Impero romano

nome dello Stato romano dopo la repubblica (27 a.C. - 395 d.C.)

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Impero romano
Motto: Senatus PopulusQue Romanus
(traduzione: "Il Senato e il popolo romano")
Impero romano - Localizzazione
Impero romano - Localizzazione
Dati amministrativi
Nome completoImpero Romano
Nome ufficialeRESPUBLICA POPULI ROMANI
Lingue ufficialilatino
greco antico
Lingue parlatelatino: ufficiale, di cultura e, in Occidente, d'uso; greco: di cultura e, in Oriente, d'uso
CapitaleRoma
Altre capitaliTreviri, Milano, Nicomedia, Sirmio, Ravenna, Antiochia e Costantinopoli
Politica
Forma di governode jure Repubblica oligarchica de facto Principato (27 a.C. - 235 d.C.)
Dominato (235 - 395)
Imperatore (Cesare e Augusto)Elenco
Organi deliberativiSenato romano
Nascita16 gennaio 27 a.C. con Augusto
CausaGuerre civili
Fine17 gennaio 395 con Teodosio I
CausaDivisione tra gli eredi al trono Onorio e Arcadio
Territorio e popolazione
Bacino geograficoEuropa e bacino del Mediterraneo
Territorio originaleItalia
Massima estensione2,3 milioni di miglia quadrate (circa 5.957.000 km²) nel II secolo
Popolazionetra 55 milioni e 120 milioni nel IV secolo
Economia
ValutaSolido, aureo, denario, sesterzio, asse
Risorseoro, argento, ferro, stagno, ambra, cereali, pesca, ulivo, vite, marmi
Produzionivasellame, oreficeria, armi
Commerci conParti, Africa subsahariana, India, Arabia, Ceylon, Cina
Esportazionioro
Importazionischiavi, animali, seta, spezie
Religione e società
Religioni preminentireligione romana, religione greca, religione egiziana, mitraismo
Religione di Statoreligione romana sino al 27 febbraio 380, quindi religione cristiana
Religioni minoritariereligione ebraica, druidismo
Classi socialicittadini romani (nobilitas e populus; senatores, equites (cavalieri) e resto del populus; dal III secolo d.C. in poi: honestiores e humiliores), peregrini (sudditi dell'impero senza cittadinanza, solo fino al 212), stranieri, liberti, schiavi
Evoluzione storica
Preceduto daRepubblica Romana
Succeduto daImpero romano d'Occidente
Impero romano d'Oriente

L'Impero romano (in latino Imperium Romanum) è lo Stato romano consolidatosi nell'area euro-mediterranea tra il I secolo a.C. e il IV secolo.

Le due date che generalmente identificano l'inizio e la fine di un'entità statuale unica sono il 27 a.C., primo anno del principato di Ottaviano, con il conferimento del titolo di Augusto, e il 395, allorquando, alla morte di Teodosio I, l'impero viene suddiviso in una pars occidentalis e in una orientalis. L'Impero romano d'Occidente si fa terminare per convenzione nel 476, anno in cui Odoacre depone l'ultimo imperatore legittimo, Romolo Augusto. La vita dell'Impero romano d'Oriente si protrarrà invece fino al momento della conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani nel 1453.

Pur non essendo il più vasto impero mai esistito, spettando tale primato innanzitutto all'Impero Mongolo, quello di Roma è considerato il più grande in termini di gestione e qualità del territorio, di organizzazione socio-politica e di importanza del segno lasciato nella storia dell'umanità. In tutti i territori sui quali estesero i propri confini i romani costruirono città, strade, ponti, acquedotti, fortificazioni, esportando ovunque il loro modello di civiltà e al contempo assimilando le popolazioni e civiltà assoggettate, in un processo così profondo che per secoli ancora dopo la fine dell'impero queste genti continuarono a definirsi romane. La civiltà nata sulle rive del Tevere, cresciuta e diffusasi in epoca repubblicana ed infine sviluppatasi pienamente in età imperiale, è alla base dell'attuale civiltà occidentale.

Oltre all'Impero romano d'Oriente, unico Stato successore a pieno titolo dell'Impero romano, le altre entità statuali che si rifecero ad esso, in Occidente (il Regno franco e il Sacro Romano Impero) ed in Oriente (l'impero bulgaro prima, e successivamente la Russia degli Zar) continuarono ad usare i titoli adottati dall'Impero romano, sino all'epoca delle rivoluzioni e ancora oggi le istituzioni politiche, sociali e giuridiche delle democrazie occidentali si ispirano a Roma ed alla sua storia millenaria.

Definizione e concetto di Impero romano

  Lo stesso argomento in dettaglio: Civiltà romana, Storia romana, Roma antica, Province romane e Costantinopoli.

Le due date indicate come inizio (27 a.C.) e fine (395 d.C.) convenzionali di un Impero romano unitario, come spesso accade nelle definizioni dei periodi storici, sono puramente arbitrarie. In particolare per tre ragioni: sia perché non vi fu mai una vera e propria fine formale della Res publica Romana, le cui istituzioni non furono mai abolite, ma semplicemente persero il potere effettivo a vantaggio dell'imperatore;[1] sia perché nei quattrocentoventidue anni tra esse compresi si alternarono due fasi caratterizzate da forme di organizzazione e legittimazione del potere imperiale profondamente diverse, il Principato e il Dominato; sia perché anche dopo la divisione dell'impero le due parti continuarono a sopravvivere, l'una sino alla deposizione dell'ultimo Cesare d'Occidente Romolo Augusto nel 476 (o più precisamente fino alla morte del suo predecessore, Giulio Nepote, che si considerava ancora imperatore), l'altra perpetuandosi per ancora un millennio in quell'entità nota come Impero bizantino. L'anno 476 è stato inoltre convenzionalmente considerato come data di passaggio tra età antica e Medioevo.

Se per alcuni - e in parte per gli stessi antichi - già l'assunzione nel 49 a.C. della dittatura da parte di Gaio Giulio Cesare può segnare la fine della Repubblica e l'inizio di una nuova forma di governo (tanto che il nome stesso di caesar divenne titolo e sinonimo di imperatore), è anche vero che per essi l'impero di Roma esisteva già da tempo, da quando cioè la città repubblicana aveva iniziato a legare a sé i territori conquistati sotto forma di province, estendendo su di esse il proprio imperium, cioè l'autorità politico-militare dei propri magistrati (ciò accadde a partire dalla Sicilia, nel 241 a.C.).

Il 31 a.C. invece (anno in cui la flotta romana comandata dal generale Marco Vipsanio Agrippa sconfisse quella egiziana guidata da Marco Antonio e Cleopatra presso Azio, in Grecia, segnando la fine del secondo triumvirato e la definitiva sconfitta dell'unico vero avversario di Ottaviano per il predominio a Roma) rappresenta l'inizio effettivo del potere di Augusto, ponendo infatti fine a quella lunga serie di guerre civili che avevano segnato nell'ultimo secolo la crisi della Repubblica. In breve tempo, Ottaviano divenne arbitro e padrone dello Stato: inaugurò nel 27 a.C. la definitiva forma del suo principato e governò pur senza detenere nessuna carica, con una formula di primus inter pares, pater patriae, princeps e, soprattutto, augustus, titolo onorifico conferitogli in quell'anno dal Senato, per indicare il carattere sacrale e propiziatorio della sua persona. È vero anche che Augusto ebbe pieni poteri solo nel 12 a.C., quando divenne Pontefice Massimo. Durante l'anarchia militare infatti, quando alla guida di Roma c'erano due imperatori, quello che aveva più potere era quello che ricopriva anche la carica di Pontefice Massimo.

In realtà, però, la denominazione di imperium ha un senso più generale di quello a noi oggi familiare: è Tito Flavio Vespasiano il primo ad assumere la carica formale di Imperator. Prima di Vespasiano, il titolo di Imperator era attribuito semplicemente al comandante in capo dell'esercito romano, che doveva essere acclamato come tale dalle sue truppe sul campo, solo in quel caso era imperator e deteneva il diritto ad inoltrare richiesta di trionfo al Senato che era libero di accordargliela o rifiutargliela. Ottaviano, del resto, rispettò formalmente le istituzioni repubblicane, ricoprendo diverse cariche negli anni che lo portarono comunque ad ottenere un potere tale, che nessun altro uomo prima di lui a Roma aveva mai ottenuto.

La vita politica, economica e sociale durante i primi secoli dell'Impero gravitava attorno all'Urbe. Roma era la sede dell'autorità imperiale e dell'amministrazione, principale luogo di scambio commerciale tra Oriente ed Occidente oltre ad essere di gran lunga la più popolata città del mondo antico con circa un milione di abitanti; per questo migliaia di persone affluivano quotidianamente nella capitale via mare e via terra, arricchendola di artisti e letterati provenienti da tutte le regioni dell'Impero.

Esisteva una netta differenza tra il vivere a Roma o nelle province: gli abitanti della capitale godevano di privilegi ed elargizioni, mentre il peso fiscale si riversava più pesantemente sulle province. Anche tra città e campagna, ovviamente tenendo conto del ceto sociale, la qualità di vita era migliore e più agiata per i cittadini, che usufruivano di servizi pubblici come terme, acquedotti, teatri e circhi.

Dall'epoca di Diocleziano, Roma perse il suo ruolo di sede imperiale a favore di altre città (Milano, Treviri, Nicomedia e Sirmio), restando, però, capitale dell'Impero, fino a quando, nel corso del V secolo, si andò sempre più imponendo Costantinopoli (la Nova Roma voluta da Costantino), anche grazie ai mutati rapporti di forza tra un Oriente ancora prospero e un Occidente in balia delle orde barbariche e sempre più prostrato dalla crisi economica, politica e demografica.

Dopo la crisi che paralizzò l'Impero nei decenni centrali del III secolo, le frontiere si fecero più sicure a partire dal regno di Diocleziano (284-305), il quale introdusse profonde riforme nell'amministrazione e nell'esercito. L'Impero poté così vivere ancora un periodo di relativa stabilità fino almeno alla battaglia di Adrianopoli (378) e, in Occidente, fino ai primi anni del V secolo, quando si produsse una prima, pericolosa incursione da parte dei Visigoti di Alarico (401-402) cui seguirono altre che culminarono nel celebre sacco di Roma del 410, avvertito dai contemporanei (san Girolamo, sant'Agostino d'Ippona) come un avvenimento epocale e, da alcuni, perfino come la fine del mondo. Gli ultimi decenni di vita dell'Impero romano d'Occidente (quello d'Oriente sopravviverà, come si è detto, per un altro millennio) furono vissuti in un clima apocalittico di morte e di miseria dalla popolazione di molte regioni dell'Impero, falcidiata da guerre, carestie ed epidemie. La conseguenza finale fu la caduta della stessa struttura imperiale.

Cronologia dei principali eventi politici

Alto Impero (27/23 a.C. - 284 d.C.)

Dalla Repubblica al Principato

  Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica Romana.
Augusto
  Lo stesso argomento in dettaglio: Augusto.

Quando la Repubblica romana (509 a.C. - 31 a.C.) era ormai preda di una crisi istituzionale irreversibile[2], Gaio Giulio Cesare Ottaviano, pronipote di Giulio Cesare e da lui adottato, rafforzò la sua posizione con la sconfitta del suo unico rivale per il potere, Marco Antonio, nella battaglia di Azio. Anni di guerra civile avevano lasciato Roma quasi senza legge. Essa, tuttavia, non era ancora del tutto disposta ad accettare il controllo di un despota.

Ottaviano agì astutamente. Per prima cosa sciolse il suo esercito ed indisse le elezioni. Ottenne, in tal modo, la prestigiosa carica di console. Nel 27 a.C., restituì ufficialmente il potere al Senato di Roma, e si offrì di rinunciare alla sua personale supremazia militare ed egemonia sull'Egitto. Non solo il Senato respinse la proposta, ma gli fu anche dato il controllo della Spagna, della Gallia e della Siria. Poco dopo, il Senato gli concesse anche l'appellativo di "Augusto".

 
Busto di Augusto, fondatore dell'Impero romano.

Augusto sapeva che il potere necessario per un governo assoluto non sarebbe derivato dal consolato. Nel 23 a.C. rinunciò a questa carica, ma si assicurò il controllo effettivo, assumendo alcune "prerogative" legate alle antiche magistrature repubblicane. Gli fu, innanzitutto, garantita a vita la tribunicia potestas, legata in origine alla magistratura dei tribuni della plebe, che gli permetteva di convocare il Senato, di decidere, porre questioni avanti ad esso, porre il veto alle decisioni di tutte le magistrature repubblicane e di fruire della sacrale inviolabilità della propria persona. Ricevette, inoltre, l'imperium proconsolare maximo, ossia il comando supremo su tutte le milizie in tutte le provincie (questa era una delle prerogativa del proconsole nella regione di sua competenza). Il conferimento da parte del Senato di queste due prerogative gli dava autorità suprema in tutte le questioni riguardanti il governo del territorio. Il 27 a.C. e il 23 a.C. segnano le principali tappe di questa vera e propria riforma costituzionale, con la quale si considera che Augusto assumesse concretamente i poteri propri di imperatore di Roma. Egli tuttavia fu solito usare titoli quali "Principe" o "Primo Cittadino"[3].

Con i nuovi poteri che gli erano stati conferiti, Augusto organizzò l'amministrazione dell'Impero con molta padronanza. Stabilì moneta e tassazione standardizzata; creò una struttura amministrativa formata da cavalieri (era normale che gli imperatori, nel loro conflitto latente con l'aristocrazia senatoriale, si appoggiassero agli equites) e con l'erario militare previde benefici per i soldati al momento del congedo. Suddivise le province in senatorie (controllate da proconsoli di nomina senatoria) ed imperiali (governate da legati imperiali).

Fu un maestro nell'arte della propaganda, favorendo il consenso dei cittadini alle sue riforme. La pacificazione delle guerre civili fu celebrata come una nuova età dell'oro dagli scrittori e poeti contemporanei, come Orazio, Livio e soprattutto Virgilio. La celebrazione di giochi ed eventi speciali rafforzavano la sua popolarità.

Augusto inoltre per primo creò un corpo di vigili, ed una forza di polizia per la città di Roma, che fu suddivisa amministrativamente in 14 regioni.

