L'obbligazione tributaria è il rapporto di carattere giuridico che si instaura quando si verifica un atto o un fatto rilevatori di capacità contributiva espressamente individuati dalla legge.

Disciplina dell'obbligazione tributaria nell'ordinamento italiano

Nozione e genesi dell'obbligazione tributaria

L'obbligazione tributaria è un'obbligazione con effetti definitivi e in ciò il tributo si distingue dai prestiti forzosi, i quali consistono in una pubblica sottoscrizione di titoli dello Stato imposta coattivamente ai cittadini per arginare il debito pubblico.[1] Anche il tributo è un'entrata coattiva ed è sempre imposto autoritativamente, ma il fatto generatore del rapporto obbligatorio in questo caso è un fatto economico, denominato presupposto d'imposta, che esprime capacità contributiva (es. possesso di redditi).

L'obbligazione tributaria, pur essendo un'obbligazione di diritto pubblico, non differisce dal punto di vista strutturale e concettuale da quella di diritto privato regolata nel codice civile ed in caso di lacuna della materia tributaria, l'interprete può colmarla ricorrendo alle norme civilistiche assunte come diritto comune dei rapporti obbligatori pubblici e privati. Inoltre, è doveroso aggiungere che l'analogia in materia tributaria è ammessa solo quando:

  • si è in presenza di lacune in senso tecnico della disciplina tributaria;
  • le norme civilistiche siano estensibili oltre l'ambito privatistico;
  • le norme civilistiche siano compatibili con le fattispecie peculiari della materia tributaria.

L'obbligazione tributaria è un'obbligazione di fonte legale, ciò significa che tutta la disciplina dell'obbligazione è stabilita dalla legge e dalle sole altri fonti ammesse dall'articolo 23 della Costituzione italiana. Nell'obbligazione tributaria, differentemente da quella civile, nulla è lasciato alla disponibilità delle parti: il rapporto è vincolato.

Dal punto di vista della genesi del rapporto obbligatorio, in dottrina si contrappongono due orientamenti, quello della c.d. teoria dichiarativa e quello della c.d. teoria costitutiva:

  • la teoria dichiarativa asserisce che l'obbligazione tributaria sorge col solo verificarsi del presupposto, a prescindere dalla dichiarazione dei redditi e che il contribuente davanti al potere impositivo dell'Amministrazione finanziaria è titolare di un diritto soggettivo, definito diritto alla giusta imposizione;
  • la teoria costitutiva sostiene che la dichiarazione dei redditi (ma anche l'emanazione di un avviso di accertamento) è elemento costitutivo del rapporto obbligatorio. Secondo questa corrente di pensiero, inoltre, il contribuente davanti all'imposizione è titolare di un interesse legittimo inteso come proiezione individuale di una giurisdizione di annullamento.

Principi costituzionali e fonti dell'obbligazione tributaria

La disciplina dell'obbligazione tributaria è regolata da numerose fonti e principi, per questo fu definita polisistematica dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.84 del 3 marzo 1989. I principi che ricoprono importanza di primo piano per la loro collocazione in Costituzione sono quelli della riserva di legge e della capacità contributiva, i quali pongono dei limiti ben precisi all'imposizione.

Il primo principio, quello della riserva di legge o di legalità tributaria, è regolato dall'articolo 23 della Costituzione italiana, il quale statuisce che «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». Tale articolo è espressione di un classico principio delle democrazie liberali («no taxation without representation»). Questo orientamento è stato riaffermato in dottrina da Giannini e da Fedele che attribuiscono al principio della riserva di legge funzione di tutela della libertà e della proprietà dei singoli, nonché una funzione istituzionale volta immediatamente alla tutela dell'interesse generale e, solo in via mediata e subordinata, alla tutela degli interessi privati.

La norma costituzionale mette in evidenza numerosi problemi esegetici riguardanti il concetto di base legislativa, di prestazione imposta e di legge:

