Guerra del Kosovo
La guerra del Kosovo fu un conflitto armato riguardante lo status della provincia autonoma serba del Kosovo, allora compresa nella disciolta Repubblica Federale di Jugoslavia.
Guerra del Kosovo | |
---|---|
Voci di guerre presenti su Wikipedia | |
Antefatto storico
Il Kosovo, popolato in maggioranza da cittadini di etnia albanese, era entrato in tensione con la Serbia e contribuì al disfacimento della federazione iugoslava, già avviato con la fuoriuscita prima della Slovenia, poi della Croazia ed infine della Bosnia-Erzegovina, nel quadro di nazionalismi contrapposti che ha segnato e segna le vicende balcaniche a cavallo tra il XX e il XXI secolo.
Con la morte di Tito e con il rinascere e crescere dei vari nazionalismi, l'insofferenza etnica verso la federazione aveva cominciato a sfumare, in alcune frange, dalle rivendicazione autonomiste a quelle indipendentiste. Già dopo la concessione dello status di autonomia alla provincia cossovara gli appartenenti all'etnia albanese dimostrarono all'inizio degli anni ottanta che con questa autonomia non si sarebbero accontentati. A quell'epoca l'unica repubblica dell'allora Jugoslavia ad aver concesso una forma di autonomia alle proprie minoranze era appunto la Serbia; di preciso si trattava della Vojvodina al nord e del Kosovo e Metochia al sud. Nonostante questo lo slogan Kosovo republika cominciò a farsi sentire sempre di più nelle manifestazioni di piazza a Pristina e in altre parti del Kosovo. Gli albanesi, infatti, chiedevano che il Kosovo diventasse la settima repubblica della Iugoslavia socialista e, quindi, che si distaccasse dalla Serbia. Così facendo il Kosovo avrebbe potuto fare come la Slovenia e la Croazia, cioè al momento opportuno dichiarare l'indipendenza senza dover fare i conti con Belgrado.
Il conflitto precipitò alla fine degli anni ottanta: nel marzo del 1989 l'autonomia della provincia risalente alla costituzione della Repubblica jugoslava di Tito (che era una repubblica federativa con diritto di secessione unilaterale delle varie repubbliche federate ma non anche delle province autonome) venne revocata su pressione del governo serbo guidato da Slobodan Milošević. Fu, tra l'altro, revocato lo status paritario goduto dalla lingua albanese-cossovara (fino ad allora lingua co-ufficiale nel Kosovo accanto al serbo-croato), chiuse le scuole autonome, rimpiazzati funzionari amministrativi e insegnanti con serbi o persone fedeli (o ritenute tali) alla Serbia.
Dal 1989 al 1995 la maggioranza della popolazione d'etnia albanese del Kosovo mise in atto una campagna di resistenza non violenta sotto la guida del partito LDK e del suo leader Ibrahim Rugova.
Dopo la fine della guerra in Bosnia-Erzegovina, tra i kosovari (in maggioranza di religione musulmana) nacquero e si rafforzarono in breve tempo formazioni armate guidate da veterani di quella guerra con dichiarati intenti indipendentisti.
La guerra del Kosovo si può dividere in due fasi distinte:
1. 1996 - 1999: furono i separatisti albanesi dell'UÇK (Ushtria Çlirimtare e Kosovës o KLA, Kosovo Liberation Army, "Esercito di liberazione del Kosovo") contro le postazioni militari e contro le entità statali. Successivamente ci fu una repressione sempre più dura da parte della polizia e, più tardi, da parte di forze paramilitari ispirate da estremisti serbi.
2. 1999: intervento NATO contro la Serbia. Per tutto il 1998, mentre la guerriglia sul terreno si espandeva e la repressione delle forze di sicurezza serbe si faceva via via più pesante e sanguinosa, la NATO adottò una politica di dissuasione e minaccia contro il governo della Repubblica federale iugoslava guidato da Slobodan Milošević.