Il controllo assoluto dello stato gli permise di indicare il suo successore, nonostante il formale rispetto della forma repubblicana. Inizialmente si rivolse al nipote Marco Claudio Marcello, figlio della sorella Ottavia, al quale diede in sposa la figlia Giulia. Marcello morì tuttavia nel 23 a.C.: alcuni degli storici successivi ventilarono l'ipotesi, probabilmente infondata, che fosse stato avvelenato da Livia Drusilla, moglie di Augusto.

Augusto maritò quindi la figlia alla sua "mano destra", Agrippa. Da questa unione nacquero tre figli: Caio Cesare, Lucio Cesare e Postumo (così chiamato perché nato dopo la morte del padre). I due maggiori furono adottati dal nonno con l'intento di farne i suoi successori, ma morirono anch'essi in giovane età. Augusto mostrò anche favore per i suoi figliastri (figli del primo matrimonio di Livia) Tiberio e Druso, che conquistarono a suo nome nuovi territori nel nord.

Dopo la morte di Agrippa nel 12 a.C., il figlio di Livia, Tiberio, divorziò dalla prima moglie, figlia di Agrippa e ne sposò la vedova, Giulia. Tiberio fu chiamato a dividere con l'imperatore la tribunicia potestas, che era fondamento del potere imperiale, ma poco dopo si ritirò in esilio volontario a Rodi. Dopo la morte precoce di Caio e Lucio nel 4 e 2 a.C. rispettivamente, e la precedente morte del fratello Druso maggiore (9 a.C.), Tiberio fu richiamato a Roma e venne adottato da Augusto, che lo designava in tal modo proprio erede.

Il 9 agosto 14, Augusto morì. Poco dopo il Senato decretò il suo inserimento fra gli dei di Roma. Postumo Agrippa e Tiberio erano stati nominati coeredi. Tuttavia Postumo era stato esiliato e venne ben presto ucciso. Si ignora chi avesse ordinato la sua morte, ma Tiberio ebbe la via libera per assumere lo stesso potere che aveva avuto il padre adottivo.

La dinastia giulio-claudia (27 a.C. - 68 d.C.)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Dinastia giulio-claudia e Albero genealogico giulio-claudio.
 
L'imperatore Tiberio.

Con dinastia giulio-claudia si indica la serie dei primi cinque imperatori romani, che governarono l'impero dal 27 a.C. al 68 d.C., quando l'ultimo della linea, Nerone, si suicidò, si dice, aiutato da un liberto.

La dinastia viene così chiamata dal nomen (il nome di famiglia) dei primi due imperatori: Caio Giulio Cesare Ottaviano (l'imperatore Augusto), adottato da Cesare e dunque membro della famiglia Giulia (gens Giulia) e Tiberio Claudio Nerone (l'imperatore Tiberio figlio di primo letto di Livia, moglie di Augusto), appartenente per nascita alla famiglia Claudia (gens Claudia).

Gli imperatori della dinastia furono:

Augusto (27 a.C. – 14) Tiberio (14 – 37) Caligola (37 – 41) Claudio (41 – 54) Nerone (54 – 68)

Tiberio
  Lo stesso argomento in dettaglio: Tiberio Claudio Nerone.

I primi anni del regno di Tiberio furono pacifici e relativamente tranquilli. Tiberio consolidò il potere di Roma e assicurò la ricchezza e la prosperità dell'Urbe e del suo Stato. Adottò Germanico, figlio di Druso, suo fratello, e lo inviò in una spedizione contro i Germani, grazie alla quale suo nipote acquistò gran popolarità presso i propri soldati e l'opinione pubblica romana. Più tardi Tiberio lo spedì in Oriente per combattere contro i Parti (18), ma l'anno successivo, ad Antiochia, Germanico morì in circostanze mai del tutto chiarite. Gneo Calpurnio Pisone, uomo di fiducia di Tiberio che lo aveva imposto come consigliere al generale, fu sospettato da taluni di averlo fatto avvelenare. Questo fu anche il convincimento di Germanico prima di spirare. Lo stesso imperatore fu ritenuto in qualche modo responsabile di avere provocato la morte del nipote, avendogli posto al fianco un uomo a lui ostile come Pisone. Nel 23 Tiberio perse anche suo figlio, Druso minore.

Dopo la morte di Germanico e di Druso l'imperatore iniziò a ritirarsi sempre più in se stesso, convinto di aver perso i favori del popolo e di essere circondato da persone che cospiravano contro di lui. Vennero istruiti una serie di processi ed eseguite un certo numero di condanne a morte per tradimento. Nel 26 Tiberio si ritirò nella propria villa di Capri, lasciando il potere nelle mani del comandante della guardia pretoriana, Elio Seiano, che portò avanti le persecuzioni. Anch'egli iniziò a consolidare il proprio potere e nel 31 fu nominato console insieme a Tiberio, che gli concesse in sposa sua nipote Livilla. Nello stesso anno l'imperatore scoprì una congiura che Seiano sembrava avesse ordito contro di lui e lo mise a morte insieme a molti dei suoi amici. Le persecuzioni non si arrestarono che alla scomparsa di Tiberio, avvenuta nel 37 a Capo Miseno.

Caligola
  Lo stesso argomento in dettaglio: Caligola.

Al momento della morte di Tiberio, molti dei personaggi che avrebbero potuto succedergli erano stati brutalmente uccisi. Il successore più logico (scelto anche da Tiberio) era Gaio (meglio conosciuto col nome di Caligola, per la sua abitudine di portare particolari sandali chiamati caligae), suo pronipote e figlio di Germanico. Caligola iniziò il regno ponendo fine alle persecuzioni e bruciando gli archivi dello zio. Sfortunatamente, però, cadde presto malato: gli storici successivi, probabilmente alterando in parte la verità, riportano una serie di suoi atti insensati che avrebbero avuto luogo a partire dalla fine del 37. Pare, ad esempio, che avesse ordinato ai suoi soldati di invadere la Britannia, ma che avesse cambiato parere all'ultimo minuto, mandandoli invece a raccogliere conchiglie sulla riva del mare. Venne inoltre accusato di intrattenere rapporti incestuosi con le proprie sorelle. Celebre è anche la sua presunta decisione di nominare senatore un suo cavallo. Il suo ordine di erigere nel tempio di Gerusalemme una statua che lo raffigurasse, sebbene fosse di normale amministrazione nelle province orientali (in cui il culto riservato al sovrano aveva funzione di collante istituzionale), scatenò l'opposizione degli Ebrei. Nel 41, Caligola cadde vittima di una congiura, assassinato dal comandante dei pretoriani Cassio Cherea. L'unico membro rimasto della famiglia imperiale era un altro nipote di Tiberio: Tiberio Claudio Druso Nerone Germanico, meglio noto come Claudio.

Claudio
  Lo stesso argomento in dettaglio: Tiberio Claudio Druso.

Claudio era stato a lungo considerato un debole ed un pazzo dal resto della famiglia. E tale fama, alla quale contribuì anche lo scrittore Tacito, gli rimase per tradizione. Egli non fu tuttavia né paranoico come lo zio Tiberio, né pazzo come il nipote Caligola, e fu invece capace di amministrare con responsabile capacità. Riorganizzò la burocrazia e mise ordine nella cittadinanza e nei ruoli senatoriali. Proseguì la conquista e colonizzazione della Britannia, creando nel 43 la nuova provincia, ed aggiunse all'Impero molte province orientali. In Italia costruì un porto invernale ad Ostia, creando magazzini per accumulare granaglie e cereali provenienti da altre parti dell'Impero e da usare nella cattiva stagione. Sul fronte familiare, Claudio ebbe meno successo. La moglie Messalina lo tradiva e fu quindi messa a morte; successivamente sposò la nipote Agrippina. Questa, insieme con molti dei suoi liberti, aveva uno straordinario potere su di lui e probabilmente lo uccise nel 54. Claudio nello stesso anno fu inserito fra gli dei. La morte di Claudio spianò la strada al figlio di Agrippina, il sedicenne Lucio Domizio Enobarbo, che adottato da Claudio aveva preso il nome di Tiberio Claudio Nerone Domiziano, noto come Nerone.

Nerone
  Lo stesso argomento in dettaglio: Nerone.

Inizialmente, Nerone lasciò il governo di Roma a sua madre ed ai suoi tutori, in particolare a Seneca. Tuttavia, divenendo adulto, il suo desiderio di potere aumentò: fece giustiziare la madre ed i tutori. Durante il suo regno ci fu una serie di rivolte e ribellioni in tutto l'Impero: in Britannia, Armenia, Partia e Giudea. L'incapacità di Nerone di gestire le ribellioni e la sua sostanziale incompetenza divennero rapidamente evidenti e nel 68, cosicché perfino la guardia Imperiale lo abbandonò. Nerone si suicidò, e l'anno 69 (noto come l'anno dei quattro Imperatori) fu un anno di guerra civile, con gli Imperatori Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano al trono in rapida successione. Alla fine dell'anno, Vespasiano riuscì a consolidare il suo potere come Imperatore di Roma.

I Flavi (69-96)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Dinastia Flavia.

La prima dinastia flavia fu una delle dinastie dell'Impero romano, che detenne il potere dal 69 al 96.

I Flavii Vespasiani erano una famiglia della classe media, d'origine modesta, giunta poi all'ordine equestre grazie alla militanza fedele nell'esercito, che giunse al potere quando Tito Flavio Vespasiano, generale degli eserciti d'oriente, prese il potere durante l'Anno dei quattro imperatori.

Vespasiano
  Lo stesso argomento in dettaglio: Tito Flavio Vespasiano.

Vespasiano era stato un generale romano di notevole successo ed aveva amministrato molte parti esterne dell'Impero. Sua grande azione fu la repressione della rivolta in Giudea.

 
Tito Flavio Vespasiano

Aveva sostenuto la candidatura imperiale di Galba; tuttavia alla sua morte, Vespasiano divenne il maggior aspirante al trono. Dopo il suicidio di Otone, Vespasiano riuscì a dirottare la fornitura invernale del grano per Roma, mettendosi in ottima posizione per sconfiggere l'ultimo rivale, Vitellio. Il 20 dicembre 69, alcuni sostenitori di Vespasiano occuparono Roma. Vitellio fu ucciso dalle sue truppe, ed il giorno successivo il Senato confermò Imperatore Vespasiano.

Vespasiano fu praticamente un autocrate, ed ebbe molto meno appoggio dal Senato dei suoi predecessori Giulio-Claudii. Questo è esemplificato dal fatto che lui stesso riferisce la sua salita al potere il 1º luglio quando fu proclamato Imperatore dalle truppe, invece del 21 dicembre quando fu confermato dal Senato. Egli volle, negli anni successivi, espellere i Senatori a lui contrari.

Vespasiano riuscì a liberare Roma dai problemi finanziari creati dagli eccessi di Nerone e dalle guerre civili. Aumentando le tasse in modo drammatico (talvolta più che raddoppiate), egli riuscì a raggiungere un'eccedenza di bilancio e a realizzare progetti di lavori pubblici. Egli fu il primo committente del Colosseo e costruì un Foro il cui centro era il Tempio della Pace.

Vespasiano fu inoltre effettivamente imperatore delle province. I suoi generali soffocarono ribellioni in Siria e Germania. Infatti in Germania riuscì ad allargare le frontiere dell'Impero, e gran parte della Bretagna fu portata sotto il dominio di Roma. Inoltre estese la cittadinanza romana agli abitanti della Spagna.

Un altro esempio delle sue tendenze monarchiche fu la sua insistenza che gli succedessero i figli Tito e Domiziano; il potere imperiale non era visto allora come ereditario. Tito, che aveva avuto qualche successo militare all'inizio del regno di Vespasiano, fu visto come il supposto erede al trono; Domiziano era visto come meno disciplinato e responsabile. Tito affiancò il padre nei compiti di censore e console e lo aiutò nel riorganizzare i ruoli del Senato. Il 23 giugno 79, alla morte di Vespasiano, Tito fu immediatamente confermato imperatore.

Tito
  Lo stesso argomento in dettaglio: Tito Flavio Cesare.
 
L'anfiteatro Flavio, simbolo di Roma e del potere imperiale ancora ai nostri giorni.

Il breve regno di Tito durato circa due anni fu segnato da numerosi disastri: nel 79 l'eruzione del Vesuvio distrusse Pompei ed Ercolano, e nell'80 un incendio distrusse gran parte di Roma. Nello stesso anno poi si diffuse una pestilenza. La sua generosità nella ricostruzione dopo le tragedie, lo rese molto popolare. Tuttavia il Colosseo fu completato solo durante il regno di Domiziano. Tito fu molto fiero dei suoi progressi nella costruzione del grande anfiteatro cominciato dal padre.

Egli tenne la cerimonia inaugurale nell'edificio non ancora terminato durante gli anni ottanta, con un grandioso spettacolo in cui si esibirono cento gladiatori e che durò cento giorni. Tito morì nell'81 a 41 anni e ci furono voci che fosse stato assassinato dal fratello Domiziano impaziente di succedergli.

Domiziano
  Lo stesso argomento in dettaglio: Tito Flavio Domiziano.

Fu con Domiziano che i rapporti già tesi tra la dinastia flavia ed il senato si andarono sempre più logorando. Le cause di questo difficile sodalizio furono dapprima la divinizzazione del culto personale dell'imperatore secondo modalità tipicamente ellenistiche ed in seguito il divorzio dalla moglie Domizia, di estrazione senatoria. Anche sul fronte esterno le cose non andavano meglio; nonostante i successi della guerra britannica, finita nell'84, e la vittoria sui Catti, la Guerra Dacica (85-89) finì col pagamento dell'alleanza con Decebalo. Nell'89 Domiziano dovette reprimere la ribellione di Antonino Saturnino a Magonza. La parte finale del suo regno fu macchiata dalla condanna dei filosofi e, nel 95, dalla persecuzione contro i Cristiani. L'anno seguente Domiziano morì, vittima di una congiura.

Imperatori adottivi, gli Antonini e l'inizio del secolo d'oro (96-193)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Dinastia degli Antonini e Albero genealogico degli Antonini.

Il periodo che va dalla fine del I alla fine del II secolo è caratterizzato da una successione non più dinastica, ma adottiva, basata sui meriti dei singoli scelti dagli imperatori come loro successori.

