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Antonio Canossa, Taddeo Manfredi, Giangiacomo Pelliccione, Benedetto Accolti, Pietro Accolti, Giulio Accolti, Prospero Pittori, Giovanni da Norcia e un servitore sconosciuto.
La congiura fu ordita da personaggi di diversa estrazione:
il conte Antonio Canossa, giovane discendente di un ramo cadetto dell'antica e prestigiosa famiglia Canossa, ormai in piena decadenza. Erede al feudo di Montalto, a Roma intratteneva rapporti con la Camera Apostolica, che gli aveva dato in concessione alcuni mulini e miniere di allume nei territori dello Stato pontificio.
il conte Taddeo Manfredi, discendente di una famiglia che aveva governato ampi territori nell'odierna Emilia-Romagna (presso Imola e Faenza) fino alla fine del XV secolo, quando Cesare Borgia li aveva conquistati. Dopo la sconfitta di quest'ultimo, tali territori erano passati sotto il diretto controllo della Santa Sede.
il cavalier Giangiacomo Pelliccione, pavese d'origine, trasferito a Roma dopo essere stato bandito dalla Repubblica di Venezia per aver coniato denaro falso: nella capitale pontificia dichiarava di essere discendente della famiglia Lusignano e si era stabilito nella zona di ponte Sisto, frequentando abitualmente astrologi ed esorcisti.
Benedetto Accolti, figlio illegittimo del cardinale Pietro Accolti, uomo tanto fisicamente brutto e sgraziato quanto dalla cultura vastissima. abilissimo oratore, erudito delle Sacre Scritture e della cultura classica, risiedeva a Roma da circa un decennio e aveva acquisito una fama consolidata di profeta; frequentava assiduamente i palazzi di potenti porporati e curiali.
il nipote di quest'ultimo, Pietro Accolti (figlio di Adriano, fratellastro di Benedetto) e Giulio, altro figlio illegittimo del cardinale d'Ancona.
tre servitori del conte Manfredi (Prospero Pittori, Giovanni da Norcia e uno sconosciuto).
Il fallito attentato
La sera del 6 novembre 1564 tutti costoro (escluso Giulio Accolti) si ritrovarono in un palazzo di Borgo Vecchio, presso la chiesa di San Lorenzo in Piscibus, di proprietà del cardinale Federico Cesi (conoscente di alcuni congiurati, ma del tutto estraneo alla vicenda): qui si prepararono per l'omicidio del regnante papa Pio IV Medici, pianificato per l'indomani, da perpetrarsi nel corso dell'udienza generale cui erano stati regolarmente ammessi.
La mattina del 7 novembre sei di loro (esclusi Giovanni da Norcia e il servitore sconosciuto) si recarono presso la stanza della Segnatura, in Vaticano, per incontrare il pontefice. Vestiti elegantemente, avevano portato con sé coltelli, spade e stiletti: il piano prevedeva che Benedetto Accolti avviasse l'azione atterrando il papa ed accoltellandolo, con il cavalier Pelliccione e il conte Canossa pronti ad intervenire con le spade; Prospero e Pietro rimasero un po' più indietro, pronti a coprire le spalle ai compagni in caso di necessità. Tuttavia, per motivi poco chiari, nessuno di loro aggredì il pontefice: l'udienza si svolse regolarmente e i congiurati se ne andarono senza aver concluso nulla.
L'arresto dei congiurati
Subito dopo tale fallimento, il conte Canossa e Benedetto Accolti si attivarono per ottenere una nuova udienza, forti delle loro conoscenze altolocate all'interno della corte romana che derivavano dalla loro posizione: Antonio Canossa si vantava di essere discendente diretto della contessa Matilde di Canossa, mentre Benedetto era figlio illegittimo del cardinale d'Ancona Pietro Accolti, e cugino di un altro porporato, Benedetto Accolti il Giovane. Entrambi avevano molti debiti ed erano implicati in vari procedimenti giudiziari inerenti eredità, giurisdizioni e beni feudali: finsero pertanto di voler presentare una supplica al papa.
Si misero quindi in contatto con lo scalco pontificio Giulio Cattaneo, che riuscì a concordare per loro un'udienza privata; poche ore prima dell'incontro, tuttavia, Pio IV si recò a Castel Sant'Angelo, mandando a monte anche tale secondo tentativo.
Giovanni da Norcia si mise allora in contatto con monsignor Pietro Paolo Angelini di Cantalupo, maestro di casa di Marcantonio Colonna, che promise di contattare allo scopo il cardinal nipoteCarlo Borromeo. Dopo che anche tale canale si fu rivelato infruttuoso, Benedetto e Giovanni riuscirono a incontrare il coppiere papale Giulio Giannotti, cui il 13 dicembre consegnarono una supplica da inoltrare al papa, ottenendo in cambio la promessa di essere introdotti presso di lui. La sera tutti i congiurati si ritrovarono al palazzo del conte Manfredi, nel rione Colonna, coricandosi tutti insieme in vista del nuovo tentativo da perpetrare l'indomani.
Nella notte tuttavia il cavalier Pelliccione si recò in Vaticano e, dopo molte insistenze, riuscì a farsi introdurre presso il pontefice, cui denunciò la congiura. Il mattino dopo i birri papali irruppero a palazzo Manfredi, arrestando i due Accolti (sebbene Benedetto avesse cercato disperatamente di occultare le prove gettando il suo stiletto e delle carte da una finestra), il conte Taddeo con sua moglie, Giovanni da Norcia, Prospero Pittori e un altro servo di casa. Il Canossa, accortosi in tempo dell'arrivo delle guardie, riuscì a fuggire dal tetto, ma venne tratto in arresto quattro giorni dopo in casa di una prostituta presso Piazza del Popolo.
Il processo
I primi interrogatori
Gli arrestati furono tradotti al carcere di Tor di Nona e immediatamente posti sotto processo. I primi interrogatori furono condotti dal procuratore fiscale Giovambattista Bizzoni, cui poi subentrò il governatore Alessandro Pallantieri. Per primo fu ascoltato il cavalier Pelliccione, che diede conto dei vagheggiamenti del conte Manfredi in merito alle sue mire sulla valle del Lamone, antico feudo della sua famiglia, ove affermava di voler provocare una sommossa e, una volta postosi a capo dell'esercito dei rivoltosi, prendere il mare e attaccare Venezia. Disse altresì che Benedetto Accolti, da lui definito figlio bastardo del cardinale d'Ancona, lo aveva attirato con discorsi evocanti la necessità di una liberatione de Italia e revolutione della Chiesa passante attraverso l'uccisione di Pio IV, che a detta di Benedetto non era il vero papa e avrebbe pertanto dovuto essere eliminato per far spazio a un papa vero e santo.
Taddeo Manfredi confermò quanto detto dal Pelliccione: Benedetto Accolti li aveva convinti che il papa regnante fosse illegittimo e che ve ne fosse un altro, descritto come un vecchio dalla lunga barba, ormai in procinto di giungere con gran pompa a Roma per occupare legittimamente il soglio petrino, e che pertanto fosse necessario "fargli spazio" uccidendo Pio IV.
Antonio Canossa impostò la sua strategia difensiva sulla falsariga dei compagni, asserendo che il movente della congiura era completamente spirituale. Appellandosi al suo stato di aristocratico ed esponente di una famiglia (i Canossa) cui la Sede Apostolica è obbligata più che a nessuna famiglia de Italia, egli rifiutò ripetutamente di rispondere alle domande del governatore, chiedendo poi di essere risparmiato dalla tortura e di poter prendere visione dei capi d'accusa per approntare la sua difesa. Tali garanzie gli furono negate e tra il 20 e il 28 dicembre il Canossa venne orrendamente torturato, giungendo quasi in punto di morte.
Tra tali deposizioni emerse con evidenza la figura di Benedetto Accolti, sedicente depositario di una verità superiore e incaricato di realizzarla, quale ideatore e anima del progetto criminale. Ai giudici che lo interrogavano disse, con un eloquio eccezionale, di non avere intenzione di uccidere Pio IV tout court, ma di volerlo convincere ad abdicare nel nome dell'ormai prossima venuta del già citato "papa santo", che a suo dire avrebbe vinto i turchi e gli eretici instaurando una Chiesa pura e santa: disse tuttavia che se il pontefice non gli avesse dato ascolto, l'avrebbe ucciso in quanto furbo ribaldo tiranno inimico di Cristo, el quale stava su questa sedia indegnamente. Nell'affermare ciò, Benedetto si richiamava alla distinzione tra il papa in quanto uomo (dotato di un corpo mortale) e la sua funzione di vicario di Cristo: un papa illegittimo non sarebbe stato investito della carica di vicario di Cristo, e ucciderlo non avrebbe comportato un sacrilegio.
Ricerca di connivenze
Il movente spirituale non convinse i giudici, i quali ribatterono alle deposizioni affermando che, qualora fosse stata la mano di Dio a guidarli contro il papa, i congiurati non avrebbero avuto bisogno di usare alcuna arma. Si sospettava invece la presenza di mandanti illustri e potenti dietro al complotto, anche considerando le esorbitanti ricompense (sottoforma di somme di denaro, feudi e regalie varie) che i congiurati avevano promesso o sostenevano di voler elargire a diverse persone per renderle loro complici e non rischiare il linciaggio una volta ucciso il pontefice, e le dichiarazioni dell'esistenza di grandi truppe pronte a prendere il controllo della situazione dopo l'attentato. Siffatte promesse infatti stridevano con il loro stato di indigenza.
Le indagini pertanto si appuntarono sui canali attraverso i quali i congiurati si erano procurati le armi: emerse che il Pelliccione aveva preso in prestito un pugnale lungo un palmo e mezzo dall'amico Simone della Barba, fratello dell'archiatra pontificio Pompeo (che con l'oscuro cavaliere condivideva l'abitudine a frequentare gli ambienti della magia e dell'astrologia). Da tale allarmante legame con una persona tanto vicina al pontefice non emerse tuttavia alcunché di rilevante ai fini dell'indagine. Si passò quindi ad esaminare lo stiletto di Benedetto Accolti, frattanto ritrovato sull'architrave di una finestra del palazzo Manfredi e che si sospettava fosse stato intinto nel veleno per rendere ancor più letali le ferite inferte; Benedetto minimizzò affermando che si trattava di un coltello di poco conto che usava portare sempre con sé per trinciare il cibo.
Un'altra pista che fu battuta alla ricerca di connivenze fu quella dei vestiti: tutti i congiurati, date le loro difficili condizioni economiche, si erano ridotti a prendere in prestito abiti adatti a presentarsi al cospetto di Pio IV da dei famigliari di Curzio Gonzaga e Ascanio Della Cornia; quest'ultimo nome probabilmente risultò particolarmente sospetto, in quanto il Della Cornia era un potente condottiero, che già in passato aveva rivolto i suoi soldati contro il papa (sotto il pontificato di Paolo IV). Di lì a poco egli fu imprigionato a Castel Sant'Angelo per degli abusi perpetrati nel suo feudo di Chiusi, ma non emersero prove di un suo effettivo coinvolgimento nella congiura contro Pio IV.
Nel giro di circa una settimana la concordanza delle versioni fornite dai prigionieri si ruppe ed essi cominciarono a scambiarsi accuse: nell'interrogatorio del 22 dicembre Benedetto Accolti, pur continuando a professarsi "capo" della banda, disse di essere stato incitato all'azione dai suoi complici, che si erano occupati di organizzare materialmente l'omicidio. Taddeo Manfredi disse che il Canossa aveva preparato delle polizze da recapitare alle magistrature romane per spiegare i motivi del gesto violento; il diretto interessato (unico a restare fedele alla teoria del movente spirituale) smentì di averle mai compilate, mentre Benedetto si dichiarò estraneo alla loro preparazione. Venne frattanto interrogato
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Con l'espressione disastro di San Juanico si indica l'incidente avvenuto tra il 19 e il 20 novembre 1984 nella località messicana di San Juan Ixhuatepec (anche nota come San Juanico), parte del comune di Tlalnepantla de Baz, nella zona metropolitana di Città del Messico. Una perdita di GPL da una delle cisterne del locale deposito di idrocarburi, di proprietà della compagnia PEMEX, si incendiò e causò una serie di rovinose deflagrazioni, che si protrassero per oltre 24 ore e investirono la zona circostante fino a 1 km di distanza. Si calcola che le vittime siano state tra le 500 e le 600, mentre i feriti furono oltre 2000; si dovettero altresì evacuare dalle loro case circa 60 000 persone[1][2][3].
Storia
Antefatto
San Juanico
Ubicazione di San Juanico, luogo del disastro
Nel 1961 la Petróleos Mexicanos (PEMEX, azienda petrolifera pubblica del Messico) inaugurò presso il pueblo di San Juan Ixhuatepec (soprannominato San Juanico), 20 km a nord di Città del Messico, un deposito per lo stoccaggio di gas di petrolio liquefatti e butano ad uso sia domestico che industriale. L'impianto (gestito in subappalto da una concessionaria) constava di una cinquantina di cisterne (delle quali 48 cilindriche, di dimensioni medio-piccole, e sei maggiori, sferiche: quattro capaci di 1600 metri cubi e due di 2400 metri cubi) e riceveva il gas, mediante condotte, dalle raffinerie di Minatitlán, Poza Rica e Azcapotzalco. Attorno ad esso si stabilirono presto diverse piccole e medie imprese private, attive nella rivendita del GPL.[4] In totale a San Juanico era stoccato circa un terzo delle riserve di gas dell'intera area metropolitana di Città del Messico.
