lauro dai Francesi nel 1502, ma venne poi riabilitato dal Re Cattolico, che nel 1507 gli riconfermò la baronia di Salice e Guagnano. L'umanista Antonio De Ferrariis gli indirizzò intorno all'anno 1500 l'epistola Ad Loysium Paladinum.[7]

Pompeo Paladini

(XVI sec.), poeta e scrittore, fu discepolo di Quinto Mario Corrado e cofondatore, insieme a Scipione Ammirato, dell'Accademia dei Trasformati, nella quale assunse il nome di Cadmo. Nel 1560 si interessò alla pubblicazione a Napoli dei Sonetti del s. Bernardino Rota in morte della sra. Porta Capece sua moglie con annotazioni di Scipione Ammirato, ove vi premise un’elegante lettera agli accademici trasformati.

Guglielmo Paladini

(1774-1840), patriota e carbonaro italiano, combatté per la Repubblica napoletana sul Ponte della Maddalena, dove trovò la morte il fratello Pietro. Rientrato dall'esilio nel 1801, ebbe parte attiva nella vendita carbonara dei Figli di Focione e diresse a Napoli un giornale, Il Censore. Costretto nuovamente all'esilio dopo i moti del 1820-1821, pubblicò a Londra il volume «Progetto di un nuovo Patto Sociale per lo Regno delle due Sicilie», che fu anche tradotto in inglese nel 1827 da Thomas Jonathan Wooler. Nel giugno del 1830, in un incontro fortuito a una festa parigina, ebbe modo di rimproverare al Re Francesco I il mancato rispetto della costituzione del 1820, che pure - da reggente del Regno e principe ereditario - aveva finto di sostenere. Morì esule e povero nel 1840 a Besançon.

Cesare Paladini

(1832-1894), deputato liberale nel collegio di Tricase nell'XI legislatura. Di lui fu pubblicato il Discorso di Cesare Paladini all'Assemblea elettorale del 1° Collegio di Terra d'Otranto nel giorno 10 maggio 1886 (Lecce, Tip. Garibaldi, 1886).

Angelantonio Paladini

(† 1896), imprenditore e politico. Sindaco di Lecce nel 1866, fondò nel 1872 nella sua villa di San Pietro in Lama una manifattura ceramica che dava lavoro a più di 150 impiegati e nella quale si fabbricavano, tra l'altro, maioliche artistiche. Fu un esperimento produttivo appassionato e progressista, in anticipo rispetto alle idee del tempo, ma durò solo fino al 1896, quando la fabbrica chiuse i battenti. Nel 1881 era stata premiata all'esposizione di Milano con la medaglia d'argento[8].

Ramo di Taormina

Francesco Paladini

(XVIII secolo) fu tra il 1739 e il 1750 per quattro volte giudice della Regia Gran Corte e maestro razionale del real patrimonio. È anche ricordato quale zio di Giovanni Di Giovanni.

Francesco Paladini Perroni

(1830-1908), garibaldino, uomo politico, giornalista e giurista, fu uno dei più ardenti promotori della sommossa del 4 aprile del 1860 a Palermo. Direttore del periodico La Campana della Gangia, fu eletto alla Camera nel collegio di Cefalù.

Edifici storici

Dalmazia

Lesina, Palazzo Paladini 43°10′21.572″N 16°26′32.32″E

Edificato nel Quattrocento sopra le mura della città probabilmente dal cavaliere Nicolò Paladini, è caratterizzato da una magnifica balconata, lunga tutta la facciata, imitante le forme del palazzo ducale a Venezia. Attualmente è sede di un ristorante, e in più punti è visibile lo stemma dei Paladini di Lesina, raffigurante un giglio e un'ala d'aquila.

Lesina, Palazzo Paladini Gazzari 43°10′20.953″N 16°26′32.183″E

Fu costruito in stile gotico-veneziano da Francesco Paladini nella prima metà del 1500 sulla piazza principale di Lesina, davanti all'altro palazzo Paladini, da cui lo separa un giardinetto intermedio. La sua edificazione fu oggetto di una vertenza giudiziaria da parte del poeta Pietro Ettoreo (Petar Hektoroviċ), proprietario del palazzo accanto sul lato orientale, che veniva privato della vista del porto. Nel 1870 venne radicalmente restaurato da Domenico Gazzari, pur conservandone lo stile originario. Nel 1875 vi soggiornò l'imperatore austriaco Francesco Giuseppe I, in occasione di una visita ufficiale sull'isola.