L'Impero romano arrivò all'apice della sua potenza durante i principati di Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio. Alla morte di quest'ultimo, il potere passò al figlio Commodo, che portò il principato verso una forma più autocratica e teocratica. Il potere delle istituzioni tradizionali si andò indebolendo e il fenomeno proseguì con i suoi successori, sempre più bisognosi dell'appoggio dell'esercito per governare. Il ruolo del Senato nei secoli successivi si ridusse progressivamente, fino a divenire del tutto formale. La dipendenza sempre più accentuata del potere imperiale dall'esercito condusse, nel 235 circa, a un periodo di crisi militare e politica, definito dagli storici come anarchia militare.

Nerva
  Lo stesso argomento in dettaglio: Marco Cocceio Nerva.
 
Traiano, l'Optimus Princeps, ovvero il migliore degli imperatori romani.

Marco Cocceio Nerva fu un aristocratico romano, divenuto poi imperatore.

Era figlio di Cocceio Nerva, famoso giureconsulto, e di Sergia Plautilla, figlia del console Popilio Lenate.

Fu l'ultimo imperatore italiano sia di nascita che di famiglia. Nerva non aveva seguito l'usuale carriera amministrativa (il cursus honorum), anche se era stato console durante l'impero di Vespasiano nel 71 e con Domiziano nel 90. Nerva era molto stimato come anziano senatore ed era noto come persona mite e accorta. Alla morte di Domiziano, Nerva acconsentì a divenirne il successore e fu acclamato imperatore in Senato da tutte le classi concordi sul suo nome.

Durante il suo regno, breve ma significativo, apportò un grande cambiamento: il "principato adottivo". Questa riforma prevedeva che l'imperatore in carica in quel momento dovesse decidere, prima della sua morte, il suo successore all'interno del senato. Questo faceva sì che i senatori venissero responsabilizzati.

Traiano
  Lo stesso argomento in dettaglio: Marco Ulpio Nerva Traiano.

Nerva adottò un eminente personaggio militare, Traiano. Durante l'impero di quest'ultimo (98-117), le conquiste derivanti dalle guerre daciche e dalle campagne contro i Parti, con la creazione di tre nuove province (Armenia, Mesopotamia e Assiria), consentirono all'impero di raggiungere la sua massima estensione.

Traiano si dedicò anche alla costruzione di opere pubbliche. Fu predisposto un piano regolatore per Roma, furono innalzati il foro e il mercato di Traiano, opere ideate dall'architetto Apollodoro di Damasco. Furono costruiti inoltre un arco di trionfo, la basilica Ulpia, con le due biblioteche accanto, e la colonna traiana, sulla quale sono rappresentate le vicende della conquista della Dacia. Importante al di fuori della città di Roma fu la costruzione della via Traiana che rappresentava una valida alternativa alla via Appia. Essa partiva da Benevento e passava per Canosa di Puglia, Bitonto ed Egnazia, fino a Brindisi. Sempre nell'ottica di migliorare le comunicazioni con l'Oriente, Traiano ordinò l'ampliamento del porto di Ancona.

Adriano
  Lo stesso argomento in dettaglio: Publio Elio Traiano Adriano.
 
Scorcio del Vallo di Adriano.

A Traiano succedette Adriano (117-138). Egli accrebbe i poteri del principe rispetto a quelli del senato ed unificò la legislazione dell'impero. Negli anni del suo regno vi fu un periodo di pace, turbata esclusivamente dalla seconda rivolta giudaica (132-135), e l'imperatore si occupò della fortificazione dei confini settentrionali, con la realizzazione del Vallo di Adriano in Britannia ed il consolidamento del confine germanico.

Antonino Pio
  Lo stesso argomento in dettaglio: Antonino Pio.

Antonino Pio (138-161), capostipite della Dinastia degli Antonini, continuò la politica pacifica del predecessore, fu un saggio amministratore e riconfermò al senato le prerogative passate, tanto da meritarsi l'appellativo di Pio.

Marco Aurelio
  Lo stesso argomento in dettaglio: Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto.
 
Busto marmoreo di Marco Aurelio al Metropolitan Museum of Art, New York.

Alla sua morte gli succedettero Marco Aurelio (161-180) e Lucio Vero, morto nel 169. Il periodo del regno dell'imperatore filosofo non fu felice come i precedenti: dal 162 al 165 vi fu una guerra contro i Parti, nel 166 scoppiò una pestilenza, dal 167 al 175 le campagne contro Marcomanni e Quadi e la rivolta di Avidio Cassio in Oriente misero a dura prova le finanze e l'impero stesso. I prodromi della crisi che investì l'impero romano nel III secolo si fecero maggiormente sentire con la successione al trono di Commodo (180-192).

Commodo
  Lo stesso argomento in dettaglio: Commodo.

Il figlio di Marco Aurelio incrinò l'equilibrio istituzionale raggiunto e con il suo atteggiamento dispotico favorì il malcontento delle province e dell'aristocrazia. Il suo assassinio diede il via ad un periodo di guerre civili.

L'ultimo periodo della pax romana può essere considerata l'età più felice dell'impero romano: tramite la politica di pace instaurata e la prosperità derivatane il governo imperiale attirò consensi unanimi, tanto che Nerva ed i suoi successori sono anche noti come i "cinque buoni imperatori".

Lo sviluppo economico e la coesione politica ed ideale, raggiunta anche per l'adesione delle classi colte ellenistiche, che contraddistinsero il secondo secolo, non devono, comunque, trarre in inganno, in quanto da lì a poco l'impero comincerà a mostrare i primi sintomi della decadenza.

I Severi e la crisi del III secolo d.C. (193-235)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Dinastia dei Severi e Albero genealogico dei Severi.

Dopo la morte di Commodo divenne ormai evidente come gli aspiranti imperatori dovevano passare attraverso il consenso militare più che quello del Senato. I pretendenti alla più alta carica erano di due tipi: italici, cioè persone che fino ad allora avevano formato la classe dirigente e senatoria dell'impero e che cercavano il consenso dell'esercito attraverso forti donazioni; oppure militari provenienti dalle zone periferiche e che durante la loro carriera avevano già guadagnato il consenso delle legioni che guidavano. Nel 192 riuscì ad acquistare il titolo di imperatore Pertinace. Tre mesi dopo Didio Giuliano riuscì a farlo eliminare dai pretoriani in cambio di forti donazioni. Intanto dalle province arrivavano gli eserciti di Clodio Albino, Pescennio Nigro e Settimio Severo, tre militari che aspiravano a prendere il posto di Giuliano. Sarà Severo, fondatore di una nuova dinastia, a essere nominato nuovo imperatore dal Senato.

Settimio Severo
  Lo stesso argomento in dettaglio: Lucio Settimio Severo.
 
Busto di Settimio Severo presso la Glyptothek di Monaco di Baviera.

Settimio Severo, il primo imperatore di origine provinciale (africana)[4], passò i primi quattro anni di regno a eliminare gli altri aspiranti imperatori. Morì nel 211. Egli cercò l'appoggio del Senato e dei Pretoriani, tentò di ridare autorità all'Impero organizzando una spedizione contro i Parti e diede ai provinciali posti di rilievo nella burocrazia imperiale. Morirà nel tentativo di difendere la Britannia, dove il confine finì per stabilirsi sul Vallo di Adriano (Britannia settentrionale).

Caracalla
  Lo stesso argomento in dettaglio: Caracalla.

Nel 211 succedette a suo padre Settimio Severo Caracalla. Nel 212 egli promulgò la Constitutio antoniniana de civitate, l'editto con il quale si estendeva la cittadinanza romana a tutti i sudditi dell'impero, con rare eccezioni. Tra i vari motivi di tale decisione vi fu sicuramente un'esigenza finanziaria: con tale editto non solo venivano estesi i diritti, ma anche i doveri. Tutti i cittadini romani, infatti, dovevano pagare le tasse per la successione o per la manumissione (l'atto con cui si affrancano gli schiavi). Nel 217 fu ucciso da Marziale, un ufficiale della guardia imperiale.

Macrino
  Lo stesso argomento in dettaglio: Marco Opellio Macrino.

Nominato da Caracalla Prefetto del pretorio, complottò contro di lui e l'11 aprile 217, dopo la sua uccisione, Macrino si autoproclamò imperatore. Egli fu il primo a divenire imperatore senza essere prima membro del Senato. Dovette affrontare i Parti e lo scontento delle legioni. La famiglia di Caracalla aizzò una rivolta contro Macrino, in favore di Eliogabalo (descritto come figlio naturale ed erede di Caracalla). Macrino fu catturato in Asia Minore e giustiziato come usurpatore.

Eliogabalo
  Lo stesso argomento in dettaglio: Eliogabalo.

Succedette a Macrino il quattordicenne Eliogabalo, grazie alla nonna Giulia Mesa, la quale aveva sostenuto tra le milizie orientali una campagna a suo favore. Eliogabalo si poneva come continuatore dei Severi, in quanto parente di Settimo e Caracalla. Il suo principato fu caratterizzato da un progetto di rinnovamento religioso e della classe dirigente, motivo per il quale verrà assassinato dai pretoriani nel 222.

Alessandro
  Lo stesso argomento in dettaglio: Alessandro Severo.

A Eliogabalo succedette il cugino Alessandro, quasi della stessa età. Piegato sugli interessi della classe dirigente romana e occidentale, governerà poco più a lungo del suo predecessore.

La crisi del III secolo e l'anarchia militare (235-284)

 
Busto di Massimino Trace.

I cento anni che seguirono la morte di Alessandro Severo segnarono la sconfitta dell'idea di impero delle dinastie giulio-claudia e antonina. Tale idea si basava sul fatto che l'Impero si fondava sulla collaborazione tra l'imperatore, il potere militare e le forze politico-economiche interne. Nei primi due secoli dell'Impero la contrapposizione tra poteri politici e potere militare si era mantenuta[5], anche se pericolosamente (lotte civili), all'interno di un certo equilibrio, garantito anche dalle enormi ricchezze che affluivano allo Stato e ai privati tramite le campagne di conquista. Nel III secolo d.C., però, tutte le energie dello Stato venivano spese non per ampliare, ma per difendere i confini dalle invasioni barbare. Quindi, con l'esaurimento delle conquiste, il peso economico e l'energia politica delle legioni finirono per rovesciarsi all'interno dell'Impero invece che all'esterno, con il risultato che l'esercito, che era stato il fattore principale della potenza economica, finì per diventare un peso sempre più schiacciante, mentre la sua prepotenza politica diventava una fonte permanente di anarchia[6].

Nei quasi cinquant'anni di anarchia militare si succedettero ben 21 imperatori acclamati dall'esercito, quasi tutti morti assassinati. Inoltre, l'Impero dovette affrontare contemporaneamente una serie di pericolose incursioni barbariche (Goti, Franchi, Alemanni, Marcomanni) che avevano sfondato il limes renano-danubiano a nord e l'aggressività della dinastia persiana dei Sasanidi, che aveva sostituito i Parti. Solo grazie alla determinazione di una serie di imperatori originari della Dalmazia, l'Impero, giunto sull'orlo della disgregazione e del collasso (intorno al 270 d.C. era avvenuta anche la secessione di alcune province, in cui si erano formate due entità separate dal governo di Roma: l'Imperium Galliarum in Gallia ed in Britannia, ed il Regno di Palmira in Siria, Cilicia, Arabia, Mesopotamia, Egitto e Cilicia), riuscì a riprendersi.

Da Massimino a Gordiano III (235-244)
  Lo stesso argomento in dettaglio: Massimino Trace, Gordiano I, Gordiano II, Balbino, Pupieno e Gordiano III.

Nel 236 divenne imperatore Massimino, proveniente dalla Tracia: fu il primo tra gli imperatori a poter vantare solo umilissimi origini. Il fatto che la sua carriera fosse legata esclusivamente all'esercito (non si curò nemmeno di comunicare l'elezione al Senato) dimostra come i nobili senatori ed i ricchi finanzieri stessero perdendo il loro potere. Si credeva addirittura che facesse parte di una famiglia dediticia, cioè di quelle famiglie cui anche dopo l'editto di Caracalla non era stata riconosciuta la cittadinanza romana. Il suo regno avrà una vita breve, giusto il tempo di difendere i confini nella zona del Danubio.

Nel 238 le province africane (un "feudo" di nobili senatori) in rivolta contro la politica fiscale di Massimino, volta a compiacere l'esercito, elessero nuovo imperatore Gordiano I, il quale affiancò alla guida dell'impero suo figlio Gordiano II. Dopo pochi mesi verrà assassinato da uomini fedeli a Massimino. Dopo l'assassinio di Gordiano I il Senato elesse due imperatori: Balbino e Pupieno. Sarà quest'ultimo a sconfiggere definitivamente Massimino e a nominare suo successore Gordiano III.

Poco dopo essere stato nominato imperatore dall'esercito con il consenso del Senato, Gordiano III decise di affrontare l'impero persiano, rinato sotto la nuova dinastia dei Sasanidi. Gordiano III affiancò come proprio consigliere il prefetto Temesiteo. Tuttavia morì durante il conflitto e venne sostituito da Giunio Filippo, figlio di un cittadino romano dell'Arabia.

Da Filippo l'arabo a Gallieno (244-268)
 
L'imperatore Gallieno.

Nel 244 il prefetto Giunio Filippo, chiamato Filippo l'Arabo per le sue origini, tradì il suo imperatore e ne prese il posto, affrettandosi a stipulare una pace con i Persiani. Poi raggiunse immediatamente la zona del Danubio per affrontare e sconfiggere i Carpi. Filippo l'Arabo è ricordato come l'imperatore che organizzò e celebrò, nel 248, i giochi e gli spettacoli per i mille anni della fondazione di Roma. L'imperatore (paradossalmente un "non-romano") predispose che tale festività dovesse essere celebrata con giochi grandiosi (lotte gladiatorie ed esibizioni di animali esotici) sia per celebrare nel modo più solenne l'evento, sia per dimostrare la forza e la grandezza dell'Impero. Una grandezza oramai del tutto apparente se si pensa che a distanza di pochi mesi dall'evento i goti forzeranno il limes mettendo la Grecia a ferro e fuoco, devastando Atene e Sparta. Nel 249 Filippo l'Arabo morì in battaglia (o venne forse assassinato dai propri uomini), mentre si scontrava nei pressi di Verona con Decio, proclamato imperatore dalle legioni pannoniche.