Esercitando forti pressioni, l'Alleanza atlantica ottenne l'avvio dei negoziati di Rambouillet, che si conclusero positivamente nonostante la resistenza dei rappresentanti dell'UÇK a firmare un documento nel quale era formalmente garantita l'autonomia del Kosovo, ma non la sua piena indipendenza. Tale resistenza fu superata grazie alle pressioni degli USA, che godevano di grande prestigio presso l'UÇK e la delegazione Cossovara grazie alla loro politica di sostegno. Alla ripresa di Parigi, di lì a pochi giorni dalla conclusione di Rambouillet - una sessione non politica che avrebbe dovuto occuparsi degli aspetti attuativi e organizzativi dell'accordo - la delegazione serba abbandonò sin dall'inizio la seduta rimettendo in discussione gli esiti politici di tutta la trattativa, dichiarando che non accettava più quella che considerava una indipendenza di fatto mascherata da autonomia. I serbi si sentirono presi in giro e provocati.
Kissinger: Rambouillet, una provocazione?
Alcuni commentatori ritengono che la parte serba fu di fatto costretta ad abbandonare il negoziato[1] a seguito di due elementi-chiave introdotti, per impulso degli Stati Uniti, alla vigilia della firma dell'accordo. In primo luogo, il 22 febbraio, il Segretario di Stato USA, Madeleine Albright, si impegnò, verso la parte cossovara, a garantire, entro tre anni, il distacco del Kosovo dalla federazione[2][3][4]; in secondo luogo, fu introdotta un'appendice (Appendice o Annex B [2]) alla parte militare dell'accordo che prevedeva, di fatto, l'occupazione militare dell'intera federazione serba da parte della NATO. Tale misura, inaccettabile per qualsiasi stato sovrano, era tanto più irricevibile, in quanto la Costituzione federale vietava, sin dai primi anni settanta, lo stazionamento di truppe straniere sul territorio iugoslavo.[5] Particolarmente significativo fu il commento di Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano, che definì il testo:
«Il testo di Rambouillet, che chiedeva alla Serbia di ammettere truppe NATO in tutta la Iugoslavia era una provocazione, una scusa per iniziare il bombardamento. Rambouillet non è un documento che un Serbo angelico avrebbe potuto accettare. Era un pessimo documento diplomatico che non avrebbe dovuto essere presentato in quella forma.»
I serbi - aggiunse Kissinger - si sono comportati barbaramente per reprimere il terrore dell'Uck. Ma l'80 per cento delle violazioni del cessate il fuoco tra ottobre e febbraio sono da imputare alla guerriglia. Se si fosse analizzata correttamente la situazione, si sarebbe forse potuto cercare di rafforzare la tregua, senza gettare tutto il biasimo sui serbi. Io avrei rafforzato il numero di osservatori internazionali e lasciato che la guerriglia facesse il suo corso, come è accaduto in Sudafrica e altrove fino a indebolire il potere centrale e forse avrei minacciato un intervento di truppe di terra, ma non bombardato. Sulla moralità dei bombardamenti nutro molti dubbi.[6]
La stampa di quel periodo notò il ruolo di Madeleine Albright, Segretario di Stato USA sotto la presidenza di Bill Clinton. L'equivalente americano di un ministro degli esteri spingeva per un intervento militare, mentre l'amministrazione americana era propensa alla neutralità, vedendo il Kosovo più come una questione europea. La Albright, come alcuni giornali notarono, è ebrea di origine polacca e visse in prima persona l'esodo forzato di un popolo e le deportazioni naziste durante la seconda guerra mondiale, fatti che furono paragonati a quelli compiuti dai serbi sulla popolazione albanese cossovara.