Puglia

Campi Salentina, Masseria Bellisario 40°24′15.98″N 18°03′07.3″E

Casa di villeggiatura del Capitano Bellisario Paladini († 1631), figlio di Nicolò dei baroni di Campi, a cui si deve anche la costruzione della Chiesa e del Monastero della Madre di Dio e San Nicolò a Lecce. Adagiato sulla fiancata occidentale della Serra del Monte d'oro, tra Campi e Trepuzzi, il fabbricato ha nei pressi una cappella rurale. Successivamente adibito a masseria, ora è in stato di abbandono.

Campi Salentina, Palazzo marchesale Paladini-Enriquez 40°23′56.46″N 18°01′15.63″E

Costruito come castello, tra '400 e '500 fu interessato da opere di rifacimento in stile tardo-gotico e successivamente di gusto rinascimentale, ad opera dei baroni Maremonti e poi Paladini. Quando nel 1625 Maria Paladini, erede primogenita del ramo campiota della sua famiglia e vedova del barone Emilio Guarini, sposò Giovanni Enriquez, marchese di Squinzano, il castello fu trasformato in palazzo marchesale con architetture esterne e apparati interni di elegante gusto barocco.

Lecce, Chiesa della Madre di Dio e San Nicolò 40°20′56.7″N 18°10′16.13″E

La chiesa e l'annesso convento furono costruite nel 1631 su disposizione testamentaria di Bellisario Paladini, patrizio leccese del ramo dei baroni di Campi, che volle trasformare la sua abitazione in tempio e monastero per vergini nobildonne della città, sotto la regola delle carmelitane scalze. Nella chiesa vi è il busto del fondatore, vestito di corazza, e il sarcofago che ne raccoglie le spoglie.

Lecce, Chiesa ed ex Conservatorio di Sant'Anna 40°21′05.34″N 18°09′57.25″E

Fondati nel 1684 dalla nobildonna Teresa Paladini, su disposizione testamentaria del marito Bernardino Verardi, il conservatorio serviva a riunire insieme a vita ritirata, ma non monastica, le signorine nobili della città di Lecce. Nella chiesa di sant'Anna, ai lati dell'altare, sono presenti i monumenti sepolcrali dei due fondatori del complesso, Bernardino Verardi e Teresa Paladini, corredati dei rispettivi busti e stemmi di famiglia.

Lecce, Masseria Paladini 40°23′20.62″N 18°11′55.82″E

Lecce, Masseria Paladini Piccoli 40°26′31.11″N 18°10′06.27″E

Il nucleo originario, databile al XVI secolo, era costituito da una torre a pianta quadrata a due piani. Nel '700, quando era di proprietà della famiglia Palmieri, marchesi di Martignano, fu ampiamente rimaneggiata ed adibita a residenza estiva. Alla fine del '700 risale l'imponente torre colombaia a pianta circolare posta all’esterno del muro di recinzione, sul cui ingresso era posto lo stemma dei Guarini, parenti dei Palmieri.

Lecce, Palazzo Paladini 40°21′22.8″N 18°10′16.69″E

Ė uno dei pochi palazzi leccesi dove è sicuro l'intervento dello Zimbalo, soprattutto nella splendida loggia a due archi con balaustra a transenne. Notevoli anche le mensole figurate del balcone che si sporge su via Gualtieri di Brienne.

Lizzanello, Palazzo baronale Paladini 40°18′15.08″N 18°13′29.76″E

Di origine quattrocentesca, fu edificato originariamente come castello. Modificato una prima volta nel Cinquecento, fu trasformato in residenza signorile da Giovanni Paladini nel XVII secolo.

Melendugno, Cappella dell'Annunziata 40°16′16.29″N 18°20′11.28″E

Fu innalzata da Francesco Paladini, cavaliere di Malta, probabilmente nei primi decenni del Seicento. Alla fine del XVII secolo fu donata dalla famiglia Paladini, insieme a diversi beni immobili, al Monastero leccese di Santa Chiara.

Melendugno, Palazzo baronale D'Amely 40°16′13.76″N 18°20′11.44″E

Si presenta come una grande torre poligonale, edificata su progetto dell'ingegnere militare Gian Giacomo dell'Acaya nella seconda metà del XVI secolo su commissione di Pompeo Paladini, settimo barone di Melendugno e Lizzanello. L'edificio venne poi nel tempo rimaneggiato, in particolare con l'avvento dei baroni D'Amely che tennero Melendugno dalla fine del Seicento fino all'eversione della feudalità.

Novoli, Villa Cardamone 40°21′30.96″N 18°04′22.13″E

Fabbricato dall'aspetto severo ed essenziale, a pianta rettangolare, che a metà Ottocento apparteneva al Cav. Nicola Paladini, la cui unica figlia Checchina sposò il giudice e letterato salentino Luigi Giuseppe De Simone (1835-1902).