Nel 249 divenne, quindi, imperatore Decio. Egli avviò una feroce repressione verso i cristiani: questo soprattutto per una politica di rafforzamento dell'autorità imperiale attraverso il culto dell'Imperatore, collante fondamentale per un Impero che stava crollando. Morirà assassinato, mentre combatteva contro i Goti in Mesia, dal suo luogotenente, Treboniano Gallo. Era il 251 quando Treboniano Gallo venne proclamato imperatore, ma anch'egli morirà assassinato dal suo luogotenente Emiliano due anni dopo, in Mesia. L'incarico di imperatore di Emiliano durò solo tre mesi.

Gli successe Valeriano. Appena eletto, Valerianò nomina Augusto d'Occidente suo figlio Gallieno, mentre per sé manterrà il controllo della parte orientale, dove dovette affrontare i Goti. Dopo averli sconfitti, nel 260, cominciò una guerra contro il regno persiano, ma Valeriano cadde prigioniero del re dei persiani, Sapore, lasciando tutto l'impero al figlio Gallieno.

 
L'impero romano nel 270, all'apice della crisi del III secolo

Gallieno, divenuto imperatore, troverà difficoltà a mantenere il territorio unito. Nella zona occidentale è nato il Regnum Gallicum, di cui Postumo è il re. Nelle zone orientali, un certo Macriano, un ufficiale dell'esercito stanziato in Oriente, cercava di prendere il potere. Gallieno allora chiese aiuto a Odenato, un nobile di Palmira, città carovaniera, punto di incontro tra l'Impero romano e le zone interne dell'Asia. In cambio Odenato ottenne una specie di sovranità sulla parte orientale dell'Impero, ricevendo il titolo di Dux Orientis, questo però porterà alla nascita di una nuova potenza, il Regno di Palmira, a causa dell'ambizione della moglie di Odenato, Zenobia. In campo amministrativo Gallieno decise di reclutare i comandanti delle legioni non più solo tra i senatori, ma anche dagli equites o da semplici militari di umili origini la cui carriera era legata all'esercito. Gallieno morì assassinato nel 268 da ufficiali illirici.

Gli imperatori illirici (268-284)
  Lo stesso argomento in dettaglio: Imperatori illirici.

Nel 268 fu imperatore di nuovo un militare: Claudio II detto il Gotico, proveniente dalle zone illiriche. Nelle zone balcaniche si impegnò nell'arginare le incursioni gotiche. Morì a Sirmio a causa della peste che in quegli anni falciò l'Illiria.

Nel 270 divenne imperatore Aureliano. Intanto i due regni di Gallia e Palmira erano passati rispettivamente a Pio Tetrico e a Zenobia. Primo obiettivo di Aureliano fu la riconquista di Palmira, che avvenne tra il 271 e il 273. Tornando in Occidente riconquisterà anche il regno gallico, riunificando l'Impero romano e guadagnandosi il titolo di restitutor orbis. Gli successe Marco Claudio Tacito, imperatore dal 275 al 276. Nel 276 divenne imperatore Marco Annio Floriano, ma per pochissimo tempo. Di rilievo furono: Marco Aurelio Probo, imperatore dal 276 al 282 che si fece notare per aver sconfitto ripetutamente i barbari sul Reno e il Danubio, Marco Aurelio Caro imperatore dal 282 al 283, Numeriano e Carino. Numeriano fu imperatore dal 283 al 284. Riuscì a dare vita ad un brevissimo periodo di recupero economico e culturale, inaugurando più di 50 giorni di festività un po' dappertutto nell'impero, da Nimes a Roma, da Olympia a Antiochia. Carino fu imperatore dal 284 al 285.

Tardo o basso impero (284-476)

Dopo circa mezzo secolo di instabilità, salì al potere il generale illirico Gaio Aurelio Valerio Diocleziano, che riorganizzò il potere imperiale istituendo la tetrarchia, ovvero una suddivisione dell'impero in quattro parti, due affidate agli augusti (Massimiano e lo stesso Diocleziano) e due affidate ai cesari (Costanzo Cloro e Galerio), che erano anche i successori designati. Il sistema, però, non resse, e quando Diocleziano si ritirò a vita privata scoppiarono nuove lotte per il potere, dalle quali uscì vincitore Costantino, figlio di Costanzo Cloro.

La crisi del terzo secolo venne in qualche modo frenata da questo imperatore, istituendo la tetrarchia, un regime collegiale di due Augusti e due Cesari che amministravano raggruppamenti distinti di province dell'Impero, accresciute in numero e riunite in diocesi. In questa circostanza anche l'Italia venne suddivisa in province. Più in generale si verificò in questi anni una progressiva marginalizzazione delle aree più antiche dell'impero a vantaggio dell'Oriente, forte di tradizioni civiche più antiche e di un'economia mercantile maggiormente consolidata, assai più prospero quanto a politica, amministrazione e cultura.

In definitiva, la grande crisi del III secolo aveva finito per sviluppare una monarchia assoluta (Dominato), fondata su un esercito violento e una burocrazia invadente. Della vecchia aristocrazia senatoria che aveva guidato insieme al Principe l'Impero restavano soltanto gli ozii culturali, l'immane ricchezza e gli enormi privilegi rispetto alla massa del popolo, ma il potere ormai era nelle mani della corte imperiale e dei militari[7]. Diocleziano, inoltre, per meglio sottolineare l'incontestabilità e la sacralità del proprio potere, evitando così le continue usurpazioni che avevano provocato la grave crisi politico-militare del III secolo, decise di evidenziare la distanza fra sé ed il resto dei sudditi, introducendo rituali di divinizzazione dell'imperatore tipicamente orientali[8]. Il problema più grave per la stabilità dell'Impero rimase, però, quello di una regolare successione, che né Diocleziano con il sistema tetrarchico né Costantino con il ritorno al sistema dinastico riuscirono a risolvere. Inoltre, in ambito economico-finanziario, né Diocleziano né Costantino riuscirono a risolvere i problemi che assillavano da tempo l'Impero, ovvero l'inflazione galoppante e la pressione fiscale oppressiva: l'editto dei prezzi stabilito nel 301 da Diocleziano per calmierare le merci in vendita sul mercato si rivelò fallimentare, mentre Costantino con l'introduzione del solidus riuscì a stabilizzare il valore della moneta forte, preservando il potere d'acquisto dei ceti più ricchi, ma a scapito di quello dei ceti più poveri, che furono abbandonati a se stessi.

La tetrarchia (284-305)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Diocleziano e Tetrarchia.
 
Busto di Diocleziano.

La struttura dell'Impero romano si era ormai evoluta, ai tempi di Diocleziano, in una specie di dualismo tra la città di Roma, amministrata dal Senato, e l'Imperatore, che invece percorreva l'impero e ne ampliava o difendeva i confini. Il rapporto tra Roma e l'Impero era ambivalente: se l'Urbe era il punto di riferimento ideale della "Romània", in ogni caso il potere assoluto era ormai passato al monarca o dominus, l'Imperatore, che spostava il suo luogo di comando a seconda delle esigenze militari dell'Impero. Ormai era chiaro il decadimento di Roma come centro nevralgico dell'Impero.[9]


Ottenuto il potere, Diocleziano nominò nel novembre del 285 come suo vice in qualità di cesare, un valente ufficiale di nome Marco Aurelio Valerio Massimiano, che pochi mesi più tardi elevò al rango di augusto il 1º aprile del 286 (chiamato ora Nobilissimus et frater),[10] formando così una diarchia in cui i due imperatori si dividevano su base geografica il governo dell'impero e la responsabilità della difesa delle frontiere e della lotta contro gli usurpatori.[11]

Nel 293 Diocleziano procedette a una ulteriore divisione funzionale e territoriale dell'intero impero in quattro parti, al fine di facilitare le operazioni militari. Nominò così come suo cesare per l'oriente Galerio e Massimiano fece lo stesso con Costanzo Cloro per l'occidente. L'impero fu così diviso in quattro macro-aree:

Il sistema si rivelò efficace per la stabilità dell'impero e rese possibile agli augusti di celebrare i vicennalia, ossia i vent'anni di regno, come non era più successo dai tempi di Antonino Pio. Restava da mettere alla prova il meccanismo della successione: il 1º maggio del 305 Diocleziano e Massimiano abdicarono, ma la tetrarchia si rivelerà un fallimento politico, generando una nuova ondata di guerre civili.

Le guerre civili (306-324)

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Le fasi principali della guerra civile (dal 306 al 324) che videro in Costantino I il trionfatore finale.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile romana (306-324).

Il 1º maggio del 305 Diocleziano e Massimiano abdicarono (ritirandosi il primo a Spalato ed il secondo in Lucania).[12] La seconda tetrarchia prevedeva che i loro rispettivi due cesari diventassero augusti (Galerio per l'oriente e Costanzo Cloro per l'occidente[13][14]), provvedendo questi ultimi a nominare a loro volta i propri successori designati (i nuovi cesari): Galerio scelse Massimino Daia e Costanzo Cloro scelse Flavio Valerio Severo.[14] Sembra però che poco dopo, lo stesso Costanzo Cloro, rinunciò a parte dei suoi territori (Italia e Africa)[13] a vantaggio dello stesso Galerio, il quale si trovò a dover gestire due cesari: Massimino Daia a cui aveva affidato l'Oriente,[14] Flavio Valerio Severo a cui rimase l'Italia (e forse l'Africa),[14] mentre tenne per se stesso l'Illirico.[15] Il sistema rimase invariato fino allla morte di Costanzo Cloro avvenuta ad Eburacum il 25 luglio del 306.[13][16]

Con la morte di Costanzo Cloro (25 luglio del 306[13][16]), il sistema andò in crisi: il figlio illegittimo dell'imperatore defunto, Costantino venne proclamato cesare[15][16] dalle truppe in competizione con il legittimo erede, Severo. Qualche mese più tardi, Massenzio, figlio del vecchio augusto Massimiano Erculio, si fece acclamare, grazie all'appoggio di ufficiali come Marcelliano, Marcello, Luciano[17] e dai pretoriani, ripristinando il principio dinastico.

Galerio si rifiutò di riconoscere Massenzio e inviò a Roma, Severo (che si trovava a Mediolanum[18]) con un esercito, allo scopo di deporlo. Poiché, però, gran parte dei soldati di Severo avevano servito sotto Massimiano, dopo aver accettato denaro da Massenzio disertarono in massa.[18] Severo fuggì a Ravenna,[18] dove fu assediato dal padre di Massenzio, Massimiano. La città era molto ben fortificata, cosicché Massimiano offrì delle condizioni per la resa che Severo accettò: fu preso da Massimiano e ucciso.[15][19][20][21]

Solo l'11 novembre 308 si tenne a Carnuntum, sull'alto Danubio, un incontro cui parteciparono Galerio, che lo organizzò, Massimiano e Diocleziano, richiamato da Galerio. In questa occasione venne riorganizzata una quarta tetrarchia: Massimiano fu obbligato ad abdicare, mentre Costantino fu nuovamente degradato a cesare, mentre Licinio, un leale commilitone di Galerio, fu nominato augusto d'Occidente.[22][23]

Il quarto periodo tetrarchico, iniziato l'11 novembre del 308, terminò il 5 maggio del 311 quando Galerio morì e Massimino Daia si impadronì dell'Oriente, lasciando a Licinio il solo Illirico.[24] Ora l'Impero romano era nuovamente diviso in quattro parti: Massimino Daia e Licinio in Oriente, Costantino e Massenzio in Occidente. Si trattava della "quinta tetrarchia". In realtà poco dopo Massimino, Costantino e Licinio si coalizzarono per eliminare il primo dei quattro augusti: Massenzio che possedeva ora Italia ed Africa.[25] Così nel 312, Costantino, riunito un grande esercito, mosse alla volta dell'Italia attraverso le Alpi,[26] fino a scontrarsi con l'esercito di Massenzio nella decisiva battaglia di Ponte Milvio,[23] il 28 ottobre del 312.[27] Massenzio fu sconfitto ed ucciso.[28] Con la morte di Massenzio, tutta l'Italia passò sotto il controllo di Costantino.[29] Poi nel febbraio del 313, Licinio e Costantino si incontrarono a Mediolanum, dove i due strinsero un'alleanza (rafforzata dal matrimonio di Licinio con la sorella di Costantino, Flavia Giulia Costanza),[30][31][32][33][34][35][36] che prevedeva di eliminare il terzo imperatore, Massimino Daia. Licinio lo affrontò e sconfisse nella battaglia di Tzirallum il 30 aprile di quest'anno.[37] Massimino Daia, morì pochi dopo (agosto).[23][38] Restavano ora solo due augusti: Costantino per l'Occidente e Licinio per l'Oriente.[39]

Per undici anni l'Impero romano fu retto da Costantino e Licinio, più tardi affiancati dai loro rispettivi figli, nominati Cesari. A partire, infatti, dal 317, dopo un primo scontro armato avvenuto presso Mardia,[40] i due Augusti scesero a patti, firmando una tregua (1º marzo 317). Licino dovette cedere a Costantino l'Illirico.[41] In cambio Licinio ottenne la possibilità di governare autonomamente la sua parte di Impero. Erano sorti così due regni "separati" ed indipendenti, ben lontani dal progetto tetrarchico di Diocleziano, che prevedeva una "unità" imperiale.[42] Con la fine delle ostilità i due Augusti elevarono a Cesari i loro stessi figli (Serdica il 1º marzo del 317): Crispo (a cui fu affidata la Gallia) e Costantino II per Costantino, mentre Valerio Liciniano Licinio per Licinio.[43][42][44][45]

Lo scontro finale avvene pochi anni più tardi, quando nel 323, un'orda di Goti, che avevano deciso di attraversare l'Istro, tentarono di devastare i territori romani della Mesia inferiore e della Tracia.[46] Costantino, informato di ciò,[47] marciò contro di loro, penetrando però nei territori all'altro augusto Licinio e ricevendo tutta una serie di proteste ufficiali da parte dello stesso, che sfociarono nella fase finale della guerra civile tra i due.[48] Nel 324 si ebbero una serie di scontri tutti favorevoli a Costantino (ad Adrianopoli,[49] Bisanzio, nell'Ellesponto,[50] e Crisopoli[51]) che portarono Licinio, ora assediato ora a Nicomedia, a consegnarsi al suo rivale, il quale lo mandò in esilio come privato cittadino a Tessalonica[52] (messo a morte l'anno successivo[52][53]). Costantino era ora l'unico padrone del mondo romano.[54][55][56][57][58][59][60][61] Per questo motivo la monetazione degli anni successivi ne celebrò la sua unità con la scritta "Restitutor Orbis".[62] L'anno successivo il nuovo imperatore d'Occidente ed Oriente partecipò al Concilio di Nicea.