  • Per base legislativa s'intende il contenuto minimo della norma tributaria che dev'essere regolato con una fonte di rango legislativo. A tal proposito è necessario richiamare il concetto di riserva di legge, poiché l'articolo 23 della Costituzione è una riserva di legge relativa. La riserva di legge relativa delega alla legge la regolamentazione dei principi fondamentali della materia e rimette a fonti di rango non legislativo la restante trattazione. Il contenuto minimo delle norme tributarie che è necessario regolare con legge riguarda il quantum, l'an e il soggetto passivo dell'imposta;
  • Per la comprensione della locuzione «prestazione imposta» si deve operare una distinzione fra prestazione imposta in senso formale e in senso sostanziale: la prima è imposta con atto autoritativo e i relativi effetti sono indipendenti dalla volontà del soggetto passivo; la seconda riguarda prestazioni di natura non tributaria aventi funzione di corrispettivo di un servizio pubblico che soddisfi un bisogno essenziale reso in regime di monopolio;
  • Il termine legge è assunto nell'articolo 23 della Costituzione per indicare la legge ordinaria dello Stato centrale, gli atti aventi forza di legge (decreto-legge e decreto legislativo), le leggi regionali e quelle provinciali di Trento e Bolzano. Inoltre, da quando l'Italia ha sottoscritto i Trattati, operando così una limitazione della propria sovranità suffragata dall'articolo 11 della Costituzione, anche la normativa comunitaria soddisfa i requisiti dell'articolo 23. E' questione aperta, invece, se la riserva di legge ammetta o no la consuetudine fra le fonti del diritto tributario. Micheli e Fantozzi lo escludono, asserendo che l'uso non può modificare o estinguere la norma tributaria, né completarla.

Il secondo principio, quello della capacità contributiva, è rinvenibile nell'articolo 53 della Costituzione italiana, il quale pone in capo a tutti i cittadini l'obbligo di concorrere alle spese pubbliche «in ragione della propria capacità contributiva». Il dettato costituzionale contiene i tre fondamentali precetti dell'universalità dell'imposta, della progressività del sistema tributario, in quanto il secondo comma dell'articolo statuisce che «il sistema tributario è informato a criteri di progressività», e dell'eguaglianza del carico tributario. Oltre a tali precetti, la norma presuppone l'esistenza del requisito di effettività e di attualità della capacità contributiva: il primo richiede che il collegamento fra fatto rivelatore di capacità contributiva e tributo sia effettivo; il secondo, che è pur sempre un aspetto del requisito di effettività, presuppone che il tributo gravi su manifestazioni di capacità contributive attuali e non passate o future. Ciò non si pone come ostacolo alla possibilità di emanare tributi retroattivi - anche se per regola generale è stabilita l'irretroattività della legge (articolo 11 delle preleggi) come conquista di civiltà giuridica -, ma tali tributi dovranno colpire fatti pregressi la cui capacità contributiva sia ancora attuale. L'articolo 53 della Costituzione costituisce una garanzia per i contribuenti disponendo che il legislatore nel determinare l'ammontare del carico tributario deve tenere conto della loro capacità contributiva e tale norma deve ritenersi lesa nel caso in cui si tassasse il reddito minimo vitale. Inoltre, in dottrina - soprattutto ad opera del Lupi - e in giurisprudenza (Corte Cost. 18 febbraio 1992, n. 51), è invalsa l'idea che il principio di capacità contributiva sia una specificazione del dovere di solidarietà sociale imposto dall'articolo 2 della Costituzione. Tale assunto si fonda sulla concezione per la quale il singolo deve contribuire alle spese pubbliche, non in ragione di quanto riceve dallo Stato, ma in quanto membro della collettività. Per dare concretezza al concetto di capacità contributiva, occorre indicare quali fatti economici esprimono tale capacità. Esistono indici diretti e indiretti di capacità contributiva: i primi si riferiscono a manifestazioni dirette di capacità contributiva, come il reddito, il patrimonio e gli incrementi di valore del patrimonio; i secondi hanno riguardo a manifestazioni indirette di tale capacità, come il consumo e gli affari. La giurisprudenza costituzionale ha inoltre elaborato nel corso degli anni la nozione soggettiva e oggettiva di capacità contributiva. La nozione soggettiva di capacità contributiva consiste in un orientamento rigoroso e garantista pel quale l'effettiva idoneità soggettiva del contribuente a far fronte al dovere tributario è manifestata da indici concretamente rivelatori di ricchezza. Quest'orientamento giurisprudenziale che si era consolidato alla fine degli anni '60, è venuto meno a partire dagli anni '80, favorendone uno più elastico e meno rigoroso. La nozione oggettiva ravvisa capacità contributiva in qualsiasi fatto economico, anche non espressivo d'idoneità soggettiva del contribuente e rimette alla discrezionalità del legislatore la facoltà di scegliere i presupposti d'imposta col limite della non arbitrarietà.