San Pietro in Lama, Casino Paladini 40°18′38.45″N 18°07′07.77″E

Tipica dimora rurale fortificata a due piani, non presenta elementi architettonici di particolare interesse, ma riveste una certa importanza dal punto di vista storico in quanto fu sede della fabbrica di ceramica del Cavaliere Angelantonio Paladini, che nei pochi anni in cui fu attiva (1872-1896) ebbe una notevole rinomanza[8].

Sicilia

Taormina, Palazzo Platamone Paladini 37°51′05″N 15°17′06.71″E

Posizionato su una vetta a strapiombo sul mare e adiacente all'antica Torre dell'Orologio, il settecentesco palazzo è sede oggi dell'hotel Metropole Maison d'Hôtes.
Fu la dimora del giureconsulto e archeologo Biagio de Spuches dei Duchi di Santo Stefano (1667-1748), che lo arricchì tra l'altro di alcune colonne provenienti dal Teatro Greco, tuttora presenti. Per lasciti ereditari giunse poi in possesso della famiglia Platamone Paladini e nel 1876 fece parte della dote di Giacinta Paladini.

Bibliografia

  • Scipione Ammirato, Della famiglia de' Paladini di Lecce, Firenze, Marescotti, 1595
  • Francesco Savini, Le famiglie feudali della regione teramana nel Medioevo, Roma, Tip. Del Senato, di G. Bardi, 1916; ristampa anastatica, Bologna, Forni, 1971
  • Francesco Savini, Le famiglie del Teramano, notizie storiche sommarie tratte dai documenti e dalle croniche, Roma, Tip. del Senato, 1927
  • Amilcare Foscarini, Armerista e notiziario delle famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra d’Otranto, Lecce, 1927
  • Cosimo Paladini, Il Canzoniere di Paolo Paladini e i Paladini di Lesina in «Atti e Memorie della Società Dalmata di Storia Patria», vol. XXIV. Roma 2002, pp. 31-52

Note

  1. ^ Benedetto Vetere, L’Universitas, pagg. 155-156, in Città e monastero. I segni urbani di Nardò (sec. XI-XV), a cura di B. Vetere, Galatina 1986.
  2. ^ «E tiensi fermo egli [Tommaso] in Lesina di Schiavonia essersi ricoverato, e di quivi in Ciprio un Benedetto de Paladini suo figliuolo o nipote esser passato; dal nome del quale quegli che da lui uscirono non più Paladini, ma Benedetti fur chiamati, riserbando l’arma medesima della croce; se non che invece d’uno dei gigli posero un’ala d’aquila conceduto loro secondo raccontano dalla Repubblica Veneziana» (Scipione Ammirato, Della famiglia de' Paladini di Lecce, Firenze 1595).
  3. ^ Florio Bustron, Historia de Cipro, a cura di M. R. de Mas Latrie, pag. 423 e 448, Paris 1884. Marin Sanudo, I Diarii, vol. XXXVIII.
  4. ^ Luigi De Simone, ms. 305, Biblioteca Provinciale di Lecce.
  5. ^ G. Arenaprimo, Numero di galee et de' Capitani che si trovarono alla vittoria navale, in La Civiltà Cattolica, serie XIV, vol. III, Roma 1889
  6. ^ Cfr. quarto testimone nel processo cosentino di canonizzazione di San Francesco da Paola.
  7. ^ S. Panareo, Notizie su Luigi Paladini, agente e governatore degli Aragonesi di Napoli in Rivista Storica Salentina, a. VI (1909), pp. 255-270; De Paladinis Luise, Note biografiche, in L. Volpicella, Regis Ferdinandi Primi Instructionum Liber, Napoli, Società Napoletana di Storia Patria, 1916, pp. 392-394; Antonio De Ferrariis Galateo, Epistola a Luigi Paladini in Epistole Salentine (a cura di M. Paone), Galatina, Congedo, 1974, pp. 23-31.
  8. ^ a b G. Corona, La Ceramica, Milano 1885, in «Ceramisti. Enciclopedia Biografica e Bibliografica Italiana», Milano 1939; C. Paolinelli, Regesto delle principali manifatture ceramiche italiane dell'Ottocento in DecArt, n. 7 (primvera 2007), p.131; C. De Giorgi, L'Aristocrazia del lavoro e la ceramica salentina del Cavaliere Angelantonio Paladini, Lecce, Ed. Salentina, 1874.
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