Costantino e i Costantinidi (324-363)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Costantino I e Dinastia costantiniana.
 
Costantino I detto il Grande, primo imperatore cristiano.

Nel 324 iniziano invece i lavori per la fondazione della nuova capitale, Costantinopoli. La fase dalla riunificazione imperiale alla morte di Costantino il Grande (avvenuta nel 337), vide l'imperatore cristiano riordinare l'amministrazione interna e religiosa, oltre a consolidare l'intero sistema difensivo lungo i tratti renano e danubiano ed ottenendo importanti successi militari che portarono a "controllare" buona parte di quei territori ex-romani, che erano stati abbandonati da Gallieno ed Aureliano: dall'Alamannia (Agri decumates), alla Sarmatia (piana meridionale del Tibisco, ovvero il Banato) fino alla Gothia (Oltenia e Valacchia). E sempre a partire da questi anni, Costantino continuò ad utilizzare quali sue residenze imperiali preferite Serdica, Sirmium e Tessalonica, oltre alla diocelzianea Nicomedia.

Il 18 settembre 335, Costantino elevò il nipote Dalmazio al rango di cesare, assegnandogli la Thracia, l'Achaea e la Macedonia, con probabile capitale a Naisso[63] e compito principale la difesa di quelle province contro i Goti, che le minacciavano di incursioni.[64] Costantino divise così di fatto l'impero in quattro parti, tre per i figli e una per il nipote; la nomina di Dalmazio, però, dovette incontrare l'opposizione dell'esercito,[65] che aveva palesato la propria preferenza per l'accesso della linea dinastica diretta al trono.

 
Le frontiere settentrionali ed orientali alla morte di Costantino I, con i territori acquisiti nel corso del trentennio di campagne militari (dal 306 al 337), oltre alla divisione imperiale tra figli e nipoti: Costantino II, Costante I, Costanzo II, Dalmazio Cesare e Annibaliano.

Morto Costantino (22 maggio del 337), mentre stava ancora preparando una campagna militare contro i Sasanidi, la situazione vedeva il potere spartito tra i suoi figli e nipoti, cesari: Costanzo II, che era impegnato in Mesopotamia settentrionale a supervisionare la costruzione delle fortificazioni frontaliere,[66] si affrettò a tornare a Costantinopoli, dove organizzò e presenziò alle cerimonie funebri del padre: con questo gesto rafforzò i suoi diritti come successore e ottenne il sostegno dell'esercito, componente fondamentale della politica di Costantino.

Durante l'estate del 337 si ebbe un eccidio, per mano dell'esercito, dei membri maschili della dinastia costantiniana e di altri esponenti di grande rilievo dello stato: solo i tre figli di Costantino e due suoi nipoti bambini (Gallo e Giuliano, figli del fratellastro Giulio Costanzo) furono risparmiati.[67] Le motivazioni dietro questa strage non sono chiare: secondo Eutropio Costanzo non fu tra i suoi promotori ma non tentò certo di opporvisi e condonò gli assassini;[68] Zosimo invece afferma che Costanzo fu l'organizzatore dell'eccidio.[69] Nel settembre dello stesso anno i tre cesari rimasti (Dalmazio era stato vittima della purga) si riunirono a Sirmio in Pannonia, dove il 9 settembre furono acclamati imperatori dall'esercito e si spartirono l'Impero: Costanzo si vide riconosciuta la sovranità sull'Oriente.

La divisione del potere tra i tre fratelli durò poco: Costantino II morì nel 340, mentre cercava di rovesciare Costante I; nel 350 Costante fu rovesciato dall'usurpatore Magnenzio, e poco dopo Costanzo II divenne unico imperatore (dal 353), riunificando ancora una volta l'Impero. Il periodo poi fu caratterizzato da un venticinquennio di guerre lungo il limes orientale contro le armate sasanidi, prima da parte di Costanzo II e poi del nipote Flavio Claudio Giuliano (tra il 337 ed il 363).[70]

Nel 361 venne proclamato Augusto Giuliano, Cesare in Gallia. Il suo governo durò solo tre anni, eppure ebbe grande importanza, sia per il tentativo di ristabilire un sistema religioso politeistico (per questo sarà detto l'Apostata), sia per la sia per la campagna militare condotta contro i Sasanidi.

I Valentiniani e Teodosio (364-395)

Nel 364 viene incoronato imperatore Valentiniano I; quest'ultimo, su richiesta dell'esercito, nominò un collega (il fratello Valente) a cui assegnò la parte orientale dell'Impero. Secondo lo storico antico Ammiano Marcellino, Valentiniano fu un sovrano crudele, che lanciò una violenta persecuzione contro tutti coloro accusati di stregoneria (una persecuzione così violenta che, usando le parole del Gibbon, pare che «nelle province meno piacevoli i prigionieri, gli esuli e i fuggiaschi costituissero la maggioranza degli abitanti»[71]) e godeva nel vedere la sua orsa Innocenza sbranare i condannati a morte nella sua camera da letto.[72] Pur con i suoi difetti, Valentiniano si dimostrò comunque un buon governante: egli infatti mise fine a molti degli abusi che avvenivano ai tempi di Costanzo, promulgò alcune leggi a favore del popolo (condannò l'esposizione dei neonati e istituì nei quattordici quartieri di Roma altrettanti medici), e favorì l'insegnamento della retorica, una scienza ormai in declino.[73] Inoltre istituì l'ordine dei Difensori, una sorta di avvocati che difendevano i diritti del popolo.[74] Inoltre ottenne anche alcuni successi contro i Barbari. Durante una guerra contro i Quadi, alcuni ambasciatori quadi si recarono dall'imperatore per chiedere clemenza; l'Imperatore si arrabbiò talmente tanto che gli scoppiò un grosso vaso sanguigno e morì.[75]

Venne nominato suo successore in Occidente Graziano. Nel frattempo orde di germani (soprattutto Goti), pressati dagli Unni che invasero le loro terre, chiesero ai Romani di potersi stanziare in territorio romano; alla fine i Romani decisero di accettare, ma a condizione che i Barbari consegnassero tutte le loro armi e si separassero dai figli; una volta entrati in territorio romano, i Goti vennero talmente maltrattati che decisero di rivoltarsi, dando così inizio alla Guerra Gotica. Nel tentativo di fermare i Barbari, l'Imperatore Valente morì nel corso della Battaglia di Adrianopoli, che fu una disfatta per i Romani. Alla fine l'Imperatore Teodosio I (successore di Valente in oriente) fu costretto a riconoscere i Goti come foederati.

Nel 382 l'imperatore Graziano abolirà definitivamente ogni residuo di paganesimo: il titolo di pontefice massimo, i finanziamenti pubblici ai sacerdoti pagani, la statua e l'ara della Vittoria ancora presenti nella curia.

Bisogna tener presente che gli imperatori provengono spesso dalle zone periferiche dell'Impero (in gran parte dall'Europa Orientale di lingua latina), ma proprio per questo pervasi da un più profondo sentimento di romanità (come Aureliano, Diocleziano o Costantino I). Molti Imperatori quasi non conoscono Roma, la vita militare li costringe a vivere (e spesso a morire) in prossimità della frontiera danubiana, in Siria, Mesopotamia o Britannia. Le loro visite all'Urbe si faranno sempre più sporadiche ed effettuate in taluni casi per celebrare un trionfo, o per esercitare una forma di controllo su un senato sempre più esautorato.

È importante notare che la pressione dei barbari sull'Impero non sempre è distruttiva, nel senso che molti barbari non desiderano altro che entrare a far parte dell'Impero, stanziandosi sul territorio oppure offrendosi al servizio di questo (si vedano i generali barbari come il grande Stilicone, o il caso di Magnenzio, che tuttavia si autoproclamò imperatore, Arbogaste, che dopo un'onorevole carriera in cui fece addirittura le veci dell'Imperatore in Occidente probabilmente fece assassinare l'imperatore Valentiniano II, etc.).

Tuttavia, quando si accorgono che il rapporto di forze è loro favorevole, a volte i capi barbari non esitano a rompere gli indugi e misurarsi in battaglia con le forze imperiali. A questo proposito è indicativa la clamorosa sconfitta subita da Valente da parte dei Goti che successivamente distruggeranno anche Milano o il sacco di Roma da parte di Alarico frustrato nella sua ambizione di venir nominato maresciallo dell'Impero e sentitosi tradito dai romani che lo avevano lusingato con fallaci promesse.

Due imperi

  Lo stesso argomento in dettaglio: Impero romano d'Occidente e Impero romano d'Oriente.

Sotto Teodosio I l'Impero fu per l'ultima volta unito. Con la morte di quest'ultimo nel 395 l'Impero venne suddiviso definitivamente in due parti, ognuna delle quali andò ai figli dell'imperatore: l'Impero romano d'Occidente al figlio Onorio mentre l'Impero romano d'Oriente o Impero bizantino (da Bisanzio, la sua capitale) al figlio maggiore Arcadio.

Teodosio fu così l'ultimo imperatore dell'Impero romano unito. Egli, poi, con l'editto di Tessalonica (e decreti successivi), proibì qualsiasi culto pagano, decretando in tal modo la trasformazione dell'impero in uno stato cristiano. Teodosio nominò suoi eredi con pari dignità i due figli: Arcadio per la parte orientale ed Onorio per la parte occidentale. Alla sua morte, avvenuta nel 395, l'Impero si divise pertanto in due parti, che non furono mai più riunite. Anche in questo caso i contemporanei non sentirono di vivere un evento epocale, poiché percepivano di essere ancora parte di un unico mondo, di un'unica romanità, anche se amministrata separatamente, come del resto era già accaduto più volte in passato.

La parte occidentale, più provata economicamente, politicamente, militarmente, socialmente e demograficamente per via delle continue lotte dei secoli precedenti e per la pressione delle popolazioni barbariche ai confini entrò ben presto in uno stato irreversibile di decadenza e, fin dal primo ventennio del V secolo, gli Imperatori d'Occidente videro venir meno la loro influenza in tutto il nord Europa (Gallia, Britannia, Germania) ed in Spagna, mentre gli Unni, negli stessi anni, si stabilivano in Pannonia.

Declino e caduta dell'Impero d'Occidente (395-476)
  Lo stesso argomento in dettaglio: Impero romano d'Occidente e Regni romano-barbarici.
 
L'Impero romano nel 476

Dopo il 395, gli Imperatori d'Occidente erano di solito imperatori fantoccio, i veri regnanti erano generali che assunsero il titolo di magister militum, patrizio o entrambi—Stilicone dal 395 al 408, Constanzo dal 411 al 421, Ezio dal 433 al 454 e Ricimero dal 457 al 472.

L'inizio del declino avvenne quando i Visigoti, condotti dal loro re Alarico, attaccarono l'Impero d'Occidente, venendo però sconfitti dal generale Stilicone; il richiamo di molte truppe poste a difesa della Gallia, resosi necessario per affrontare la minaccia gota, facilitò l'attraversamento del Reno, avvenuto il 31 dicembre del 406, da parte di molte popolazioni germaniche (Burgundi, Alani, Vandali, Svevi) che dilagarono nelle diocesi galliche e, fatta eccezione per i Burgundi stanziatisi in parte della Gallia orientale, si stanziarono in Spagna (409). Negli anni successivi la situazione si fece ancora più grave con l'insurrezione delle province galliche che elessero vari usurpatori (406-411), il distacco della Britannia dall'Impero (410), l'assassinio di Stilicone (408) e il sacco di Roma ad opera dei Goti di Alarico (410), che venne percepito come un avvenimento tragico e quasi un'anticipazione della fine dell'Impero.

Il generale Flavio Costanzo tentò di risollevare le sorti dell'Impero con parziali successi: sconfisse gli usurpatori nelle Gallie ripristinando la concordia interna, giunse a un accordo con i Visigoti concedendo loro lo stanziamento in Aquitania (418) e li usò come Foederati per combattere Vandali e Alani in Spagna. Dopo i primi successi della coalizione romano-visigota in Spagna (416-418), tuttavia, i Vandali e gli Alani si unirono in un'unica coalizione che riuscì a recuperare la Spagna meridionale per poi abbandonarla invadendo l'Africa (429). Nel 439 Cartagine fu conquistata dai Vandali condotti dal re Genserico. La perdita dell'Africa settentrionale fu un duro colpo per l'Impero non solo perché essa costituiva il granaio dell'Impero ma anche per il gettito fiscale che produceva. Nel 442 Genserico accettò di restituire ai Romani le Mauritanie e parte della Numidia, ma queste province non erano molto produttive, a maggior ragione dopo essere state devastate dai Vandali.

Nel frattempo nelle Gallie emergeva la figura del generale Flavio Ezio, uno degli ultimi grandi generali romani; questi, con l'aiuto dei suoi alleati Unni, riuscì a contenere le pretese espansionistiche di Visigoti e Burgundi in Gallia e a recuperare l'Armorica, che si era staccata dall'Impero essendo in quella regione insorti i contadini briganti (i cosiddetti Bagaudi). Non poté però evitare, in Spagna, la perdita di Betica e Cartaginense, che finirono in mano sveva. L'unica provincia spagnola rimasta in mano imperiale era la Tarraconense, dove tuttavia erano insorti i Bagaudi, creando ulteriori difficoltà al governo centrale. Negli anni 440 tuttavia l'aiuto degli Unni venne meno a causa dell'ascesa al trono di Attila (e di suo fratello): Attila, dopo aver attaccato più volte l'Impero orientale costringendolo a pagare pesanti tributi, all'inizio degli anni 450 si volse contro la metà occidentale venendo però sconfitto in Gallia dal generale Ezio; Attila tentò l'invasione dell'Italia l'anno successivo ma anch'essa si risolse in un fallimento sostanziale. Dopo il decesso di Attila l'Impero unno finì di essere una temibile minaccia e anzi finì per disgregarsi.