L'articolo 53 della Costituzione, come già anticipato, contiene in sé alcuni principi:

  • Il principio di generalità o dell'universalità espresso dal termine «tutti», si riferisce ai cittadini italiani, agli stranieri, agli apolidi, alle imprese individuali o collettive, nazionali o straniere, che pongono in essere un fatto espressivo di capacità contributiva all'interno dello Stato italiano. Tale precetto non è immune da eccezioni e deroghe, difatti, il legislatore può accordare delle esenzioni, di natura temporanea o permanente, ai cittadini che si trovino in determinate condizioni, rispondendo così ad esigenze di giustizia sociale;
  • Con l'espressione «il sistema tributario è informato a criteri di progressività» il legislatore costituzionale ha voluto introdurre il principio della progressività dell'obbligazione tributaria. Si ha progressività quando il carico tributario cresce in misura più che proporzionale al crescere della ricchezza imponibile. Esistono diversi metodi per attuare la progressività del tributo: progressività continua, per classi, per scaglioni e per detrazione. Tale principio, invero, non riguarda tutto il sistema tributario nel suo complesso, ma si rivolge ai singoli tributi. Adunque, i singoli tributi possono ispirarsi a criteri diversi, come riaffermato in giurisprudenza costituzionale dalla sentenza n.128 del 29 dicembre del 1966;
  • La nozione di eguaglianza del carico tributario si ottiene dal combinato disposto degli articoli 53 e 3 della Costituzione. Con la sentenza n.120/1972 la Corte Costituzionale ha asseverato che «a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario disuguale»[2]. Tale pronuncia riproduce il c.d. principio di ragionevolezza che esige trattamenti uguali per le situazioni uguali e diversi per le situazioni diverse. Spetta al legislatore stabilire se due situazioni siano uguali o differenti, nel rispetto dei limiti posti dal primo comma dall'articolo 3 della Costituzione e la Consulta può sindacare le scelte discrezionali se irragionevoli. La dottrina, invece, ha elaborato tre teorie sull'attuazione pratica del principio dell'eguaglianza del carico tributario: la teoria delle prestazioni e controprestazioni; la teoria del sacrificio; la teoria della capacità contributiva. La teoria delle prestazioni e controprestazioni statuisce che per avere un'equa distribuzione d'imposta è necessario che ci sia equivalenza fra tributi e controprestazioni offerte dallo Stato sotto forma di servizi pubblici. La tesi non è accoglibile, in quanto i vantaggi dei servizi pubblici sono difficilmente valutabili comparativamente nella scala dei singoli bisogni; la teoria del sacrificio si articola in tre correnti di pensiero: quella del sacrificio uguale la quale ritiene che per aversi eguaglianza del carico tributario l'imposizione deve cagionare il medesimo sacrificio a ogni contribuente con l'applicazione d'imposte moderatamente progressive in modo da gravare i più ricchi; quella del sacrificio proporzionale la quale si basa su un'accentuata progressività dell'imposta che rispecchierebbe la proporzione fra utilità della somma pagata allo Stato e utilità della ricchezza; quella del sacrificio minimo, ideata da Edgeworth, la quale afferma che per ottenere un sacrificio minimo per l'intera collettività, le imposte devono essere fortemente progressive con conseguente penalizzazione dei ceti più abbienti. L'ultima teoria, quella della capacità contributiva, si riallaccia ai principi della priorità dei bisogni e dell'utilità decrescente della ricchezza, ma aggiunge che la capacità contributiva di ognuno aumenta più che proporzionalmente rispetto all'aumento del reddito.

Il legislatore oltre a prestare ossequio ai principi esaminati, dev'essere ligio ad ogni altro precetto costituzionale in materia d'imposizione e al c.d. Statuto dei diritti del contribuente (introdotto nell'ordinamento italiano con la legge n.212 del 27 luglio 2000), il cui articolo 1 autoqualifica il complesso normativo come attuativo dei principi costituzionali contenuti negli articoli 3, 23, 53 e 97 e assegna alle norme in esso contenute il valore di principi generali dell'ordinamento tributario. Lo Statuto, inoltre, limita le facoltà del legislatore in materia d'abrogazione espressa con leggi speciali e di abrogazione tacita con leggi generali, sia per incompatibilità delle norme più recenti con le precedenti, sia nel caso in cui la norma più recente ricomprenda in sé il contenuto della norma più vecchia. Tuttavia lo Statuto, pur fissando alcune rilevanti norme di principio, è una legge ordinaria (il cui valore può essere assimilato a quello delle disposizioni sulla legge in generale) e non costituisce vincolo cogente per il legislatore che potrebbe comunque non osservare le norme in esso contenute.