Il suddetto complesso sorgeva a poca distanza dagli agglomerati urbani di San Juan Ixhautepec, San Isidro Ixhuatepec e Lázaro Cárdenas, caratterizzati da elevata densità abitativa e da un bassissimo tenore di vita: gran parte della popolazione viveva in povertà, in baracche pericolanti costituite da singoli blocchi di calcestruzzo, mattoni forati e tetti in cartone e lamiera metallica. A dispetto di ciò l'impianto PEMEX, ufficialmente dotato di ausili per la prevenzione del rischio, era considerato complessivamente sicuro[2]. Tuttavia, dopo circa un decennio dall'attivazione, si iniziarono a registrare lamentele da parte degli operai impiegati nell'infrastruttura, che lamentavano una manutenzione carente, anche e soprattutto in relazione ad ausili fondamentali, quali le valvole che regolavano l'afflusso e il deflusso del gas nei serbatoi.[4][5]
L'incidente
Alle ore 5:30 locali del 19 novembre 1984 il riempimento eccessivo di uno dei serbatoi finì per causare un aggravio di pressione nel gasdotto che trasportava il GPL dalle raffinerie al deposito. Le valvole di sicurezza, guaste oppure eccessivamente strette, non funzionarono, sicché la pressione continuò a crescere fino a causare la rottura di una delle condotture, del diametro di 20 cm[6]. Già alle 3:00 tuttavia alcuni abitanti della zona circostante l'impianto PEMEX avevano riferito alle autorità di aver avvertito nell'aria un forte odore di gas[4][5].
Nel giro di 10 minuti dalla falla fuoriuscì una sacca di gas lunga e larga circa 200 m: il GPL infatti, una volta sottoposto a pressione atmosferica, evapora, ma essendo più pesante dell'aria tende a accumularsi al suolo. L'espansione di tale nube gassosa la portò infine a lambire la flare pit dello stabilimento (il pozzo in cui si bruciano i residui gassosi e liquidi della lavorazione degli idrocarburi), che alle 5:40 ne causò l'innesco.[4] In meno di 5 minuti la fiamma compì il percorso inverso fino alla perdita: alle 5:44:32 una prima cisterna saltò in aria (tecnicamente si trattò di un'esplosione di tipo BLEVE[2]), sprigionando una palla infuocata larga 300 m e alta 500 m; entro le ore 10:00 seguirono poi altre undici detonazioni, che investirono le altre quattro cisterne sferiche e quindici tra le cilindriche. Ulteriori scoppi di minore entità si verificarono lungo tutta la giornata, fino alle ore 10:00 del mattino seguente.
L'esplosione aprì un cratere del diametro di 200 metri;[2] su un raggio di 1 chilometro dallo stabilimento si abbatté una radiazione termica di tale velocità e potenza da ardere vive le persone senza dar loro tempo di rendersi conto di quanto accadeva: in tale zona solo il 2% dei cadaveri recuperati poterono essere identificati.[7] Danni gravi e gravissimi a persone e cose si registrarono fino a 7 chilometri di distanza dall'impianto. I testimoni oculari riferirono che una colonna di fumo e fiamme si alzò in cielo per centinaia di metri, illuminando a giorno i dintorni e risultando visibile anche a decine di chilometri di distanza.[8][4] L'area urbana circostante, per le sue caratteristiche edilizie, amplificò la devastazione: molte case infatti disponevano di cisterne di GPL private, che a contatto con l'aria caldissima dell'esplosione deflagrarono a loro volta[2]; inoltre l'ampio uso di materiali costruttivi poveri e scadenti (legno e cartone) propagò ulteriormente le fiamme, ardendo vivi nel sonno centinaia di inquilini.[4]
I sopravvissuti riportarono ustioni gravi e gravissime e menomazioni fisiche anche permanenti; molti rimasero ciechi.[9] La topografia dell'area dell'incidente, alquanto montuosa, complicò la fuga dei superstiti (che fu agevolata dall'intervento di volontari dai centri vicini) e l'arrivo dei soccorritori: i primi sparuti corpi d'emergenza arrivarono a San Juanico alle 6:15, potendo a malapena controllare parte degli incendi. Diversi soccorritori, vigili del fuoco, poliziotti e soldati furono altresì uccisi dal continuo susseguirsi delle esplosioni. Alle 6:20 l'esercito messicano isolò tutta la zona, inibendo l'accesso.[4]
Occorsero in totale 40 ore per domare gli incendi, nei quali si stima bruciarono 11.000 metri cubi di gas sui 16.000 contenuti nel deposito.[7][4]
Conseguenze
Bilancio
Le stime ufficiali del governo messicano parlano di un bilancio di 503 morti, 926 feriti gravi dei quali 353 con ustioni di primo grado, un totale di 7000 persone ricoverate in ospedale, 61 000 persone evacuate e 149 edifici distrutti[9]
Altre fonti sostengono tuttavia che il bilancio sia stato molto più grave, oltre le 1500 vittime: molte salme infatti non poterono essere identificate e la gran parte di esse fu inumata in una fossa comune.
Il 20 novembre il presidente messicano Miguel de la Madrid e il governatore regionale Alfredo del Mazo González giunsero in visita sul luogo del disastro; venne decretata l'istituzione di una commissione governativa per coordinare i soccorsi e gli aiuti (Comisión Intersecretarial de Auxilio a los damnificados de San Juan Ixhuatepec)[4].
Nei giorni successivi al disastro diverse voci governative e legate alla PEMEX (nella persona del direttore operativo Mario Ramón Beteta) negarono di avere responsabilità dirette nel disastro, accusando invece l'impresa subappaltatrice e quelle che distribuivano il gas nei dintorni.[5] Dinnanzi a ciò i familiari delle vittime si riunirono nell' Asamblea Popular de San Juan Ixhuatepec (poi divenuta Unión Popular Ixhuatepec), al fine di fare pressione sul governo e sulla PEMEX affinché si assumessero le proprie responsabilità, ammettessero il vero conto di vittime e danni, li risarcissero e provvedessero a spostare gli impianti gasieri lontano dal centro abitato. La reazione governativa fu ostile: il 25 novembre 1984 una marcia di protesta fu fermata con la forza dai militari e nei mesi successivi diversi leader dell'assemblea morirono in circostanze misteriose, come Telésforo Rivera Morales, che fu rapito, torturato e infine assassinato; molte altre persone legate all'organizzazione furono poi costrette a lasciare San Juanico, ivi compreso il parroco padre Abel de la Cruz. Una seconda marcia di protesta fu altresì repressa dalle Forze dell'Ordine il 16 dicembre 1985.[4]
Responsabilità
La pressione popolare e mediatica fece però sì che, il 22 dicembre 1984, la Procura Generale della Repubblica indicasse ufficialmente la PEMEX come responsabile del disastro, ingiungendole di pagare i danni.[4] Il processo di risarcimento fu però lento, farraginoso e segnato da frequenti inadempienze e casi di corruzione; dal canto proprio la PEMEX continuò a incolpare la ditta locale cui era subappaltata la gestione dell'impianto.[4]
Le indagini condotte non sono mai arrivate a indicare formalmente la causa diretta dell'incidente, la quale è tuttavia da ricercarsi in una combinazione di errori umani e deficienze nei sistemi di controllo e sicurezza.[2] Studi indipendenti hanno altresì evidenziato come la conformazione dei serbatoi (troppo ravvicinati tra di loro) abbia cooperato alle esplosioni a catena: una maggiore spaziatura tra le cisterne avrebbe infatti meglio dissipato i vapori infiammabili.[2] Nondimeno la devastazione fu aggravata dall'eccessiva vicinanza dello stabilimento alle abitazioni, in spregio alle convenzioni internazionali di sicurezza.[2]
Nel 1986 un decreto presidenziale (rimasto in parte lettera morta) vietò la gestione in subappalto degli impianti gasieri PEMEX.
Altri incidenti e conseguenze a lungo termine
Nel decennio successivo tra gli abitanti dell'area si è registrato un numero di casi di malattie del sistema respiratorio superiore alla media messicana.
Inoltre, sebbene l'impianto di San Juanico sia stato chiuso, l'area ha continuato a essere usata per lo stoccaggio di combustibili, continuando a patire incidenti, sia pure di portata inferiore: il 23 novembre 1990 una cisterna privata di GPL prese fuoco[1], mentre l'11 novembre 1996 a incendiarsi furono due serbatoi di benzina senza piombo ubicati a un chilometro dal sito dell'esplosione del 1984; questo secondo rovescio causò 2 morti e 14 feriti, ma il buon funzionamento dei sistemi di allarme ed evacuazione della zona evitò un bilancio peggiore.[10][11].
(ES) Carlos Monsiváis, San Juanico, los hechos, las interpretaciones, las mitologías, in "Entrada libre. Crónicas de la sociedad que se organiza", México, Era, 2001, pp. 123-155
Nel 1996 Bernardo Caprotti decide di coinvolgere direttamente i figli Violetta, Giuseppe e Marina nella gestione e nell'azionariato delle imprese di famiglia, in vista di una futura successione. Viene pertanto costituita l'Unione Fiduciaria SpA, tramite la quale il monte azionario del gruppo (all'epoca organizzato nella holding Bellefin SpA) viene intestato fiduciariamente in parti uguali ai figli, ferma restando la prerogativa del patròn di compiere tutti gli atti amministrativi correlati alle medesime azioni, nonché di riavocarsele qualora ritenuto necessario.
Ben presto tra padre e figli monta il disaccordo, tradottosi poi in una lunga diatriba legale. Bernardo Caprotti scriverà poi nel suo ultimo e definitivo testamento che «il disegno di ripartizione e continuità famigliare [...] è definitivamente naufragato la sera del 30 luglio 2010»[1]. Circa sei mesi dopo, a febbraio 2011 il patròn sostituì il mandato fiduciario in favore dei figli con uno in favore di sé stesso
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La parte V della costituzione di Nauru, adottata nel 1968, stabilisce l'esistenza della Corte. L'art. 48 della carta la identifica come "massimo ed inappellabile organo di giudizio". L'art. 49 dichiara che il Giudice capo è nominato dal presidente della Repubblica, così come i giudici che lo coadiuvano. Solo procuratori o avvocati con almeno cinque anni di pratica possono farne parte. Gli artt. 50 e 51 fissano l'età di pensionamento dei giudici a 65 anni (derogabili con decreto ufficiale), e ne decretano la rimovibilità in caso di impeachment da parte di 2/3 del Parlamento o di dimissioni spontanee. L'art. 54 afferma che "la Corte Suprema ha l'ultima parola sulle controversie riguardanti l'interpretazione della Costituzione"; l'art. 55 indica che il governo "deve chiedere alla Corte di procedere in simili casi" e che tutte le sessioni devono essere aperte al pubblico.[1] Su richiesta del governo, la Corte può emettere atti di indirizzo.[2]
Giurisdizione
La giurisdizione della Corte è sia civile che penale[3] e valuta in appello i giudizi delle corti inferiori[4] esclusa la Corte Familiare.[3]
Nonostante il suo nome, la corte non è il massimo organo giuridico nauruano. Si possono infatti Appellate Court.[5] In addition, art.57 of the Constitution stipulates that "Parliament may provide that an appeal lies as prescribed by law from a judgment, decree, order or sentence of the Supreme Court to a court of another country".[1] This provision was implemented in an agreement between Nauru and Australia in 1976, providing for appeals from the Supreme Court of Nauru to the High Court of Australia in both criminal and civil cases, with certain exceptions; in particular, no case pertaining to the Constitution of Nauru may be decided by the Australian court.[6]
As Nauruan law is derived from the English and Australiancommon law system, precedents set by the Supreme Court are integrated to national law, and the Supreme Court's interpretation of the law binds lower courts. Such precedents are, however, superseded by statute law.[7]
Casi
The Supreme Court heard its first case, Detamaigo v Demaure, in April 1969. The case consisted in an "appeal against a decision of the Nauru Lands Committee as to the persons beneficially entitled to the personality of the estate of a deceased Nauruan". In a very brief ruling, Chief Justice Thompson struck out the appeal, on the grounds that "this Court has no jurisdiction to entertain appeals from the Nauru Lands Committee's determinations in respect of personalty", as such jurisdiction was not specifically provided by the Nauru Lands Committee Ordinance 1956.[8]
The first constitutional case to reach the Supreme Court was Jeremiah v Nauru Local Government Council, decided in March 1971, on petition to the Supreme Court. The petitioner, Jeremiah, was a Nauruan man who wished to marry a non-Nauruan woman. The Nauru Local Government Council, whose consent was required for any lawful marriage between a Nauruan and a non-Nauruan (as per the Births, Deaths and Marriages Ordinance 1957), refused to grant consent, without providing a reason. Jeremiah argued this was a violation of article 3 of the Constitution, which provides that "every person in Nauru is entitled to the fundamental rights and freedoms of the individual". Chief Justice Thompson, however, ruled that the constitutional meaning of "fundamental rights and freedoms of the individual" was to be restricted to the rights and freedoms explicitly established by the Constitution. Thus, no constitutional right to marry existed.[9]
In October 2010, the Supreme Court ruled on its most recent constitutional case, In the Matter of the Constitution and in the Matter of the Dissolution of the Eighteenth Parliament, to determine whether the dissolution of a deadlocked Parliament and the ensuing proclamation of a state of emergency by President Marcus Stephen were constitutionally valid. The case had been brought by members of the parliamentary Opposition. Justice John von Doussa ruled in favour of the President, stating that art.77 of the Constitution gave the President full latitude to determine whether a state of emergency should be declared.[10]
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Il succo di questa pagina: Uno stemma, anche se esteticamente diverso dalle versioni usate dall'armigero, è "araldicamente valido" fintanto che rispetta la blasonatura codificata, che in quanto descrizione testuale e per l'elasticità delle norme araldiche si presta a varie rese stilistiche. Non è dunque necessario, né tantomeno obbligatorio, utilizzare la versione dell'armigero, che peraltro è spesso protetta da copyright.
In araldica, la descrizione (blasonatura) e la rappresentazione di uno stemma sono due concetti distinti. L'araldica è infatti una materia molto antica, con oltre otto secoli di storia, sicché spaziando tra epoche e luoghi diversi si incontrano molte differenze nelle tradizioni consuetudinarie e legali.