Dopo la sconfitta di Attila e gli assassinii del generale Ezio e dell'Imperatore Valentiniano III, i Vandali ripresero l'offensiva conquistando tutta l'Africa romano-occidentale, la Sicilia, la Sardegna e le Baleari, e saccheggiando Roma (455). Il generale romano di origini barbariche Ricimero assunse il potere, eleggendo imperatori fantoccio che egli manovrava da dietro le quinte. Era chiaro che per mantenere in vita l'Impero d'Occidente bisognava sconfiggere i Vandali e a questo fine l'Imperatore d'Oriente Leone allestì una mastodontica spedizione, in coalizione con l'Occidente, contro i Vandali nel 468. Prima della spedizione, Leone I costrinse Ricimero ad accettare come nuovo Imperatore d'Occidente il "greco" Antemio. La spedizione si rivelò però un disastro e non poté essere ritentata, perché l'Impero d'Oriente non aveva più soldi per allestirne un'altra.

In seguito al fallimento della guerra di riconquista dell'Africa (che avrebbe potuto ritardare di parecchio la caduta dell'Impero perché in seguito al riscatto del gettito fiscale delle province africane le entrate sarebbero aumentate e si sarebbe potuto allestire un esercito più efficiente con cui potere tentare la riconquista delle altre province), si realizzò il disfacimento di ciò che restava dell'Impero d'Occidente. Il re dei Visigoti Eurico attaccò ciò che rimaneva dei possedimenti romani in Gallia, spingendosi fino alla Loira a Nord e fino alla Provenza a est, mentre anche la maggior parte della Spagna veniva sottomessa dalle armi visigote. Anche i Burgundi si espansero nella valle del Rodano, mentre in Italia, dopo la caduta dell'Impero unno, numerosi barbari migrarono in territorio imperiale arruolandosi nell'esercito romano: tra questi vi era Odoacre.

Nel 476 i soldati barbari arruolatisi nell'esercito romano pretesero dall'Imperatore 1/3 delle terre e di fronte al rifiuto si rivoltarono deponendo l'ultimo Imperatore d'Occidente, il poco meno che ventenne Romolo Augusto. Tutta l'Italia era in mano a Odoacre, il capo dei rivoltosi, che mandò le insegne Imperiali all'imperatore d'Oriente Zenone. Odoacre richiedeva che il suo controllo sull'Italia fosse formalmente riconosciuto dall'Impero, mentre Giulio Nepote (deposto pochi anni prima da Oreste) gli chiedeva aiuto per riavere il trono. Zenone garantì a Odoacre il titolo di patrizio e Nepote fu dichiarato formalmente imperatore; tuttavia, Nepote non ritornò mai dalla Dalmazia, anche se Odoacre fece coniare monete col suo nome. Dopo la morte di Nepote nel 480, Zenone rivendicò la Dalmazia per l'Oriente; J. B. Bury considera questa la fine reale dell'Impero d'Occidente. Odoacre attaccò la Dalmazia, e la guerra finì con la conquista dell'Italia da parte di Teodorico il Grande, Re degli Ostrogoti, sotto l'autorità di Zenone.

Rimaneva però in mani "romane" ancora la parte settentrionale della Gallia, che nel 461 si era resa indipendente dal governo centrale ed era governata da Siagro; quest'ultimo territorio ancora in mano romano-occidentale, detto comunemente Dominio di Soissons, cadde solo nel 486 per mano dei Franchi.

La fine dell'impero occidentale rappresentò la fine dell'unità romana del bacino mediterraneo (il cosiddetto mare nostrum) e privò la romanità superstite dell'antica patria. La perdita di Roma costituì un evento di capitale importanza che segnò il tramonto definitivo di un mondo. La parte orientale, per la quale è, d'altra parte, incerto il momento in cui sia corretto parlare di Impero Bizantino, continuò ad esistere sino alla caduta di Costantinopoli (1453) e degli ultimi baluardi di Mistrà (1460) e Trebisonda (1461): essa continuò ad autodefinirsi e a sentirsi Impero romano.

Sopravvivenza dell'Oriente: la trasformazione nell'Impero bizantino (395-1453)
  Lo stesso argomento in dettaglio: Impero romano d'Oriente.

Mentre l'Impero d'Occidente declinò durante il V secolo, il più ricco Impero d'Oriente continuò ad esistere per oltre un millennio, con capitale Costantinopoli. In quanto incentrato sulla città di Costantinopoli, gli storici moderni lo chiamano «Impero bizantino», anche per distinguerlo dall'Impero romano classico, incentrato sulla città di Roma. Tuttavia gli Imperatori bizantini e i loro sudditi non si definirono mai tali ma continuarono a fregiarsi del nome «Romani»[76] fino alla caduta dell'Impero, quando ormai non avevano più nulla di romano, se non il nome e le aspirazioni irrealizzabili di grandezza. Al tempo dell'esistenza dell'Impero bizantino, molte popolazioni continuarono a chiamarlo «romano» (ad esempio i Persiani, gli Arabi e i Turchi) mentre le popolazioni dell'occidente latino (ma anche gli Slavi), soprattutto dopo l'800 (incoronazione di Carlo Magno), lo definivano «Impero greco», per la sua ellenicità. Il termine «bizantino» è molto più recente, e fu coniato da Du Cange (1610-1688), quasi due secoli dopo la caduta dell'Impero (1453); il termine venne poi reso popolare dagli storici illuministi, che disprezzavano l'Impero.[77] Il motivo per cui Du Cange e gli illuministi decisero di dare ai Romani d'Oriente il nome di Bizantini, secondo Clifton R. Cox, sarebbe questo:[78]

«Ducange scrisse sotto l'influenza della cultura rinascimentale. Gli storici che lavoravano nell'alveo rinascimentale pensavano alla storia ordinandola in tre fasi:
  • la fase classica dell'antichità greca e romana, periodo di gloria terminato con la caduta di Roma;
  • la fase medievale, periodo d'oscurità e di declino;
  • la fase moderna, periodo di riabilitazione nel quale rifioriscono le antiche virtù.

Inseriti in questo schema ideologico di pensiero, Ducange e i suoi contemporanei non potevano accettare che i bizantini fossero greci o romani, visto che, sotteso ai termini greci e romani, c'era il glorioso periodo classico terminato con la caduta di Roma. In aggiunta a ciò si sovrappose il pregiudizio religioso: la cattolica Francia guardava alle Chiese Ortodosse d'Oriente come a quelle maggiormente scismatiche ed eretiche".»

Nel periodo proto-bizantino (da Costantino fino a Eraclio, 330-641) l'Impero mantenne un carattere multietnico e molte delle istituzioni del Tardo Impero (al punto che alcuni storici anglofoni prolungano la durata del Tardo Impero romano fino al 602/610/641)[79] e continuava a estendersi su buona parte del Mediterraneo, soprattutto dopo le conquiste effimere di Giustiniano I (Italia, Dalmazia, Spagna meridionale e Nord Africa). Nonostante ciò, le influenze orientali lo portarono gradualmente a evolversi, divenendo sempre più un Impero greco: già al tempo di Giustiniano, pur essendo ancora il latino lingua ufficiale, la popolazione delle province orientali ignorava il latino, al punto che l'Imperatore dovette scrivere molte delle sue leggi in greco, per renderle comprensibili alla popolazione; lo stesso Giustiniano abolì il consolato (541)[80] e, pur mantenendo in massima parte il sistema provinciale elaborato da Diocleziano e Costantino (con l'Impero suddiviso in prefetture, diocesi e province), abolì le diocesi nella prefettura d'Oriente e unificò autorità civile e militare nelle mani del dux in alcune province che lo richiedevano particolarmente per la loro situazione interna; né va dimenticato che già sotto Giustiniano l'Imperatore aveva assunto un carattere teocratico (era ritenuto il vicario di Cristo sulla Terra), ingerendo pesantemente proprio per questo motivo nelle questioni religiose (cesaropapismo).[81] Un altro passo in avanti nel processo di rinnovamento dell'Impero fu attuato dall'Imperatore Maurizio (582-602) nel tentativo di proteggere le province occidentali sotto la minaccia dei Longobardi e dei Visigoti: egli infatti riorganizzò le prefetture d'Italia e Africa in altrettanti esarcati (retti da esarchi, con autorità sia civile e militare), abolendo nelle province occidentali la netta separazione tra autorità civile e militare stabilita da Diocleziano.

Le riforme dello stato e gli effimeri successi militari di Maurizio, attuate per risollevare lo stato tardo-romano ormai decadente, non furono però sufficienti e, a causa del malgoverno del tiranno Foca (602-610)[82], il riformatore dell'Impero Eraclio (610-641) ereditò dal suo predecessore una situazione disastrosa con le province balcaniche devastate dagli Avari e quelle orientali occupate dai Persiani;[83] ebbene con Eraclio l'Impero riuscì a trovare nuova linfa vitale, rinnovando profondamente l'organizzazione dell'esercito e delle province con la riforma dei temi: vengono abolite diocesi e prefetture, sostituite con circoscrizioni militari dette temi,[84] governate dallo stratego con pieni poteri sia civili che militari; i soldati dell'esercito posto a difesa del tema (stratioti), come già in passato avveniva con i limitanei, ricevevano dal governo un lotto di terra da coltivare da cui dovevano ricavare gran parte del loro sostentamento, poiché la loro paga in denaro veniva ridotta di molto. Sempre Eraclio dichiarò il greco lingua ufficiale al posto del latino e ellenizzò le cariche, i cui nomi vengono tradotti in greco.[85] A causa di queste riforme, l'Impero romano d'Oriente aveva ormai perso in massima parte le proprie connotazioni romane, divenendo quello che gli storici moderni chiamano Impero bizantino, di lingua, cultura e istituzioni greche. Ad accentuare il carattere di ellenizzazione contribuì il restringimento dei confini dell'Impero: esso infatti non si estendeva più su quasi tutto il bacino del Mediterraneo ma in massima parte su zone di lingua e etnia greca; infatti, se Eraclio vinse i Persiani recuperando le province orientali, queste andarono di nuovo perse pochi anni dopo sotto l'espansionismo del nascente Islam; il risultato fu che, a parte alcuni frammenti dell'Italia ed alcune enclavi nei Balcani, l'Impero ora comprendeva solo la Tracia e l'Anatolia profondamente ellenizzate. L'Impero romano d'Oriente da quel momento in poi fu essenzialmente un Impero greco, anche se continuò a dirsi romano per il resto della sua storia.

Cause della crisi e caduta dell'Impero romano d'Occidente

Le cause della crisi e della caduta dell'Impero furono sia interne che esterne.

Cause interne
  Lo stesso argomento in dettaglio: Economia dell'Impero romano, Cristianesimo ed Esercito romano.

Le cause interne furono varie: l'anarchia militare e i conflitti interni tra i vari pretendenti al trono nel III e nel IV secolo, che distrussero l'unità imperiale; la crisi economica, con l'inflazione e la pressione fiscale (dovuta alla crescente spesa pubblica per mantenere l'esercito e la burocrazia imperiali) che salirono a livelli molto alti ed i commerci che diminuirono sempre di più, indebolendo notevolmente la struttura economico-produttiva ed accentuando la disuguaglianza sociale nei territori dell'impero; lo stato di abbandono e spopolamento di città e campagne, che costrinse inoltre molti imperatori ad apporre leggi che anticipavano il Medioevo (come l'obbligatorietà dei cittadini a svolgere il mestiere dei loro padri); la perdita del carattere romano che secoli prima aveva formato soldati disciplinati e induriti da mille battaglie, capaci di conquistare tutta l'area mediterranea, ma che durante il periodo imperiale era progressivamente svanito, al punto che gli stessi comandanti delle legioni preferivano arruolare i loro soldati nelle province o fra i barbari (indifferenti alla tradizione dell'unità dell'Impero) piuttosto che fra le genti italiche. Fra gli storici c'è stato, inoltre, un secolare dibattito riguardo alle conseguenze della diffusione del Cristianesimo sulla tenuta dell'Impero: alcuni l'hanno ritenuto colpevole di aver ulteriormente indebolito, con il suo pacifismo ed il rifiuto del culto imperiale, la combattività dei soldati romani; altri, invece, l'hanno giudicato ininfluente da questo punto di vista, dato che la coesione interna della società romana era già in una fase di forte criticità; altri ancora, infine, hanno ritenuto il Cristianesimo un fattore unificante della società romana, con la sua rete di comunità solidali e capaci di sostituirsi all'amministrazione statale dove questa si dimostrava troppo corrotta o assente.

Cause esterne
 
Le invasioni barbariche del II-VI secolo.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Invasioni barbariche e Regni romano-barbarici.

Le cause esterne furono sostanzialmente le invasioni barbariche. I barbari a partire dal III secolo si fecero sempre più aggressivi: i Germani pressavano sul limes renico e danubiano e compivano sempre più spesso incursioni e saccheggi in territorio romano, mettendo spesso in difficoltà l'esercito imperiale. Le modalità di questi scontri erano molto diverse da quelle dei secoli precedenti: non si trattava più di grandi spostamenti di individui a piedi attuati da singole tribù, ma di rapidi attacchi condotti da soldati a cavallo di varie tribù confederate. Sul confine armeno-mesopotamico-siriaco i Romani dovettero invece far fronte alla nuova minaccia rappresentata dalla dinastia persiana dei Sasanidi, che nel 224 aveva causato la caduta dell'agonizzante (ma un tempo potente) Regno dei Parti e che sognava di restaurare l'antico Impero achemenide di Ciro, Cambise e Dario, strappando ai Romani le province orientali. Nel III secolo l'Impero, squassato da una grave anarchia militare, perse la Dacia, (odierna Romania), e gli Agri Decumati (in Germania). Nel IV secolo, grazie alla stabilità del potere imperiale realizzata da Diocleziano e Costantino, la pressione ai confini venne controllata, ma nel V secolo l'Occidente romano crollò: i vari popoli germanici (Vandali, Suebi, Alemanni, Visigoti, Ostrogoti ecc.), spinti dagli Unni, conquistarono vaste zone dell'Impero (Gallia, Spagna, Africa, Britannia), riducendo l'Impero d'Occidente alle sole Italia e Dalmazia, finché fu proprio un altro barbaro che comandava un contingente di Eruli nell'esercito romano, Odoacre, a deporre l'ultimo imperatore d'Occidente, Romolo Augusto, ponendo formalmente fine all'Impero romano d'Occidente.
Il motivo per cui i Barbari riuscirono a far crollare la parte occidentale nel V secolo sono controversi. Secondo storici illuministi l'Impero cadde soprattutto per ragioni interne ("collassò sotto il suo stesso peso" per Gibbon), ma alcuni studi recenti hanno messo in dubbio questa tesi, facendo notare che la parte orientale, pur avendo gli stessi problemi interni della parte occidentale, riuscì a sopravvivere per più di un millennio. L'Impero collassò non solo per i suoi limiti interni ma soprattutto perché i Barbari, pressati dagli Unni ai confini (fine IV secolo), preferirono migrare in territorio romano piuttosto che diventare sudditi degli Unni, e ciò causò una pressione sui confini maggiore che in precedenza.