Una tesi che presenta la guerra in Kosovo come guerra mediatica, gonfiata dalle televisioni occidentali, è sostenuta da alcuni giornalisti, tra cui un articolo apparso sul quotidiano italiano La nazione. Secondo l'articolo, infatti, alla fine del 1989, la CNN, prima fra le TV occidentali, iniziò a trasmettere ogni giorno filmati di stragi compiute dai serbi sui kosovari. Si trattava di due episodi in cui rimasero uccisi 205 civili, mentre venivano messi in onda spezzoni sempre diversi dello stesso filmato, in modo che sembrasse che in Kosovo fosse in corso un genocidio. Se ciò fosse dimostrato, si ridimensionerebbe la proporzione tra un pericolo di genocidio da parte dei serbi e l'intervento armato sua conseguenza.[senza fonte]
Il 24 marzo 1999 l'Alleanza Atlantica prese atto del fallimento dei negoziati ed iniziò (senza un provvedimento in questo senso da parte dell'ONU, a causa del minacciato veto di Russia e Cina) alcune operazioni militari di dissuasione nella speranza di ottenere una replica di quanto già avvenne per i negoziati per il conflitto bosniaco, dove anche lì la delegazione serba abbandonò improvvisamente la trattativa riprendendo immediatamente le operazioni militari. In quella occasione poche operazioni militari di dissuasione sulle linee serbe convinsero il regime di Milošević a ritornare al tavolo delle trattative e a firmare (e rispettare) la fine del conflitto. Tale circostanza non si ripeté nel caso del Kosovo, presumibilmente perché Milošević - che puntava in modo piuttosto trasparente ad una sua spartizione, tra Serbia e Albania - riteneva di potere contare su determinate alleanze, o semplicemente su di un mutato quadro internazionale che pensava avrebbe giocato a suo favore. La Cina aveva manifestato una netta contrarietà nei confronti della neonata repubblica di Macedonia (verso la quale l'esercito serbo cercò di spingere la popolazione del Kosovo in fuga) a causa del riconoscimento di Taiwan da parte di quest'ultima, circostanza che sembra essere stata la motivazione dominante della minaccia di veto cinese ad ogni intervento in sede ONU.
La Russia aveva iniziato un recupero della conflittualità con gli USA in chiave nazionalista, e inoltre tra Russi e Serbi esiste storicamente un legame particolare su base etnico-religiosa. La NATO iniziò quindi una escalation di bombardamenti aerei su tutto il paese che sono durati oltre due mesi (operazione Allied Force). I jet della NATO partivano soprattutto da basi militari italiane, come quella di Aviano, in Friuli Venezia Giulia.
Lo svolgimento delle operazioni belliche
Da Aviano e dalle altre basi NATO italiane presero il volo i caccia bombardieri: la guerra si tenne tutta su questo livello (eminentemente aereo, senza presenza di truppe sul suolo), si disse per minimizzare i rischi per i soldati della NATO; a posteriori si è anche sostenuto che la scelta fu dettata dall'assenza di una chiara strategia su che cosa si volesse veramente ottenere e come ottenerla[7].
A seguito della decisione della NATO, il governo D'Alema autorizzò l'utilizzo dello spazio aereo italiano. Fu il secondo intervento militare italiano a carattere offensivo dalla fine della seconda guerra mondiale, il primo fu la prima guerra del golfo contro l'Iraq nel 1991.
In media, la Serbia subiva almeno 600 raid aerei al giorno[senza fonte]. Il numero esatto di vittime della guerra, sia serbe che albanesi, militari e civili, non è ancora oggi conosciuto con esattezza, ma è presumibile sia dell'ordine di qualche migliaio[senza fonte]. Si tratta di una ulteriore tragedia che si somma a quella dei dieci precedenti anni di conflitti balcanici, che hanno fatto circa 250.000 vittime[non chiaro] , in gran parte civili.