La descrizione di uno stemma, detta blasonatura, è puramente testuale (ad esempio Di nero al leone rampante d'oro) e non fissa alcun limite rigido alla resa stilistica dei suoi elementi, che è rimessa all'interpretazione dei singoli disegnatori, i quali ne possono trarre infinite rappresentazioni, nessuna delle quali sarà più "vera" o "corretta" di un altra, fintanto che non si discostano dalla blasonatura. Questo perché lo stemma non è da intendersi alla stregua di un logo.
Sia la blasonatura che la rappresentazione sono creazioni intellettuali e possono essere soggette alla relativa proprietà
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Il rapimento di Natascha Kampusch è stato un caso di sequestro di persona avvenuto in Austria tra il 2 marzo 1998 e il 23 agosto 2006. La vittima, rapita a opera di Wolfgang Přiklopil quando aveva da poco compiuto dieci anni, fu segregata per un totale di 3096 giorni nello scantinato della casa del rapitore, nel comune di Strasshof an der Nordbahn; allorché riuscì a fuggire, nell'anno del suo diciottesimo compleanno, il suo aguzzino si suicidò.
La scoperta del rapimento ebbe una eco mediatica mondiale e fece sorgere varie polemiche, sia per i molti errori commessi nelle indagini da parte delle autorità austriache, sia per alcuni aspetti poco chiari nella stessa dinamica dei fatti.[1]
Contesto
Wolfgang Přiklopil
Nato a Vienna il 14 maggio 1962[2], era figlio unico di Karl Přiklopil, commerciante di cognac, e di Waltraud, commessa di un negozio di scarpe. Visse coi genitori e altri familiari dapprima in un complesso popolare nei pressi di Donaustadt; all'età di 10 anni tutta la famiglia si trasferì a Strasshof, nella villetta già abitata dai nonni, ubicata al civico 60 di Heinestraße. Qualche anno dopo, alla morte della nonna, la madre fece rientro a Donaustadt e Wolfgang, ormai ventenne, rimase a vivere da solo[3].
Wolfgang Přiklopil era contraddistinto da un'indole introversa e riservata: solitario per natura e legatissimo alla madre e alla nonna (soprattutto dopo la prematura scomparsa del padre), frequentava pochissimi conoscenti e aveva attrezzato la sua dimora con un sofisticato impianto di allarme sviluppato in proprio. Dopo gli studi professionali, lavorò come tecnico delle comunicazioni presso la Siemens; in seguito lasciò il posto e si mise a lavorare in proprio come elettricista riparatore, insieme a un socio d'affari. Le testimonianze dipingono l'immagine pubblica di Wolfgang Přiklopil come quella di un uomo apparentemente misurato e perbene, pur se con un carattere arrogante; in privato egli era ossessionato dall'ordine e dalla pulizia e con poche passioni note, tra cui il modellismo e le automobili BMW. Come emerso successivamente, era altresì collezionista di materiale pedopornografico, circostanza che era in parte nota alla polizia fin dal 1998[1]; tuttavia la sua fedina penale era quasi immacolata: gli unici problemi noti con la legge consistevano in una multa per eccesso di velocità in automobile e un richiamo scritto per aver sparato a un uccellino per strada con un'arma ad aria compressa[3].
Natascha Kampusch
Nata a Vienna il 17 febbraio 1988 dalla breve relazione non coniugale tra la sarta Brigitta Kampusch e il fornaio Ludwig Koch, Natascha Kampusch crebbe con la madre e le due sorellastre. Il rapporto tra i genitori fu sempre pessimo: il padre era infatti alquanto indebitato e incline all'ubriachezza[4], la madre piuttosto irascibile e violenta nei confronti della figlia, che veniva aggredita e percossa per futili motivi, ad esempio quando il padre la riportava a casa "sforando" gli orari di visita concordati[3]. La bambina era cresciuta sviluppando presto un carattere "forte": frequentava poche amiche e nel 1998 già andava da sola alla scuola elementare di Brioschiweg a Donaustadt, a meno di 1 km dall'appartamento in cui abitava, in Rennbahnweg[5][6].
Il rapimento
Dinamica del sequestro
Il 2 marzo 1998, poco dopo le ore 7 di mattina, Natascha Kampusch lasciò l'appartamento in cui abitava, in Rennbahnweg, nel distretto Donaustadt di Vienna, per andare a scuola; la sera prima aveva avuto un ulteriore alterco con la madre, irata per via del fatto che la sera prima la figlia fosse rincasata molto tardi, essendo rientrata da un viaggio in Ungheria con il padre. L'indomani, nonostante i tentativi della mamma di fare pace, il litigio non si era ricomposto e la figlia uscì di casa urlando e sbattendo la porta dietro di sé.[3].
Stando alle testimonianze, la bambina superò l'incrocio con Wagramer Straße e proseguì lungo la Rennbahnweg in direzione nord-ovest. All'incrocio Melangasse-Murrstraße, vicino all'Ingeborg-Bachmann-Park, svoltò a destra in direzione nord-est nella Melangasse. Giunta tra i numeri civici 26-30, a 300 metri da Brioschiweg, vide un furgone Mercedes-Benz bianco parcheggiato a bordo strada con accanto un uomo in piedi; Natascha raccontò di aver provato, nel vederlo, «una paura irrazionale» e di aver avuto «l’impulso di cambiare lato della strada», salvo poi non farlo. Mentre passava accanto all’uomo, che descrisse come «un hippy degli anni settanta», con occhi azzurri e capelli lunghi, questi la afferrò e la lanciò nel furgone[7]. L'uomo era Wolfgang Přiklopil, all'epoca trentaseienne.[6]
Come appurato col tempo, subito dopo il rapimento Přiklopil non rientrò subito a casa (nel cui seminterrato aveva iniziato, ma ancora non completato, la realizzazione di un bunker), ma si diresse col furgone in una zona boscosa, con la bimba tenuta sdraiata sui sedili posteriori[8]. Giunto in una radura, disse a Natascha di stare attendendo qualcuno al quale avrebbe dovuto consegnarla e fece una telefonata; l'appuntamento sarebbe però saltato e il rapitore, dando a vedere agitazione, si sarebbe diretto verso Strasshof.[9]
Nel giro di poche ore la scomparsa della bimba fu denunciata alla polizia: una compagna di scuola di Natascha, che all'epoca aveva 12 anni, riferì di aver assistito al rapimento e che a bordo del furgone vi fossero due uomini; fornì altresì una descrizione dell'automezzo. Le forze dell'ordine provvidero a controllare a tappeto circa 1000 soggetti titolari di veicoli compatibili con l'identikit fornito,[10] compreso Wolfgang Přiklopil, il quale disse di aver usato il furgone per recarsi in un cantiere edile. L'autoveicolo Mercedes fu perquisito e all'interno furono trovati dei calcinacci: la polizia ritenne quindi plausibile la versione dell'uomo e non lo annoverò tra i sospettati.[11]
Anche i media iniziarono a occuparsi del caso, in particolare il giornale Kurier assoldò un detective privato per svolgere ricerche in proprio, senza particolari esiti.
Il 14 maggio 1998 la polizia ricevette una chiamata anonima da un soggetto che esternò i propri sospetti verso un «uomo solitario [...] di circa 35 anni [...] capelli biondi [...] alto 175-180 cm e magro», residente insieme all'anziana madre in una casa unifamiliare «completamente protetta elettronicamente [...] a Straßhof/Nordbahn, Heinestrasse 60»; costui, oltre a essere titolare di un furgone Mercedes bianco «con i finestrini oscurati sui lati e sul retro», aveva «estreme difficoltà nel rapportarsi col mondo» ed era potenzialmente in possesso di armi. Il chiamante evidenziava altresì come il soggetto potesse avere «un debole per i bambini in relazione alla sua sessualità».[12][13]
La segnalazione fu ricondotta velocemente al profilo di Wolfgang Přiklopil, che però era già stato interrogato e controllato, sicché le forze dell'ordine non ritennero di indagare ulteriormente.[14]
Nei mesi successivi gli inquirenti sentirono ulteriormente persone vicine a Přiklopil, anche sottoponendole alla macchina della verità, ma senza ottenere alcun risultato.
La segregazione
Per segregare la bimba, Přiklopil aveva realizzato al di sotto del garage di casa sua, a Strasshof, un bunker costituito da una piccola stanza senza finestre, lunga 278 centimetri a sinistra e 246 centimetri a destra, larga 181 centimetri e alta 237 dal piano di calpestio, accessibile da uno sportello murato di 50×50 centimetri (che poteva essere chiuso solo se qualcuno spingeva da fuori e qualcun altro tirava dall'interno)[15]; l'ambiente era insonorizzato. Sul lato sinistro, subito dietro l'ingresso, c'era un letto rialzato di 157 centimetri dal pavimento, sul lato opposto una piccola scrivania con sopra un piccolo televisore. Il resto delle pareti era coperto da scaffali. Nell'angolo a destra dell'ingresso c'era un wc e un lavandino in acciaio inox a due vasche. Gli inquirenti, dopo la fine del sequestro, dissero che il nascondiglio era così ben mimetizzato da poter tranquillamente sfuggire a una perquisizione domiciliare.[16]
Natascha Kampusch dichiarò di essere rimasta permanentemente nel bunker per i primi sei mesi del rapimento; successivamente l'aguzzino le permise di entrare in casa propria, ad esempio per fare la doccia. Dopo diversi anni, Přiklopil la portò anche fuori di casa, per fare acquisti e passeggiate occasionali; in un'occasione avrebbero anche fatto una gita sugli sci insieme. Il rapitore le aveva però intimato di non avere alcun contatto con altre persone, minacciando di uccidere lei e i suoi interlocutori qualora gli avesse disubbidito.[17]
Secondo le informazioni contenute nella sua autobiografia, Kampusch subì ripetutamente gravi abusi fisici da parte di Přiklopil per tutta la durata del rapimento, inclusi pugni e calci, che le causarono finanche leggere commozioni cerebrali. In aggiunta, l'aguzzino avanzava strane pretese (ad esempio non tollerava di essere guardato negli occhi), la lasciò a digiuno a più riprese, le accendeva o spegneva la luce nel bunker a piacimento, le rasò più volte i capelli a zero e le praticò varie altre forme di umiliazione: più volte Natascha fu costretta a pulirgli la casa, a cucinare per lui o ad aiutarlo a svolgere lavori di manutenzione e ristrutturazione sia nella villetta, sia in un appartamento di sua proprietà nel distretto di Rudolfsheim-Fünfhaus[4].
Il rapitore forniva a Natascha alcuni giornali e libri; occasionalmente le permetteva di ascoltare la radio e guardare la televisione. La ragazza affermò anche che Přiklopil le dava occasionalmente lezioni di lettura e scrittura. Gli psicologi e gli agenti di polizia che interagirono con lei dopo la fuga dissero che, nonostante il suo lungo isolamento, dimostrava una grande intelligenza e buone abilità linguistiche, oltre a essere ben edotta sull'attualità mondiale[8].
Come appurato dalle indagini, Kampusch trascorse l'ultima parte del suo sequestro non nello scantinato, ma ai piani superiori di casa Přiklopil,[15] fatti salvi i casi in cui il sequestratore aveva ospiti, ad esempio sua madre, che era solita venire a riordinargli la casa e non sospettò mai la presenza di un ostaggio.[18]
Nel marzo 2016 divenne di dominio pubblico l'esistenza di un filmato amatoriale girato da Přiklopil durante il rapimento, nel quale erano immortalate molte delle vessazioni praticate dall'aguzzino, a conferma di vari punti della testimonianza di Natascha.[19]
La fuga e la fine del rapimento
Kampusch riuscì a fuggire dalla casa di Přiklopil il 23 agosto 2006: quel giorno il rapitore le aveva detto di pulire la sua macchina, utilizzando anche l'aspirapolvere. Mentre la ragazza provvedeva, circa alle ore 13:00 Přiklopil rispose al cellulare, allontanandosi dall'autovettura per poter parlare senza il disturbo del rumore dell'elettrodomestico: Natascha colse l'occasione e riuscì ad infilarsi attraverso un'uscita del giardino che era rimasta aperta. Raggiunta la strada, chiese aiuto invano ad alcuni passanti, dopodiché si infilò nel giardino di una villetta poco lontano e bussò a una finestra; l'inquilino la ascoltò e chiamò la polizia.