Inoltre i Germani, rispetto al I secolo, erano diventati molto più coesi, forse perché avevano realizzato che più la loro coalizione era grande, maggiori erano le possibilità di respingere le incursioni romane nei loro territori o predare con successo le province romane di frontiera. Nel corso delle invasioni del V secolo, quindi, più gruppi di barbari decisero di coalizzarsi tra loro, formando delle supercoalizioni da 20.000-30.000 guerrieri difficili da arrestare per i Romani: per esempio dall'unione tra Vandali Asdingi, Silingi e Alani nacque la supercoalizione vandalo-alana, oppure anche Visigoti e Ostrogoti furono il risultato della coalizione tra più tribù germaniche. Non va dimenticato che la devastazione e l'occupazione di così tante province fece diminuire a dismisura e progressivamente il gettito fiscale (che era essenziale per mantenere un esercito forte e efficiente), e a peggiorare le cose contribuirono le debolezze interne del sistema tardo-imperiale, come le lotte intestine e le insurrezioni dei contadini-briganti secessionisti Bagaudi in province come l'Armorica e la Tarraconense. Quindi l'Impero cadde per due motivi: i limiti interni e il rafforzamento e la coesione dei Barbari invasori. Secondo lo storico Heather, "per via della sua illimitata aggressività, l'Impero romano fu in ultima analisi la causa della propria distruzione" proprio perché i Barbari per difendersi dai Romani si adattarono diventando più forti dei Romani stessi.

Eredità di Roma

In Oriente

 
Giustiniano I.
 
Eraclio I
  Lo stesso argomento in dettaglio: Impero bizantino.

L'eredità di Roma fu assunta dall'Impero romano d'Oriente che mantenne fino a Eraclio le proprie istituzioni tardo-romane[86] (esercito, amministrazione provinciale, latino come lingua ufficiale e diritto), e che, sotto Giustiniano I (527-565), tentò di recuperare il possesso delle province della ormai caduta parte occidentale dell'Impero occupate dai Barbari: l'esercito bizantino, condotto da talentuosi generali come Belisario e Narsete, riconquistò l'Italia e la Dalmazia strappandole agli Ostrogoti, il Nord Africa sottratta ai Vandali, e la Spagna meridionale tolta ai Visigoti. Il Mar Mediterraneo ritornava così ad essere il mare nostrum dei Romani, e l'Impero ritornava in possesso della sua antica capitale, Roma. Le conquiste di Giustiniano si riveleranno tuttavia effimere: nel 568 i Longobardi invasero l'Italia e la occuparono in gran parte, mentre la Spagna bizantina dovette subire gli assalti dei Visigoti, che nel 624 riuscirono a occuparla tutta; solo l'Africa rimase tutto sommato pacifica. Gli Imperatori d'Oriente, pur non potendo mandare soccorsi all'Occidente, essendo impegnati a respingere le incursioni avare nei Balcani e quelle persiane in Oriente, non lo dimenticarono: lo dimostrò la riforma degli esarcati di Maurizio (582-602), che abolì le prefetture d'Italia e d'Africa, sostituite con vicereami (gli esarcati appunto) retti da un esarca, che era la massima autorità civile e militare dell'esarcato; in questo modo rese i territori in Occidente in grado di autodifendersi dai Longobardi. Sempre Maurizio, nel 597, stabilì che alla sua morte si sarebbe ricostituito l'Impero d'Occidente, governato dal figlio minore Tiberio, mentre l'Impero d'Oriente sarebbe andato al primogenito Teodosio; secondo Ostrogorsky, questa sarebbe la prova che «non si era rinunciato all'idea dell'Impero romano universale, né a quella dell'unico Impero romano governato collegialmente, con amministrazione distinta delle sue due parti».[87] Tuttavia la morte violenta di Maurizio, ucciso dall'usurpatore Foca (602-610), mandò a monte i suoi piani.

Con Foca l'Impero romano d'Oriente precipitò nell'anarchia e nella tirannide e l'Imperatore dispotico venne alla fine detronizzato da Eraclio, il figlio dell'esarca d'Africa, che divenne imperatore. Sotto il regno di Eraclio, ricordato dai posteri soprattutto per le trionfali ma effimere vittorie contro la Persia (vanificate poi dalle invasioni arabe), la trasformazione dell'Impero romano in Impero bizantino, già iniziata sotto Giustiniano, giunse a termine (v. Trasformazione nell'Impero bizantino). Le riforme di Eraclio, che rinnovarono profondamente lo stato, lo fecero in meglio: la riforma dei temi (che Treadgold invece attribuisce a Costante II) fu ad esempio molto importante per lo stato, perché permise di creare un forte esercito locale e motivato riducendo al contempo di molto i mercenari, spesso infidi e meno motivati dei nativi; inoltre questa riforma ridusse di 2/3 le spese militari, permettendo a Bisanzio di mantenere un esercito consistente nonostante la perdita delle prospere Siria e Egitto, finite in mano araba negli ultimi anni di regno di Eraclio.

 
L'entrata di Maometto II a Costantinopoli.

L'Impero rinnovato in tal modo, non più tardo-romano ma greco-bizantino, riuscì a mantenere i territori residui (Anatolia, Tracia, isole del Mediterraneo, enclavi nei Balcani e in Italia), per lo più di cultura greca, con piccole e relative perdite territoriali, e con Costante II (641-668), nipote di Eraclio, si tentò persino di recuperare l'Italia, strappandola ai Longobardi; l'impresa era tuttavia anacronistica e, per la strenua resistenza degli assediati Longobardi di Benevento, la campagna fallì (663). Costante II fu l'ultimo imperatore «romano» a visitare Roma (663); successivamente si stabilì a Siracusa, dove pose la propria residenza imperiale; morì nel 668, in una congiura, e la residenza imperiale venne di nuovo spostata a Costantinopoli.

Con l'ascesa della dinastia isaurica (717) l'Impero si ellenizzò ulteriormente, e gradualmente tutti i titoli latini scomparvero dalle monete. Nel corso dell'VIII secolo, la controversia iconoclastica (distruzione delle immagini sacre, ritenute idolatre) e le minacce dei Longobardi e dei Franchi contribuirono a separare l'Italia e la città di Roma dall'Impero romano d'Oriente, e nel 751 l'intero centro Italia (tranne il ducato romano) cadde in mano longobarda; il Papa, non potendo più contare sui Bizantini, chiese aiuto ai Franchi che scesero in Italia e annichilirono il regno longobardo, cedendo poi il Centro Italia ai Papi invece di restituirlo ai Bizantini; Roma, l'antica capitale, andò di nuovo perduta finendo in mano papale.

Bisanzio conobbe un periodo di rinascita sotto la dinastia dei Macedoni, nel corso della quale l'Impero riconquistò a spese di Arabi e Bulgari Cipro, parte della Siria e della Palestina, parti di Armenia e Mesopotamia, e tutti i Balcani; con la morte di Basilio II (noto come lo sterminatore di Bulgari, perché fu l'artefice della distruzione dell'Impero bulgaro) nel 1025 tuttavia iniziò un nuovo declino per Bisanzio dovuto soprattutto dalla disgregazione del sistema dei temi, causata dall'espandersi dei latifondi: con la scomparsa dei soldati-contadini (stratioti), sostituiti da truppe mercenarie, l'Impero si indebolì militarmente[88], e di questo ne approfittarono nuovi temibili nemici, come Normanni e Selgiuchidi, che inflissero un duro colpo all'Impero. Nel 1071 infatti i Normanni conquistarono Bari cacciando definitivamente i Bizantini dall'Italia mentre i Selgiuchidi annichilirono l'esercito bizantino nella Battaglia di Manzikert conquistando gran parte dell'Anatolia e della Siria; l'Impero, privo dell'Anatolia (principale fonte di truppe), sembrava sul punto di crollare ma seppe riprendersi con la dinastia dei Comneni. Il primo imperatore di questa importante dinastia, Alessio I, chiese infatti aiuti all'Occidente latino chiedendo loro di cacciare i Selgiuchidi dal Santo Sepolcro e dall'Anatolia e l'Occidente rispose organizzando alcune crociate contro gli Infedeli; inizialmente le crociate portarono vantaggi a Bisanzio con la riconquista, con l'aiuto dei crociati, delle zone costiere dell'Asia Minore; nel corso delle Crociate si crearono tuttavia dei dissidi tra Crociati e Bizantini, che sfociarono nella Quarta Crociata (1204), che non fu volta contro gli Infedeli ma contro i Bizantini; e nel 1204 Costantinopoli, ritenuta inespugnabile, venne espugnata dai crociati, che posero momentaneamente fine all'Impero d'Oriente dando vita all'Impero latino.

Tuttavia nel 1261 i Bizantini riuscirono a riconquistare Bisanzio facendo rinascere l'Impero d'Oriente; sotto la dinastia dei Paleologhi tuttavia l'Impero non riuscì a recuperare l'antico splendore anche a causa dell'ascesa di un nuovo nemico, gli Ottomani, che seppero approfittare delle guerre civili che dilaniavano Bisanzio e nel 1453 espugnarono Costantinopoli ponendo definitivamente fine all'Impero romano. Anche se Maometto II, il conquistatore della città, si dichiarò Imperatore dell'Impero romano (Cesare di Roma / Qayṣer-i Rum) nel 1453, Costantino XI di Bisanzio viene generalmente considerato l'ultimo imperatore romano-orientale. Cadeva così l'ultimo grande impero dell'antichità, nulla riuscì in seguito a eguagliare la grandezza dell'Impero Romano.

In Occidente

 
Erede dell'impero romano fu Carlo Magno.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Carlo Magno, Impero carolingio e Sacro Romano Impero.

L'Impero romano d'Occidente fu sul punto di rinascere nel corso del VI secolo, quando gli imperatori bizantini Giustiniano I, Tiberio II e Maurizio poi, ebbero il progetto di dividere l'impero in due parti: una occidentale, con Roma capitale, e una parte orientale, con Costantinopoli capitale, ma Tiberio II ci ripensò e nominò unico successore il generale Maurizio. Lo stesso Maurizio, che aveva espresso nel suo testamento l'intenzione di lasciare in eredità la parte occidentale al figlio Tiberio, mentre la parte orientale sarebbe andata al primogenito Teodosio, venne ucciso insieme alla sua famiglia da una ribellione.[89]

L'impero romano d'Occidente rinacque de facto per un anno il 22 dicembre del 619, quando l'esarca eunuco di Ravenna, Eleuterio si fece incoronare dalle sue truppe imperatore d'Occidente con il nome di Ismailius.[90]. Su consiglio dell'arcivescovo ravennate decise di marciare su Roma per farsi incoronare nella antica capitale. Tuttavia, giunto a Castrum Luceoli (presso l'odierna Cantiano) venne ucciso dai suoi soldati.

Oltre all'Impero bizantino, unico e legittimo successore dell'Impero romano dopo la caduta della sua parte occidentale, altre tre entità statuali ne rivendicarono l'eredità. La prima fu il Sacro Romano Impero, inizialmente un grande progetto di ricostituzione dell'impero in Occidente, che fu fondato il giorno di Natale dell'800 allorché papa Leone III incoronò il re dei Franchi Carlo Magno imperatore dei Romani. La seconda fu l'Impero ottomano. Quando gli Ottomani infatti, che basarono il loro stato sul modello bizantino, conquistarono Costantinopoli nel 1453, Maometto II stabilì nella città la propria capitale e si proclamò Imperatore romano. Maometto II compì anche un tentativo di impossessarsi dell'Italia in modo da "riunificare l'impero", ma gli eserciti papali e napoletani fermarono l'avanzata ottomana verso Roma a Otranto nel 1480. Il terzo a proclamarsi erede dell'Impero dei Cesari fu l'Impero russo che, nel XVI secolo, ribattezzò Mosca, centro del potere zarista, la "Terza Roma" (essendo Costantinopoli considerata la seconda).

File:Map of the Holy Roman Empire in the 10th century.png
L'Impero nell'anno 1000: in blu il Sacro Romano Impero, in arancio gli Stati indipendenti aderenti all'Impero, a strisce blu le marche di confine, in grigio il "Regnum Italicum", in viola lo Stato della Chiesa e la Pentapolis di Ravenna e in verde gli stati dell'Islam.

La Chiesa cattolica inoltre, preservò certi aspetti dell'Impero Romano. Per esempio la lingua latina oppure le divisioni territoriali della chiesa (Diocesi), che esistevano anche nell'impero Romano. Non solo, la Chiesa conservò gli aspetti migliori della civiltà spirituale Romana e li diffuse[91]. Per questi motivi la Chiesa può essere definita L'eredità culturale dell'Impero Romano.

Escludendo questi tre ultimi Stati che sostenevano di essere successori dell'Impero, e dando per vera la data tradizionale della fondazione di Roma, lo stato romano durò dal 753 a.C. al 1461, anno in cui cadde l'Impero di Trebisonda (ultimo frammento dell'Impero bizantino che sfuggì alla conquista Ottomana nel 1453), per un totale di 2.214 anni.