Nel corso del conflitto ci sono stati diversi gravi episodi: in un'occasione un attacco aereo colpì un convoglio di civili in fuga facendo una strage. Un'altra volta, un missile finì per errore in Bulgaria, senza provocare danni. Tra le infrastrutture prese di mira anche alcuni ponti e centrali elettriche (inizialmente bombardate con speciali bombe alla grafite che non provocano danni permanenti, ma solo un black-out). Fu anche bombardata e distrutta la torre della televisione serba (gli oppositori di Milošević in Serbia sostennero che il personale fosse stato avvisato dell'attacco, ma gli fu ordinato di rimanere nell'edificio), con 16 vittime tra giornalisti, funzionari ed impiegati. In seguito venne bombardata l'ambasciata cinese a Belgrado, nel convincimento che in quell'edificio fosse stata spostata la trasmittente della radiotelevisione Serba dopo la distruzione della sua sede. La vicenda creò una notevole tensione con la nazione asiatica. L'esercito serbo, e truppe "irregolari" facenti capo a movimenti ultranazionalisti serbi (che già avevano operato in Bosnia Erzegovina distinguendosi in massacri di civili ed operazioni di cecchinaggio) non mancarono di compiere diverse esazioni sulla popolazione del Kosovo, per provocarne la fuga e creare quello stato di fatto necessario alla realizzazione dell'obiettivo della spartizione. L'operazione militare, chiamata "ferro di cavallo", sarebbe stata preparata prima ancora delle trattative di Rambouillet, anche se prove definitive al di là di ogni ragionevole dubbio in tal senso non sono state fornite, o la stampa internazionale non ne ha mai dato un resoconto esauriente. In ogni caso l'esercito serbo sotto attacco NATO aumentò progressivamente la pressione sulla popolazione albanese, che iniziò a rifugiarsi verso la Macedonia e l'Albania. Il numero dei rifugiati raggiunse gli 800.000.
L'inevitabile capitolazione del governo serbo portò al dispiegamento della missione ONU KFOR, disposta dal Consiglio di sicurezza a seguito di un accordo "a posteriori" includente Russia e Cina, a guida NATO e con una significativa presenza di truppe russe, a garanzia della Serbia.
Conseguenze della guerra
Il conflitto armato ha portato a molte perdite di vite umane, distruzione e danni economici, che pesano ancora sulla vita sociale del paese. E inoltre ha riacceso l'odio etnico secolare tra i due popoli che pretendevano il controllo del paese.
Le forze jugoslave uccisero oltre 13.000 civili, mentre i caduti tra i combattenti albanesi si aggirano intorno a 3.000-6.000[8] [9] [10], nell'impossibilità di determinare il numero preciso e neanche quali fossero civili e combattenti, visto che tra le file dell'Esercito di Liberazione del Kosovo non esisteva un vero e proprio arruolamento.[11] Mentre tra i serbi le stime variano da 2.300 a 3.000 persone uccise nel conflitto. kosovara-albanese.[senza fonte]
Ma la tragedia della guerra non si è basata solo su questo fatto. Nel 1999 sono stati costretti a lasciare le loro abitazioni circa 1.000.000 di persone d'etnia albanese [senza fonte] per rifugiarsi in Albania nell'impossibilità di affrontare il genocidio serbo. Inoltre circa 20 000 donne albanesi sono state stuprate in modi tra i più barbari dai militari serbi.[12][13][14]
Inoltre sono state distrutte molte abitazioni, appartenenti sia ad albanesi che a serbi, scuole, istituzioni, luoghi di intrattenimento e molto altro.
Esodo dei non kosovari dal Kosovo
I rifugiati albanesi ritornarono ma cominciò un nuovo esodo, quello serbo.
Migliaia di cittadini di etnia non albanese (serbi, montenegrini e gitani, in prevalenza) fuggirono dal Kosovo temendo—e subendo—rappresaglie albanesi (per altro protrattesi sino ai giorni nostri, a dispetto della presenza della KFOR), e si creò uno stato di fatto che perdura tuttora, con i serbi superstiti trincerati in gran parte nella Metochia (la parte serba del Kosovo) e gli albanesi nel Kosovo propriamente detto, impegnati a rendere "etnicamente pura" la provincia: basti pensare che, dopo la guerra, numerose chiese ortodosse sono state distrutte e che non uno dei 40 000 residenti d'etnia serba di Pristina ha potuto farvi ritorno.[15][16][17][18] Milošević fu arrestato il 1º aprile 2001 su mandato del tribunale internazionale dell'Aja, dopo molte titubanze del nuovo regime democratico, come imputato per crimini contro l'umanità. Il processo si è interrotto a poca distanza dalla sua conclusione, a causa della morte dell'imputato l'11 marzo 2006 per presunto arresto cardiaco.