Gli agenti tradussero Kampusch alla stazione di polizia di Deutsch-Wagram, affidandola a una giovane agente, Sabine Freudenberger, che le rivolse le prime domande: nell'immediato, la ragazza fu a tratti reticente nel parlare del suo aguzzino, che disse di considerare un criminale, ma al contempo assicurando che egli fosse stato sempre "carino" nei suoi riguardi. Quando le fu chiesto se il rapimento fosse responsabilità di più di una persona, la ragazza rispose di "non poter fare nomi", il che diede luogo a tutte le successive speculazioni sulla possibilità che Přiklopil avesse avuto dei complici.[20][8]
L'identificazione della ragazza fu agevolata dal fatto che avesse ancora con sé il suo passaporto (nei giorni successivi al rapimento avrebbe infatti dovuto viaggiare all'estero) e venne confermata dal riconoscimento dei genitori (agevolato dalla presenza di una cicatrice) e dal test del DNA.[21][8]
Il suicidio di Přiklopil
La polizia si mobilitò in tutta Vienna per procedere alla cattura di Wolfgang Přiklopil; il rapitore, però, non appena aveva notato la scomparsa della ragazza, si era messo sulle sue tracce. La sua automobile venne trovata nell'autosilo del centro commerciale Donauzentrum, che venne circondato dagli agenti; l'uomo, però, aveva frattanto chiamato un suo conoscente e socio in affari, Ernst Holzapfel, chiedendo che lo portasse con la sua auto al Prater. Durante il tragitto, Přiklopil gli avrebbe raccontato del sequestro e di essere pronto a consegnarsi alla giustizia.[22][23]
In serata, poco dopo le ore 21:00, il rapitore di Natascha fu trovato senza vita sui binari della S-Bahn di Vienna a Leopoldstadt, tra le stazioni di Vienna Nord e Traisengasse, apparentemente dopo essere stato travolto da un treno diretto a Gänserndorf.[24]
Nell'agosto 2010 Ernst Holzapfel fu incriminato per complicità e favoreggiamento nella fuga di Přiklopil,[25] venendo però assolto dalla corte regionale di Vienna.[26] Gli fu anche chiesto conto di un bonifico di 500.000 scellini (circa 36.300 euro) disposto in favore di Přiklopil nel 1998, che Holzapfel giustifico come prestito all'amico per permettergli l'acquisto di un'auto nuova.[9] Negli interrogatori, Holzapfel dipinse altresì l'amico e socio come un uomo profondamente insicuro di sé, che avrebbe deciso di rapire Natascha allo scopo di avere per sé una donna illibata con cui convivere; disse addirittura che avesse intenzione di procurare all'ostaggio dei documenti falsi in modo da riuscire a sposarla.[27]
Nel 2008 Natascha Kampusch affermò di intrattenere un rapporto stretto e "quasi amichevole" con Ernst Holzapfel.[20]
Sviluppi successivi
Riabilitazione
Natascha fu trasferita all'ospedale generale (Allgemeinen Krankenhaus) di Vienna: i medici la trovarono pallida e sottopeso, ma nel complesso in buone condizioni di salute;[8] passò poi la seconda parte della degenza in una comunità riabilitativa assistita.[28][29] Qui ricevette regolarmente la visita dei genitori e fu seguita nel percorso terapeutico e di recupero formativo da un team di supporto psicologico coordinato dallo psichiatra infantile Max Friedrich e dall'avvocato Monika Pinterits, nominata dalla Città di Vienna.
Nel team entrò anche il consulente mediatico ed esperto di pubbliche relazioni Dietmar Ecker, incaricato di vagliare le molte proposte di apparizioni mediatiche che furono fin da subito rivolte a Natascha (richieste di interviste, progetti di libri e film) e di "prepararla" ad esse. Ecker però si dimise già a ottobre 2006, dichiarando di non poter gestire le oltre 300 proposte pervenute; gli subentrò Stefan Bachleitner, che assunse l'incarico a titolo gratuito.[30][31]
Anche su consiglio degli psicologi, Natascha si recò all'obitorio presso cui era custodita la salma di Wolfgang Přiklopil, sostandovi per qualche minuto; volle altresì lasciarvi una candela. L'aguzzino fu poi sepolto anonimamente l'8 settembre 2006, senza funerali, a spese dell'amico e socio Ernst Holzapfel.[18]
L'impatto mediatico e le prime interviste
La storia di Natascha Kampusch ebbe fin da subito un'eco mediatica mondiale: l'interessata "parlò" per la prima volta pubblicamente il 30 agosto 2006, attraverso una lettera aperta in cui da un lato invocò il rispetto della propria privacy, dall'altro descrisse brevemente alcuni dettagli relativia alla sua prigionia e al suo rapporto con Přiklopil, che definì "paritario". Ha chiesto anche che fosse rispettata la sua privacy. La lettura pubblica della missiva fu affidata al dottor Friedrich, il quale affermò che essa era stata integralmente scritta secondo i desideri di Natascha, ivi compreso il passaggio in cui si diceva che Přiklopil “la portò in palmo di mano e [al contempo] la calpestò”.[32]
Natascha accondiscese a rilasciare una prima intervista televisiva al giornalista ORF Christoph Feurstein: la conversazione fu trasmessa il 6 settembre 2006 sia in televisione che alla radio. La ragazza, al contrario di quanto era stato ventilato, scelse di mostrare (per la prima volta in assoluto) il suo volto in favore di telecamera; alle spalle del giornalista si sedette il dottor Friedrich, che supervisionò l'andamento dell'intervista. Kampusch raccontò vari aspetti della sua prigionia, diede il suo punto di vista sulla figura del rapitore e parlò apertamente della sua vita emotiva, ribadendo anche il desiderio che venisse rispettata la sua privacy.[33] Secondo i rilevamenti, la trasmissione fu seguita in Austria da 2,6 milioni di telespettatori; la ORF affermò di non aver pagato alcuna somma di denaro per ottenere l'intervista e destinò i proventi della relativa commercializzazione internazionale a favore di Natascha stessa.[34] La prima televisiva dell'intervista in Germania (trasmessa da RTL) fu seguita da 7,13 milioni di telespettatori.[35]
Ulteriori interviste (pubblicate poche ora prima della conversazione televisiva) furono concesse al giornale Wiener Neue Kronen Zeitung e al settimanale News.
In seguito Natascha concesse una seconda intervista televisiva, alcuni estratti della quale vennero trasmessi dalla ORF il 18 dicembre 2006, venendo poi inclusi nel documentario The Kampusch Case, trasmesso il 3 gennaio 2007 sulla tv di Stato austriaca e in Germania da RTL e 3sat.
Come affermato da Dietmar Ecker, la concessione di alcune interviste non era legata tanto al desiderio di lucrare sulla vicenda, quanto soprattutto ad "arginare" i media scandalistici d'area tedesca: il consulente disse infatti che vari giornalisti avevano fatto pressione su Kampusch, sui suoi familiari e su quelli di Přiklopil, affinché accettassero di parlare, arrivando a minacciarli di pubblicare articoli del tutto inventati in caso di rifiuto.[36][37]
Controversie sulle indagini
Diverse polemiche e accuse di inconcludenza nelle indagini sono state rivolte alle autorità austriache, in particolare sottolineando il fatto che le prime evidenze che portavano a Přiklopil come autore del rapimento fossero emerse già nel 1998, senza però dar luogo ad accertamenti.[12][38]
L'allora presidente ad interim del Bundeskriminalamt (l'ufficio federale di polizia criminale austriaco), Herwig Haidinger, si lamentò pubblicamente del fatto che, sebbene avesse chiesto l'immediata consegna del verbale del primo interrogatorio di Natascha Kampusch, i suoi subordinati avessero impiegato quattro settimane per obbedirgli. Haidinger si spinse ad accusare il Ministero dell'Interno di aver ostacolato le indagini su eventuali errori investigativi.[20]
A fronte di tali accuse, il 10 febbraio 2008 l'allora ministro degli Interni Günther Platter istituì una commissione d'inchiesta, guidata dal giurista Ludwig Adamovich, che il 9 giugno 2008 restituì una relazione conclusiva nella quale evidenziò di aver riscontrato lacune nei documenti relativi alla conduzione dell'indagine, lamentando altresì di non aver avuto accesso ai fascicoli della procura e del giudice istruttore.[39][40][39]
La commissione d'inchiesta fu nuovamente attivata il 12 dicembre 2008 da Maria Fekter, successore di Platter al dicastero:[41] nella nuova relazione del 15 gennaio 2010 si evidenziò ulteriormente la presenza di lacune di rilevanza criminologica nella documentazione relativa alle indagini sulle circostanze del rapimento, sulle dinamiche della detenzione di Natascha Kampusch e sull'esistenza o meno di persone terze informate circa la segregazione della ragazza. I membri della commissione lamentarono altresì che la procura di Vienna non aveva fornito alcun riscontro alle loro richieste e osservazioni in proposito.[42]
Secondo Johann Rzeszut, ex presidente della Corte Suprema austriaca e membro della commissione, nelle indagini del caso Kampusch c'erano complessivamente 27 incongruenze che non potevano essere spiegate in modo tecnicamente plausibile.[43][44][45]
L'unica testimone oculare del rapimento (la compagna di scuola dodicenne), che aveva dichiarato in sei interrogatori di aver visto caricare Natascha Kampusch su un furgone bianco con a bordo due uomini, non era mai stata portata a testimoniare davanti a un procuratore o a un giudice. Ciò fino al 2009, quando la testimone, messa a confronto con Natascha, ammise di potersi essere sbagliata. In una successiva testimonianza giurata resa il 29 luglio 2011 a Innsbruck, la compagna della rapita affermò che i poliziotti le avevano ordinato di non riferire a nessun altro all'infuori di loro della presenza del furgone e delle due persone.[45]
Druck vonseiten der Staatsanwaltschaft auf die polizeiliche Ermittlungskommission: Dem Chef-Ermittler Franz Kröll, der „massive Bedenken“ bezüglich des Freitodes Přiklopils hatte, sei „unmissverständlich nahe gelegt“ worden, die Ermittlungen im Entführungsfall rasch einzustellen.
Verzögerungen bei den Ermittlungen: Laut Kommission gab es im Fall Kampusch eine „langfristige Verzögerung bzw. bis zuletzt gänzliche Unterlassung nachhaltigst indizierter wesentlicher Ermittlungsschritte.“ Weitere Ermittlungen in Richtung eines erweiterten Personenkreises wurden von der Staatsanwaltschaft weder vor der Verfahrenseinstellung 2006 noch nach einem ausdrücklichen Hinweis durch die Evaluierungskommission eingeleitet. Zudem soll der führende Staatsanwalt Werner Pleischl der Evaluierungskommission am 30. April 2008 die formlose Wiederaufnahme der Ermittlungen ausdrücklich zugesichert haben, nur um kurz darauf dem Justizministerium in einem Bericht mitzuteilen, dass es nichts mehr zu ermitteln gäbe.
Behinderung der Evaluierungskommission: Es soll auch zu einer „wesentlichen und langfristigen Behinderung der vom Innenressort angeordneten Evaluierung sicherheitsbehördlicher Ermittlungsmaßnahmen“ gekommen sein. So wurde etwa der Adamovich-Kommission die Einsichtnahme in die Einvernahmeprotokolle von Natascha Kampusch verwehrt.
Mediale Verbreitung wahrheitswidriger Informationen: Im Sommer 2009 war verlautet worden, die Polizei habe in mehreren Monaten „nur eine einzige Einvernahme“ durchgeführt. Tatsächlich, so Rzeszut, seien aber vom 4. Februar bis 14. Juli 2009 insgesamt sechs Zwischenberichte an die Anklagebehörden erstattet worden. Diesen Berichten lagen 102 Befragungen und zwei Zeugeneinvernahmen zugrunde.
In einem späteren Interview im Jahr 2011 schloss Rzeszut die Ein-Täter-Theorie dezidiert aus und warf der Staatsanwaltschaft weitere Mängel in ihren Ermittlungen vor:[46]
Nichtauswertung der Rufdatenrückerfassung: Im September 2006 kurz nach dem Ende von Natascha Kampuschs Freiheitsentzug soll die Staatsanwaltschaft die Rufdatenrückerfassung sichergestellter Mobiltelefone angeordnet, die Daten dann aber nicht ausgewertet haben. Erst die Evaluierungskommission nahm sich im Februar 2008 der Sache an. Dabei fielen „massiv aufklärungsbedürftige Zusammenhänge“ auf, darunter Gespräche zwischen Přiklopils Freund Ernst H. und einem Milizoffizier B., der in Ernst H.s Handy als „Be Kind Slow“ gespeichert war, obwohl beide angaben, sich nicht zu kennen.[47] Gleich nach diesen Gesprächen telefonierte H. jeweils mit der Geschäftsführerin eines Sex-Shops.
Einstellung der Ermittlungen gegen einen Milizoffizier noch vor seiner Einvernahme: Ein halbes Jahr später wurden die Ermittlungen der Staatsanwaltschaft nach Interventionen der Innen- und der Justizministerin im November 2008 formlos wieder aufgenommen, die Verdächtigen jedoch erst im Herbst 2009 und ausschließlich polizeilich vernommen. Die Ermittlungen gegen den Milizoffizier wurden sogar am 10. September 2009 eingestellt, obwohl seine erstmalige Vernehmung erst für den 8. Oktober 2009 anberaumt war. Im Jahr 2013 wurde der Presse ein Foto zugespielt, das den Offizier mit einem hohen Wiener Polizeibeamten zeigt, der bei den Kampusch-Ermittlungen aktiv war.[47]
Unterlassene Ermittlungen trotz gefälschten Abschiedsbriefs: Laut Ernst H. soll Přiklopil nach der Flucht von Natascha Kampusch einen Abschiedsbrief an seine Mutter mit dem Schriftzug „Mama“ begonnen, dann aber abgebrochen haben. Laut graphologischem Gutachten vom 18. November 2009 sei der Text jedoch sehr wahrscheinlich von Ernst H. und nicht von Přiklopil geschrieben worden. Demnach wären weitere Ermittlungsschritte, insbesondere wegen des Ablebens bzw. einer möglichen Ermordung Přiklopils geboten gewesen; diese sind jedoch nicht erfolgt.
Versäumnisse laut Polizei-Chefermittler Franz Kröll
Auch nach den neuen Ermittlungen von November 2008 bis Dezember 2009 blieben laut Polizei-Chefermittler Franz Kröll zahlreiche Fragen offen:
Nicht gesicherte Spuren: Der Leiter des Landespolizeikommandos Oberösterreich, der im Sommer 2009 die polizeilichen Arbeitsschritte im Haus des Entführers in Strasshof evaluierte, stellte fest, dass sehr viele Spuren nicht gesichert worden seien. Da aber ein „sehr erfahrener“ Beamter Dienst gehabt habe, könne dieses Manko nur dadurch erklärt werden, „dass der Tatortermittler keinen konkreten Auftrag hatte, Spuren von eventuellen Mittätern zu suchen“.[48]
Entfernung von Beweismaterial: Einen Tag nach dem Suizid Přiklopils wurde seinem Freund Ernst H. gestattet, während der Spurensicherung angeblich geborgte Gegenstände zu entfernen.[45] Der Geschäftspartner von Přiklopil berief sich dabei auf eine mündliche Vollmacht der Mutter Přiklopils. Die Frau wusste jedoch nichts von dieser Vollmacht.