Nel Natale(cioè la festa romana delle luci) 800 l'Imperatore dei Franchi Carlo Magno venne incoronato Imperatore dei Romani dal Papa Leone III. In seguito Ottone I, nel X secolo, trasformò una parte del vecchio impero carolingio nel Sacro Romano Impero. I Sacri Romani Imperatori si consideravano, come i Bizantini, i successori dell'Impero romano, grazie all'incoronazione papale, anche se da un punto di vista strettamente giuridico l'incoronazione non aveva basi nel diritto di allora; i bizantini però erano allora governati dall'Imperatrice Irene, illegittima agli occhi degli occidentali[92], tale da giustificare il "colpo di mano" e in ogni caso Bisanzio non aveva alcun mezzo militare, né un reale interesse, per far valere le proprie ragioni.

Il Sacro Romano Impero conobbe il suo periodo di massimo splendore nell'XI secolo quando, insieme al papato, era una delle due grandi potenze della società medioevale. Già sotto Federico Barbarossa e le vittorie dei Comuni, l'Impero prese la via del declino, perdendo il reale controllo del territorio, soprattutto in Italia, a favore delle varie autonomie locali. Comuni, signori e principati comunque continuarono a vedere l'Impero come un sacro ente sovranazionale dal quale trarre legittimità formale del proprio potere, come testimoniano i numerosi diplomi imperiali concessi a caro prezzo. Dal punto di vista sostanziale l'Imperatore non aveva alcuna autorità e la sua carica, se non ricoperta da individui di particolare forza e determinazione, era puramente simbolica.

Nel 1648 con la Pace di Westfalia i principi feudali divennero praticamente indipendenti dall'Imperatore e il Sacro Romano Impero si ridusse in pratica a semplice confederazione di Stati solo formalmente uniti, ma de facto indipendenti. Esso continuò comunque a esistere formalmente fino al 1806, quando l'imperatore francese Napoleone Bonaparte obbligò l'Imperatore Francesco II a sciogliere il Sacro Romano Impero e a diventare Imperatore d'Austria.

Note

  1. ^ Gibbon (a cura di Saunders), Capitolo III. «Per riassumere, il sistema del governo imperiale, così come istituito da Augusto..., può essere definito una monarchia assoluta mascherata nelle forme di una repubblica» (ibidem, p. 73)
  2. ^ Secondo Luigi Bessone, l'ultimo secolo dell'età repubblicana (I secolo a.C.) aveva dimostrato che il sistema di governo romano guidato dall'oligarchia senatoria era inadeguato per la sproporzione sempre maggiore fra la crescente estensione dell'Impero, che richiedeva pronte decisioni e interventi tempestivi, e gli organi dello Stato repubblicano, lenti e macchinosi. Inoltre, lo Stato era così lacerato da interminabili conflitti interni tra le classi e tra i capi militari, che ormai si sentiva il bisogno di una pacificazione generale, che potesse ridare stabilità e legalità. L'idea di un princeps o primo cittadino al di sopra delle parti, capace col suo prestigio di guidare la vita pubblica senza modificare le istituzioni, era ormai sentita come una necessità. Persino l'oligarchia senatoria, spaventata dalle violenze popolari e dalla ferocia delle guerre civili, sembrava ormai disposta a spartire il potere politico e militare con un "protettore" che sapesse garantire insieme il buon governo ed i privilegi e le ricchezze dell'aristocrazia (Luigi Bessone, Roma imperiale, in (a cura di G. Solfaroli Camillocci) Civiltà Antiche, Sei, 1987, p. 185).
  3. ^ L'abilità di Augusto, in sostanza, risiede nel fatto che seppe imporre un governo personale, dotato di poteri amplissimi (imperium proconsolare maius et infinitum, cioè un comando superiore a quello dei proconsoli su tutte le province e gli eserciti; tribunicia potestas, ovvero l'inviolabilità, il diritto di veto e la facoltà di proporre e fare approvare le leggi; carica di pontifex maximus, che poneva sotto il diretto controllo anche la religione), camuffandolo da Repubblica restaurata, tramite la rinuncia formale alle cariche eccezionali tipiche della dittatura (rinuncia al consolato a vita, alla dittatura, ai titoli di re o di signore-dominus), non urtando così la suscettibilità della classe aristocratica, che aveva accettato il compromesso della cessione del potere politico e militare in cambio della garanzia dei propri privilegi sociali ed economici (Luigi Bessone, Roma imperiale, in (a cura di G. Solfaroli Camillocci) Civiltà Antiche, Sei, 1987, pp. 185-186).
  4. ^ Traiano e Adriano, anche se nati in Spagna, erano di famiglia italica.
  5. ^ I successori di Augusto, se si eccettua qualche parentesi trasgressiva, avevano rispettato ruoli e regole, soprattutto quella che la nomina dell'imperatore fosse comunque sottoposta all'approvazione del Senato (Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 86)
  6. ^ Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 53
  7. ^ Ruffolo, p. 99
  8. ^ Solo pochi potevano avvicinarlo e parlargli e solo attraverso un rituale che prescriveva atti come la prosternazione (proskýnesis) ed il bacio del lembo del lembo del mantello.
  9. ^ Nel tardo impero autori come Jones hanno calcolato che con l'Imperatore si spostassero qualcosa come 12.000 persone, compresi i funzionari, i dignitari, perfino la zecca, a dimostrazione dell'importanza assunta dalla corte imperiale. Un istituto particolare era quello del "comitatus". Da "comites" (coloro che accompagnano l'Imperatore) deriva (con altro significato pratico) il titolo di "conte".
  10. ^ CIL VIII, 22116-CIL VIII, 22187-
  11. ^ Grant, p.265; Chris Scarre, Chronicle of the roman emperors, New York 1999, pp.197-198.
  12. ^ a b c Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, IX, 27.
  13. ^ a b c d Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, X, 1.
  14. ^ a b c d Zosimo, Storia nuova, II, 8, 1.
  15. ^ a b c Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, X, 2.
  16. ^ a b c Zosimo, Storia nuova, II, 9, 1.
  17. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 9, 3.
  18. ^ a b c Zosimo, Storia nuova, II, 10, 1.
  19. ^ Orosio, Storie contro i pagani, VII, 28, 8.
  20. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 10, 2.
  21. ^ Aurelio Vittore, De Caesaribus, XL, 7.
  22. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 11, 1.
  23. ^ a b c Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, X, 4.
  24. ^ Lattanzio, De mortibus persecutorum, XXXII, 4.
  25. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 14, 4.
  26. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 15, 1.
  27. ^ Lattanzio, De mortibus persecutorum, XLIV; Zosimo, Storia nuova, II, 16; Aurelio Vittore, Epitome de Caesaribus, XL, 23; Panegyrici latini, IX, 16 ss. (di Eumenio) e X, 28 ss. (di Nazario).
  28. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 16, 1-4.
  29. ^ Barnes, Constantine and Eusebius, pp. 42–44.
  30. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 17.2.
  31. ^ Lattanzio, De mortibus persecutorum, XLIII, 2; XLV, 1.
  32. ^ Annales Valesiani, V, 13.28
  33. ^ Eutropio, X, 5.
  34. ^ Aurelio Vittore, De Caesaribus, XLI, 2; Aurelio Vittore, Epitome, 41.4.
  35. ^ Socrate I, 2, 25.
  36. ^ Orosio, Storie contro i pagani, VII, 28, 19.
  37. ^ Lattanzio, De mortibus persecutorum, 46 e 47; Zosimo, Storia nuova, II, 17.3; Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica, IX, 10.2-4.
  38. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 17, 3.
  39. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 18, 1.
  40. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 19, 1-3.
  41. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 20, 1.
  42. ^ a b E. Horst, Costantino il grande, Milano 1987, p. 211.
  43. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 20, 2.
  44. ^ AE 2006, 440.
  45. ^ Aurelio Vittore, Epitome de Caesaribus, 41.4; De Caesaribus, 41.5. Annales Valesiani, 19.
  46. ^ Annales Valesiani, V, 21 [1].
  47. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 22, 3.
  48. ^ E.Horst, Costantino il Grande, Milano 1987, pp. 242-244.
  49. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 22, 3-7.
  50. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 23-24.
  51. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 26; CIL I, 272.
  52. ^ a b Zosimo, Storia nuova, II, 28.
  53. ^ Zonara, L'epitome delle storie, XIII, 1; Anonimo valesiano, 5.29; Socrate Scolastico, Storia ecclesiastica, I, 4.4.
  54. ^ Anonimo valesiano, V, 28-29.
  55. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 29, 1.
  56. ^ Eutropio, X, 6, 1.
  57. ^ Aurelio Vittore, Cesari, 41, 8-9; Aurelio Vittore, Epitome, 41, 7-8.
  58. ^ Socrate I 4.
  59. ^ Sozomeno, I 7, 5.
  60. ^ Giordane, Getica III.
  61. ^ Consolaria costantinopolitana, s.a. 325.
  62. ^ AE 1974, 693; CIL XI, 6648.
  63. ^ Barnes, Timothy D., The New Empire of Diocletian and Constantine, Harvard University Press, Cambridge–Londra, 1982, p. 87.
  64. ^ Anonimo Valesiano, XXXV.
  65. ^ Aurelio Vittore, Liber de Caesaribus, XLI, 15: «obsistentibus valide militaribus».
  66. ^ John Bagnell Bury et al., The Cambridge Ancient History, Volume XIII di The Late Empire 337-425, in Cambridge University Press, 1925, p. 12 (ISBN 0-521-30200-5).
  67. ^ In particolare furono uccisi i fratellastri di Costantino I, Giulio Costanzo, Nepoziano e Dalmazio, alcuni loro figli, come Dalmazio Cesare e Annibaliano, e alcuni funzionari, come Optato e Ablabio.
  68. ^ Eutropio, Breviario di storia romana, x.9.
  69. ^ Zosimo, Storia nuova, II, 40.
  70. ^ C.R.Whittaker, Frontiers of the Roman empire. A social ad economic study, Baltimora & London, 1997, p.143.
  71. ^ Gibbon, pag. 346. Nella nota del curatore a pag. 344 si legge che «La persecuzione contro i filosofi e le loro biblioteche fu condotta con tale furia che da quel momento il nome dei filosofi pagani quasi si estinse.»
  72. ^ Gibbon, pag. 347.
  73. ^ Gibbon, pag. 348.
  74. ^ Gibbon, pag. 349.
  75. ^ Gibbon, pag. 369.
  76. ^ l'impero veniva chiamato dai Bizantini Romania, Basileia Romaion o Pragmata Romaion, che significa "Terra dei Romani", "Impero dei Romani"; i Bizantini si consideravano ancora romani (romaioi, si pronuncia romei).
  77. ^ Per esempio si potrebbe citare il Gibbon che nella sua opera Storia del declino e della caduta dell'Impero romano scrisse che la storia del tardo Impero romano d'Oriente è «una monotona vicenda di debolezze e miseria», uno dei giudizi «più falsi e di maggiore effetto mai espressi da uno storico attento» secondo J.B. Bury (Fonte: Gibbon, Declino e caduta dell'Impero romano, prefazione del curatore Saunders, pag. 18).
  78. ^ CHE SIGNIFICA IL TERMINE BIZANTINO SE NIENTE PUO' DEFINIRSI CON TALE PAROLA?
  79. ^ si potrebbero citare: J. B. Bury, autore di una History of the Later Roman Empire, from Arcadius to Irene, Jones, autore della The Prosopography of the Later Roman Empire (che considera "romano" l'Impero bizantino fino al 641) ma anche di una Storia del tardo Impero romano fino al 602, e George Finlay, che considera "romano" l'Impero bizantino fino al 717 (infatti la sua storia della Grecia bizantina inizia proprio nel 717).
  80. ^ In realtà il consolato non fu abolito del tutto ma divenne una carica che poteva assumere solo l'Imperatore nel primo anno di regno. Cfr. J.B. Bury, History of the Later Roman Empire
  81. ^ Enciclopedia Treccani, lemma Civiltà bizantina.
  82. ^ "Gli anni dell'anarchia sotto il regno di Foca rappresentano l'ultima fase dell'Impero tardo romano. ... Dalla crisi uscì una nuova Bisanzio,liberata ormai dall'eredità del decadente stato tardo-romano e alimentata da nuove forze. A questo punto ha inizio la storia bizantina propriamente detta, cioè la storia dell'Impero greco medievale" (Ostrogorsky, p. 73).
  83. ^ Ostrogorsky, p. 85.
  84. ^ Che Eraclio sia l'artefice dei temi è sostenuto da Ostrogorsky e da altri storici. Warren Treadgold (cfr. History of the Byzantine State and Society (1997) e Storia di Bisanzio (2005) attribuisce invece la riforma dei temi a Costante II, nipote (di nonno) di Eraclio).
  85. ^ L'Imperatore non veniva più chiamato Imperator Caesar Augustus ma Basileus (Βασιλεύς, re); anche il senato, i titoli di magister militum, curopalate ecc. vengono tradotti in greco; un cambiamento nel titolo non vuol dire necessariamente che sia avvenuto un cambiamento della funzione ma esso indica come la romanità dell'Impero d'Oriente si stesse man mano affievolendo.
  86. ^
    «Invece, nel suo primo periodo [324-610], l'Impero bizantino era ancora effettivamente un impero romano e tutta la sua vita era fittamente contesta di elementi romani. Questo periodo, che si può chiamare sia il primo periodo bizantino, sia il tardo periodo dell'Impero romano, appartiene alla storia bizantina non meno che alla storia romana. I primi tre secoli della storia bizantina - o gli ultimi tre secoli della storia romana - sono una tipica età di transizione che conduce dall'Impero romano all'Impero bizantino medioevale, in cui le forme di vita dell'antica Roma man mano si estinguono e cedono il posto alle nuove forme di vita dell'età bizantina.»
  87. ^ Ostrogorsky, p. 70.
  88. ^ Georg Ostrogorsky, Storia dell'Impero bizantino, pag. 294-310
  89. ^ Treadgold, History of the Byzantine State and Society, pag. 226-227; Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, pag. 978
  90. ^ [2]
  91. ^ Dal Libro conoscere per capire la storia 1. Edizione A.P.E Mursia
  92. ^ Irene per impossessarsi del potere e regnare da sola uccise il figlio Costantino. Questo è il motivo per cui Irene era illegittima agli occhi degli occidentali. Ostrogorsky, Storia dell'Impero bizantino, pag. 165-168

Bibliografia

Fonti primarie

Fonti epigrafiche

Storiografia moderna

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  • Edward Gibbon, Storia del declino e della caduta dell'Impero romano (1776-1788)
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Voci correlate

Altri progetti

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