I soggetti dell'obbligazione tributaria, la plurisoggettività passiva e la buona fede

  Lo stesso argomento in dettaglio: Obbligazione solidale, Sostituto d'imposta e Responsabile d'imposta.
  In esecuzione

Il rapporto obbligatorio tributario, proprio come quello civilistico, presuppone l'esistenza di due parti: il soggetto attivo, il quale è titolare del credito d'imposta e il soggetto passivo su cui grava l'obbligo di adempiere il debito d'imposta. Soggetto attivo del rapporto è generalmente lo Stato, ma anche le Regioni, le Province e i Comuni possono esserlo. Soggetti passivi sono, oltre alle persone fisiche e agli enti collettivi dotati di personalità giuridica, i soggetti privi di tale personalità giuridica. Il soggetto passivo è denominato contribuente e il termine, solitamente, è usato per indicare il solo obbligato principale. Lo Stato ed anche le Regioni, delegano l'attività di liquidazione e riscossione dell'imposta all'Agenzia delle Entrate che la esercita a mezzo di Equitalia S.p.a., mentre le Province e i Comuni, pur avendo la facoltà di delegare le medesime funzioni agli agenti della riscossione dell'Agenzia delle Entrate, possono ricorrere allo strumento dell'ingiunzione fiscale regolato con R.d. n.639/1910 (Testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato).

Le diverse situazioni passive che scaturiscono dalle fattispecie tributarie, possono far capo ad una pluralità di soggetti passivi. Tali situazioni passive possono consistere in obblighi formali (es. presentazione della dichiarazione dei redditi) o nell'adempimento dell'obbligazione tributaria. Ergo, anche la disciplina tributaria prevede la possibilità di un'obbligazione plurisoggettiva o solidale e rimette la definizione di tale rapporto alle norme civilistiche che, a norma dell'articolo 1292 c.c., così lo disciplinano: «L’obbligazione è in solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri».

In tema di solidarietà tributaria passiva, come in diritto civile, si distingue fra solidarietà paritaria e solidarietà dipendente: si ha la prima quando il presupposto del tributo è riferibile ad una pluralità di soggetti; si ha la seconda quando obbligato principale è colui che attua il presupposto e obbligato dipendente (denominato responsabile d'imposta) è colui che pone in essere una fattispecie collaterale.

Dal punto di vista costituzionale, la solidarietà tributaria passiva non lede l'articolo 53, il quale, pur esigendo che il tributo sia posto a carico di chi realizza il presupposto, ammette che il terzo sia posto in grado di incidere dell'onere economico dell'obbligazione tributaria (ad esempio tramite ritenuta o rivalsa) colui che ha posto in essere il fatto imponibile.

Nel d.P.R. 600/1973, all'articolo 64[3], il responsabile d'imposta è definito come l'«obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili». Nei rapporti esterni, solidarietà dipendente e paritaria non differiscono e il fisco non ha riguardo ai rapporti interni che intercorrono fra i coobbligati. Nei rapporti interni, invece, il responsabile d'imposta che adempie l'obbligazione tributaria ha diritto di regresso pro toto nei confronti dell'obbligato principale.

I rapporti interni e il regresso fra condebitori d'imposta non sono regolati dal diritto tributario, ma dagli articoli 1298 e 1299 del codice civile. L'articolo 1298 c.c. statuisce che l'obbligazione solidale, nei rapporti interni, si divide pro quota e le quote s'intendono uguali, salva diversa pattuizione convenzionale. La norma civilistica, però, riguarda le obbligazioni di diritto privato che si rifanno al criterio dell'interesse pel quale l'obbligazione fu contratta. Nel diritto tributario, invece, la norma va letta riferendosi al rapporto di ciascun condebitore col presupposto d'imposta. Quando il presupposto può essere imputato per quote, queste si riflettono anche nella divisione interna del debito. Quando ciò non è possibile, occorre considerare uguali le quote, salvo diversa pattuizione. Inoltre, a norma dell'articolo 1299 c.c., chi soddisfa pro toto il credito, ha diritto di ripetere dai condebitori la quota che compete a ciascuno di essi in forza del diritto di regresso.

Analogamente a quanto disposto dagli articoli 1175 e 1375 c.c. in tema di tutela dell'affidamento, correttezza fra le parti e buona fede nell'esecuzione del contratto, l'articolo 10, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente, statuisce che «I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede». La Suprema Corte di Cassazione ha riaffermato l'importanza di questo principio costituzionale nella sentenza n.17576 del 10 dicembre 2002.[4] La buona fede può essere oggettiva o soggettiva: la buona fede oggettiva è intesa come obbligo etico di comportamento onesto; la buona fede soggettiva è una situazione psicologica di ignoranza dell'altrui lesione. Le nozioni di buona fede e tutela dell'affidamento hanno rilievo non solo per il diritto tributario e il civili, ma sono criteri che informano l'intero ordinamento giuridico e la questo principio generale di correttezza venne definito dal Ministro Guardasigilli nella Relazione Ufficiale al Codice Civile inoltrata al Re, come «uno stile morale della persona, che inidica spirito di lealtà, abito virile di fermezza, di chiarezza e coerenza, fedeltà e rispetto a quei doveri che, secondo la coscienza generale, devono essere osservati nei rapporti tra i consociati».

Note

Bibliografia