Fehlender Computer: Im Haus Přiklopils wurden (mit Ausnahme eines antiquierten Commodore 64) keinerlei Computer gefunden, obwohl zwei IP-Adressen auf den Namen Přiklopils registriert waren.[38]
Chef-Ermittler wird Zugang zu Einvernahmeprotokollen verwehrt: Kröll erhielt erst Ende Juli 2009 Zugang zu den geheimen Einvernahmeprotokollen mit Natascha Kampusch aus dem Jahr 2006, die die Justiz der Kriminalpolizei zunächst vorenthalten hatte. Kopien durften Kröll und sein Kollege nicht machen. Sie erhielten nur die Erlaubnis, die Protokolle sechs Stunden lang im Wiener Straflandesgericht zu lesen und sich Notizen zu machen.[38]
Da Krölls Bedenken kein Gehör fanden, verweigerte er im Jänner 2010 die Teilnahme an der „Abschlusspressekonferenz“ von Staatsanwaltschaft und Polizei.[38] Nach öffentlicher Kritik am Abschlussbericht des Falles, in dem seiner Ansicht nach zweifelhafte Aussagen von Natascha Kampusch fehlten, wurde er nach Angaben seines Bruders gemobbt und in den Innendienst versetzt.[49] Kröll starb am 25. Juni 2010 unter Umständen, die eine Selbsttötung nahelegen. Dies wird jedoch von einigen, unter anderem Krölls Bruder, bezweifelt.[45] Letzterer wunderte sich auch darüber, dass sich Kröll als Rechtshänder in die linke Schläfe geschossen haben soll.[45] Der im Hause des Oberst Kröll gefundene Abschiedsbrief war nach Aussage seines Bruders nicht in der Handschrift des Verstorbenen und nicht mit der vom Bruder gewohnten Unterschrift verfasst.[50] Ein am 6. November 2013 bekannt gewordenes Gutachten des von Krölls Bruder beauftragten Institutsleiters der Gerichtsmedizin Graz, Peter Leinzinger, widerspricht der Suizid-Theorie der Ermittler.[51]
Vorwurf des Amtsmissbrauchs gegen fünf Staatsanwälte
Johann Rzeszut hatte am 29. September 2010 mit einem 25-seitigen Bericht[52] an alle Parlamentsparteien Ermittlungen gegen fünf Staatsanwälte ausgelöst.[53] Die Staatsanwälte Werner Pleischl, Thomas Mühlbacher, Otto Schneider, Hans-Peter Kronawetter und Gerhard Jarosch hätten sich, so der Vorwurf, des Amtsmissbrauches in der Causa Kampusch schuldig gemacht.[43]
Im Sommer 2011 beauftragte das Justizministerium die Staatsanwaltschaft Innsbruck, die Vorwürfe zu überprüfen.[54][55] Im September 2011 wurde der vertrauliche Abschlussbericht des Innsbrucker Richters an das Justizministerium übermittelt. Damit ist der Vorhabensbericht über die Amtsmissbrauchsvorwürfe, die Rzeszut gegen die Staatsanwälte erhoben hatte, abgeschlossen.[56] Am 24. September 2011 stellte die Justiz das Verfahren gegen die Staatsanwälte ein.[57] Bundesministerin Beatrix Karl (ÖVP) kündigte daraufhin an, den Akt noch einmal vom unabhängigen und weisungsfreien Rechtsschutzbeauftragten der Justiz prüfen zu lassen.[58] Dann sollte entschieden werden, ob das Verfahren neu aufgerollt oder endgültig eingestellt wird.[59][56]
Im April 2008 druckte die Tageszeitung Heute bis dahin unveröffentlichte private Details aus Vernehmungsakten ab. Die Sozialdemokratische Partei Österreichs und die Österreichische Volkspartei beschuldigten einander, diese Daten, die sowohl dem Innen- und Justizministerium als auch dem Untersuchungsausschuss des Parlaments zugänglich waren, an die Presse weitergegeben zu haben. Der Fall wurde schließlich an die Staatsanwaltschaft übergeben.[61]
Geheimer Untersuchungsausschuss – 2011
Am 21. Oktober 2010 beantragte die Freiheitliche Partei Österreichs (FPÖ) mit Zustimmung der Grünen und des Bündnisses Zukunft Österreich (BZÖ) die „Einsetzung eines Untersuchungsausschusses zur näheren Untersuchung der politischen und rechtlichen Verantwortung im Zusammenhang mit dem staatsanwaltschaftlichen Ermittlungsverfahren im Abgängigkeitsfall Natascha Kampusch“. Der Antrag wurde von den Koalitionsparteien Sozialdemokratische Partei Österreichs (SPÖ) und Österreichische Volkspartei (ÖVP) zunächst abgelehnt.[62] Schließlich einigten sich die Parteien doch noch, die Causa Kampusch neu aufzurollen und auch die Kritiker Ludwig Adamovich und Johann Rzeszut nochmals zu hören.[63] Zudem solle festgestellt werden, ob die Einstellung des Verfahrens gegen die fünf Staatsanwälte wegen Amtsmissbrauch rechtens war.[45] Am 1. Dezember 2011 wurde hierfür im Parlament ein unter Ausschluss der Öffentlichkeit tagender Unterausschuss des Innenausschusses mit 16 Vertretern aller fünf Parlamentsparteien eingerichtet, der bis Ende März 2012 zwei Berichte vorlegen soll. Ein „Evaluierungsbericht“ solle dem Parlament und ein geheimer Bericht an Justizministerin Karl übermittelt werden.[64][48]
Am 28. Juni 2012 veröffentlichte der Ausschuss einen Abschlussbericht.[65] Bereits zuvor ließ der Ausschussvorsitzende Werner Amon (ÖVP) aufhorchen, indem er in einem Interview erklärte, dass die „Einzeltätertheorie nur schwer aufrechtzuerhalten“ sei,[66] und dass darüber hinaus die Möglichkeit bestehe, dass Přiklopil nicht Selbstmord begangen habe, sondern ermordet wurde.[67][66] Im Abschlussbericht selbst stellen die Abgeordneten fest, dass es keine Hinweise zur Bestätigung von Gerüchten über weitere Täter oder gar einen Kinderpornoring gebe. Allerdings stellten sie einige Ermittlungspannen fest.[68] Weder seien die Ermittler von Staatsanwaltschaft und Kriminalpolizei ihrer Aufgabe mit der notwendigen Sorgfalt und Professionalität nachgekommen, noch sei den wesentlichen Fragen, die sich im Laufe der Ermittlungen ergeben haben, ausreichend nachgegangen worden. Insbesondere dem Hinweis des Polizei-Hundeführers auf den Entführer Přiklopil sei nicht nachgegangen worden. Zudem sei die junge Zeugin, die die Entführung beobachtet hatte und von zwei Tätern sprach, „unter Druck gesetzt worden“, ihre Aussage zu ändern. Auch die Durchleuchtung der Vermögensverhältnisse sowie der Vermögensverschiebungen nach dem Ableben des Wolfgang Přiklopil sei niemals erfolgt. Zudem kritisierten die Abgeordneten auch den Umstand, dass ihnen nicht alle Akten vorgelegt worden seien. Es bestehe der Verdacht, „dass eine objektive Evaluierung der Ermittlungen von außen beeinflusst worden ist.“[69] Die zentrale Frage, ob der Entführer Mittäter oder Mitwisser hatte, könne mit den vorliegenden Ermittlungsergebnissen allerdings „nicht abschließend beantwortet werden“.[68]
Abschließend empfiehlt der Ausschuss dem Innen- und Justizministerium die Evaluierung der Ermittlungsarbeiten durch Cold-Case-Spezialisten mit internationaler Beteiligung. Eine mögliche Wiederaufnahme des Verfahrens sei „dabei abhängig von neuen Ermittlungsansätzen, die sich auch aus dieser Evaluierung ergeben können“. Heftig kritisiert wurde die zuständige Staatsanwaltschaft Wien, die offensichtliche Ungereimtheiten und Fehler in keiner Weise hinterfragt oder aufgegriffen habe. Insbesondere Staatsanwalt Hans-Peter Kronawetter soll die SOKO Kampusch behindert haben, indem er eine gemeinsame Vereinbarung mit der Adamovich-Kommission vom 30. April 2008 zugunsten weiterer Ermittlungen ignorierte und am 11. Juli 2008 an das Ministerium berichtete, dass keine weiteren Ermittlungen nötig seien.[69]
Neuerlicher Evaluierungsbericht durch internationale Experten – 2012/2013
Mitte Juli 2012 wurde bekannt, dass der Fall Natascha Kampusch durch ein 14-köpfiges internationales Expertenteam, bestehend aus Vertretern des Innen- und Justizministeriums, des Verfassungsschutzes, einem Staatsanwalt der Wirtschafts- und Korruptionsstaatsanwaltschaft, mehreren Kripobeamten und mindestens einem Vertreter des FBI und des deutschen BKA, neuerlich aufgearbeitet wird.[70] Am 27. August 2012 begann das Team mit der neuerlichen Überprüfung des mittlerweile 270.000 Seiten umfassenden Aktenmaterials. Die Überprüfung sollte ursprünglich bis Ende 2012 laufen.[70] Im Januar 2013 verlautbarte der Sprecher des Innenministeriums, dass sich der Abschluss der Prüfung bis Februar oder März 2013 verzögern werde.[47] Der Abschlussbericht, der die Einzeltätertheorie mit hoher Wahrscheinlichkeit bestätigt, wurde am 15. April 2013 präsentiert. Im Auto und Haus Přiklopils seien keine Hinweise auf weitere Täter gefunden worden. Verbindungen Přiklopils zur Rotlicht-, Sado-Maso- oder Pädophilenszene konnten nicht festgestellt werden. Des Weiteren gebe es keine Zweifel am Suizid Přiklopils. Die Kommission stellte jedoch „Ermittlungsfehler“ und „Fehleinschätzungen“ bei den Ermittlungen fest.[71][72]
Rechtswidrige private Ermittlungen
Im Februar 2012 wurde bekannt, dass ein einzelner der FPÖ nahestehender Polizist ohne Ermittlungsauftrag versuchte, DNA-Proben eines Kindes zu beschaffen, über das ein Gerücht umgeht, es handele sich um eine Tochter Natascha Kampuschs.[73] Der Polizist wurde vorläufig vom Dienst suspendiert.[74] Im Ermittlungsverfahren gegen den Polizisten wurde Ex-OGH-Präsident Johann Rzeszut als Zeuge vernommen. Dieser sagte unter Wahrheitspflicht aus, den Mann nicht zu kennen. Allerdings sollen die beiden mehrfach telefonischen Kontakt gehabt haben. Im Dezember 2014 wurde Rzeszut wegen falscher Zeugenaussage angeklagt.[75][76] Der Prozess endete im Februar 2015 mit einem Freispruch.[77]
Abgelehnte Entschädigungszahlung
Anfang Mai 2011 verweigerte die Republik Österreich Kampusch eine finanzielle Entschädigung für ihren jahrelangen Freiheitsentzug. Sie hatte im Februar 2011 beim Innenministerium eine Entschädigung in Höhe von einer Million Euro beantragt und als Grund polizeiliche Ermittlungsfehler angegeben. Natascha Kampusch habe die Summe einem Hilfsprojekt zukommen lassen wollen und werde nach der Ablehnung auf einen Prozess gegen den Staat verzichten.[78]
Weitere laufende Rechtsstreitigkeiten
Anzeige des Bruders des verstorbenen Chef-Ermittlers Kröll
Im September 2012 brachte Karl Kröll, der Bruder des verstorbenen Chef-Ermittlers Franz Kröll, drei Strafanzeigen ein. Die ersten beiden Anzeigen richten sich gegen die Innsbrucker Staatsanwältin Brigitte Loderbauer sowie gegen das Stadtpolizeikommando Graz und die Tatortgruppe im LKA Steiermark, die bei der Aufklärung nachlässig agiert haben sollen. Die dritte Anzeige richtet sich gegen Unbekannt wegen Mordes, da ein Fremdverschulden beim Tod des Bruders nicht auszuschließen sei. Zudem sei die nie durchgeführte Obduktion nachzuholen.[79][80]
Anzeige des Vaters von Natascha Kampusch
Ludwig Koch, der Vater von Kampusch, zeigte 2012 einen Freund Přiklopils an und bezichtigt diesen der Mittäter- bzw. Mitwisserschaft. Zudem fordert er Schadensersatz.[80]
Kulturelle Rezeption
Theater
In dem Theaterstück Die Beteiligten beschäftigte sich die österreichische Schriftstellerin Kathrin Röggla mit den Reaktionen von Medien und Gesellschaft sowie der Entwicklung des Umgangs mit dem Opfer. Die österreichische Erstaufführung war am 16. Oktober 2010 im Wiener Akademietheater.[81]
Film
Nachdem Natascha Kampusch zuvor der Meinung gewesen war, es sei für eine Verfilmung zu früh, schloss sie im Mai 2010 mit dem Produzenten Bernd Eichinger und der Constantin Film eine Vereinbarung über eine „behutsame Verfilmung“ ab. „Viele einfühlsame Zusendungen der letzten Jahre haben mich dazu bewegt, mein Schicksal verfilmen zu lassen.“ Am Drehbuch wirkte der Journalist Peter Reichard mit. Der für 2011 geplante Drehbeginn[82] wurde nach Eichingers Tod um ein Jahr verschoben;[83] die Arbeiten begannen im Mai 2012.[84]Sherry Hormann führte Regie.[85] Die Filmpremiere von 3096 Tage war am 25. Februar 2013 in Wien,[86] der Kinostart am 28. Februar.
Literatur
Walter Pöchhacker: Der Fall Natascha. Wenn Polizisten über Leichen gehen. Verlag Detektivagentur Pöchhacker, Wien 2004, ISBN 3-200-00235-2 (Berufsdetektiv Walter Pöchhacker[87] berichtet fast zwei Jahre vor dem Wiederauftauchen Natascha Kampuschs über seine Ermittlungen in dieser Vermisstensache.)