Nel 2006 sono iniziati a Vienna nuovi colloqui bilaterali tra il governo serbo e quello kosovaro per la definizione finale dello status dell'area kosovara.
Note
- ^ Tale giudizio è stato sostenuto da molteplici osservatori, anche di parte occidentale, vedere ad esempio Noam Chomsky: "Lessons of War - Another way for Kosovo?" (richiede iscrizione)(lo stesso articolo, lettura gratuita) ed è sostanziata anche dalle note successive. Chomsky cita anche Robert Fisk, il quale è più volte tornato sullo stesso tema, citandolo come precedente per la "promozione" di conflitti, vedere ad esempio Robert Fisk, Iraq: a year of war - The invasion of Iraq would, we were told, rid the world of mortal danger. One year on, the only people who feel safer are those who prefer not to think for themselves.
- ^ Vedi anche: Quarta relazione del Comitato ristretto per gli affari esteri del Parlamento Inglese; si occupa della crisi del Kosovo, in inglese. Molto significative sono le note e le testimonianze relative agli sviluppi che portarono al fallimento dell'accordo di Rambouillet, che confermano come numerosi osservatori - anche autorevoli e terzi rispetto al conflitto serbo-albanese - abbiano individuato nelle promesse della Albright di tenere un referendum per l'indipendenza del Kosovo e nell'Allegato militare B aggiunto agli accordi, le ragioni che resero impossibile la firma alla parte serba. Alcuni estratti (enfasi e commenti in italiano aggiunti) significativi dal documento:
...However, according to the FCO, "the US sent a letter to the Kosovo Albanian delegation, noting that the US regarded the agreement as confirming the right of the people of Kosovo to hold a referendum, consistent with the provisions of the Rambouillet agreement, on Kosovo's final status." Tim Judah reproduced the text of this letter as follows:
- "Rambouillet, 22 February 1999
- This letter concerns the formulation (attached) proposed for Chapter 8, Article 1 (3) of the interim Framework Agreement. We will regard this proposal, or any other formulation, of that Article that may be agreed at Rambouillet, as confirming a right for the people of Kosovo to hold a referendum on the final status of Kosovo after three years.
- Sincerely,
- Madeleine Albright, Secretary of State."
- ^ Vedi anche: Briefing di Madelaine Albright sui colloqui relativi al Kosovo, 23 febbraio 1999
- ^ Vedi anche: Articolo dello "Irish Examiner" sulla Crisi del Kosovo (War looms closer in Kosovo), in inglese, del 22 febbraio 1999 nel quale si afferma, tra l'altro, citando testualmente la Albright: In an attempt to assuage ethnic Albanian demands for a referendum on self-determination after three years of self-rule, Albright said: "The word referendum is not in the agreement but we recognise that it is important after the three-year period to consider the voice of the people among other considerations that have to be taken into regard. (In un tentativo di attenuare le esigenze albanesi di un referendum sull'autodeterminazione dopo tre anni di autogoverno, la Albright ha detto: "la parola referendum non è [inclusa] nell'accordo [Accordi di Rambouillet], ma noi riconosciamo sia importante, dopo il periodo di tre anni, considerare la voce del popolo tra le altre considerazioni che debbono essere tenute presenti").