Allan Hall, Michael Leidig: Girl in the Cellar. The Natascha Kampusch Story. Hodder & Stoughton, London 2006, ISBN 978-0-340-93648-1. (Das Buch ist nicht in deutscher Sprache erschienen. Laut Der Standard-Online nannte Natascha Kampuschs Anwalt Gerald Ganzger das Buch einen „spekulativen Schnellschuss“,[88] die geplanten rechtlichen Schritte gegen das Buch wurden aber nicht eingeleitet.[89] Die Klage gegen die Times und deren Online-Ableger wegen des Vorabdrucks von Auszügen endete mit einem Vergleich.[90])
Peter Jamin: Vermisst – und manchmal Mord. Verlag Deutsche Polizeiliteratur, Hilden 2007, ISBN 978-3-8011-0538-9. (Natascha Kampusch schrieb das Geleitwort zu diesem Buch, das ihren Fall an mehreren Stellen exemplarisch analysiert.)
Brigitta Sirny-Kampusch: Verzweifelte Jahre. Mein Leben ohne Natascha. Verlag Carl Ueberreuter, Wien 2007, ISBN 978-3-8000-7295-8. (Natascha Kampuschs Mutter erzählte den Journalisten Andrea Fehringer und Thomas Köpf von ihren Erlebnissen und Gefühlen vor, während und nach der Zeit der Entführung ihrer Tochter.)
Martin Wabl: Natascha Kampusch und mein Weg zur Wahrheit. Das Protokoll. Eigenverlag, Fürstenfeld 2007, ISBN 978-3-200-01038-3. (Der pensionierte Richter Martin Wabl schildert seine Bemühungen bei der Suche nach Natascha Kampusch.)
Christoph Feurstein: (ein)geprägt. eingeprägt: Täter – Opfer – Menschen Verlag Carl Ueberreuter, Wien 2008, ISBN 978-3-8000-7385-6. (Der ORF-Journalist widmet eines der zehn Kapitel seines Buches der Geschichte um das Entführungsopfer.)
Jens Bergmann, Bernhard Pörksen (Hrsg.): Skandal! Die Macht öffentlicher Empörung. Verlag Halem, 2009, ISBN 978-3-938258-47-7. (Natascha Kampusch berichtet in einem Kapitel dieses Buches, wie sie ihre Privatsphäre gegen Übergriffe der Boulevardpresse verteidigt.)
Martin Pelz: Der Fall Natascha Kampusch. Die ersten acht Jahre eines einzigartigen Entführungsfalles im Spiegel der Medien.Tectum Verlag, Marburg 2010, ISBN 978-3-8288-2294-8. (Publizistik-Diplomarbeit, die die Medienberichterstattung vor dem Wiederauftauchen von Natascha Kampusch analysiert.)
^Antrag auf Einsetzung eines Untersuchungsausschusses 437/GO, siehe auch das stenographische Protokoll der Debatte, Homepage des Österreichischen Parlaments, abgefragt am 2. Dezember 2010
^Kommuniqué des Ständigen Unterausschusses des Ausschusses für innere Angelegenheiten betreffend Überprüfungen im Fall Natascha Kampusch 243/KOMM, Homepage des Österreichischen Parlaments, abgefragt am 24. September 2012
^abKommuniqué des Ständigen Unterausschusses des Ausschusses für innere Angelegenheiten betreffend Überprüfungen im Fall Natascha Kampusch [2] (PDF; 211 kB), Homepage des Österreichischen Parlaments, abgefragt am 24. September 2012
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Originaria di Cortina d'Ampezzo, si forma nelle file del Curling Club Dolomiti. Entrata nella nazionale giovanile, guidata dalla skipStefania Constantini, esordisce a livello internazionale alle edizioni 2018 e 2019 campionati mondiali Junior-B. Nella stagione 2019-2020 entra in prima squadra nazionale, sotto la guida di Veronica Zappone, prendendo parte al gruppo B degli europei 2019,[1] dove l'Italia si piazza seconda (con due sconfitte nel round robin) alle spalle della Turchia.[2] Dopo aver battuto l'Ungheria in semifinale, il "team Zappone" riesce a imporsi 5-2 in finale contro la Turchia, ottenendo così la promozione nel gruppo A degli europei[3][4] e l'accesso alle qualificazioni ai mondiali 2020, dove l'Italia chiude al secondo posto con 6 vittorie e 1 sconfitta, alle spalle dell'imbattuta Corea del Sud.[5] Nei turni di qualificazione alla finale, l'Italia perde 6–5 contro le sudcoreane, ma ottiene comunque l'accesso all'ultimo atto grazie alla successiva vittoria per 8–4 contro la Turchia.[6] I mondiali vengono però cancellati a seguito dello scoppio della pandemia di COVID-19.[7][8] Stessa sorte subisce la successiva edizione degli europei;[9] alla ripresa dei mondiali, nel 2021, l'Italia viene qualificata d'ufficio grazie all'ampliamento del tabellone a 14 squadre.[10] Veronica Zappone lascia il ruolo di skip a Stefania Constantini, con Giulia Zardini Lacedelli nel ruolo di lead insieme a Elena Dami, Marta Lo Deserto come third, Angela Romei come second.[11] L'Italia chiude la rassegna al tredicesimo posto, con 2 vittorie contro Estonia e Germania.[12] Agli europei 2021 di Lillehammer l'Italia chiude sesta, ottenendo il pass per i mondiali 2022,[13] nei quali il "team Constantini" riesce a battere la Scozia (poi vincitrice dell'oro) per 8–7.
A dicembre 2021, nelle qualificazioni olimpiche a Leeuwarden, l'Italia chiude il round robin con 4 vittorie e 3 sconfitte, ma manca l'accesso ai playoff conclusivi perdendo per 8-1 contro la Gran Bretagna.[14] Ai successivi mondiali la squadra azzurra è decima, con uno score di 4 vittorie e 8 sconfitte.[15]
La stagione 2022-2023 segna un salto di qualità per Zardini Lacedelli e per il team italiano, che si issa ai primi posti del ranking mondiale. Dopo due eliminazioni ai quarti di finale nei primi tre tornei stagionali, il "team Constantini" vince il suo primo evento del world tour alla S3 Group Curling Stadium Series, sconfiggendo in finale la Corea del Sud per 4-3.[16] Alla tappa successiva di Swift Current e al Western Showdown 2022 l'Italia si ferma in semifinale contro il Canada.[17] Agli europei 2022 l'Italia accede per la prima volta dal 2017 alla fase ad eliminazione diretta, grazie al secondo posto (6 vittorie, 3 sconfitte) nel round robin.[18] La sconfitta in semifinale contro la Svizzera e nella "finalina" contro la Scozia gli preclude però l'accesso alle medaglie.[19] I buoni risultati valgono al "team Constantini" la prima storica qualificazione al Grande Slam e in particolare al Canadian Open 2023,[20] dove il cammino si ferma contro la Svezia.[21] Ai 2023 World Women's Curling Championship, the Italian team qualified for the playoffs for the first time in world women's championship history, finishing fourth in the round robin with a 7–5 record. They then lost the qualification game to Sweden 4–3, finishing fifth.[22] In the off season, the team added Swiss curler Elena Mathis at third as she has dual citizenship in both Switzerland and Italy.
Following their breakthrough season, Team Constantini had an even stronger 2023–24 season, becoming the first Italian women's team to rank inside the top ten in the world.[23] At their first event, the team went undefeated at the 2023 Euro Super Series until the final where they lost to Delaney Strouse.[24] They then had a semifinal finish at the 2023 Women's Masters Basel after a narrow loss to Hasselborg. In Canada, the team had five consecutive playoff appearances. After quarterfinal losses at the 2023 Players Open and the 2023 Tour Challenge, Team Constantini won the North Grenville Women's Fall Curling Classic, going undefeated to capture the title.[25] They then made it to the semifinals of the Stu Sells 1824 Halifax Classic before another quarterfinal finish at the 2023 National.[26] Next for the team was the 2023 European Curling Championships where they improved on their 2022 result, finishing second through the round robin with a 7–2 record. They then downed Sweden's Isabella Wranå in the semifinals to qualify for the final against Switzerland's Silvana Tirinzoni. After the Italians got two in the ninth to take the lead, Swiss fourth Alina Pätz made a perfect hit-and-roll to the button in the tenth end to count two and win the game 6–5.[27] The team then fell into a slump, only qualifying in one of their next four events. They also lost the final of the Italian Women's Championship to the junior Rebecca Mariani rink.[28] Despite this, they were still chosen to represent Italy at the 2024 World Women's Curling Championship in Sydney, Nova Scotia. There, the team got back to their winning ways, finishing 10–2 through the round robin and qualifying for the playoffs as the third seeds. They then beat Denmark's Madeleine Dupont to qualify for the final four before losing both the semifinal and bronze medal game to Switzerland and Korea respectively, placing fourth.[29] Team Constantini ended the season at the 2024 Players' Championship where they went 1–4.[30]
Questa NON è una pagina dell'enciclopedia, ma uno spazio utilizzato da un utente per fare test e scrivere voci prima di pubblicarle. Di base, solo il titolare può apportarvi modifiche e/o autorizzare eventuali interventi di terzi (per richiederlo lasciare un messaggio qui). I contenuti in essa riportati possono essere inesatti, imprecisi o incompleti: l’eventuale riutilizzo è a proprio rischio. La copiatura non autorizzata da parte di terzi di quanto qui contenuto (testo e immagini) in voci dell'enciclopedia, o anche al di fuori di essa, configura sempre una violazione di copyright ed è dunque proibita. Salvi casi di inderogabile necessità, ogni modifica effettuata in questa sede senza permesso, indipendentemente dal contenuto della stessa e dai motivi che l'hanno indotta, sarà annullata.
Laureato in scienze politiche, che studiò dapprima all'Università dell'Alabama, quindi all'Università di Hofstra[4][5], per qualche tempo lavorò come bagnino e installatore di impianti di irrigazione a Long Island.[6] Nel 1960 decise di intraprendere l'attività di broker, reinvestendo gli utili dei suoi precedenti impieghi. Fondò pertanto la Bernard L. Madoff Investment Securities LLC, inizialmente dedita alla concessione di linee di credito per acquisti di titoli e obbligazioni alla borsa di New York. Il padre della moglie decise di sostenerlo con un prestito di 50.000 dollari e gli procurò i primi clienti; l'azienda crebbe e Madoff iniziò anche a offrire servizi di consulenze e gestione del risparmio, per gestire i quali assunse molti familiari, a partire dal fratello Peter e fino ai figli Mark e Andrew.
Grazie ad alcune scelte effettivamente innovative (ad esempio l'introduzione dei primi computer per la gestione del brokeraggio) e all'aurea di esclusività che Madoff riuscì a crearsi (facendo poca pubblicità al servizio e imponendo che gli aspiranti clienti gli venissero presentati da qualcuno già suo cliente), l'azienda si ritagliò presto uno spazio tra le grandi società finanziarie di New York. Una volta che qualcuno gli veniva presentato, il patròn lo riceveva nel proprio ufficio al Lipstick Building di Manhattan, sempre vestito elegantemente, prospettandogli la possibilità di avviare l'investimento con piccole somme; rispetto agli altri hedge fund Madoff non vantava profitti del 20-30%, ma si attestava su un più credibile rendimento del 10% annuo, costante nonostante l'andamento del mercato.[7] In realtà le somme affidategli dai clienti venivano girate su un conto corrente aperto alla Chase Manhattan Bank e lì rimanevano, senza essere reinvestite: quando i clienti chiedevano la restituzione dell’investimento o i dividendi, il denaro veniva semplicemente prelevato dal conto. Fintanto che l'afflusso di nuovi investitori fu superiore alle uscite (dividendi e disinvestimenti), Madoff riuscì a ripagare tutti; in sostanza, dietro al presunto fondo d'investimento si celava un mero schema Ponzi, del tutto illegale.
La raccolta di investimenti divenne presto miliardaria e la popolarità di Madoff andò alle stelle, con alcune delle più importanti istituzioni culturali della città che gli offrirono cariche prestigiose: divenne infatti consigliere della Sy Syms School of Business della Yeshiva University, del New York City Center e membro del Cultural Institutions Group. Dato il suo ruolo pionieristico nell'informatizzazione del brokeraggio, contribuì alla costituzione del NASDAQ, il listino dei titoli tecnologici statunitensi presso la borsa di New York, di cui fu anche nominato presidente.[8] La Madoff Securities divenne presto la maggiore market maker del NASDAQ e al 2008 era il sesto operatore in assoluto sui listini S&P 500.[9] La reputazione personale del "padre fondatore", specialmente nella comunità ebraica, era così grande da valergli il soprannome di Jewish Bond (Obbligazione ebraica).[10]
Dubbi sulla liceità delle operazioni
Nel 1999 l'analista finanziario Harry Markopolos informò la SEC (l'autorità statunitense di controllo sulla Borsa) che, secondo i suoi calcoli, era legalmente e matematicamente impossibile che Madoff potesse garantire i rendimenti che prometteva e pagava ai propri clienti[11]: egli dichiarò infatti di aver vanamente provato per 4 ore, con modelli matematico-finanziari legali, a replicare le cifre raggiunte dalle attività del broker; ciò l'aveva convinto che dietro al business si celavano scopi fraudolenti.[12] Markopolos reiterò l'appello nel 2000 e nel 2001, imitato nel 2005 e nel 2007 da un'impiegata della stessa SEC, Meaghan Cheung; ogni volta furono presentate nuove prove e si cercò di allertare alcune delle realtà coinvolte negli investimenti con Madoff, ma tutto rimase sostanzialmente lettera morta.[11]
I sospetti intorno a Madoff in realtà erano già ben consolidati: la sua raccolta multimiliardaria aveva infatti suscitato un diffuso scetticismo tra le principali istituzioni finanziarie di Wall Street, nessuna delle quali aveva mai accettato di mettersi in affari con la Madoff Investment Securities; diversi dirigenti di alto rango di quelle società ritenevano, anche non avendone prove, che le sue operazioni e le sue affermazioni avessero fondamenti illeciti, ma anziché sporgere denuncia avevano preferito restare in attesa del corso degli eventi.[12] Ulteriori perplessità erano legate al fatto che la revisione dei conti della società di Madoff era stata affidata ad un suo amico David G. Friehling, che operava da un piccolo ufficio a New City, un sobborgo a nord di New York, assieme ad un collaboratore (Jerome Horowitz) ed una segretaria. Molti osservatori espressero dubbi sul fatto che una piccola società con un solo auditor potesse revisionare una società come quella di Madoff che gestiva fondi per miliardi di dollari. Poco dopo lo scoppio dello scandalo si scoprì che già dal 1993 Friehling & Horowitz avevano informato l'American Institute of Certified Public Accountants che in effetti non effettuavano audit. Un'indagine del Procuratore Distrettuale della Contea di Rockland Thomas Zugibe si limitò alla trasmissione degli atti alla Procura Federale di New York. In ogni modo Friehling sosteneva di avere centinaia di clienti.[13]
Friehling non era registrato presso il Public Company Accounting Oversight Board, creato dalla legge antifrode Sarbanes-Oxley Act del 2002. Il suo ufficio non era soggetto ad audit sulla qualità da parte del programma della AICPA a cui era iscritto ma a cui non era tenuto a partecipare perché si riteneva che non svolgesse in effetti attività di audit.[14] A posteriori si scoprirà anche che la banca di Madoff, JPMorgan Chase (già Chase Manhattan) fin dal 2006 era a conoscenza del fatto che Friehling non era iscritto alla PCAOB, né tantomeno soggetto ad audit di qualità peer reviewed.[15] Infine verrà fuori che alcuni funzionari del Fairfield Greenwich Group, che gestiva il più grande fondo che faceva confluire denaro alla società di Madoff (feeder fund), erano a conoscenza già dal 2005 che Friehling era il solo auditor dell'ufficio che revisionava Madoff.[16]
Peccò di disattenzione anche la Banca centrale irlandese: quando la società di Madoff iniziò a servirsi di fondi irlandesi, la documentazione trasmessa (piena di incongruenze) non venne di fatto mai esaminata prima del 2008.[17][18][19]
The Federal Bureau of Investigation report and federal prosecutors' complaint says that during the first week of December 2008, Madoff confided to a senior employee, identified by Bloomberg News as one of his sons, that he said he was struggling to meet $7 billion in redemptions.[20] For years, Madoff had simply deposited investors' money in his business account at JPMorgan Chase and withdrew money from that account when they requested redemptions. He had scraped together just enough money to make a redemption payment on November 19. However, despite cash infusions from several longtime investors, by the week after Thanksgiving it was apparent that there was not enough money to even begin to meet the remaining requests. His Chase account had over $5.5 billion in mid-2008, but by late November was down to $234 million, not even a fraction of the outstanding redemptions. With banks having all stopped lending, Madoff knew he could not even begin to borrow the money he needed. On December 3, he told longtime assistant Frank DiPascali, who had overseen the fraudulent advisory business, that he was finished. On December 9, he told his brother Peter about the fraud.[21][16]
Il sistema salta nel momento in cui i rimborsi richiesti superano i nuovi investimenti. Verso fine 2008 le richieste di disinvestimento raggiungono una tale cifra, circa 7 miliardi di dollari, che Madoff non è più in grado di onorare la remunerazione degli interessi promessi con le risorse finanziarie disponibili.
L'11 dicembre 2008 Madoff viene arrestato dagli agenti federali, accusato di aver truffato i suoi clienti causando un ammanco pari a circa 65 miliardi di dollari (60 miliardi di euro).[6]
I dubbi sulle autorità di controllo e sulle grandi società di revisione
In un articolo uscito su Time nel 2008 si esprimono dubbi anche sulla responsabilità delle società di audit che effettuavano la revisione sui grandi fondi che facevano confluire denaro nel fondo di Madoff (feeder fund). Queste società di revisione non erano composte da un solo auditor come la Friehling & Horowitz che revisionava Madoff. Si trattava infatti di nomi come KPMG, PricewaterhouseCoopers, BDO Seidman e McGladrey & Pullen. Ma anche loro diedero una valutazione di adeguatezza sui grandi fondi che facevano confluire denaro a Madoff, senza indagare sull'adeguatezza del fondo di Madoff che in effetti gestiva quel denaro.[22]
Il caso Madoff rappresenta un fallimento per la SEC, che già a partire dal 1992, aveva effettuato diverse verifiche presso la Bernard Madoff Investment Securities, senza rilevare gravi violazioni.[23] Addirittura nel dicembre del 2008 era stato segnalato che nonostante Madoff gestisse circa 17 miliardi di dollari per conto dei suoi clienti, solamente 1 miliardo era investito in azioni.
Anche i concorrenti e gli altri analisti avevano nel tempo espresso dubbi sulle incredibili performance di Madoff, come ad esempio Harry Markopolos, che nel 1999 e nel 2005, dopo essere arrivato alla conclusione che i risultati di Madoff erano tecnicamente molto sospetti se non impossibili, denunciò la cosa alle autorità di controllo.[23]
Kathleen Furey (un funzionario della SEC) nel 2013 ha sostenuto che l'agenzia avrebbe informalmente invitato i suoi investigatori a non indagare sui casi che coinvolgevano soggetti classificati come IM (Investement Manager), come era Madoff. In altre parole la SEC avrebbe intenzionalmente limitato le sue attività di indagine a soggetti che emettevano azioni, come le società quotate, per tutelare gli investitori da frodi quali l'insider trading, ma avrebbe evitato di indagare su coloro che come Madoff davano consulenza in materia di investimenti.[24]
In una conferenza tenuta nel 2016 Harry Markopolos, che aveva reso noto alla SEC il sospetto che tutta l'attività di Madoff fosse un gigantesco "schema Ponzi", ha affermato che l'intero sistema della revisione contabile è inefficace nel prevenire le frodi, auspicando una sua completa riforma. Ha spiegato che i funzionari che effettuano gli audit sono giovani sottopagati e costretti ad orari di lavoro estenuanti, e le checklist che sono costretti ad applicare sono accuratamente progettate per "navigare attorno alle frodi" (cioè a non vederle). "Ditemi un solo caso di una grande frode fatta da una grande società che è stata scoperta da una delle Big Four della revisione" ha chiesto provocatoriamente Markopolos "Non ce ne sono. Se è così a che serve l'audit?". Negli USA la percentuale delle frodi scoperte dagli auditor esterni è stata solo il 4% del totale. La maggior parte delle frodi è stata scoperta grazie alla collaborazione di dipendenti interni che avevano collaborato alle stesse frodi (cosiddetti whistleblower). Nella stessa conferenza Markopolos ha proposto di far pagare i costi degli audit agli investitori e non e alle società auditate e di prevedere compensi maggiori per gli auditor che dovrebbero essere presi tra persone con una lunga esperienza nel settore.
[25]
Secondo un articolo del Los Angeles Times uscito dopo la morte di Madoff la SEC in effetti avviò indagini dopo le segnalazioni ricevute nel corso degli anni, ma le affidò a personale inesperto e impreparato che prese per buone tutte le spiegazioni fornite da Madoff senza fare ulteriori verifiche[26].
Ripercussioni della truffa
I clienti di Madoff erano perlopiù grandi istituti finanziari e investitori istituzionali, sui quali sono ricadute le conseguenze della truffa. Diverse banche in tutto il mondo hanno dichiarato di essere esposte verso il fondo di Madoff sia direttamente, sia attraverso fondi da loro gestiti. Tra le italiane UniCredit per 75 milioni di euro e il Banco Popolare per 8 milioni.[27] Più gravi invece le ricadute per altri istituti europei come Royal Bank of Scotland, esposta per circa 445 milioni di euro, la spagnola Bbva, per circa 300 milioni di euro, e la francese Natixis, a sua volta con perdite pari a 450 milioni di euro.[27] L'importo più consistente pare essere quello del gruppo britannico HSBC, esposto per circa un miliardo di dollari[28] (tuttavia al mese di ottobre 2011, la SEC ritiene che il gruppo britannico sia riuscito a rientrare in possesso di almeno 600 milioni di dollari tramite indagini private) e della società di gestione Fairfield Greenwich Group, che ha investito nel fondo di Madoff oltre metà del suo patrimonio per una cifra di 7,5 miliardi di dollari.[29]
Sembra che anche alcuni importanti personaggi del mondo degli affari o dello spettacolo abbiano investito cifre più o meno ingenti con Madoff, direttamente o tramite fondazioni a loro riconducibili. Ad esempio, la Wunderkinder Foundation di Steven Spielberg potrebbe aver perso una buona parte del suo capitale; stessa sorte sarebbe toccata al magnate dell'editoria Mortimer Zuckerman, al premio NobelElie Wiesel, all'icona cinematografica Zsa Zsa Gábor (che avrebbe perso una somma compresa tra i 7 e i 10 milioni di dollari), all'attore Kevin Bacon e sua moglie, Kyra Sedgwick, e a John Malkovich.
Condanna, detenzione e morte
Rinviato a giudizio, il 29 giugno 2009 Madoff viene condannato a 150 anni di carcere per i reati commessi.[10] Viene inviato a scontare la pena presso il carcere federale di Butner.
Nel mese di agosto 2009 viene rivelato dal New York Post[30], che Bernand Madoff era malato di cancro e che lo avrebbe consumato al punto di lasciargli solamente pochi mesi di vita e che per questa ragione si sarebbe dichiarato — durante il procedimento — come unico responsabile della truffa. Tramite una nota pubblicata in seguito dal The Wall Street Journal, però, il Bureau of Federal Prison ha smentito la malattia. Il 24 dicembre del 2009 comunque Madoff venne ricoverato in ospedale, ufficialmente per motivi di vertigini e pressione alta. L'11 dicembre 2010 suo figlio Mark si suicida a Manhattan[31], mentre il 3 settembre 2014 muore anche l'altro figlio Andrew, affetto da linfoma mantellare[32].
Madoff infine muore in prigione a Butner il 14 aprile 2021.[33]
Nella cultura di massa
Nel 2010 è stata rappresentata la piecé teatrale Imagining Madoff, in cui avviene un incontro immaginario tra Madoff e le persone che ha truffato;
Nel 2011 è uscito il documentario Chasing Madoff, sulle indagini con cui l'investigatore Harry Markopolos ha scoperto la truffa di Madoff;
Il film del 2015 Those People si ispira ai suoi scandali finanziari (che nell'opera coinvolgono il padre di uno dei 2 protagonisti), nonché a Mark per il personaggio di Sebastian (il figlio morto suicida);[35]
Nel 2016 è uscita la miniserie televisiva Madoff, in cui quest'ultimo è interpretato da Richard Dreyfuss[36];
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A sign on a beach in Whitstable, United Kingdom, advising readers to dial 999 and to request for the coastguard in the event of an emergency
Istituito nel 1937 a Londra, è il primo e più antico servizio telefonico unificato e gratuito per le segnalazioni di emergenza al mondo: per essere collegati ad una centrale operativa che è in grado di localizzare le chiamate e di gestire qualsiasi richiesta di soccorso, inviando forze di polizia, vigili del fuoco o soccorso sanitario.
Storia
L'idea di un numero gratuito che mettesse direttamente in contatto i cittadini con i servizi di pubblica sicurezza nacque allorché, a metà anni 1930 ci si accorse che la gestione delle telefonate d'emergenza mediata dai normali centralini "generalisti" non sempre garantiva la necessaria reattività per stabilire il collegamento, facendo perdere tempo prezioso. Poiché al tempo i telefoni non erano dotati di pulsantiera, ma di disco combinatore, le autorità di Londra pensarono a un numero molto semplice, composto da tre cifre uguali, il 999 appunto: per comporlo bastava inserire il dito nel disco e ruotarlo per 3 volte, rendendo l'operazione molto semplice e veloce anche in condizioni estremamente problematiche[2].
Il servizio fu attivato il 30 giugno e nella prima settimana ricevette 1.336 chiamate; la gestione fu inizialmente affidata alle Poste, con operatori che indirizzavano manualmente le richieste ai vari servizi di sicurezza. Il successo fu rapido e un anno dopo il 999 fu attivato anche a Glasgow; lo smistamento delle chiamate fu progressivamente sveltito e automatizzato con l'adozione di personale dedicato. Nel 1976 la copertura divenne nazionale.