- ^ Vedi anche: Articolo dello "Irish Examiner" sulla crisi del Kosovo (War looms closer in Kosovo), in inglese, del 22 febbraio 1999 nel quale si afferma, tra l'altro, citando testualmente la Albright: Albright said the Kosovo Albanians "are working very hard and I think moving towards a 'yes'. The Serbs on the other hand are refusing to engage on a basic part of the agreement, which is the military aspect". (La Albright ha detto che i cossovari albanesi "stanno sforzandosi molto e penso si muovano verso un sì [agli Accordi di Ramboullet]. I Serbi, dall'altra parte, stanno rifiutando d'impegnarsi su una parte fondamentale dell'Accordo, che è l'aspetto militare [contenuto nell'Appendice o Annex B [1]").
- ^ http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=7940
- ^ Henriksen, Dag, "Inflexible Response: Diplomacy, Airpower and the Kosovo Crisis, 1998-1999", in Journal of Strategic Studies, 31, no. 6 (December 2008): 825-858.
- ^ http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/514828.stm BBC News. 10 November 1999. Retrieved 5 January 2010.
- ^ http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/781310.stm BBC News. 7 June 2000. Retrieved 5 January 2010.
- ^ http://www.icty.org/x/cases/slobodan_milosevic/cis/en/cis_milosevic_slobodan.pdf (PDF). Retrieved 28 April 2010.
- ^ Serbs killing sul Guardian
- ^ During Kosovo War-Babies not arriving
- ^ Barbarët e fundshekullit XX
- ^ Il genocidio è provato: L'Associazione internazionale per i popoli minacciati (APM-I) presenta un dossier di 200 pagine sul genocidio in Kosovo che sarà trasmesso al Tribunale...
- ^ Kosovo/Lo scrittore Handke denuncia: pulizia etnica “dolce” contro i serbi
- ^ In Kosovo la Chiesa ortodossa è sotto assedio
- ^ Macedonia-Grecia: profughi rom nel limbo
- ^ COME SONO SCOMPARSI 250MILA SERBI
Bibliografia
- Scotto, Giovanni / Arielli, Emanuele, La guerra del Kosovo, Roma: Editori Riuniti 1999.
- Costanzo Preve, Il bombardamento etico. Saggio sull'interventismo umanitario, l'embargo terapeutico e la menzogna evidente. CRT editore, Pistoia, 2000
- Joze Pirijevec Le guerre jugoslave, Torino, Giulio Einaudi editore. 2001 e 2002
- Stefano Vernole, "La questione serba e la crisi del Kosovo", Molfetta (BA), Noctua, 2008
Voci correlate
- Operazione Allied Force, l'operazione con la quale la NATO attaccò la Serbia.
- Guerre jugoslave (1991-1995)
- Kosovo
- Massacro del bar Panda
Altri progetti
- Wikiquote contiene citazioni di o su guerra del Kosovo
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su guerra del Kosovo
Collegamenti esterni
- (EN) Relazione completa dei lavori del Comitato Parlamentare Britannico per gli Affari Esteri Relativa al problema Kosovo, pubblicata il 23 maggio 2000. Di estremo interesse per la completezza della trattazione e l'autorevolezza delle fonti riportate.
- (FR) Raccolta di documenti e articoli relativi alla crisi e alla guerra del Kosovo della Rivista Le Monde Diplomatique
- (EN) The Violence: Ethnic Albanian Attacks on Serbs and Roma Denuncia di Human Rights Watch sul tentativo di pogrom antiserbo esteso a tutto il Kosovo (marzo 2004).
- (EN) Documentazione della chiesa Serbo-ortodossa relativa alle distruzioni sistematiche del patrimonio culturale cristiano in Kosovo consumate dopo l'arrivo della KFOR nella provincia
- (EN) Documentazione di parte albanese relativa alla repressione serba in Kosovo
- (EN) The Guardian: A pattern of aggression - Iraq was not the first illegal US-led attack on a sovereign state in recent times. The precedent was set in 1999 in Yugoslavia Kate Hudson (South Bank University, London) Sull'illegalità della guerra del Kosovo.