Impiego nei vari Paesi
Regno Unito
Telefono pubblico d'emergenza nel Gwynedd, in Galles, con un cartello riportante il numero 999
Con la diffusione degli apparecchi telefonici a pulsantiera e soprattutto dei cellulari, emerse il rischio di effettuare chiamate accidentali al 999, che potevano partire anche all'insaputa del mittente, ad esempio a causa di un telefono mobile tenuto in tasca senza blocco. Nel dicembre 1992 venne pertanto implementato anche il numero unico europeo 112, che comunque reindirizza al centralino del 999 ed è a sua volta gratuito.[3]
Servizi espletati
Non sono stati trovati valori da mostrare
In the United Kingdom there are four emergency services which maintain full-time emergency control centres (ECC), to which 999 emergency calls may be directly routed by emergency operators in telephone company operator assistance centres (OAC). These services are as follows, listed in the order of percentage of calls received:[4]
Other emergency services may also be reached through the 999 system, but do not maintain permanent emergency control centres. All of these emergency services are summoned through the ECC of one of the four principal services listed above:[5]
First introduced in the London area on 30 June 1937, the UK's 999 number is the world's oldest emergency call telephone service. The system was introduced following a house fire in Wimpole Street on 10 November 1935, in which five women were killed.[12] A neighbour had tried to telephone the fire brigade and was so outraged at being held in a queue by the Welbeck telephone exchange that he wrote a letter to the editor of The Times,[13] which prompted a government inquiry.[12]
The initial scheme covered a 12-miglio (19 km) radius around Oxford Circus[14] and the public were advised only to use it in ongoing emergency if "for instance, the man in the flat next to yours is murdering his wife or you have seen a heavily masked cat burglar peering round the stack pipe of the local bank building."[15] The first arrest – for burglary – took place a week later and the scheme was extended to major cities after World War II and then to the whole of the UK in 1976.[15]
The 9-9-9 format was chosen based on the 'button A' and 'button B' design of pre-payment coin-operated public payphones in wide use (first introduced in 1925) which could be easily modified to allow free use of the 9 digit on the rotary dial in addition to the 0 digit (then used to call the operator), without allowing free use of numbers involving other digits; other combinations of free call 9 and 0 were later used for more purposes, including multiples of 9 (to access exchanges before Subscriber trunk dialling came into use) as a fail-safe for attempted emergency calls, e.g. 9 or 99, reaching at least an operator.[16]
The choice of 999 was fortunate for accessibility, because in the dark or in dense smoke 999 could be dialled by placing a finger one hole away from the dial stop (see the articles on rotary dial and GPO telephones) and rotating the dial to the full extent three times. This enables all users including the visually impaired to easily dial the emergency number. It is also the case that it is relatively easy for 111, and other low-number sequences, to be called accidentally, including when transmission wires making momentary contact produce a pulse similar to dialling (e.g. when overhead cables touch in high winds).[17][18]
Hoax calls and improper use are a problem. For these reasons, there are frequent public information campaigns in the UK on the correct use of the 999 system.[19]
Alternative three-digit numbers for non-emergency calls have also been introduced in recent years. 101 was introduced for non-urgent calls to Police in England and Wales[20] and later extended to Scotland[21] and Northern Ireland.[22]
Trials of 111 as a number to access health services in the UK for urgent but not life-threatening cases began in England in 2010. The main roll-out was originally meant to be finished by April 2013[23] but was not completed until February 2014.[24] In Scotland, the NHS24 service moved from 0845 424 2424 to 111 on 29 April 2014.[25][26] NHS Direct Wales continues to use 0845 46 47 but the rollout of 111 is in progress, following trials in 2016 by Abertawe Bro Morgannwg University Health Board. CurrentlyTemplate:When the 111 number is available in the health boards Hywel Dda, Powys, Aneurin Bevan and Swansea Bay (including Bridgend).[27]
In 2008–2009, Nottinghamshire Police ran a successful pilot of Pegasus, a database containing the details of people with physical and learning disabilities or mental health problems, who have registered with the force because their disabilities make it difficult for them to give spoken details when calling the police. Those registered on the database are issued with a personal identification number (PIN) that can be used in two ways. By phone – either 999 or the force's non-emergency 101 number can be used – once a person is put through to the control room, they only need to say "Pegasus" and their PIN. Their details can then be retrieved from the database and the caller can quickly get on with explaining why they have called. In person – the Pegasus PIN can be told or shown to a police officer. Pegasus is also used by the City of London Police, Dyfed Powys Police, Surrey Police & Lincolnshire Police.
The use of push-button telephones can cause problems,[28] because it is easy to push the same button repeatedly by accident, e.g. by objects in the same pocket as the telephone (termed 'pocket dialling') or by children playing with it. This problem is less of a concern with emergency numbers that use two different digits, such as 112 and 911, although on landlines 112 suffers much of the same risk of false generation as the 111 code which was considered and rejected when the original choice of 999 was made.
The pan-European 112 code was introduced in the UK in April 1995[29] with little publicity. It connects to existing 999 circuits. The GSM standard mandates that a user can dial 112 without unlocking the keypad, which can save time but also causes some accidental calls.
Silent solution 55 is the name given to the initiative that allows people to call 999 when they are not able to speak. If there is no answer, the operator will then ask the caller to cough, or make another audible sign that indicates the caller is in need of police assistance. If it is dangerous to make any sound at all, the call will be put through to an automated system which asks the caller to press 55 if in danger.[30]
Procedure
999 or 112 is used to contact the emergency services upon witnessing or being involved in an emergency. In the United Kingdom, the numbers 999 and 112 both connect to the same service, and there is no priority or charge for either of them. Callers dialling 911, North America's emergency number, may be transferred to the 999 call system if the call is made within the United Kingdom from a mobile phone.
An emergency can be:
A person in need of immediate medical assistance
Suspicion that a crime is in progress, or that an offender is in the area
Structure on fire
Another serious incident which needs immediate emergency service attendance
All telecoms providers operating in the UK are obliged as part of their licence agreement to provide a free of charge emergency operator service. Template:Asof emergency calls made on any network in the UK are handled by BT.
A flowchart for a 999 call
On dialling 999 or 112 an operator will answer and ask, "Emergency. Which service?"[31] Previously operators asked "Which service do you require?" (approximately up to the mid-90s).
The operator will then transfer the call to the appropriate service's own call-taker. If the caller is unsure as to which service they require, the operator will transfer the call to the police, and if an incident requires more than one service, for instance a road traffic accident with injuries and trapped people, one service will alert the others. (The operator has to contact each service individually, whether or not the caller remains on the line.) The caller will be connected to the service which covers the area that they are (or appear to be) calling from.
On 6 October 1998, BT introduced a new system whereby all the information about the ___location of the calling telephone was transmitted electronically to the relevant service rather than having to be read out (with the possibility of errors). This system is called EISEC (Enhanced Information Service for Emergency Calls). Before it, the operator had to start the connection to the emergency service control room by stating their own ___location, then the caller's telephone number, e.g. "Bangor connecting 01248 300 000". It was common for the caller to be confused why the operator was talking to the emergency service, and frequently talked over the operator. Only around half of the emergency authorities have EISEC, although the number is ever increasing.
Although the initial response to all 999 calls is in English, callers who reply in Welsh are transferred to the Bangor control room where the call will be taken by Welsh-speaking operators.[32]
The rooms in which operators work are called operator assistance centres (OACs). There are six BT OACs. The rooms in which emergency response operators work are called emergency control centres (ECCs) and are operated by local authorities.
In some situations there may be specific instructions on nearby signs to notify some other authority of an emergency before calling 999. For example, railway bridges may carry signs advising that if a road vehicle strikes the bridge the railway authority (usually Network Rail) should be called first on a given number. Network Rail has its own procedures to alert trains to the emergency and to stop them if necessary. The instructions on the signs state 999 should then be dialled and that the police should be requested.
Access to the 999/112 service is provided for the hearing-impaired via Textphone and use of the Text Relay service, run by BT to cover all telephone providers, and previously known as the RNID "Typetalk" relay service. The number is 18000.
999 is also accessible via SMS for pre-registered users.[N 1] The service is open for anyone to register and works with all major providers in the UK.[33]
Location
The caller's ___location will not be passed onto the emergency services immediately, but it is possible to trace both landline and mobile telephone numbers with the BT operator; the former can be traced to an address. The latter can be immediately traced to a grid reference according to the transmitter being used.[34] However, this is only accurate to a certain wide area – for more specific traces, authority must be sought and an expensive operation can be conducted to trace the mobile phone to within a few metres. A number of smartphone apps can now be downloaded that assist with caller ___location by using the smartphone's satellite navigation features.
Since 2014, smartphones which implement Advanced Mobile Location will detect that an emergency call is being placed, and use any available ___location services (WiFi or GPS based ___location) to send an emergency SMS containing an identifier for the call and the phone's ___location, accurate to 30 meters.[35] This is intended to be received by the mobile operator whilst the call is in progress.[36]
On some occasions callers will be put through to the wrong area service – this is called a "misrouted nines".[37] The most common reason for this is when a mobile phone calls 999 and is using a radio transmitter that is located in another force area; most frequently these are calls that are made within a few miles of a border. Upon establishing the incident ___location, the emergency service operator will relay the information to the responsible force for their dispatch. In most areas, forces will respond to incidents just beyond their border if they could get there quicker, assist, and then hand over to other forces when they arrive.
On strategic routes like almost all motorways and some major A roads in the United Kingdom, Highways England have placed blue driver ___location signs with the ___location printed on them, at approximately 500-metre intervals. Although emergency SOS phones are placed along the hard shoulder on all motorways (and in emergency refuge areas on smart motorways) which automatically send ___location information to the Highways England regional control centre (RCC), most people involved in a road emergency call from their mobile phones and so need another way to identify their ___location. These signs contain a code which can be given to the emergency operator or the RCC. For example, a sign may say "M1 A 100.5". This translates as the M1 motorway, on the "A" carriageway, at 100.5 kilometres from the M1's nominal start at Staples Corner.[38] The "A" and "B" carriageways are designated by Highways England to each carriageway, dependent upon which direction it travels; these normally refer to whether the carriageway goes "Away from London" or "Back to London". On circular motorways like the London Orbital M25 and M60 Manchester Outer Ring Road, the clockwise carriageway is the A carriageway and the anti-clockwise carriageway is the B carriageway. Letters J, K, L and M refer to slip roads at junctions. These signs are in addition to the pre-existing 100m distance marker posts alongside the carriageway.[38]
Abandoned and hoax calls
An abandoned call is when a caller, intentionally or otherwise, rings 999 and then ends the call or stays silent. Abandoned calls are filtered by emergency operators BT and Cable & Wireless, and are either disconnected or passed on to police.[39]
They are normally disconnected by the operator repeating "Emergency. Which service?", then if no response is given, the operator will say "Do you need police, fire or ambulance?". If there is still no response, the operator will sometimes ask the caller to press the keypad or make a noise if they need assistance.[40] If no response is given, they will confirm they are clearing the line.
For abandoned calls, if the caller requests the police and the call is routed to police and then the line is dropped, either while waiting for connection or on the line with police, they are checked by police and called back. If there is no answer, the police service are likely to attend and if the line is disconnected without the caller telling the operator which service they need, they then make a decision to filter the call to police (if suspicious background noise) or clear the line.[senza fonte]
The most common reasons for abandoned calls include:[senza fonte]
Accidental dialling of 999 on mobile phones. As a GSM standard, mobile phones still allow emergency calls to be made even with the keypad locked.
L'Irlanda adotta come numeri unici d'emergenza il 999 e il 112[41], il cui personale gestisce chiamate in inglese, irlandese, polacco, francese, tedesco e italiano. Il protocollo prevede che l'operatore risponda alla chiamata con la formula Emergency, which service?: il chiamante può chiedere l'intervento dei Gardaí (polizia), dell'ambulanza, dei vigili del fuoco, della guardia costiera o del soccorso alpino-speleologico; la chiamata viene trasferita al centralino di riferimento.[42]
Bangladesh
In Bangladesh, 999 is the national emergency number. It officially launched on 11 December 2017. This number is toll-free. Calling this number connects the caller to an operator, who then connects the caller to the police, ambulance or fire service.[43]
The services are provided under a national help desk, which has been set up at a cost of Tk 60.50 crore.[44]
In the past, dialling 100 would connect to Bangladesh Police, 101 to Rapid Action Battalion, 102 to fire services, 103 to ambulance service and 104 to the Access to Information Programme under the Prime Minister's Office.
Macau also adopted the 999 number; it also introduced two emergency hotline numbers: 110 (mainly for tourists from mainland China) and 112 (mainly for tourists from overseas).
The worldwide emergency number for GSM mobile phones, 112, also works on all GSM networks in the territories. Calls made to this number are redirected to the 999 call centre.
Malaysia
The 999 emergency services in Malaysia is staffed by about 138 telephonists from Telekom Malaysia. Like Singapore, the number was inherited from British rule and continued after independence. Ongoing upgrading works are taking place to introduce the Computer-Telephony Integration (CTI) for hospital exchanges, digital mapping to track the callers' locations and Computer Assisted Despatching (CAD) for online connectivity among the agencies providing the emergency services in the country. All calls to the number are made free of charge. In the late 90s, the number 994 was adopted as a direct connection to fire stations, but use of the number has been discontinued due to cost-saving measures taken by the government. 991 connects to civil services.
The worldwide emergency number for GSM mobile phones, 112, also works on all GSM networks in the country. Calls made to this number are redirected to the 999 call centre.
Mauritius
Mauritius uses the 999 emergency number for police contact only. The other emergency numbers in use are 114 for emergency medical assistance and 115 for the fire service.[45]
Poland
The 112 emergency number is an all-service number in Poland like in other EU states, but old numbers that were traditionally designated for emergencies are still in use parallel to 112. Those are 999 for ambulance, 998 for fire brigade and 997 for police.
United Arab Emirates
In the United Arab Emirates the 999 service is used to contact the police who are also capable of forwarding the call as appropriate to the ambulance or fire services. The number 998 connects directly to the ambulance service and 997 to the fire brigade.
Singapore
In Singapore, the number 999 was inherited from British rule and continued after independence. The number is attributed more to requesting for the police, with the number 995, established in 1984, used for direct lines to the fire brigade and ambulance services of the Singapore Civil Defence Force. Because most of the population of Singapore is Chinese, it is likely that 995 was adopted because the Chinese pronunciation for that number (九九五, jiŭ jiŭ wŭ) sounds similar to the Chinese phrase for 'Save me' (救救我, jiù jiù wŏ).
Eswatini
The Kingdom of Eswatini uses the 999 emergency number for police contact only, and 975 for human trafficking reports. The other emergency numbers in use are 977 for emergency medical assistance and 933 for the fire service.
Trinidad and Tobago
In Trinidad and Tobago, 999 is used to contact the police only. The number 811 is used for the ambulance service and 990 for the fire brigade.
Uganda
In Uganda, callers can call the police on either 112 or 999.[46]
Canada
In 1959, Winnipeg, Manitoba (16 municipalities) used 9-9-9[47] as the first North American deployment of a local unified emergency number.[48]North America later standardised on 9-1-1, with +1-204-999-xxxx eventually reassigned as a standard mobile telephone exchange.[49] Even in 2022, dialling 9-9-9 in certain areas of Canada, e.g., Gatineau, QC, may be transferred to the 999 call system.[50]
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